di Giuseppe Masala da zeroconsensus
Il colonialismo influenzò le strutture, i
meccanismi e i rapporti capitalisti nell’Europa feudale e favorì
l’ascesa al potere della borghesia. La relazione che lega il
colonialismo alle cosiddette “rivoluzioni borghesi” non è mai stata
tenuta nella dovuta considerazione nemmeno dai marxisti. Occorre
osservare, anche se si tratta di un fatto abbastanza ovvio, che la prima
“rivoluzione borghese” fu il processo di “accumulazione originaria”,
iniziato gradualmente con le Crociate, per poi estendersi rapidamente
durante l’epoca delle scoperte fino a dilagare, divenendo un fenomeno
globale, al tempo del traffico degli schiavi. Queste vere rivoluzioni
sociali si verificarono in paesi lontani dall’Europa, sotto forma di una
lotta colonialista inter-continentale tra due modi di produzione
contrapposti. Il risultato di questa lotta inter-modale fu che ciascuna
classe capitalista finì con l’acquisire sufficiente potere economico per
impadronirsi del potere politico detenuto dalle classi feudali.
Molto prima che la borghesia portoghese e
spagnola tenesse le redini del potere politico, essa era padrona di
vaste colonie in America, Africa e Asia. Fu il potere derivato dai
possedimenti coloniali, che permise alla Spagna di controllare
politicamente l’Olanda e gran parte dell’Italia nel XV e XVI secolo.
Tuttavia, la borghesia spagnola era troppo legata ai propri feudatari
per poter industrializzare il surplus proveniente dal Messico, dal Perù,
dalle Filippine e dal traffico di schiavi. Il surplus veniva in gran
parte trasferito in Germania, ai “colonialisti occulti” sul Reno e sul
Mare del Nord. Questa emorragia, oltre alle sconfitte subite nelle
battaglie navali contro i pirati inglesi e la flotta di Francis Drake,
costarono la supremazia come potenza coloniale alla Spagna, che trascinò
con sé il Portogallo. Quando, soltanto alla fine del XX secolo, il
Portogallo ebbe finalmente la propria “rivoluzione democratica”, essa fu
un derivato della lotta per l’indipendenza della Guinea-Bissau, del
Mozambico e dell’Angola.
Il declino della Spagna consentì l’ascesa
dell’Olanda a prima potenza navale del mondo. La Compagnia delle Indie
Orientali olandese, amministrata dai tedeschi, nel 1652 costrinse i San e
i Khoi-Khoi a cedere il Capo di Buona Speranza, quindi nel 1641
acquistò la Malacca e nel 1656 Ceylon, avviando commerci con la Cina e
il Giappone. Con il trattato di Westfalia del 1648 la sovranità
dell’Olanda venne riconosciuta dalla Spagna. La rivoluzione borghese
olandese e fiamminga ebbe come epicentro le città colonialiste di
Amsterdam, Rotterdam, Anversa, Bruges e Grand.
Alimentata dal colonialismo
elisabettiano, la borghesia inglese si alleò con l’aristocrazia terriera
per conquistare il potere politico in un Commonwealth cromwelliano,
fondato sullo schiavismo; la “gloriosa rivoluzione” di Guglielmo
d’Orange del 1688 fece sventolare l’”Union Jack”, sulle colonie delle
Indie occidentali, del Nordamerica e dell’India. La Rivoluzione
francese del 1789-1793 fu guidata da una borghesia che era giaà divenuta
una potenza mondiale in Louisiana, nel Canada, nelle Antille,
nell’India orientale, nel Senegal e in un quadrilatero atlantico del
commercio di schiavi in cui Bordeaux, Calais e Dieppe rivestivano
un’importanza cruciale28. La Rivoluzione francese mantenne le colonie e
lo schiavismo, come del resto la rivoluzione del 1848. Nemmeno la Comune
di Parigi del 1871 osò sfidare l’imperialismo francese in Indocina e in
Africa. L’impatto culturale della rivoluzione francese colonialista
aveva connotati profondamente colonialisti, al punto che i comunardi,
che più tardi furono massacrati dalle truppe tedesche a Parigi, non
alzarono un dito per fermare le atrocità dell’armata coloniale di
Napoleone III, e si guardarono bene dal proclamare la libertà per i
popoli sotto il giogo francese in Algeria, in Indocina e nell’Africa
occidentale.
La rivoluzione borghese tedesca, che
attraversò il pericolo della Riforma iniziato da Lutero, la rivoluzione
del 1848 e il processo di unificazione nazionale di Bismarck, furono
tutte alimentate da un vecchio, occulto colonialismo. All’interno del
Sacro Romano Impero, battezzato nel 962 da Ottone di Sassonia, detto il
Grande, ghilde, mercanti, usurai e banchieri della costa settentrionale,
fondarono la Lega Anseatica, costituendo dei monopoli mercantili che
intrattenevano traffici marittimi, nonché il commercio di schiavi,
dapprima con i veneziani, quindi con i portoghesi, gli spagnoli e
persino gli olandesi. Tra questi capitalisti si annoverano i Ravensburg,
le casate di Augusta e Norimberga, le ghilde di Francoforte, la
famiglia Meuling di Anversa dal 1479, gli Hochstatter dal 1486 e i
potenti Fugger e Welser che finanziarono e armarono l’invasione del
Venezuela nel 1527 e attirarono l’attenzione di Marx. Nel 1660 la Lega
Anseatica, di cui ormai facevano parte solo Amburgo, Lubecca e Brema,
si stava avviando al declino; tuttavia, con essa non crollò il principio
dei monopoli capitalisti. Nel XIX secolo sorsero nuovi monopoli, tutti
occupati in attività coloniali, tra cui i Krupp, i Siemens, i Thyssen e i
Benz. La stessa Deutsche Bank, costituita nel XIX secolo, finanziò la
conquista tedesca della Namibia, dell’Urundi, del Ruanda, del Tanganika e
del Camerun. Capitalisti tedeschi, come gli Oppenheimer, i veri capi
del “Nuovo Sudafrica”, si impadronirono delle miniere d’oro e diamanti
del Witwatersrand e Rhodes usò i mitragliatori fabbricati dai Krupp per
conquistare Pondoland e Matabeleland. Un secolo dopo la caduta del primo
Impero durante la Rivoluzione francese, la federazione tedesca fu
riformata a Guglielmo, sostenuto dai socialisti di Lasalle, riassunse il
titolo di imperatore in quanto capo del secondo Impero tedesco. In
seguito, la democrazia tedesca fu insaguinata dai massacri in Namibia,
Camerun e Tanganica.
La trionfante borghesia tedesca ospitò il
Congresso di Berlino del 1884-85, dove le potenze europee si spartirono
i territori dell’Africa. La Germania perdette le proprie colonie nella
prima guerra mondiale, ma la sua politica coloniale le si ritorse contro
nel 1933, quando il Reichstag democratico, eletto dalla maggior parte
dei tedeschi provenienti da qualsiasi ceto sociale, votò a favore del
partito nazista, decretandone l’ascesa al potere. Dopo un’altra
sconfitta nel 1945, la borghesia tedesca, grazie agli aiuti del Piano
Marshall, alle riserve occulte di metalli preziosi, alla Comunità
europea e alla riunificazione tedesca del 1989, ha potuto ristabilire il
ruolo della Germania a terza potenza economica mondiale dopo gli Stati
Uniti e il Giappone. La rivoluzione borghese in Italia giunse
all’apice a seguito di un lungo processo coloniale. Città stato e stati
regionali italiani trassero vantaggi dal crollo del feudalesimo a
seguito delle Crociate, nel senso che mercanti genovesi, pisani e
napoletani rifornivano sia i cistiani che i saraceni. Venezia fu uno dei
primi esempi di città capitaliste, con il suo impero coloniale che si
estendeva fino a Dubrovnik e i suoi mercanti, come la famiglia Polo, che
intrattenevano commerci la la Persia, l’Arabia e la Cina. I mercanti
italiani avevano raggiunto le Canarie nel 1341, le Isole di Capo Verde
nel 1456, Timbuctù nel 1470 e dal 1464 iniziarono ad importare oro dai
regni del Sudan occidentale. Dopo che le scoperte e la conquista
ottomana del 1454 avevano chiuso il Mediterraneo, i capitalisti italiani
di Firenze e Venezia dipendevano dai metalli e dai generi di consumo
provenienti dalle colonie spagnole e portoghesi in America, Asia e
Africa. Il Risorgimento di Mazzini e il processo di unificazione
dell’Italia, guidato da Garibaldi e Cavour, furono finanziati dalla
classe capitalista italiana, da tempo legata alla politica coloniale. I
soldati algerini caduti per l’unità d’Italia vengono ricordati nel
monumento alla vittoria di Napoleone III sugli austriaci (la Francia
aveva conquistato l’Algeria nel 1830), collocato nel Parco Sempione a
Milano. Mazzini incoraggiò la colonizzazione italiana della Tunisia e
Garibaldi rivendico Trieste all’Austria. Il cardinale Massaia
(1809-1889), missionario cappuccino e diplomatico, manovrò le ambizioni
coloniali di Cavour in Etiopia, come aveva fatto Livingstone per la Gran
Bretagna nell’Africa centrale e occidentale29. Garibaldi era in stretti
rapporti con la compagnia coloniale che operava sulle coste etiopi e
somale del Mar Rosso. Quanto al Belgio, basti solo ricordare grido
del giovane duca di Brabante, il futuro Leopoldo II, nel 1867, non molto
prima che egli, in combutta con Stanley e l’industria tessile di
Manchester, si macchiasse delle infami atrocità commesse durante la
conquista e lo sfruttamento del Congo in nome dell’imperialismo belga:
“Ciò di cui il Belgio ha bisogno è una colonia”30.
La rivoluzione borghese del Belgio fu
guidata dalla dinastia colonialista fondata da Leopoldo, una dinastia
che penetrò in molte famiglie aristocratiche e reali dei Borboni e degli
Absburgi nell’Europa del XIX e XX secolo. La rivoluzione borghese
del Giappone, avvenuta nel XIX secolo, consistette nella trasformazione
della casta dei “despoti orientali” shogun in famiglie
monopolistiche capitaliste, guidate dallo stesso imperatore. Questa
trasformazione ebbe inizio durante una lotta per il potere coloniale,
combattuta nel Mare del Giappone a metà del XIX secolo, tra il Giappone e
i suoi rivali europei e americani e che si concluse con la conquista da
parte dei giapponesi della Corea e la vittoria sulla Russia zarista
imperialista nel 1905. Tra le due guerre mondiali, il Giappone condusse
una guerra tipicamente coloniale contro la Cina, in cui vennero
sterminate circa venti milioni di persone. Durante la seconda guerra
mondiale, il Giappone portò a termine la conquista coloniale di
Singapore, dell’Indonesia, di Hong-Kong, Burma e dell’Indoncina
francese. Nel dopoguerra, l’ascesa del Giappone a potenza imperialista
del mondo (seconda solo agli Stati Uniti), era dovuta essenzialmente a
precisi investimenti neocoloniali in lavoro a basso costo nelle proprie
ex colonie, da parte di dinastie monopolistiche dispotiche giapponesi.
Il risultato finale del colonialismo europeo e, più tardi,
nordamericano e giapponese, fu la globalizzazione del capitalismo in un
sistema mondiale, che vede contrapposti da un lato un blocco di nazioni
imperialiste (a loro volta in competizione, spesso violenta, una sorta
di guerra mondiale, per assicurarsi il potere e l’influenza globle) che
va sotto il nome di “Primo mondo”, e dall’altro un complesso di ex
colonie semicoloniali e colonie, il cosiddetto “Terzo mondo”, che a sua
volta sovrasta la terra desolata di un “Quarto mondo”, totalmente povero
e vittima di genocidi. Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989,
fanno parte del “Terzo mondo” l’Europa dell’Est, i Balcani e l’ex Unione
sovietica, un blocco che comprende circa quattrocento milioni di
persone.
Questa divisione del mondo rappresenta e,
a sua volta, è rappresentata da una partizione colonialistica del
valore della produzione globale. Solo la forza lavoro umana è in grado
di creare valore. Marx ha spiegato che il lavoro effettivo dell’operaio
può essere astratto in lavoro “universale”, che, in sostanza, è lavoro
generalizzato socialmente necessario. Potremmo prendere il lavoro
specializzato medio del “Primo mondo” come norma internazionale. Ne
segue che nel “Primo mondo” (ovvero nei paesi dell’Organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico, o OCSE, ad eccezione della
Turchia) vi sono circa trecento milioni di lavoratori, i quali
rappresentano il 30% della popolazione totale dei paesi imperialisti,
che ammonta a un miliardo di persone. Nel “Terzo mondo”, su una
popolazione di tre miliardi, si ha un tasso di disoccupazione pari al
50% e solo circa cinquecento milioni di lavoratori assunti. Di questi,
circa cento milioni (compresi quelli nelle città della Cina
economicamente dipendenti dal capitale estero) lavorano nelle miniere ad
alto rendimento, nelle industrie, nelle comunicazioni e nelle
piantagioni i cui prodotto sono destinati al mercato estero; i restanti
quattrocento milioni corrispondono, in pratica, appena a cento milioni
di lavoratori “universali”, poiché il rapporto di produttitivita e di
quattro a uno a favore del “Primo mondo” rispetto al “Terzo mondo”.
Riassumendo, abbiamo quindi trecento
milioni di “lavoratori universali” nel Primo mondo e duecento milioni
nel Terzo mondo, che corrisponde al 60% nel Primo e al 40% nel Terzo
mondo. Dal momento che solo la forza lavoro umana crea valore, si può
affermare che il 60% del valore globale viene “prodotto” nel Primo mondo
e il 40% nel Terzo mondo. Tuttavia, l’ONU, l’Europa e tutte le altri
autorevoli fonti statistiche mostrano che il Primo mondo “riceve”,
ovvero “consuma” personalmente o economicamente, più dell’80% del
reddito globale, mentre il Terzo mondo, compresa l’intera Cina, riceve
meno del 20%. Ne segue che si è assistito ad un trasferimento di valore,
dalle semicolonie al “mondo” imperialistico, pari al 20% del valore
globale, che ammonta oggi a quattro trilioni di dollari/euro e
rappresenta il trasferimento globale di plusvalore dal Terzo al Primo
“mondo”, ovvero il supersfruttamento colonialista moderno. Il tasso
internazionale di plusvalore, ovvero il plusvalore esportato diviso il
reddito nazionale, rappresenta il 20% (trasferimento) diviso il 40%
(quota del Terzo mondo di reddito globale) cioè il 50%31. Alla fine del
millennio il trasferimento globale dal Terzo al Primo mondo è superiore
al PIL degli Stati Uniti. Questo trasferimento rappresenta un metro del
sistema colonialista moderno di “apartheid su scala mondiale”32 che
fronteggia qualunque teoria di liberazione coloniale.
28 Alexis de Tocqueville, The Old Regime and the French Revolution, New York 1955 (I edizione nel 1856).29 G. Massaia, I miei trentacinque anni di missione nell’Alta Etiopia, 12 voll., Milano, Roma 1885-1995; G. Massaia, Le lettere del Cardinale Massaia dal 1846 al 1886, Ed. G. Farina, Torino 1937. La British Library possiede diversi panegirici “fascisti” ante litteram del Cardinal Massaia.
30 L. Bauer, Leopold the Unloved, 1934.
31 Per un calcolo simile, anche se un po’ diverso, vedi S. Amin, Classes and Nations, 1988. Il metodo summenzionato è stato usato in H. Jaffe, Colonialism Today, London 1962, Daresalaam 1988.
32 Descrizione data da H. Jaffe in S. Amin, A.G. Frank e H. Jaffe, Quale 1984, Jaca Book, Milano e Madrid 1974.
Hosea Jaffe – “La liberazione permanente e la guerra dei mondi”, Jaca Book, 2000