mercoledì 31 dicembre 2014

Il mio discorso di fine anno

Non è per megalomania, ma voglio anch'io fare il mio discorso di fine anno, almeno per dare senso ad un avvenimento che quest'anno mi sembra più moscio del solito. 
Bene, un po' tutti, sin da quando siamo nati, abbiamo avuto la sensazione di far parte dell'epoca del grande avvento, chi perché credeva che sarebbe venuto il messia a bussargli alla porta o a portarlo in cielo con tutte le scarpe, chi perché era convinto che la scienza risolvesse tutti i problemi dell'umanità e ci spalancasse le porte di un mondo fino ad allora sconosciuto, chi perché riteneva che dai e dai il capitalismo fosse alla stretta finale e di lì a poco sarebbe crollato, mettendo finalmente col comunismo un punto alla storia. Il punto è proprio questo. Quello che ci diciamo e che ci dicono sul futuro e sul nuova anno che verrà, sembra davvero essere una finzione. Più diventi vecchio e più ti guardi indietro, più ti accorgi che la storia del mondo è sempre uguale: buoni e cattivi, ricchi e poveri, furbi e onesti, figli di buona donna e idealisti impenitenti, eroi e vigliacchi, e chi più ne ha più ne metta. Insomma una storia che cambia proscenio e effetti speciali, ma non muta la sostanza. Ma questo e nichilismo, si dirà, il solito disincanto borghese che viene fuori nei momenti di crisi, quando una società invecchia e ha esaurito la sua spinta vitale. In un certo senso sì. La cosa triste è che prorpio quando vivi una crisi così profonda dei valori che il velo dei buoni sentimenti cade, mostrandoti la realtà nuda e cruda, e quando l'hai vista in faccia è difficile illudersi di tornare a sognare. Ma se io e quelli come me abbiamo perso la capacità di sognare, non è detto che tutti debbano smettere di farlo.  Il senso del messaggio che vorrei trasmettere è esattamente questo. Non sai che fare della tua vita? Non sai che senso dare alla realtà? Sei disoccupato, disperato e incazzato? Prendi quello che c'è di meglio in giro, scegli le persone migliori, più intelligenti e più buone e crea una storia insieme a loro, una storia che ti faccia pensare di essere uno dei protagonisti e ti dia anche un futuro di prosperità. In fondo la distinzione fra realtà e finzione è solo una diatriba irrilevante. È una faticaccia lo so, ma è l'unica cosa che puoi fare, se non vuoi passare il tempo a prendertela con te stesso o con qualcun altro, o magari tirando fendenti contro i mulini a vento.

Buon Anno

lunedì 22 dicembre 2014

Gino Strada for President. Un leader per una sinistra disastrata e dispersibile

 

Gino Strada è uno che mette d'accordo tutti. Perlomeno tutti coloro che conservano un briciolo di coscienza morale e non sono affetti da quella malattia tardiva che è il disincanto. Ovvio che uno come Gino attingerebbe maggiormente da quel bacino che tiene in ammollo milioni di persone di sinistra senza patria e senza più molta voglia di sgolarsi per una causa, ma riuscirebbe anche a fondere questa sinistra diffusa con il mondo dell'associazionismo e del volontariato, cioè in generale con persone per bene. Inoltre il chirurgo di Emergency ha un piglio deciso e tutti i segni corporei di uno che dice pane al pane e non ti frega. Gino Strada ha l'autorevolezza dell'uomo del fare e allo stesso un retroterra che lo pone affianco agli ultimi senza riserve, uno che scuote gli animi e ti invoglia a recuperare un senso delle cose, offuscato dalla paura e dall'indifferenza e annacquato da un nichilismo di maniera.
Insomma Gino ha un carisma che lo rende il miglior candidato una una sinistra disastrata che voglia uscire dal suo recinto e reclamare il governo della nazione, senza evocare gli spettri di un nuovo leaderismo autoritario travestito da buone intenzioni. Si dirà che cose del genere non funzionano e che finiscono per bruciare anche i migliori, come è successo al buon Ingroia, e che Gino Strada è la solita operazione di marketing che serve a supplire le carenze della politica. I più affezionati all'utopia della democrazia partecipativa, come nuova frontiera di una politica davvero democratica diranno che la soluzione non è il leader, ma un processo costitutivo dal basso ecc. Innanzitutto questa non sarebbe un'operazione di pura sommazione di frammenti dispersi della sinistra, che serve solo a dare ossigeno a qualche partitino agonizzante, ma sarebbe una chiamata alle armi di tutti gli arruolabili ad una causa che va al di la del cortiletto di casa di una sinistra litigiosa e dispersibile, con lo scopo di superare l'idea stessa di sinistra e far entrare energie nuove nella politica. Inoltre in questo caso non si tratterebbe di mera sopravvivenza, ma di un progetto ambizioso di governo dell'Italia e dell'Europa. Che Strada non sia un politico di professione è un bene, considerando che il servizio alla comunità si fa assai meglio con l'esperienza e con il buon governo che non con l'appartenenza ad un sistema losco e corrotto. In quanto al leader ormai anche i bambini hanno imparato che in una società dove i messaggi sono così fortemente veicolati da simboli e rappresentazioni ideali, il leader può e deve per forza di cosa assolvere al compito di dare l'avvio ad un processo che successivamente camminerà con le sue gambe. Il punto è riuscire a seguire una rotta.
Insomma non ci sarebbe alcuna controindicazione a proporre Gino Strada come alfiere degli scontenti e potenziale capo di un governo di salvezza nazionale. La sconcezza di un'era di venditori di pentole a cui è stato affidato il governo di un'intera nazione, giustificherebbe una soluzione del genere e chiunque dovrebbe sentire il dovere morale di sacrificare se stesso per il bene comune.
C'è un solo un piccolo problema: non credo proprio che Gino Strada accetterebbe.

mercoledì 10 dicembre 2014

I liceali nel cuore

di Tonino D’Orazio
  
Lo sciopero sociale del 14 novembre scorso, che sicuramente alcuni hanno già dimenticato, ha qualcosa di irreale e meraviglioso nello stesso tempo. Intanto mi riferisco a quello abruzzese di Pescara. Vi ho partecipato perché ritengo che solo loro possano rinnovare e mobilitare l’Italia vera. Insieme alla Fiom che mantiene il concetto di lotta di classe. Tutti senza bandiere. Quella manifestazione mi è tornata in mente guardando quella dei liceali greci dell’altro giorno a Atene, che pure una sponda politica unificante ce l’hanno.

Gli slogan, i manifestini a poco costo appiccicati alle porte pubbliche, un servizio d’ordine giovanile estremamente efficace, una compostezza da tranquillizzare anche la polizia in assetto di guerra, una banda musicale nel corteo; ragazzi del servizio d’ordine che arrivavano, veloci, in bicicletta, per spegnere immediatamente qualche bengala di troppo, … Il lancio dei libri davanti alle istituzioni pubbliche ma immediatamente recuperati sul rimbrotto dei capiclasse presenti e attenti. I libri costano e servono per studiare.

Avvengono incontri affettuosi tra istituti di città diverse, anche tra quelli di Chieti e Pescara, e chi sa delle alimentate politiche di rivalità tra questi due capoluoghi capisce che avviene un fatto normale e straordinario nel contempo. Si saldano amicizie vere e per il futuro.

Alcuni licei hanno mandato in gita scolastica la classe dei “grandi”, il quinto anno. Non importa, il tutto è stato gestito da quelli di terzo liceo. Il nuovo gap culturale avanza anche all’interno della struttura. Ma anche evidentemente con gli universitari, generazione che diventa man mano più apatica e rassegnata. Sembrano spenti dai loro problemi personali di identità di fronte a una regressione storica e inarrestabile degli atenei, sempre più costosi, con molto vecchiume, in rotta finanziaria e senza prospettive. Come per loro. Forse pensano, cultura dominante, che il “fai da te” sia l’unica soluzione nel futuro magari con la spintarella degli amici di papà, come tutti. E’ comunque un po’ l’adattamento, alla meno peggio, al disastro in atto, anche culturale.

Forse i liceali intravvedono meglio il loro avvenire avanzare verso un quasar sociale, un attuale buco nero che li inghiottirà nella disoccupazione, nella povertà, nella miseria e probabilmente nell’emigrazione. Tutti i sintomi ci sono. E anche l’esempio dei fratelli e delle sorelle maggiori. Sono consci, spiano i manifesti, che lo stato sociale, appena ne avranno bisogno in modo più evidente, sarà scomparso e tutto a pagamento. Sono consci della lotta contro i danni ambientali e i beni comuni, unica loro salvezza di vita, salute e benessere. Protestano per la fatiscenza, se non la pericolosità, dei locali in cui vivono gran parte della loro vita diurna.

E uno si domanda, ma i genitori, i nonni, dove sono?

Forse non arrivano ancora, dai loro slogans, a una vera lotta. Sono sì radicali, ma rischiano di diventare sterili e inefficaci. La lotta ideologica è una determinazione essenziale della lotta di classe, senza di essa non c’è teoria, e senza teoria e sviluppo della stessa non c’è organizzazione pratica. Abbiamo di fronte l’esempio lampante di come i ricchi conducono la loro lotta di classe ideologica, insieme alla pistola bancaria, contro i poveri e, ironia, in gran parte proprio con i soldi di questi ultimi. È anche lotta contro l’ignoranza, poiché si propone nel contempo il superamento dell’influenza borghese che li sta massacrando e di creare la base necessaria di conoscenze per rendere effettivamente possibile organizzare la lotta su un piano di realismo critico-pratico. Ma con chi, oggi, se comunque la stragrande maggioranza dei partiti, anche decotti, è tutta assuefatta all’ideologia vincente del neoliberismo, che poi, con un po’ di memoria, tanto neo non è ? Vittoria espressa nel concetto, accettato, del “non c’è alternativa” di thacheriana memoria.

Andranno a votare (appunto non importa per quale partito) per eleggere il Parlamento, dove si approvano le “riforme”. Quelle stesse riforme del lavoro, delle pensioni, della scala mobile, del welfare, dell'istruzione, che da trent’anni in qua hanno fatto da sponda agli interessi del grande capitale, hanno spinto 80% della popolazione senza prospettive e i ricchi a diventare sempre più ricchi contro i poveri. Se non andranno a votare è matematicamente e democraticamente la stessa cosa. E’ vero che la Cgil e il tessuto profondamente democratico hanno vinto alle regionali dell’Emilia Romagna astenendosi da scegliere sempre la stessa cosa, ma non è stato sufficiente contro l’ipocrisia e la continuità ideologica e politica dei “vincitori”. Ci vuole l’alternativa, programmatica ma soprattutto ideologica. Le parole non devono fare paura visto che vengono utilizzate, ma negate, dagli altri.

Chi ha l’obbligo storico, morale (di responsabilità) di dar loro una sponda politica continua a gingillarsi da troppo tempo per essere oggi credibile, aspettando ancora chissà quale godot.

Ripeto, ma i genitori e i nonni di questi ragazzi e ragazze, dove sono?

lunedì 8 dicembre 2014

Sinistra e pulsione di morte

La sinistra  ha enormi praterie in Italia con Renzi e con la collaborazione di Grillo. È quello che si dice.  
Sbagli ne fanno tutti, ma in Italia per la sinistra non si tratta di sbagliare, si tratta come direbbe un qualche psicoanalista da discount di pulsione di morte. Si perché cos'altro se non il suicidio potrebbe spiegare un tale comportamento?
 
I motivi per cui non si superano gli steccati e l'ovvietà dell'essere autoreferenziali li conosciamo, ma il primo luogo direi che diversamente dalla sinistra spagnola o da quelle di altre realtà, capaci di dissociazioni creative, la sinistra italiana non  riesce a metacomunicare. Riesce a vedere solo quello che viene proiettato dalle periferie mentali dei suoi sconfinati territori, ma non può guardarsi né giudicarsi dall'esterno.
Per questo le varie anime non si mettono d'accordo, non possono fare una cosa sensata fintantoché il senso è il dito che non indica un bel niente. Stretta in una morsa mortale e incalzata dal dilagare della realtà vera che non riesce a comprendere né a dominare, non le rimane che il suicidio, effetto di una depressione cronica.

Per la sinistra ci vuole la purezza dell'idiota per capire, perché qualsiasi concetto appena un po' complicato finirebbe per avvitarla in una spirale senza fine né costrutto. Solo la purezza dello stolto e la visuale di chi non è dentro le sabbie mobili e conserva un briciolo di capacità metacomunicativa può salvarla. Oltreché ovviamente liberarsi dei paraculi attendisti e inciucisti.

Per questo credo che la soluzione sia quella di far rifondare la sinistra da chi è fuori dalla sinistra.


Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...