domenica 31 gennaio 2016

Costituzione italiana contro i trattati europei. Il conflitto inevitabile

L’ultimo saggio di Giacchè dimostra che i Trattati esprimono un’idea di società che confligge con la nostra Costituzione, violandone i diritti fondamentali, a partire dal diritto al lavoro. Come uscire dalla gabbia dei mercati e dai vincoli dell’euro? Intervista all’autore.



di Alba Vastano da la Città Futura 

“Nessuno ha il potere di modificare, se non in meglio (cioè se non ampliando i diritti), i primi dodici articoli della nostra Costituzione. Né la Corte, né il Parlamento, né il Governo. Nessuno.” Vladimiro Giacchè

Incontro Vladimiro Giacchè a “Casale Alba2”, uno dei cinque casolari immersi nella  cornice naturale del parco Aguzzano di Roma. È un luogo dove si svolgono attività socio-culturali-didattiche e di ristoro L’occasione è la presentazione del suo ultimo libro “Costituzione italiana contro i Trattati europei”. Un saggio che l’autore, economista d’eccellenza, presenta con maestria.

Il tema è intricatissimo, intrigante (ndr: nell’accezione di affascinante, che incuriosisce, che cattura) ed  è assolutamente attuale. Giacchè, ne argomenta i punti focali: l’attacco alla Costituzione italiana, come uscire dalla gabbia economica, in cui ci hanno rinchiuso i Trattati europei,  riaffermando la validità dell’impianto della Costituzione e la sua priorità sugli stessi Trattati. Si sofferma a lungo l’economista sul nuovo art.81 che prevede l’obbligo del pareggio di bilancio, in conformità delle regole europee del Fiscal compact, e fa un’accurata analisi “dolens” sulla sua incostituzionalità. Offre spunti  per riflettere su come l’inserimento in Costituzione dell’art.81 sia “un vero e proprio cuneo che scardina il sistema dei fondamentali diritti”. Nell’intervista a seguire, concessa da Giacchè in esclusiva per La Città futura, pillole di economia  per i lettori.

Mi permetta una domanda iniziale che non vuole essere una critica al titolo del suo saggio. Ma, con l’occhio europeista, è la Costituzione italiana a essere contro i Trattati europei o viceversa? O c’è, come poi si afferma nel sottotitolo, un’incompatibilità che è diventata conflitto fra le due leggi-principe fondanti, ovvero la Costituzione e i trattati Ue? 

La Sua domanda non è affatto strana. Qualcuno ha criticato il titolo del mio saggio, osservando che sono i Trattati europei a essere contrari alla nostra Costituzione e non viceversa. Il che ovviamente è vero, se non altro perché arrivano dopo. Ma il mio titolo ha un’intenzione polemica e politica: intende alludere al fatto che oggi la Costituzione può essere e deve essere usata come un’arma per demistificare e combattere i Trattati europei nei loro contenuti regressivi.    

Perché? Quali sono, nel suo “Costituzione italiana contro i Trattati europei”, i punti centrali della costruzione politica giuridica europea che lei intende focalizzare e che considera destrutturanti o destabilizzanti per la nostra Costituzione?

Il punto essenziale è la “stabilità dei prezzi” assunta come vero e proprio valore centrale dei Trattati europei, e in particolare quale obiettivo economico che deve avere l’assoluta priorità su tutti gli altri. Nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, ad esempio, si legge che l’“obiettivo principale” dell’Unione è quello di “mantenere la stabilità dei prezzi”, e solo “fatto salvo questo obiettivo”, ossia dopo e solo se esso è conseguito, ci si deve occupare degli altri (art. 119, co.2; concetto ripetuto nell’art. 127, co.1). Ora il problema è che l’obiettivo della “stabilità dei prezzi”, se assunto come prioritario, è contraddittorio rispetto al diritto al lavoro e a una retribuzione decente previsti dalla nostra Costituzione. Nel nome della lotta contro l’inflazione gli aumenti salariali sono sbagliati e le politiche espansive pubbliche finalizzate a creare occupazione vanno addirittura vietate. La Commissione Europea ha usato nella valutazione delle manovre di finanza pubblica italiane il cosiddetto “livello di disoccupazione di equilibrio”; politiche pubbliche dirette a ridurre il livello di disoccupazione al di sotto di questo livello sono “troppo espansive”, non vanno bene perché creano inflazione. E a quanto fissa la Commissione europea questo livello “giusto” di disoccupazione per l’Italia per il 2016? All’11,4%! 

Questo è semplicemente contrario al diritto al lavoro previsto dalla Costituzione italiana come uno dei diritti fondanti della nostra repubblica (e fondante, tra parentesi, per la stessa democrazia – che ovviamente è soltanto formale se le persone sono disoccupate e ricattabili).   

Parliamo di Costituzione italiana. In riferimento ai principi fondamentali che non possono essere modificati neppure dalla Corte costituzionale è palese invece  che siano stati attaccati pesantemente dai Trattati europei. Quali Trattati in particolare, hanno inciso sulla nostra Costituzione?

Questo è un punto centrale. Nessuno ha il potere di modificare, se non in meglio (cioè se non ampliando i diritti), i primi dodici articoli della nostra Costituzione. Né la Corte, né il parlamento, né il governo. Nessuno. 

La torsione liberista e anticostituzionale dei trattati europei comincia con l’Atto unico europeo del 1986 e si afferma con il trattato di Maastricht del 1992 e con la moneta unica. Che, a differenza di quanto qualcuno pensa, non è soltanto una moneta, ma il condensato di un ordine giuridico: che prevede, oltre alla stabilità dei prezzi, la banca centrale indipendente, lo smantellamento dell’economia mista (in cui settore pubblico e privato convivono) e una concorrenza all’interno dell’Unione tutta giocata sul dumping salariale (pago meno i salari) e sul dumping fiscale (faccio pagare di meno le tasse alle imprese). Nulla di tutto questo sarebbe stato accettato dai nostri costituenti. 

E invece il nostro Parlamento ha accettato – alla Camera senza un solo voto contrario – di inserire nella Costituzione quel vero e proprio tarlo del nuovo articolo 81, che costituzionalizzando il pareggio di bilancio impone politiche di austerity anche se esse confliggono con diritti fondamentali: posso chiudere gli ospedali anche se questo va contro il diritto alla salute, posso ridurre stipendi e pensioni anche se questo va contro il diritto a una remunerazione civile, ecc..   

Da quali dinamiche nasce la crisi europea, intesa o fraintesa dai più come crisi del debito pubblico? Ci spieghi le dinamiche che stanno affondando in particolare l’economia dei paesi del sud dell’Europa.

La crisi europea nasce da squilibri della bilancia commerciale tra i paesi membri. Squilibri che vedevano in particolare un paese (la Germania) in forte attivo grazie a una aggressiva politica mercantilistica (attuata – in conformità con i trattati – abbassando salari e tasse alle imprese), altri in passivo per l’impossibilità di reggere la concorrenza senza più la via d’uscita di riaggiustamenti del cambio e con un debito in aumento a causa dei bassi tassi d’interesse. Come ho spiegato tre anni fa nel mio Titanic Europa, il debito pubblico è in gran parte una derivata di questo squilibrio della bilancia commerciale e poi dello scoppio della crisi. 

Interpretare la crisi come crisi del debito pubblico ha avuto due vantaggi per chi oggi guida l’Europa: ha impedito di affrontare alla radice il vero problema (il mercantilismo tedesco, che sfruttava la rigidità introdotta dalla moneta unica) e legittimato politiche di austerity che hanno colpevolizzato le vittime (i cittadini degli “Stati spendaccioni”) e tagliato, guarda caso, proprio i salari indiretti (i servizi sociali) e differiti (le pensioni). Sono stato tra quelli che avevano previsto che questo avrebbe inferto un colpo formidabile alla domanda interna e peggiorato la situazione economica del nostro paese, finendo per appesantire anche il debito pubblico a causa del crollo del prodotto interno lordo. Purtroppo le cose sono andate proprio così. L’Italia ha perso circa un quarto della sua produzione industriale dall’inizio della crisi. I tre quarti della produzione industriale perduta sono stati persi nella fase dell’austerity.  

La resa della Grecia ha dato all’Europa antiliberista e a quel che resta della sinistra il colpo di grazia?

Ha dato il colpo di grazia soprattutto all’illusione che si possa cambiare questa Europa senza affrontare alla radice i problemi. Ossia senza affrontare il tema della moneta unica e di quello che essa implica in concreto. Su questo tema purtroppo la sinistra è più indietro, nella comprensione dei meccanismi in gioco, dello stesso establishment europeo, che pure non brilla per lungimiranza strategica. In un testo della Commissione, ad esempio, si legge tra l’altro quanto segue: 

Venuta meno la possibilità di svalutare la moneta, i paesi della zona euro che tentano di recuperare competitività sul versante dei costi devono ricorrere alla "svalutazione interna" (contenimento di prezzi e salari). Questa politica presenta però limiti e risvolti negativi, non da ultimo in termini di un aumento della disoccupazione e del disagio sociale...” [Il testo citato è scaricabile da internet qui: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-14-43_it.htm , N.d.R.].

Insomma: con la moneta unica la via maestra per il recupero di competitività è la riduzione dei salari. 

Io credo che dopo la “capitolazione” del governo greco (la definizione è di Varoufakis) molti a sinistra stiano aprendo gli occhi sull’impossibilità di avere “un’altra Europa” sulla base dei trattati e delle politiche attuali. È molto importante che questa consapevolezza si diffonda.  

Tornando all’art.81: perché questo inchino che l’Italia ha regalato al fiscal compact, e alle politiche neoliberali europee? Era una strada obbligata?

L’inserimento in Costituzione dell’art. 81 è il risultato di un ricatto: i paesi creditori del nord Europa, a cominciare dalla Germania, hanno sostanzialmente detto che senza questo tipo di garanzie avrebbero lasciato l’Italia (e gli altri paesi cosiddetti “periferici” dell’Europa) sulla graticola dei mercati finanziari, che erano tornati a chiedere rendimenti molto elevati per comprare i titoli del nostro debito pubblico. Il primo errore è consistito nell’accettare questo ricatto: l’Italia avrebbe invece dovuto prendere atto del fatto che il patto fondativo dell’euro (perdita della sovranità monetaria contro guadagno di bassi tassi d’interesse) era stato violato (da altri), e trarne le dovute conseguenze. Il secondo errore è consistito nel piegarsi a questo ricatto quasi gioiosamente, senza la minima consapevolezza delle conseguenze reali sulla nostra economia, e anzi credendo nel potere magico delle politiche di austerity. Che sono invece risultate disastrose. Paura e subalternità culturale hanno fatto un disastro.    

E per approfondire  la questione del pareggio di bilancio, Manin Carabba, ex presidente della Corte dei Conti, che lei ha richiamato nel suo saggio, definisce “abnorme e inaccettabile che il principio debba prevalere su ogni diritto dei cittadini costituzionalmente garantito”. Costituzionalizzandolo si è dato quindi il via ad un’economia nemica dello stato e dei diritti dei cittadini? 

Si è inserito nella Costituzione un tarlo che la rode, mangiandosi valori e diritti. Determinati diritti già oggi non sono considerati più esigibili a fronte dei vincoli del pareggio di bilancio. Qui però c’è un errore di prospettiva che va sottolineato: infatti l’articolo 81 in nessun modo può prevalere sui diritti fondamentali tracciati nei primi 12 articoli della Costituzione. Chi afferma qualcosa del genere non sa nulla della Costituzione e della gerarchia che esiste tra la prima sua parte e le altre. Precisamente per questo Manin Carabba parla di qualcosa di “abnorme e inaccettabile”. E ha ragione.

E per tornare all’Europa e ai trattati, oggi per il nostro Paese è conveniente più Europa o meno Europa? E se “più”, quale Europa?

Chi oggi vuole davvero un futuro con più Europa, dovrebbe volere meno Europa adesso. Mi spiego. Il percorso di integrazione che si è intrapreso, mettendo la moneta davanti alle politiche e – soprattutto – alla convergenza economica tra i paesi membri, sta distruggendo l’Europa, ponendo le basi dell’implosione dell’Unione e di conflitti disastrosi. Ha già creato forti rancori, assenza di solidarietà e recriminazioni reciproche a non finire. Si tratta di capire che questa integrazione non è “insufficiente” – come spesso si dice (come se bastasse mettere un cappello politico alla moneta unica), ma che essa ha preso una strada sbagliata. Si tratta di tornare indietro e di eliminare ciò che fa da ostacolo alla convergenza economica tra i paesi dell’Unione. A cominciare dalla moneta unica. Solo quando si sarà dato vita a un reale percorso di convergenza si potrà parlare di un’integrazione più stretta. Altrimenti, quello che si chiama “integrazione” è un abbraccio mortale. Dal quale prima o poi uno o più paesi – giustamente – si divincoleranno. 

Vuole spiegare quali sarebbero i vantaggi per l’Italia da una exit monetaria? Come verrebbero trattati i debiti e i crediti italiani dopo una exit? Nel periodo di transizione cosa accadrebbe all’economia italiana, già provatissima e quanto tempo occorrerebbe  per risalire la china? 

Come dicevo, il vincolo monetario è stato centrale nel determinare il peggioramento delle nostre dinamiche economiche. Ormai questo è il segreto di Pulcinella. Ecco cos’ha twittato giorni fa Jonathan Tepper, l’autore assieme a John Mauldin di alcuni ottimi libri sugli scenari economici: 
 
Mi sembra che ogni commento sia superfluo. È evidente che la nostra priorità è uscire da questa situazione prima che sia troppo tardi: ossia prima che la deindustrializzazione del nostro paese abbia raggiunto il punto di non ritorno. 

Riappropriarsi della sovranità monetaria consentirebbe di riattivare il meccanismo di riequilibrio basato sui riallineamenti del cambio (svalutazione esterna), in assenza del quale si deve far ricorso all’abbassamento dei salari reali e nominali (svalutazione interna). Inoltre, se chi produce ricomincia a vendere le proprie merci, sarà anche incentivato a ricominciare a investire (mentre gli investimenti in questi anni sono crollati del 25%). 

Ovviamente a tale riappropriazione dovrebbero accompagnarsi misure quali la fine dell’indipendenza della banca centrale e controlli sui movimenti di capitale. 

Quanto al resto della Sua domanda, cercherò di rispondere limitando al minimo i tecnicismi (che servono eccome, ma in altre sedi).

I debiti e crediti dovranno essere trattati in base alla legislazione e alla moneta del paese in cui i contratti sono stati stipulati. Questo significa che, nell’ipotesi di un’uscita dalla moneta unica, i debiti sarebbero pagati nella nuova moneta nazionale e non in euro. Da questo punto di vista non si avrà quello che qualcuno (disinformato o in malafede) paventa, ossia un’enorme crescita del debito pubblico. Lo stock di debito non conoscerà questo aumento, né il fatto di ripagare il debito pubblico nella nuova moneta costituirà uno svantaggio per i detentori italiani di titoli di Stato. Sicuramente gli interessi sul nuovo debito aumenteranno nel breve periodo, per poi tornare a scendere a situazione stabilizzata e in presenza della ripresa economica.

Non si avrà alcuna fiammata inflattiva, come non si è avuta dopo le svalutazioni del 1992-1995: all’epoca si svalutò complessivamente di oltre il 50% sul marco e di oltre il 30% sul dollaro, e l’inflazione scese (dallo 6,4% del 1992 al 5,4% del 1995). Oltretutto, se il timore è la crescita del prezzo delle materie prime (pagate in dollari), vale la pena di notare due cose: in primo luogo, che nei confronti degli Stati Uniti svaluteremmo molto meno che nei confronti del neo-marco (già, perché la nostra non sarebbe l’uscita di un paese, ma la fine della moneta unica); e in secondo luogo con il petrolio ai minimi attuali la prospettiva di un suo rincaro non è davvero fonte di particolare preoccupazione.

Quanto al resto, succederà quello che è successo allora: una forte ripresa della produzione, dell’occupazione e delle esportazioni (e questo fornirà la base materiale per la ripresa di rivendicazioni salariali, oggi impensabili). 

Ovviamente, ogni fine di un ordine monetario comporta turbolenze e instabilità anche forti sui mercati. Non sarà un pranzo di gala, ma sono fenomeni che si possono governare, come si è sempre fatto dacché esistono le monete. E comunque l’alternativa – questo dovremmo ormai averlo capito – è peggiore. 



Testi recenti dell’autore:

-“La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea” (2011)
 “Titanic Europa. La crisi che non ci hanno raccontato” (2012)
-“Anschluss-L’annessione L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa” (2013)


sabato 30 gennaio 2016

Italia 61° mondiale per corruzione

di Tonino D’Orazio  
E’ stata appena presentata, a Roma per l’Italia, la classifica internazionale dell’indice di percezione della corruzione (CPI) di Transparency International sulla misurazione della corruzione nel settore pubblico e politico di 168 Paesi nel Mondo. Nella ventunesima edizione del CPI pubblicata, l’Italia si classifica al 61° posto nel Mondo, e guadagna 8 posizioni nel ranking mondiale (da 69 a 61). A sentire i danni da corruzione, tutti i giorni, nel nostro paese, si può immaginare che forse sono gli altri che scendono di parecchio.

La posizione dell’Italia rimane, come in gran parte delle graduatorie da alcuni anni, in fondo alla classifica europea, seguita solamente dalla Bulgaria e dietro altri Paesi generalmente considerati molto corrotti come Romania e Grecia, entrambi in 58° posizione.

Indovinate chi sono i buoni e i cattivi al mondo??

Siccome negli Stati Uniti le bustarelle possono essere dichiarate e scaricate dalla tasse, queste non costituiscono corruzione, ma solo benefit! Insomma il mondo intero, 6 miliardi di persone, è corrotto, eccetto 500 milioni di persone circa. Con chi schierarsi? Per il resto, essendo tra i paesi maggiormente produttori, con il commercio mondiale del WTO e degli armamenti sotto regia, possiamo immaginare che appena escono fuori dagli States diano una grossa mano in giro, essendo il 75 % dei paesi corrotti a loro sottomessi. Conoscendoli, e conoscendoci, possiamo immaginare i costi reali e fittizi degli F-35 che siamo costretti a comperare a colpi di miliardi. Sapremo solo fra qualche tempo chi ha pranzato ineluttabilmente nella mangiatoia. Infatti, anche se siamo il 61° paese più corrotto, abbiamo qualcosa di particolare, cioè, a parte le varie omertose mafie, tutto il resto, prima o poi, Report e intercettazioni o meno, viene a galla. Chissà a quale posto ci troveremmo se dopo aver appurato la verità non succede proprio niente come da noi. Tra l’altro più la corruzione è grande, in quantità, meno farabutti vanno in galera o se addirittura non stanno tutti agli arresti domiciliari; spesso l’essere stati stupidamente scoperti fa venire loro strane malattie. Si confermano i più cattivi Somalia e Corea del Nord mentre la Danimarca è nuovamente campione di trasparenza. Non hanno previsto il furto governativo e pubblico a danno dei rifugiati.

Per l’Italia tralascio i commenti di Cantone, Lo bello (Unioncamere) e vari, che rilanciano un ruolo più forte e responsabile (?) della società civile (ormai con frecce spuntate!) su obiettivi condivisi nella lotta alla corruzione e aventi come focus il bene della res publica, quando sono proprio questi beni appartenenti a tutti ad essere regalati a imprenditori, molto spesso appaltatori, senza scrupoli e a solo fine di lucro, (altro che etica sociale dell’impresa!), che non c’entrano mai niente con la corruzione, pronti a rivendere il tutto a francesi, tedeschi, americani, cinesi, se non spagnoli. Che ovviamente, per cultura, non offrono bustarelle.
La stessa organizzazione Trasparency ong internazionale, che ha sviluppato l'Indice di corruzione - Corruption Perceptions Index (CPI), una lista comparativa della corruzione in tutto il mondo che viene aggiornata e pubblicata ogni anno. è presieduta guarda caso proprio da cittadini dei paesi “buoni”; Peter Eigen, tedesco, (director of the World Bank in Nairobi!Nonché direttore di una sezione della Banca Mondiale! Nota per la sua filandropia); oppure Mark Moody-Stuart, statunitense, che vive a Antigua, e che proviene dalle industrie petrolifere,(Amministratore Delegato di Shell Trasporto e Trading Company, Cavaliere Comandante dell'Ordine di San Michele e San Giorgio. Ti pareva!);Fritz F. Heimann, americano, avvocato della General Electric, per più di 40 anni. Di altri componenti si trovano i nomi, in Wikipedia, ma non le schede, giusto per la trasparenza.

Tra l’altro Il CPI classifica le nazioni con il maggior indice di corruzione pubblica basando i propri dati sulle interviste fatte agli imprenditori. Un po’ come chiedere all’oste se il suo vino è buono. Trasparency è stato più volte criticato per la scarsa metodologia di ricerca e per la scorrettezza con cui vengono trattati gli stati in via di sviluppo.
Non credo che, se la classifica la dovessero stilare i politici, o i governi, o i commissari europei non eletti da nessuno, ci troveremmo meglio. La morale? Difficilmente i corruttori possono stilare una graduatoria dei corrotti. Verrebbe il dubbio anche sulla salvaguardia degli amici degli amici. Né i paesi ricchi, i buoni, dopo averli sfruttati potrebbero classificare meglio quelli i poveri. Come dire, più i paesi sono ricchi meno sono corrotti? Nella guerra dei ricchi contro i poveri del mondo questa classifica aggiunge un altro tassello.


venerdì 29 gennaio 2016

Deleuze, Foucault, Lacan e i guasti del cambio fisso (parte II)

La cosa importante è che i francesi e altri con loro non sapevano concepire un'ontologia al di fuori delle rivoluzione. Questo mi pare di aver capito nella mia ignoranza. La rivoluzione è una scelta che ti impegna a vita, faticosa e secondo un calcolo delle probabilità, scarsamente remunerativa. Va dato atto a certi filosofi, Negri compreso, che non si sono limitati a fotografare la dialettica e a descriverla, ma di averla combattuta nel momento in cui segnavano ogni dimensione ontologica con una prassi rivoluzionaria. Epperò a me sembra che nel fare questo abbiano perso per strada la chiarezza espositiva, considerata  come appendice di un pensiero vuoto e miserabile, quale quello della scuola di Vienna,  perché asservito a un'idea statica di società, speculare all'immagine che si ha del pensiero. 
"Metafisica" avrebbe urlato Carnap se avesse sentito i discorsi di un Deleuze o di un Foucault. 
Qualcosa non quadra, qualcosa stona, si sente puzza di tradizione antica e stantia in gente come Deleuze e Foucault. Una tradizione al tempo stesso smentita e sbugiardata con il vitalismo e l'innovazione nicciana della volontà di potenza, ma sempre intrisa di quell'odore denso e acre di aule universitarie ottocentesche. Certo in tutto questo c'entra l'epoca che attraversi, la tua biografia e l'antitesi con l'era che precede. Fatto sta che le categorie impazzano e la scienza deperisce e nel momento in cui pretendi di fare scienza o ricerca, ti limiti ad analizzare i fatti con il monocolo dell'idealista ottocentesco. Niente statistica, la scienza triste, niente analisi dei dati, niente anove, niente grafici, strumenti rozzi ed efficaci della scienza di oggi. Le categorie colmano i buchi determinati dalla carenza di analisi ed è così che in ossequio al materialismo storico, si ripropone la categoria Europa come surrogato dell'internazionalismo, noncuranti  proprio di quei processi materiali che ne sono alla base. Così si dimentica non solo Marx, ma anche le lezioni di Keynes  sul cambio e sulla moneta (se mai se ne  è saputo qualcosa), e si accetta il cambio fisso come indispensabile corollario dell'internazionalismo proletario. 
Così non va. Forse occorre un incontro, una fusione, una lite proficua fra analitici e continentali. Così non si va avanti. Non solo non c'è stata la rivoluzione, ma è aumentata la confusione per far fronte alla quale ci si aggrappa alle muffe francesi. 
Date retta a un ignorante, bisogna combattere l’euro, l'Europa e i residui di idealismo che abbiamo in corpo.

martedì 26 gennaio 2016

Elogio e dileggio dei lavoratori dei call center

Quando mi chiamano quelli dei call center, ragazzi pagati quattro soldi per rompere i santissimi alle persone, con grazia e senza lasciar trapelare la loro ansia canina di affibiarti un contratto e segnare una tacca, ho un sentimento duplice: comprensione (compassione) e rabbia. Comprensione e quasi ammirazione per tanto eroismo della volontà (e della necessità). E rabbia. Anche questa va dissezionata. 
Da una parte irritazione per essere stato importunato, magari in quei pochi attimi in cui ti sembra di aver trovato la pietra filosofale della politica, e di scorgere la via per rimettere a posto l'Italia, bonificando un ambiente intossicato dai Renzi di turno, o mentre stai semplicemente addentando un piatto di pastasciutta, e dall'altro lato la rabbia per il mimetismo lasco di questi ragazzi, per il loro fare virtù di un lavoro di merda, portato avanti senza entusiasmo, per svangare l'euro. Mah! D'accordo la necessità, l'idea che sia una fase di passaggio, e del non tutti possono andare a Londra a fare i camerieri e non tutti hanno un cervello da mandare in fuga, ma insomma ci sarà pure un'alternativa migliore. C'è sempre un'alternativa direbbe Marlowe. Poi mi dispiace perché dopo tanti si, ma, non so, mi ci faccia pensare, ho preso a riattaccare il telefono troncando elegantemente la discussione con la chiosa: non mi telefoni più per cortesia, faccia un favore a se stesso e a me. 
Ecco non telefonatemi più per favore, la vostra sfiga potrebbe essere la mia.

Siria, così CIA e Arabia Saudita hanno armato i jihadisti

di Matteo Carnieletto da Megachip
   
Il New York Times rivela: miliardi di dollari sauditi hanno alimentato il terrorismo in Siria, organizzato dalla gigantesca operazione della CIA


I ribelli siriani sono stati finanziati da Stati Uniti e Arabia Saudita. E questa non è una notizia. La notizia - quella vera - si chiama Timber Sycamore, nome in codice usato dalla CIA per coprire le operazioni di addestramento e finanziamento dei ribelli in cooperazione con l'Arabia Saudita a partire dal 2013.
Già nell'ottobre di quell'anno, il Washington Post scriveva, citando fonti militari, che «la CIA sta aumentando i propri sforzi per addestrare i combattenti dell'opposizione in Siria». I miliziani vengono addestrati in una base in Giordania per poi esser inviati sul fronte siriano. L'addestramento fornito dagli americani ai siriani è ridotto all'osso: tecniche militari di base oltre a ingenti quantità di armi.
All'epoca non si sapeva nulla di Timber Sycamore. Rappresentava un'azione di destabilizzazione come tante. Del resto, come abbiamo spiegato in un altro articolo, il Dipartimento di Stato americano impiega moltissime risorse ogni anno per finanziare movimenti o associazioni che si oppongono a dittatori o politici poco graditi alla Casa Bianca. Pensiamo per esempio all'Angola degli anni '80 o all'Afghanistan, dove il governo americano - come scrive Bruno Ballardini in ISIS, il marketing dell'Apocalisse, «non solo istruì militarmente i talebani (.), ma organizzò anche un piano per rendere durevole nel futuro l'odio della popolazione verso gli 'atei comunisti' con un programma di educazione destinato alle scuole».
Ma in cosa consiste Timber Sycamore? Lo spiega con precisione il New York Times del 23 gennaio 2016. In parole povere, a partire dal 2013, gli USA avrebbero addestrato i ribelli siriani, in particolare avrebbe insegnato loro a utilizzare con precisione gli AK47 e a usare missili anticarro, mentre i Sauditi li avrebbero finanziati e avrebbero fornito loro le armi. Del resto Bashar Al Assad è un nemico comune e casa Saud punta a sradicare l'asse sciita (Iran, Iraq e Libano). Come ha spiegato Mike Rogers, ex deputato repubblicano del Michigan: «Loro hanno capito che hanno bisogno di noi e viceversa».
Impossibile dire con precisione quanto i sauditi spendano per armare i ribelli e far cadere Assad. Il New York Times ipotizza un costo pari ad alcuni miliardi di dollari a partire dal 2013.
I protagonisti principali di questo progetto? Uno è il principe Bandar bin Sultan, che si è premurato di fornire migliaia di AK47 e e milioni di munizioni ai ribelli. Molto probabilmente queste armi sono state fatte arrivare dai Paesi dell'Est Europa grazie alla connivenza americana, spiega il New York Times. Per gli americani invece il protagonista è John O. Brennan, dal 2013 direttore della CIA. I due sono amici fin dagli anni '90. A quell'epoca Brennan era l'uomo dell'Agenzia a Riad. Non si sono mai persi di vista. Secondo la ricostruzione fornita dal New York Times, sono stati loro a organizzare Timber Sycamore.
I motivi di questa alleanza sono intuibili e sono due: abbattere Assad e isolare l'Iran. Ma America e Arabia Saudita non hanno fatto i conti con quello che ora è il protagonista principale dello scacchiere mediorientale: lo Stato islamico, che ora governa su una terra fatta a brandelli anche da americani e sauditi.

Fonte: http://www.occhidellaguerra.it/siria-cosi-cia-e-arabia-hanno-finanziato-i-ribelli/.


domenica 24 gennaio 2016

We need both a plan A and a plan B for Europe

da stefanofassina


Since we met last time, on September 12 last year, many things changed. Unfortunately, changes were not always for the better. We cancelled our meeting last year on November 13-14 because inhuman terrorist attacks killed innocent people here. After the Charlie Hebdo massacre another cruel and even larger massacre. Our deep condolences to the families of the victims.
We need to update our analysis. The economy matters. But, as we have seen in the election in Greece, people's choices are based on many issues. Now, fear is the one dominating them.
The effects of the war in the meddle east met and are meeting our life. Now, they are not only images on the media and social network. The death of innocent people happens not only on the European shores, but on our street. Immigration of war refugees and asylum seekers, in addition to immigration of people escaping poverty and desperation, became a priority on the policy agenda of all government.
The answer of the European government is embarrassing. In some cases, it brings up to our minds the ghosts of the worst European past, not closed once for all, as we thought. In these weeks, the Eu governments are discussing on revising and removing the Shenghen Agreement for free circulation of Eu citizens and alien with an Eu member visa. If governments backtrack on Schengen is a consequential mistake.
In this context, I was impressed by how quickly was reached the agreement for conceding fiscal space above the limits of the fiscal compact for military and defence expenditure. For social security no, never. For military security immediately. Despite, it is clear that the terrorists are entrenched in Eu cities and grow in challenging neighbours among disenfranchised young man and women. It was right to take fiscal space for police and military spending. It is wrong to resist for social security.
The migration crisis piles on the economic crisis. On the economic ground, there is nothing to add to the analysis we share: in a nutshell, the euro is unsustainable because is based on labour devaluation. Five months passed from the beginning of September last year, when we launched the Plan B Manifesto. The facts during the last five months confirmed our assessment. Just a couple of examples: despite the QE from the Ecb, inflation is still well below two percent; the banking sector is still in dangerous conditions and an effective banking union is still missing. Labour conditions improved only marginally as a consequence of our currency devaluation: a very difficult route, at risk of currency wars as monetary policy of the Bank of China indicates.
On politics, there are very contradictory but interesting developments. Let's look at national elections. In Poland there was the triumph of the extreme right. But elections in Portugal and Spain delivered a clear defeat of the conservatives and strong performance of left. I congratulate again with our comrades of Podemos and our comrades of Portugal. The socialist parties keep declining. But here is the good news that we should consider: some sections of the socialist family are awakening after three decades of neo-liberal sleep. When we met in September in Paris, Jeremy Corbin was nominated leader of the U.K. Labour Party, after a crushing victory in the country of the neo-liberal "Third way". Later in Portugal and Spain, the socialist parties inverted the familiar route toward the "grand coalition" with then conservative parties and decided for an alliance with the left, based on an alternative agenda to the Berlin, Frankfurt and Brusses Consensus.
We should be aware of the movements on the political ground.
Eu is at a crossroad: on the right, the xenophobic nationalist regression is going on; on the left, a pro-labour progression could be open. The right wing forces are surfing fear and insecurity of people suffering social and economic stress lacking any hope of a credible improvement of their conditions, despite the mainstream media propaganda.
What we do on the left? We have to produce a cooperative, pro-labour progressive way for affirming the national interest of each country. We should resist pressure against the Schengen marginalisation and channel the dramatic search for security towards radical changes to the eurozone agenda.
A year ago, European institutions prepared "The five Presidents' Report". It's a road map to consolidate the current unsustainable and undemocratic framework. Now, that Report is on the fringe, stopped by even more conservative forces. We should not sit on our hands. We should launch a campaign for The People Report for a pro-labour Eurozone to face The five President Report.
We should launch an European citizens' initiative including the Plan A, i.e. the main corrections for a pro-labour eurozone and, as alternative route, a pro-labour Plan B envisaging the reconstruction of a European Monetary System, as proposed by Oskar Lafontaine, integrated with possible intervention on capital controls as illustrated yesterday by prof Brancaccio.
In the Plan A, we should include, for example, the revision of the Ecb Statute for a fully-fledged lender of last resort and the lowering of the ceiling on each country trade surplus to 3% of Gdp and introduce sanctions on violations as severe as the sanctions of the Fiscal Compact on fiscal deficits. In the Pan A, we should also include the stop to the Ttip. In this context, we want to double our efforts to stop the Ttip, in the European Parliament and in the national parliaments.
In our Plan B, control on capital circulation. On the right side, the control on circulation of people. On the left, control on circulation of capital, goods and services.
Finally, we need to strengthen our network and our discussion and initiatives. We are going to conclude this conference with a very important statement: a "Statement for a Standing Plan B Conference in Europe". We are committing ourself on an ambitious road map: Spain in February, later in the year, in summer, in Germany and, at the beginning of 2017, in Rome, in the year when the 60th anniversary of the Rome Treaty is celebrated.
We have a lot of work to do. Together we can build the foundation for the left of the XXI century. I wish you a fruitful discussion. Thanks.

venerdì 22 gennaio 2016

Quarto, Juncker, Etruria, Sindona ed il Bail In Cosa c’entrano uno con l’altro?

di Aldo Giannuli dal Blog di Aldo Giannul

Perché un consigliere del M5s avrebbe fatto pressioni sulla sindaca (parimenti del M5s) a proposito di alcune concessioni e/o appalti, e di un abuso edilizio per una mansarda, pressioni peraltro respinte dall’interessata. A questo sarebbero seguite imprecisate minacce e/o ricatti. Il ricatto riguarderebbe un abuso edilizio riguardante una mansarda di proprietà del marito della sindaca (mi adeguo alla vague femminista per cui bisogna declinare al femminile, ma è un orrore linguistico, sappiatelo) ora indagato. Non so a voi, a me non pare una notizia da prima pagina. D’accordo, la vicenda è tutta pasticciata, ma alla fine, stiamo parlando di pressioni per favori non ricevuti e di un abuso edilizio che è veramente piccola cosa. Certo: Quarto è un comune sciolto più volte per infiltrazioni camorristiche (come ce ne sono a centinaia) ed è giusto che ci sia un po’ più di attenzione, ma che tenga la prima pagina per dieci giorni, mi pare cosa un po’ sproporzionata: se vi prendete la briga di misurare in righe lo spazio dedicato, in questi 10 giorni, agli attentati di Istanbul, Dijakarta, Burkina Faso, alla crisi della borsa di Shanghai, allo scandalo Renault, a quello della Banca Etruria ed alla riforma costituzionale, noterete che si tratta più o meno dello stesso spazio e, tendenzialmente, un po’ meno.

Ed allora perché tanta attenzione? Certo lo scandalo tocca il M5s ed in particolare due fra i suoi massimi esponenti che non si capisce bene cosa avrebbero fatto di così grave, più che altro possono essere accusati di non aver gestito con sufficiente accortezza il caso, ma, al massimo possiamo parlare di un po’ di pasticcioneria, insomma: inezie dovute ad inesperienza. Certo, se a mettersi in Topless è una spogliarellista la cosa non fa notizia, ma se a farlo è la priora del convento di Santa Maria Goretti, la cosa è già più scabrosa e qui ci sono le elezioni di Roma che si avvicinano ed i sondaggi danno allarmanti segnali di popolarità del M5s e dei suoi esponenti. Per cui la cosa si spiegherebbe in questo modo.

Però… però, la cosa mi convince sino ad un certo punto: in fondo, la cosa sta avendo risultati molto contenuti, perché i sondaggi segnalano un calo dello 0,8% dei consensi al M5s. Certo: un italiano su due si dice convinto che il M5s sia come tutti gli altri partiti, però fra gli elettori del M5s la percentuale crolla al 6%. Insomma due terzi di quelli che non hanno mai votato 5 stelle pensano quello che probabilmente hanno sempre pensato, cioè che non sia migliore degli altri, perché altrimenti lo avrebbero votato. Non mi sembra un grande risultato per lo “scandalo del secolo”. Dunque, il tentativo sarebbe sostanzialmente fallito e se la storia continua sui giornali ancora per un paio di settimane, la gente si ammazza di sbadigli.

E, invece, no: il tentativo sta riuscendo, ma non perché sortirà particolari effetti elettorali sul M5s, ma semplicemente perché il suo obiettivo principale è un altro: costringere sulla difensiva il M5s e creare un diversivo. L’obiettivo vero è il diversivo mentre si sta avvicinando una ondata di scandali bancari molto pesante che creerà più di una tempesta politica.

Il M5s è costretto a difendersi dalle accuse (possono essere le più strampalate, non ha importanza) e con ciò stesso alimenta la polemica mentre altri diversivi si preparano: il licenziamento dei “furbetti del cartellino” con le prevedibili reazioni della Cgil, il referendum di ottobre per il quale iniziamo a parlare da adesso, la polemica con la Ue sui migranti (mentre i nodi veri della lite con Juncker sono altri).

Perché sono convinto che siamo alla vigilia di una tempesta bancaria? In parte perchè già ci sono casi come quello dell’Etruria che è tutt’altro che chiuso, ma anche quello di Vicenza di cui si parla poco, ma vedrete che musica verrà fuori, e poi la popolare delle Marche ecc., ma soprattutto perché ci sono le premesse per un’ondata molto più seria e queste premesse si chiamano Bail-in. Per spiegarci dobbiamo fare un salto indietro nel tempo.

La Costituzione ha un articolo solitamente poco studiato (se non dagli specialisti), l’art 47:

<< La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.>>

Questa norma, in sé giustissima, ancorché un po’ astratta, ebbe una interpretazione assai disinvolta che permetteva i salvataggi bancari. Il meccanismo era questo: quando una banca era sull’orlo del fallimento (e quindi, con questo si sarebbero bruciati i depositi dei risparmiatori), la Banca d’Italia ed il Tesoro intervenivano erogando una quantità di denaro più o meno pari al “buco” ed all’1% di interesse (in genere a banche terze, che lo giravano all’interessata) che giungeva alla banca in difficoltà che lo investiva subito in titoli di Stato al 12-15% di interesse. Per cui, lucrando sulla differenza fra interessi passivi ed interessi attivi, entro un anno la banca “restituiva” il prestito e ripianava il suo buco. Ovviamente, a pagare era Pantalore, cioè il contribuente che pagava per gli interessi sul debito pubblico. Insomma, si salvavano i ladri, ma, in qualche modo, si salvava anche il risparmio della gente.

Poi la cosa venne fuori, ma in modo frammentario, con il caso Sindona, per il quale, dopo si venne a sapere, fu fatto un decreto ad hoc. Il “decreto Sindona”, appunto, venne pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” in un numero unico, stampato in una sola copia e non distribuito (bhe, in fondo, la legge dice che i decreti devono essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, ma non aggiunge quante copie debbano essere tirate della Gazzetta, vi pare?). E il meccanismo si fece un po’ più complicato ed oscuro (a proposito: quando si parla di Segreto di Stato, tutti pensano ai servizi segreti ed a dicasteri come Esteri, Interni e difesa, ma nessuno pensa al Tesoro che sarebbe una gran bella scoperta, in questo senso).

Insomma, la cosa è andata avanti per un bel po’ di tempo, sinché la Ue non ha emanato la direttiva sul Bail-in (ce ne occuperemo in dettaglio prossimamente) che proibisce i salvataggi bancari con denaro pubblico.

Per questo, quando Renzi se ne è uscito con il “salvabanche” (anche di questo diremo) Bce e Ue sono andate fuori dei gangheri e hanno risposto seccamente che non se ne parla nemmeno, perché, appunto, i salvataggi non sono ammessi neppure indirettamente, sotto forma di contributo all’indennizzo dei creditori. E il vero scontro con la Commissione e la Bce è questo, poi, migranti, Schengen, la flessibilità ecc, sono contorno, ma la bistecca è questa. Renzi, peraltro, sa perfettamente che senza il paracadute di Stato, ci sono molte banche (a cominciare da quelle citate) che se la vedono proprio brutta (ad esempio non saremmo ottimisti neppure per il Monte dei Paschi, altra banca toscana). In teoria, per queste evenienze, occorrerebbe fare un fondo di garanzia interbancario sottoscritto da tutte le banche, ma, dopo i chiari di luna dell’ultimo decennio, quanto liquido hanno in cassa le banche per questo fondo? Siamo sicuri che gli eventuali soccorritori siano più di quelli che hanno bisogno di essere soccorsi? E di che entità è la voragine che sta per aprirsi? Quante probabilità ci sono che “cavalieri bianchi” e somari scuri finiscano tutti nello stesso sprofondo? Anche perché tutti hanno in pancia titoli di tutti, per cui la quota del fondo si sommerebbe all’effetto domino. Sai che allegria.

Ed è ovvio che tutto questo non può essersi formato senza la copertura di:

-Banca d’Italia

-Consob

-Ragioneria dello Stato e Corte dei conti (per il tempo precedente)

-soprattutto Ministero del Tesoro.

Se qui scoppia lo scandalo, viene giù tutto e questo è stato precisamente il senso della proposta di legge Pd per la commissione di inchiesta parlamentare che tirava in ballo il quindicennio precedente, proposta che non serviva a fare la Commissione (che infatti non verrà fuori) ma a lanciare un avvertimento.

E di avvisi qui ne arrivano molti: Carboni si preoccupa di dire, adesso, che lui Pierluigi Boschi lo vedeva eccome, e per suggerirgli le nomine da fare nell’Etruria (ma perché Boschi doveva consultare Carboni per la sua banca?) e la cosa serve a ricordare a Boschi ed a chi sta dietro di lui, che non si possono “mollare” gli amici. Juncker, da parte sua, fa una intemerata a Renzi mai vista (mai successo, neanche con Berlusconi, che un presidente di Commissione trattasse a quel modo un capo di governo). Renzi, da parte sua, dà una risposta decisamente sopra le righe e con non pochi sottintesi. Interviene Scalfari sulla Repubblica del 17 us, che, dopo aver definito oscuri i motivi del contrasto fra Roma e Bruxelles, rispolvera il cadavere del federalismo europeo per accusare Renzi del reato di scarso europeismo, anzi addirittura di “confederalismo anti federalista” e di nazionalismo (hoibò!!) e lancia qualche rapido avvertimento sul referendum di ottobre.

Insomma qui volano le scarpe in faccia. Dobbiamo riconoscere che Renzi è abilissimo nelle manovre di “fumo di guerra”: in attesa che si trovi una qualche quadra ai problemi bancari prima che salti in aria tutto, ecco il caso Quarto, il decreto sul licenziamento in 48 ore dei dipendenti pubblici che truffano sul cartellino (vedrete: non se ne farà nulla), la polemica su Schengen eccetera e vedrete che ne tirerà fuori altre dal cilindro. Però la situazione è decisamente difficile, anche perché le borse cedono e le nubi sul cielo finanziario sono sempre più nere.

Altro che Quarto!


giovedì 21 gennaio 2016

Crescono paesi ribelli all’euro

di Tonino D’Orazio


Volenti o nolenti, difensori interessati o meno, crescono i paesi europei “ribelli” all’utilizzo dell’euro, passando per Schengen.
L’accanimento disumano verso la Grecia, da parte dei “forti”, deve aver insinuato qualche preoccupazione nei governi e nelle popolazioni di alcuni paesi europei della cosiddetta Unione. Consideriamola una vittoria postuma di Syriza, un virus democratico, come aveva previsto Varoufakis.
In fila?
La Croazia, anche se entrata nella cosiddetta Unione il 1° luglio 2013, continua ad utilizzare la sua moneta,(la Kuna croata) in parallelo all’euro, moneta che i cittadini rifiutano. Hanno capito che è l’unico modo di sfuggire alle grinfie della troika e della Bce. Non solo. Il governo cancella i debiti bancari dei cittadini più de muniti e perennemente in rosso; circa 60.000. Operazione proibita dalla troika, o dalla BCE che è la stessa cosa, per cui accentua la disubbidienza, sottraendosi alla schiavitù delle corporazioni bancarie.
Ricordiamo che i paesi con monete sovrane che appartengono all'Unione Europea sono i seguenti: Bulgaria (dove il progetto dell'entrata nell'euro è stato congelato), Croazia, Danimarca (che rifiutò l’euro con referendum sin dall’inizio), Polonia (con lo sloty ha un Pil invidiabile), Regno Unito (rimasto con la sua sterlina), Repubblica Ceca, Romania (l’adozione dell’euro è rimandata a fra dieci anni), Svezia (referendum negativo sull’adozione dell’euro) e Ungheria. Quest’ultimo ha preso la decisione di cacciare l’FMI, l’Unione Europea e la BCE fuori dai propri confini, ha ripreso il controllo della Banca di Stato, e sta vivendo uno sviluppo ed una crescita che hanno pochi rivali in Europa, come tutti i paesi che hanno rifiutato l’euro. Il livello economico generale è nettamente superiore a quello dei Paesi che fanno parte della zona euro e la disoccupazione è a una sola cifra. Per alcuni non significa ancora nulla.
Polonia. Il nuovo governo polacco di Beata Szydlo, di destra, si accinge a deliberare il reddito di cittadinanza per tutte le famiglie che hanno più di un figlio e mette in cantiere la rinazionalizzazione del settore bancario. Rifiuta di entrare nella zona euro. Il nuovo parlamento approva la tassazione dei profitti delle multinazionali e delle banche commerciali, le cui sedi legali spesso si trovano fuori dalle frontiere polacche riuscendo ad eludere l’imposizione fiscale nazionale. Indovinate chi protesta? Il centrosinistra sconfitto, la Merkel e il socialista tedesco Schulz! Tanto che la premier polacca ha fatto convocare l’ambasciatore tedesco a Varsavia per protestare contro l’attacco mediatico, quasi razzista, dei mass media tedeschi contro il suo popolo. Un ricordo secolare di prepotenza e predominio riacceso.
Una Spagna, che non ha ancora un governo, anche perché le campagne elettorali dei socialisti e Podemos sono state contro l’austerity della troika di Bruxelles, e vogliono che i popolari di destra di Rajoy, che non hanno i numeri per governare malgrado il bonus elettorale, vadano via. Un sasso per l’UE, anche se non parlano di uscire dall’euro, ma all’interno vi sono forti spinte autonomistiche sotto minaccia poco velata di Bruxelles.
 In Portogallo il Partito socialista ha formato un’alleanza diciamo con il suo antico nemico: i comunisti. Alleanza contro le politiche di austerità e rilancio del sociale per combattere l’ideologia fallimentare neoliberista che li ha portati a una nuova enorme emigrazione, alla fame e alla disoccupazione. Tre paesi particolari, “forti” perché non hanno bisogno di cappio, di aiuti finanziari esterni, come invece fu della Grecia, quindi meno ricattabili nell’immediato.
In più. Secondo l’alcolizzato (è un gossip provato) Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, il collasso dell’area Schengen, la zona di libera circolazione dei cittadini, ma soprattutto delle merci, “distruggerebbe il mercato unico e l’euro”. Affinché non cambi nulla ha sicuramente interesse a “riformarlo” lui l’accordo per salvare Schengen, sempre più in crisi di fronte alla pressione migratoria e alle autodifese nazionalistiche dalle prepotenze e dagli interessi tedeschi. Dopo la stretta sui controlli alle frontiere interne di Svezia e Danimarca il rischio epidemia si fa più reale. Oltre la Polonia, anche l’Austria si è unita ai Paesi europei che hanno reintrodotto i controlli alle frontiere. Lo ha annunciato anche il governo di Lubiana, (Slovenia) dopo che il cancelliere austriaco, Faymann, ha ordinato di rafforzare i controlli ai confini austriaci, con una sospensione temporanea di Schengen. Dopo ovviamente l’Ungheria e, a seguirli, gli ex paesi ancora cosiddetti dell’est, con in testa la Romania. La stessa Francia, sotto pressione dalla Le Pen e dagli attentati di Parigi, inizia ad avere dubbi e rafforza comunque i controlli alle frontiere. L'attuale esecutivo inglese si sta impegnando ad imporre un giro di vite all'immigrazione (anche europea, magari pretendendo una ottima ma improbabile conoscenza della lingua inglese) e ai controlli ma si avvia ad un referendum sulla sua uscita dalla UE. Risultato che farebbe esplodere l’Unione stessa con tutte le ripercussioni possibili sulla zona euro, malgrado la libertà della sterlina, e lascerebbe tutti, scusate il termine, in mutande, o come il re nudo. Sarebbe l'epilogo della terza guerra mondiale, quella economica, scatenata dalla Germania, e immaginiamo appena quanti cocci resteranno.
Voce solitaria è senza dubbio il patetico Alfano con il suo “noi, non bloccheremo Schengen”, ammesso che nella tempesta potremmo contare qualcosa, con tutta la nostra economia ormai in mano ad altri.
In quanto a tempesta più disastrosa si preannuncia al mondo quella di una nuova e enorme crisi finanziaria da cosiddetta “bolla” bancaria. La preannuncia proprio la Lagarde del FMI. Da crederci. Dopo la precedente crisi nessuno a osato imporre regole alle banche, che hanno continuato a “giocare” da una borsa all’altra sulla pelle di popoli e stati.
In quanto al nostro falso revanchisme anti Europa renziano di questo mese, la verità la dice l’amico Partito Popolare Europeo per bocca del suo presidente, il tedesco Manfred Webe, intervenendo addirittura alla plenaria di Strasburgo: “Renzi sta mettendo a repentaglio la credibilità dell’Europa a vantaggio del populismo”, cioè traduci scambio campagna elettorale contro austerity. Si ricomincia sicuramente dalle tre carte. Renzi è ancora troppo ubbidiente nei fatti per mandarlo già via, non ha completato il mandato, e tanto un nuovo coniglio dal cappello si trova sempre. Si avvicinano importanti elezioni amministrative in Italia. Il primo vero test per Renzi e il suo partito gerarchico, e passare per difensore dell'Italia dopo aver svenduto tutto alla troika e alla Bce, a seguire le “nostre” banche in tempesta programmata (nostre perché ci sono i nostri soldi e risparmi), potrà anche sembrare geniale. Dipenderà dalle sirene, dai tromboni e dalle gran casse mediatiche, già tutte in movimento. Dovremo avere molta pazienza e cultura critica nei prossimi mesi. E ne vedremo di pollai in tutti i showroom televisivi! Già! Anche pensare diventa quasi la nuova forma fisica della resistenza.

 

martedì 12 gennaio 2016

Udo Gumpel, Bagnai, la Grande Germania e l'università da operetta

Vabbé i salari in Germania sono cresciuti negli ultimi anni, bisogna riconoscerlo, e allora? Significa che hanno ragione loro in tutto e per tutto e che " se facessimo come loro" saremmo anche noi tanto bravi e guadagneremmo un botto anche noi? E il mercantilismo? Come la mettiamo che non possiamo essere tutti esportatori, perché logica dice (non un master in economia) che se qualcuno esporta un altro deve importare. Già perchè Bagnai senza mai  essere nominato (ma si capisce che è lui dal livore che imbratta di bile nera l' articolo, conti in sospeso immagino) come dice questo brillante chief economist, che non so come fa affari con l'Oman, deve essere proprio un gran cialtrone a pensare che la Germania deflaziona i salari per fare gli affari suoi. Poi scopri che Bagnai dice esattamente le stesso cose del rancoroso omanita e cioè che non è il salario che è calato è il salario per unità di prodotto. Tradotto, la grande Germania riesce a essere più efficente e produrre meglio, impiegando meno persone per produre beni e servizi. Il punto è un altro. Come dice Bagnai, vabbene che sei più produttivo, ma è proprio aumentando la produttività e non redistribuendo i profitti al lavoratore in una quota proporzionale che le tue merci sono più competitive. D'accordo i salari tedeschi restano pur alti rispetto a quelli italiani, che sarà se il padrone si intasca qualche lira (euro)  in più. Contenti voi, ma siete d'accordo,  voi epigoni del tedesco, con ciò che questo bel chief sottintende, (quello che per Bagnai è una bestemmia) e cioè che se i tedeschi producono meglio e di più vuol dire che loro sono bravi e che noi siamo degli inetti, imbelli e torpidi fancazzisti, mangiaspaghetti con la pancia al sole. Se è questo che credete, d'accordo, mi va bene pure questo, flagelliamoci e facciamoci del male. Ma me lo spiegano Udo Gumpel e compagnia perché l'unica strada per diventare tedeschi è quella di fare a fette la classe operaia e smantellare il welfare regalando scuole e ospedali ai privati? Lo dico sommessamente senza vantare conoscenze economiche che non ho e senza provare a fare il piccolo economista. Austerità significa fare sacrifici e secondo gli austeritari, sperimentare la "durezza del vivere" e diventare belli smilzi e scattanti, pronti a sbranarci fra di noi per un tozzo di pane, mentre lo stato si intasca i nostri soldi per l'austerità espansiva e fare la faccia brutta ai cinesi. E come competiamo se siamo sfiniti dalla fame? Ma poi scusate perchè devo dare una cambiale in bianco a Renzi e dame di corte? A gente che mi dice ti pago di meno così poi cresciamo. Cresciamo che, come, quando? A parte l'imbroglio del meno tasse per quattro lire di tasse sulla casa che forse non pagheremo. Cresciamo vuol dire che avremo un po' di disgraziati in più nelle fabbrichette del nord est o nelle cooperative di servizi assunti col jobs act con salari da fame?
No Herr Udo, non mi convice. Si stava meglio quando si stava peggio, quando se tardavano a firmare il contratto poi ti davano i soldi tutti insieme, vacanza contrattuale compresa. Oggi non rivalutano le pensioni, non rinnovano i contratti, "demoliscono la domanda interna", e io dovrei pensare che questa è una bella cosa? Preferisco ascoltare "un accademico di quart'ordine", di una "università da operetta", almeno con le sue idee ho la speranza di riavere indietro i miei soldi. Lo so voi siete protestanti. Pazienza.

giovedì 7 gennaio 2016

Cibo, fame, Expo

di Tonino D’Orazio


E’ finita l’Expo. Meno male. Mondo irreale di cartapesta. Con numero falso dei visitatori. Con debiti da pagare, noi. Con scontro feroce di appalti per le aree del dopo, un risiko normale di malaffare per continuare. Ci sarà di nuovo da stupirsi e da divertirsi.
Poi c’è un mondo reale, quello vero del globo con un surplus o un assenza feroce di cibo.
Intanto anche noi, cosa mangiamo? I nostri iper/super mercati sono pieni di strani prodotti: pomodori e fragole senza stagioni e senza sapore, prodotti inverno e estate da serre surriscaldate, a colpi di fungicidi e concimi chimici; frutti vari che viaggiano acerbi attraverso il mondo per arrivare quasi maturi; piatti preparati e costruiti con misto di carni varie e surrogati, grassi, zucchero, lattosio, sale;  pizze guarnite con “formaggi analoghi” che non contengono una goccia di latte. Bombe calorifere, cibi polisaturati che certificano milioni di obesi, quasi tutti tra il 40° e il 65° parallelo nord del globo.
I consumatori non si ribellano, sono stati convinti dalle multinazionali del cibo che non c’è alternativa e che comunque non bastano i cibi freschi per nutrire tutta l’umanità. In questo modo costa così poco nutrire i poveri, i lavoratori e le loro famiglie. Tanto, con quello che guadagnano! I consumatori diventano anche loro un prodotto da plasmare e addestrare, come i polli di allevamento industriale.
Quindi si intensificano gli allevamenti e l’agricoltura, l’uso di pesticidi (sempre meno efficaci e sempre più potenti), di farine animali, di olio di palma (accertato cancerogeno), degli OGM (Organismi Geneticamente Modificati).
Eppure anche il nutrimento a basso costo immediato comporta spese sociali decuplicate in sanità e in distruzione ambientale. Si pensi all’inquinamento irreversibile delle nappe freatiche, alla distruzione delle biodiversità (nel 1910 si mangiavano 95 tipi di vegetali, oggi poco più di 20), compresa quella animale ovviamente. Si pensi al depauperamento dei terreni coltivati intensivamente, alla deforestazione (ogni anno, in Brasile scompare un area boschiva pari alla superficie della Svizzera). In sanità, con malattie sempre più diffuse come diabete, colesterolo, ipertensione e quella che si preannuncia secolare, le allergie.
I grandi complessi agroalimentari, per proporre prodotti a basso prezzo schiacciano i salari precarizzando milioni di lavoratori, oltre a schiavizzare, legalmente o meno, immigrati e stagionali, in tutto il mondo; a sottopagare le commesse e i rivenditori-produttori primari; a sfruttare per un numero di ore imprecisato ma inumano i trasportatori. In tutto il mondo. L’agroalimentare è un avanposto della “deregulation” del diritto e della dignità del lavoro. I super e gli iper mercati, regno del lavoro precario e dei bassi salari, per effetto di scala, propongono il cibo a prezzi che sfidano ogni concorrenza, captano in Italia 2/3 delle spese alimentari delle famiglie e provocano la scomparsa progressiva dei piccoli commerci di prossimità.
L’industria alimentare non tiene più conto dei ritmi della natura di prossimità. Troviamo prodotti agricoli in ogni stagione, standard, stranieri, uniformi e “dopati”; gli animali sono diventati “materie prime” e i semi OGM invadono i nostri campi e impediranno, più o meno alla lunga, una possibile coltivazione biologica, cioè naturale, normale.
OGM, dove si gioca con la natura viva per aumentare i profitti, se ne invade il patrimonio genetico che poi, tra l’altro, diventa impossibile da “controllare”. Si rischia una irreversibile catastrofe ecologica mondiale; in fondo si limita anche all’agricoltura mondiale e al cibo un concetto di libertà. Sembra un nucleare biologico che prima o poi produrrà la sua Tchernobyl. Una specie di distribuzione gratuita di semi di “cooperazione”, intanto nei paesi poveri e “affamati”, un po’ come spargere, come con le guerre attuali, uranio impoverito sul pianeta. Basta che renda. Distribuzione pagata dal FMI e dal Fondo per lo Sviluppo della Banca Mondiale per “aiutarli” a vincere la fame. Come se gli americani regalassero qualcosa senza aspettarne un sostanzioso ritorno.
In quanto ai nostri campi vengono già utilizzati al 35% per produrre mangimi e foraggi per gli animali, senza contare gli alpeggi, sempre più estesi a causa di una storica diminuzione di utilizzo agricolo nella fascia più bassa, altrimenti si raggiungerebbe il 76%.
Per non parlare di una percentuale importante di coltivazione di soia, mais e canna da zucchero che i paesi dell’emisfero nord  hanno spostato al sud per produrre biocarburanti.
Bisogna aggiungere al disastro alimentare autoctono che, finita (quasi) la crisi americana dei sub prime del 2007, che ha coinvolto criminalmente il mondo intero,  la speculazione finanziaria si è riversata sull’acqua e sugli alimenti facendo raddoppiare in pochi anni il prezzo del cibo, da noi, ma soprattutto nei paesi già poveri, mietendo ulteriori morti per fame. Con varie sommosse in Africa e Estremo Oriente (ve ne furono 37) tra il 2007 e il 2008. Sono state represse e non è successo più nulla. La morsa “coloniale” è ancora e sempre più forte.
Come per l’acqua anche per il cibo si preannuncia una vera e propria “guerra” ad accaparrarseli. L’Arabia Saudita ha acquistato e sta sfruttando circa 500.000 ettari di terra coltivabile in Etiopia per la coltivazione del riso, alimentazione base. Ma non per gli etiopi, ultimi tra i paesi alla fame, ma per il proprio popolo. Ma anche altre multinazionali si impiantano nei paesi più poveri per “appropriazioni” che chiamano “investimenti”.
L’altro cibo pregiato è il pesce. Le flotte da pesca dei paesi industrializzati, in modo sistematico, stanno razziando tutti i mari del globo, impoverendoli tutti, soprattutto quelli africani, ma anche gli oceani indiani e nord atlantico (dove è quasi scomparsa l’aringa e presto anche i salmoni). Le navi pescano 2,5 volte il necessario, accelerano la scomparsa di varie specie (interrompendo tra l’altro la catena alimentare in mare con vari disastri genetici, si pensi per esempio all’iper sviluppo delle aragoste che hanno invaso e colonizzato tutto il mar Baltico), e inquinano in modo irreversibile, non solo loro però, gli oceani.
Ma lo spreco va oltre. Se la nave industriale da pesca (di stazza e di struttura) esce per le aringhe tutti gli altri pesci presi nella rete vengono scartati e muoiono sui ponti o nei macchinari di selezione e vengono ributtati in mare, morti. Su tre pesci pescati, in genere, due vengono ributtati in mare. Altro dettaglio (dati Fisheries Center Columbia University), “sono quelli che non hanno bisogno di pesce, gli abitanti dei paesi ricchi, che consumano l’80% della pesca mondiale”.
La regolamentazione delle quote europee di accesso alla pesca, distribuite ai “piccoli” sono state ricomperate dai grandi magnati. I semplici pescatori vicino a noi, a Km zero, come i contadini per l’agricoltura, pagano di nuovo pegno. Quando i pescherecci europei hanno problemi, delocalizzano, si iscrivono e battono bandiera di paesi accomodanti. Non si ferma il “progresso” del libero mercato.
Sullo spreco del cibo, regolamentato ora per legge in Francia, con qualche rimorso di coscienza, anche in Italia si comincia a ragionare, ma hanno iniziato a ragionare di solidarietà, come sempre, i piccoli commercianti, i panettieri che regalano il non venduto. I poveri per i poveri. Qualche ristorante ti dà la vaschetta per non sprecare e portare via il troppo, ma spesso è considerato “resti”, e sono per gli animali di casa, anche quelli nutriti a scatolette 5 stelle culinarie. Intendiamoci, se hai degli animali in casa non c’è dubbio che vadano curati, ma come animali, non a scapito dell’uomo. Nello spot pubblicitario televisivo successivo ci sono i bambini, spesso africani, che muoio di fame. Mentre stiamo a pranzo.
I dati che seguono sono della FAO e del Consiglio dell’Europa per il 2015. Nel mondo circa il 15% della popolazione è sottoalimentata (800 milioni), 2 miliardi di individui sono malnutriti, 6 milioni muoiono di fame ogni anno. 1,5 miliardi di tonnellate di cibo, nel mondo, sono buttati ogni anno, (di cui ¼ non consumato), cioè 1/3 della produzione mondiale destinata al nutrimento umano. In Europa si sprecano 90 milioni di tonnellate ogni anno. Prima è la Gran Bretagna (180kg/persona/anno) seconda è l’Italia (150kg/persona/anno).
Diventa poi rivoluzionario, intanto almeno culturalmente, puntare ad accedere a un cibo di qualità. C’è la tendenza, ma è numericamente ancora insignificante, all’utilizzo di prodotti biologici o a Km zero. Ammessa una vera fiducia verso quei prodotti. Comunque costano di più e i poveri dovranno accontentarsi di sorbirsi l’agro-business, con tutto ciò che comporta per un futuro di cibo puramente chimico o “assemblato” che apprendisti stregoni ci propineranno. Siamo già pronti con gli “integratori” alimentari vari che utilizziamo spesso, più che per la salute, a volte come pasticche concentrate e sostitutive del pranzo o di vitamine naturali.
Se pensiamo che gli hamburger dei McDonald, disincarnati, vuotati del sangue, privati del colore, asettizzati, standardizzati, quasi finti in mezzo a salse varie, sono per molti simbolo della modernità, bambini al seguito, invece che delle ambiguità del cibo. Vengono utilizzati polli allevati a milioni in spazi ristretti e con mangimi semi artificiali, armonizzati, gonfiati di antibiotici. In più esiste una discriminante ingiusta, nel senso che ci sono animali “che contano”, quelli simpatici o di compagnia, e quelli che “non contano”, i banali; con una ulteriore distinzione anche umana tra i carnivori e i necrofagi. Mondo di cui facciamo parte.
Certamente il movimento internazionale lanciato dall’Italia, “Slow Food” (ristorazione lenta e di qualità contro il “Fast Food”, ristorazione rapida, correndo) alla fine degli anni ’80 (quando ancora contavamo qualcosa) ha avuto e ha tuttora una vera espansione in tutto il mondo. Tendenza apprezzata che va sotto il nome di “dieta mediterranea”. Movimento con un approccio alla gastronomia fondata su valori culturali e ecologici, che propone un nuovo legame tra il piacere di mangiare, l’origine degli alimenti (denominazioni DOC) e il rispetto della vita e del lavoro rurale (aumento esponenziale degli agriturismo).
Magari c’era anche questo all’Expo, insieme ad altri paesi, ma a livello di clienti e di affari hanno vinto McDonald e multinazionali. Il buono era troppo caro. Per questo, a parte la diatriba sulla falsità del rendiconto, finanziario e partecipativo, reale delle entrate e delle spese, l’Expo non ha avuto niente da insegnare al mondo. Questa era la sinfonia dell’Expo milanese. E’ stata  la vittoria dell’ipocrisia e la vittoria dell’agro-business.  Una occasione di vetrina mondiale mancata. 

Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...