domenica 30 settembre 2012

Il Monti bis no e poi no.

Se falliamo questa occasione mi ritiro a vita privata. 
Sono convinto che la fase storica che il nostro paese sta attraversando, raggiunto il culmine della degradazione e della decadenza, possa produrre il suo opposto. E' un'occasione irripetibile. Uso il periodo ipotetico perché non c'è niente di certo, la storia non funziona come un algoritmo, né raffigura il dettato di una religione avventista. E' però accaduto spesso in passato che una fase storica abbia generato il suo opposto. Se questo adesso non accadrà, se la storia di questo paese malandato non cambierà radicalmente e Casini e Montezemolo con il soccorso “spirituale” del Vaticano riusciranno nell'intento di perpetuare Monti, sarà solo per colpa nostra e del nostro masochismo. Dobbiamo cambiare perché a questo punto c'è una sola alternativa al cambiamento:  l'ipostatizzazione dello status quo e la chiusura almeno temporanea della fabbrica della storia. Saremo costretti ad osservare lo scorrere degli eventi come fosse un'istantanea unica, senza possibilità di variazione sul tema o mutamento dello scenario. Si realizzerà finalmente il progetto di ricreare un società feudale di tipo piramidale, la cui base sarà formata da una servitù della gleba che avrà  giusto il necessario per riprodursi, ma nulla più, e potrà dimenticarsi di salire i gradini della piramide.
Mi fa rabbia sentire Christine Lagarde che bacchetta la presidentessa argentina argentina perché ha deciso di far prosperare il suo popolo, piuttosto che perseguire un'inflazione bassa e i conti in ordine come aspirazione massima di una nazione. Quasi una fede, che richiede il martirio di milioni di persone per realizzare il suo ideale.
Un Monti bis no per carità, lui è l'apostolo di quella fede maledetta. 
Abbiamo molto da fare per risollevare una nazione agonizzante e cominciare a far passare un'idea diversa di economia e di Europa, non possiamo perdere altro tempo  e aspettare di vedere le macerie fumanti, prima che si riconosca che avevamo ragione. 
Il Monti bis no e poi no, a costo di rinsavire e presentare una coalizione compatta di “non allineati”.

Lo stomaco dell'anaconda

Per molti versi Grillo ha ragione e le sue parole sono un balsamo per chi è schifato da questo paese e dalla sua storia fatta di pupazi imbelli. Ma dimentica che non ci sono solo gli imbelli abituati a strisciare  e a canzonare il ricco per raccogliere le briciole da sotto il tavolo quando lui si distrae. Ci sono e ci sono stati anche uomini veri. Abbiamo avuto il partito comunista più grande d'Europa, una iattura per alcuni e forse non a torto, ma gli va dato atto del tentativo di sottrarre il popolo al suo destino di plebe acefala e preda di pulsioni animali, pronta a servire il padrone di turno. Abbiamo avuto gente che ha sacrificato la sua vita per il bene degli altri. Altruisti di altri tempi. Tuttora ci sono milioni di persone pronti a mettersi in gioco, sebbene non riescano a togliersi il vizio di dividersi fra buoni e cattivi.
Difficile però non dargli ragione quando ci esorta a svegliarci e smettere di delegare il nostro destino all'uomo della provvidenza e a passare dalla disponibilità teorica all'agire pratico. La nostra è una vera e propria malattia, una specie di grave encefalite virale che  rende una gra parte di noi muti e sordi a meno che non c'è la partita in TV. 
Forse non abbiamo bisogno di un leader, ma di una cura energica sì. Speriamo nell'aria buona


dal Blog di Beppe Grillo

Chi grida "Forza Grillo!", come una volta si gridava "Viva Zapata o Pancho Villa" non ha capito che è lui e solo lui l'artefice di un possibile cambiamento. Non deve votare per il MoVimento 5 Stelle, ma per sé stesso e se non rischierà nulla, se farà il guardone della politica nell'attesa di un nuovo vincitore, l'Italia rimarrà il Paese pietrificato degli ultimi 150 anni. E lui, come cittadino, non conterà mai uno, ma zero, il numero che contraddistingue chi resta alla finestra, chi non si impegna per la società in cui vive.
In Italia, come disse Ennio Flaiano, si accorre sempre in soccorso del vincitore, qui milioni di fascisti divennero democristiani e comunisti nel giro di una notte di aprile, nel 1945 a guerra perduta. E' un Paese senza colpe, che non processa mai sé stesso, che ha persino vinto la Seconda Guerra Mondiale dopo l'otto settembre, ma che senza l'intervento degli Alleati avrebbe oggi statue al duce in ogni piazza d'Italia. Che bombarda la Libia di Gheddafi subito dopo aver firmato un trattato di pace. Un Paese femmina, che ama l'uomo forte, si chiami Craxi, Berlusconi o Mussolini, ma che lo appende per i piedi alla prima tempesta. Una penisola di particolarismi, di familismi, di favori dati e ricevuti, di consorterie, di massonerie e mafie. Un cerchio magico formato da chi vive di Potere e da coloro che sopravvivono con le briciole che gli vengono lanciate sotto il tavolo. Milioni di persone partecipano al banchetto dello Stato da decenni, come a un ristorante che fornisce pasti gratis.
L'italiano vive in Italia da turista, come se fosse all'estero, come se la strada in cui abita, la città in cui è nato, lo Stato non gli appartenessero. Vive in un mondo a parte, con indifferenza, talvolta con la spocchia dell'osservatore che non si mette mai in gioco. Crede ai miracoli, che in questo strano Paese talvolta avvengono, e confida nella Divina Provvidenza mentre critica ferocemente le Istituzioni seduto in poltrona quando ascolta i talk show delle solite facce, a cui delega la sua vita, e dei soliti vuoti ritornelli che nessuno canta più. Questo Paese ha digerito tutto, dalle leggi razziali, al fascismo, alla P2, ai patti tra lo Stato e la mafia, alle stragi, alle morti dei suoi eroi da Borsellino ad Ambrosoli. Ha lo stomaco di un anaconda che digerisce un coccodrillo. Nessuno lo può aiutare, niente lo può cambiare, nulla lo può salvare, se prima non cambia sé stesso.


Argentina: il salario minimo garantito fa impazzire il FMI

da frontediliberazionedeibanchieri

La guerra tra le due Cristine e l'impatto sull'Europa. Sopratutto sull'Italia
In Gran Bretagna gli hanno dato un nome preciso e ormai la seguono come se fosse una telenovela nella sezione geo-politica: “The Christines at war”, la guerra delle Cristine, che sarebbe una fiction a puntate davvero impossibile non seguire.
Ci siamo anche noi, dentro, naturalmente, e il nostro ruolo in questa telenovela non è certo dalla parte dei buoni. La Storia ci ha messo nella situazione di dover interpretare il ruolo di quei personaggi che quando entrano in scena, dopo le prime due battute, ci spingono a dare una gomitata al nostro compagno di poltrona per commentare “questo mi sa che fa una brutta fine”. Non siamo certo gli eroi di questa fiction iper-realista.
La nuova puntata (vera chicca per gourmet) si è svolta in un sontuoso teatro internazionale: la East Coast degli Usa, tre giorni fa uno scambio di battute al fulmicotone tra la segretaria del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, dalla sede di Washington –reduce da un incontro ufficiale con il ragionier vanesio- la quale, infantilmente ha minacciato l’Argentina usando di proposito una metafora calcistica “per il momento sto mostrando a quella nazione il cartellino giallo; ma c’è una inderogabile scadenza che è il 10 dicembre 2012. Superata quella data scatterà automaticamente il cartellino rosso e l’Argentina verrà espulsa dal Fondo Monetario Internazionale”. La presidente argentina si trovava in quel momento a un tiro di schioppo, stava a New York, al palazzo dell’Onu. Da aggiungere che (gli sceneggiatori sono abili professionisti di mestiere) nell’esatto momento in cui madame Christine minacciava la senora Cristina, la presidente stava parlando all’assemblea dell’Onu a Manhattan perorando la causa dell’indipendenza del Sud America e chiarendo –con gravi toni minacciosi ben coperti dalla consueta retorica diplomatica- che il teatro internazionale geo-politico non è più quello degli anni’70 e che la grande stagione dello schiavismo colonialista è tramontata. Finito il suo intervento, i suoi segretari le hanno comunicato immediatamente l’esternazione della sua omonima francese. E la presidente Kirchner ha dichiarato subito: “L’Argentina è una grande nazione. Ma prima ancora è una nazione grande. Abbiamo un vasto territorio baciato dalla fortuna naturale. Abbiamo risorse nostre, che ci consentiranno la salvaguardia della nostra autonomia e della nostra indipendenza. Ma soprattutto siamo un paese orgoglioso che ci tiene alla propria dignità. Vorrà dire che staremo fuori”.
Chi non ha seguito tutte le puntate della telenovela (ci sono stati anche dei morti, come il giovane economista Ivan, in una storia che ho raccontato mesi fa) forse non può seguire in maniera palpitante questo fronte bellico della Guerra Invisibile e potrebbe non capire di che cosa si tratta. Ha a che vedere con la Gran Bretagna, l’Italia, la BCE e la loro relazionalità con il Sud America. Ma soprattutto ha a che vedere con lo scontro tra l’interpretazione keynesiana e friedmaniana dell’economia e con lo scontro dichiarato tra l’interpretazione social-progressista dell’esistenza quotidiana e quella liberista conservatrice. Questo duello è stato riportato, dibattuto e commentato in tutto l’occidente. Neanche a dirlo, Italia esclusa. I servizi della, peraltro, brava Daniela Bottero, corrispondente della Rai di New York, parlavano del nuovo ipad5, di come a New York si vive l’incipiente autunno, ammaliandoci con la descrizione variopinta della scelta di Mario Monti relativa a quali ristoranti andare, a quali club partecipare e a quali inviti aderire. In Gran Bretagna, invece, (il vero cuore del problema) a questa puntata hanno dato un risalto talmente forte che la BBC ha scelto di destinarle ben cinque piattaforme mediatiche diverse: televisione di stato, radio, sito on line, diretta streaming, l’intera stampa cartacea mainstream. Per evitare di essere subissato dai consueti commenti della serie “dacce ‘sto link”, in un post scriptum, in copia e incolla, trovate l’articolo preso dal sito on line della BBC, sintetico ma esaustivo.
Qual è il contenzioso?
Eccolo esposto in maniera molto semplice e sintetica:
Il Fondo Monetario Internazionale sostiene che, sulla base dei propri dati a disposizione, l’inflazione in Argentina ha raggiunto la cifra del 30% in seguito alla irresponsabile azione di emissione di carta moneta da parte del Banco de la Naciòn perché in Argentina è stata scelta (il termine usato è “irresponsabile”) la strada degli investimenti in infrastrutture, salvaguardia del territorio idro-geologico, salario minimo garantito, credito agevolato alle imprese, protezionismo (con aliquote altissime praticate a tutte le multinazionali che in Argentina producono ma non investono il loro profitto in attività locali per favorire la occupazione) e aumento del proprio disavanzo di bilancio al fine di potenziare istruzione pubblica, ricerca scientifica e innovazione tecnologica. Un’inflazione così alta comporta il rischio di “implosione del sistema economico” e quindi il resto del mondo economico, per salvaguardarsi, deve prendere le distanze da un modello economico così disastroso, definito “ormai fuori controllo” e quindi o l’ Argentina si adegua oppure viene espulsa. Una volta fuori, immediatamente verrà chiesto il saldo di tutti i loro bonds, il pagamento di tutte le transazioni internazionali di merci, e l’intero sistema finanziario del pianeta dichiarerà “inagibile” ogni forma di finanziamento all’Argentina, la quale, inoltre, dovrà immediatamente abolire gli investimenti e lanciarsi in una poderosa manovra di austerità, rigore e stretta creditizia, pena la cancellazione dei contratti internazionali di import-export.
Il governo della Repubblica Argentina, invece, sostiene che la propria inflazione è intorno al 9%. E dichiara che i dati forniti dal Fondo Monetario Internazionale non sono dati veri, perché le aziende di rating che hanno fornito le informazioni sono agenzie private finanziate –fatto questo noto- da J.P.Morgan, Citibank e Societè Generale, che sono parte in causa e vogliono destabilizzare l’intero Sud America per avere la possibilità di poterci speculare sopra. L’Argentina, inoltre, ritiene che l’ FMI “ha lanciato un sistema di punizione” nei confronti delle nazioni dotate di un sistema finanziario economico centrale che vieta (come appunto nel caso dell’Argentina) ogni attività finanziaria speculativa sui derivati, perché gli investimenti finanziari sono consentiti solamente su titoli e aziende che producono merci reali. Come ultima considerazione, l’Argentina ritiene che il Fondo Monetario Internazionale abbia come compito quello di monitorare la situazione economica delle nazioni senza dover mai intervenire sulla qualità delle politiche economiche nazionali e locali essendo il principio dell’autodeterminazione dei popoli un valore riconosciuto dalla carta internazionale dell’Onu in data 1948.
Queste sono le due posizioni.
Poiché non si tratta di Juventus-Roma (forza capitano) dove il tifo è lecito, ciò che conta, in questo caso, è comprendere di che si tratta. Ma soprattutto che cosa accade se vince una o l’altra delle due Cristine.
I rapporti di forza non sono affatto come istintivamente si può credere, ovvero Davide contro Golia, perché c’è un piccolo paese, laggiù nel polo sud, che conta poco o nulla, e da solo si è messo contro i poteri forti. Questa è la retorica perdente terzomondista che vive di ideologia e favole sentimentali.
Si tratta di un poderoso braccio di ferro politico, che ci riguarda tutti. Italia in prima fila.
(e vi spiegherò più avanti il perché).
Chi vincerà? Non lo so. Però so chi voglio che vinca. E so, con matematica certezza, che cosa accadrà sia nell’uno che nell’altro caso.
Personalmente parlando (qui è il mago che si esprime) penso che abbia molte più chance l’Argentina che il Fondo ;Monetario Internazionale. Il bello è che lo pensano anche i britannici, altrimenti non avrebbero dato un così ampio risalto alla vicenda.
Christine Lagarde fa la voce grossa a Washington, insieme a Monti come partner, perché si sente sicura della vittoria, e a mio avviso sbaglia di grosso. La sua vittoria ha queste tre tappe: il 7 ottobre a Caracas (elezioni politiche in Venezuela, paese fondamentale per l’intero occidente in questo momento); il 6 novembre in Usa (elezioni politiche presidenziali); il 15 novembre, data in cui la troika consegnerà il proprio rapporto sullo stato impietoso della Grecia; a quel punto la nazione ellenica verrà protestata, spinta fuori dall’euro e surprise! invece del contagio, non accadrà un bel nulla se non uno scossone della durata di 48 ore. Si mostrerà e dimostrerà, pertanto, che l’euro funziona e regge ogni urto, la Grecia sprofonderà nella miseria e nell’incertezza (dimostrando che senza l’euro non c’è salvezza) e l’euro sorretta dal petrolio scontato del Venezuela, sorretta da Wall Street (che nei dieci giorni successivi alla vittoria di Romney sarà andata alle stelle con enormi guadagni di tutto il sistema bancario europeo) finalmente si potrà assestare e dare ordini al resto del mondo. Quantomeno alla parte occidentale. Questo è ciò che pensa la Lagarde.
Ma quali armi ha l’Argentina? Enormi, gigantesche. E le sta usando tutte.
Vi racconto una delle armi usate nel recente passato (finito con successo venti giorni fa) relativa a una precedente lontana puntata della telenovela dal titolo “La guerra dei limoni tra le due Crisitne” con una successiva puntata dal titolo “Coke is the real thing, baby!”.
Veniamo alla puntata dei limoni.
Quando nel 2004 l’Argentina, reduce dal suo fallimento, comincia a rimboccarsi le maniche per l’auspicata ripresa, si avvale di diverse forme di consulenza economica, tra cui quella di un gruppo di scienziati tedeschi: per tradizione storica, i tedeschi sono di casa laggiù. Arrivano gli agronomi verdi dalla Germania, portandosi appresso la nuova tecnologia ecologica, evoluta nel campo dell’agricoltura. I tedeschi scoprono che i limoni argentini sono eccellenti. E varano un ingegnoso piano. Grazie al fatto di avere uno sterminato territorio a disposizione, il governo investe una massiccia quantità di denaro per lanciare un sistema di cooperative agricole occupando circa 150.000 ettari per produrre il più vasto limoneto del pianeta. Per avere il frutto ci vogliono anni, ma la tecnologia aiuta. Finalmente, alla fine del 2009, ecco i succosi limoni. Vanno al mercato internazionale. La frutta risulta seconda, per qualità, soltanto ai limoni italiani (la più pregiata specie in assoluto) con l’aggiunta del fatto che ha un prezzo di mercato inferiore del 212% ai limoni siciliani, liguri, greci, turchi, spagnoli, provenzali. I più grossi consumatori di limoni in Europa sono tedeschi e britannici, per via della loro alimentazione. Ai tedeschi servono per condire una loro insalata e i krauti di cui sono ghiotti e agli inglesi servono per spruzzare il loro piatto unico quotidiano, i celebri “fish&chips”, cartoccio composto da filetti di baccalà e patate fritte che ben si accompagnano con la pinta di birra al pub, ogni sacro giorno alle ore 17.,30. I tedeschi si avvalgono di forte sconto ma arriva anche la Coca Cola, il cui amministratore delegato, in persona, vola a Buenos Aires e firma un accordo commerciale della durata di 25 anni per avere i limoni con i quali compone la ricetta di ben 22 delle sue 30 bibite sparse in tutto il mondo. L’amministratore dichiara che il 93% dei propri limoni li prende in Argentina, il restante 7% dalla Florida. Poco tempo dopo, si passa alla soia. E arriva la Cina: contratto commerciale della durata di 50 anni; acquistano il 92% della produzione nazionale di soia (decine di migliaia di ettari coltivati sempre dai tedeschi) e 10 milioni di vacche. I bovini vengono allevati da produttori argentini nelle sterminate praterie d’altura, macellati, squartati come piace ai cinesi, incartati, messi su giganteschi aerei frigoriferi e ogni giorno partono 50 giganteschi aerei da trasporto che portano a Pechino la carne necessaria per sfamare circa 250 milioni di cinesi. Arrivano anche i giapponesi che si prendono la produzione di acqua minerale di ben 122 ghiacciai del polo sud per un totale di 20 milioni di ettolitri al mese per 50 anni. I giapponesi bevono l’acqua argentina ma non lo sanno. Tutto ciò contribuisce a un aumento del pil argentino dell’ordine di un +5% all’anno e sarà il trampolino di lancio della loro ripresa economica. Dai cinesi, l’Argentina si fa pagare in dollari e bpt italiani; dai giapponesi in dollari e bpt tedeschi. Dai tedeschi e inglesi in euro. Ma nel 2010 la situazione geo-politica cambia precipitosamente. Dall’Unione Europea partono chiare indicazioni di andare all’attacco delle economie floride keynesiane. Per un fatto politico. La Gran Bretagna è la prima ad adeguarsi. E’ il primo atto del neo-eletto David Cameron. Non appena insediatosi, scopre che i limoni argentini –all’improvviso- non rispettano i parametri sanitari internazionali. Di conseguenza, si rivolge per protesta all’Unione Europea e Van Rompuy in persona denuncia l’accordo chiedendo una penalizzazione per l’Argentina, oltre a chiuderle l’accesso alle esportazioni internazionali. Per un mese l’Argentina protesta, soffre e si preoccupa. Dopodichè si fanno venire in mente un’ottima idea. La Kirchner personalmente scrive una lettera al quartier generale della Coca Cola ad Atlanta dove spiega alla multinazionale che dal giorno dopo non beccano più neppure un limone. Non solo. Avvalendosi della denuncia dell’Unione Europea, confortata dalle dichiarazioni di origine stampate sulle bibite della Coca Cola, si appella all’OMS chiedendo che vengano tolte dalla circolazione in tutto il continente europeo le 22 bibite che contengono limoni argentini “perché prive dei dispositivi di salvaguardia sanitaria previsti dalle convenzioni europee vigenti, visto che l’Europa sostiene che i nostri limoni non vanno bene, si deduce che non possono andare bene neppure bibite composte con i nostri limoni”. Per la Coca Cola si tratta di un danno di circa 25 miliardi di euro. Inizia un contenzioso durato ben 20 mesi, un braccio di ferro tra le due Cristine. Il finale della puntata è noto. Il presidente della Coca Cola tranquillizza la Kirchner dicendole “ghe pensi mi”. E ci riesce. 1-0 per l’Argentina.
Fine della precedente puntata.
Quella prossima, datata 13 dicembre 2012, non si sa come andrà a finire. Ma si sa che cosa accadrà se vince la Christine francese: 48 ore dopo, l’Argentina, accettando l’espulsione, protesterà il contratto con la Coca Cola, dirà ai cinesi che staranno senza carne e senza soia; dirà ai giapponesi che staranno senz’acqua da bere; dirà ai tedeschi che non avranno più il petrolio con lo sconto. E tutta questa gente andrà a chiedere ragioni alla Christine a Parigi. L’Argentina, quindi, avrà come avvocati difensori la Coca Cola, la Cina, il Giappone, l’industria agricola tedesca.
E l’Italia?
Automaticamente fallirà la Telecom, e due giorni dopo la Enel annuncerà che la propria fattura viene triplicata. Intesa San Paolo, Banco Popolare di Milano e Mediobanca subiranno in borsa un crollo di almeno il 40% del loro valore. Perché?
Perché la Telecom è un’azienda decotta. Eppure i suoi bilanci sono buoni: è vero. Ma il profitto (che la tiene a galla) lo prende da Telecom Brasile e da Telecom Argentina, nazioni nelle quali gestisce l’intero sistema di telecomunicazioni digitali, terrestri e satellitari. Verranno subito nazionalizzate. Non solo. Verrà anche nazionalizzata subito anche l’Enel, che gestisce tutto il sistema dei servizi di erogazione di energia elettrica a Buenos Aires, in Bolivia, a Rio de Janeiro e che per la bilancia italiana è fondamentale. Inoltre, verranno messi subito all’incasso bpt italiani per un controvalore di 22 miliardi di euro, proprio alla vigilia di Natale. E se l’Italia non ha da pagare, si arrangi. Che vada a farseli dare da Christine Lagarde.
Per ridurla in sintesi, si tratta, in realtà, di una lotta squisitamente politica.
La telenovela sta tutta lì.
Non c’entra niente il business, né il commercio, né gli scambi. Proprio no.
E tantomeno l’economia.
Come ha detto con molta chiarezza la sudamericana Cristina Kirchner “io pretendo che venga rispettata la mia dichiarazione politica”. E si riferiva allo scontro micidiale a Montevideo lo scorso novembre (quando il giovane economista morì impiccato), nel corso del quale Christine Lagarde la minacciò di sanzioni e isolamento se non cambiava politica economica. In quell’occasione la Kirchner disse: “Preferisco avere un’inflazione altissima e spropositata se so che la disoccupazione dal 34% è scesa al 3,5%; che la povertà è diminuita del 55%; che il pil viaggia di un +8% annuo; che la produttività industriale è aumentata del 300%; che c’è lavoro in Argentina, c’è mercato per tutti, e il mio popolo è molto ma molto più felice di prima, piuttosto che avere un’inflazione del 3% come in Italia, dove c’è depressione, disperazione, avvilimento e l’esistenza delle persone non conta più. E questa è un’affermazione politica. Di principio e sostanziale. Non lo ha ancora capito?”
Sembra che non lo abbia capito.
Sembra che non lo abbiano capito neppure gli italiani.
La crisi economica è uno specchietto per le allodole.
Si tratta di uno scontro micidiale politico tra due diverse modalità, totalmente contrapposte, di interpretare l’esistenza. E in questo scontro, l’economia, lo spread, ecc, sono semplicemente uno strumento di minaccia e ricatto per far passare un disegno politico di espoliazione, espropriazione e schiavizzazione degli esseri umani in Europa.
Altrimenti non si chiamerebbe Guerra Invisibile. Perché non si vede.
Non è certo un caso che la cupola mediatica, in Italia, abbia scelto di non acquistare i diritti per trasmettere le puntate della telenovela delle Due Cristine. Meglio che nessuno la veda.
Ed è meglio anche che nessuno sappia nulla dei limoni, dei verdi tedeschi, ma soprattutto che non venga né detto, né spiegato, né tantomeno mostrato, come se la passano quelle nazioni che hanno avuto l’ardire e l’ardore di dire no all’austerità, no alla sudditanza nei confronti dei colossi finanziari, ma soprattutto no ai diktat delle banche centrali.
Mentre da noi Monti & co. officiano continue messe da requiem dell’ingegno, della creatività, del lavoro e della voglia e bisogno di imprendere della nazione, da qualche altra parte del mondo si balla il tango e la milonga, e ci si sente vivi. Sono molto più poveri di noi, hanno molto meno di noi, sono molto meno ricchi di noi.
Eppure, sono molto ma molto più felici.
Non è questo, dopotutto, che conta nella vita dei popoli e delle nazioni Fonte:fermiamolebanche.blogspot.it - Scritto da: Sergio Di Cori Modigliani.



sabato 29 settembre 2012

Superare il trauma del 15 Ottobre. Basta alibi, mobilitiamoci contro governo e BCE


di Alfio Nicotra


Oggi a Lisbona scendono in piazza contro il governo di destra/Bce: sono previste un milione di persone. Domani 30 settembre a Parigi scenderanno in piazza decine di migliaia di persone per chiedere il referendum sul fiscal compact e il ritiro di alcuni provvedimenti antipopolari del governo socialista/Bce. Lo scorso fine settimana, e per tutta questa settimana , è toccata alla Spagna e alla Grecia tenere testa ai loro governi filo Bce e dire forte che  l’Europa dei popoli non ci stà. Rivolgo un appello alle forze che il 15 ottobre 2011 promossero la manifestazione degli indignados a Roma. Quella manifestazione fu oggetto di un assurdo scontro interno “a chi l’aveva più lungo”, con incredibili diatribe sul chi- audace e rivoluzionario-  voleva andare davanti ai palazzi del potere e chi –pecora e moderato – voleva “passeggiare” fino a piazza San Giovanni. Oggi sappiamo che l’esito di quella manifestazione – la più grande del mondo come partecipazione – è stata la totale impunità consentita al governo Monti di fare carne di porco dei diritti e della Costituzione e che davanti ai palazzi del potere non c’è più nessuno. Non si costruisce un movimento antiliberista senza pratiche inclusive, democraticamente discusse, senza il metodo del consenso e il rispetto tra le varie anime. Così come non si costruisce un movimento antiliberista facendo solo dei bei seminari che ci spiegano che dovremo mobilitarci ma non mettere in agenda nessuna mobilitazione. Il tempo delle parole è scaduto. Alla solitudine di chi è massacrato dalle politiche del governo Monti/Bce bisogna dare una risposta politica e di movimento : non è tollerabile rimanere, unico Paese in Europa, con le mani in mano. Per questo mi rivolgo agli organizzatori del 15 ottobre 2011 affinché abbiano il coraggio di riunirsi, di trovare insieme le capacità di mobilitare il Paese. Forse queste organizzazioni si sono dimenticate la piattaforma con la quale invitarono migliaia di persone a venire a Roma. In essa si leggeva:
Commissione Europea, governi europei, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale,  multinazionali e poteri forti ci presentano come dogmi intoccabili il pagamento del debito, il pareggio del bilancio pubblico, gli interessi dei mercati finanziari, le privatizzazioni, i tagli alla spesa, la precarizzazione del lavoro e della vita.
Sono ricette inique e sbagliate, utili a difendere rendite e privilegi, e renderci tutti schiavi. Distruggono il lavoro e i suoi diritti, i sindacati, il contratto nazionale, le pensioni, l’istruzione, la cultura, i beni comuni, il territorio, la società e le comunità, tutti i diritti garantiti dalla nostra Costituzione. Opprimono il presente di una popolazione sempre più impoverita, negano il futuro ai giovani.
Non è vero che siano scelte obbligate. Noi le rifiutiamo. Qualunque schieramento politico le voglia imporre, avrà come unico effetto un’ulteriore devastazione sociale, ambientale, democratica. Ci sono altre strade, e quelle vogliamo percorrere, riprendendoci pienamente il nostro potere di cittadinanza che è fondamento di qualunque democrazia reale.
Non vogliamo fare un passo di più verso il baratro in cui l’Europa e l’Italia si stanno dirigendo e che la manovra del Governo, così come le politiche economiche europee, continuano ad avvicinare. Vogliamo una vera alternativa di sistema. Si deve uscire dalla crisi con il cambiamento e l’innovazione. Le risorse ci sono.
Si deve investire sulla riconversione ecologica, la giustizia sociale, l’altra economia, sui saperi, la cultura, il territorio, la partecipazione. Si deve redistribuire radicalmente la ricchezza. Vogliamo ripartire dal risultato dei referendum del 12 e 13 giugno, per restituire alle comunità i beni comuni ed il loro diritto alla partecipazione. Si devono recuperare risorse dal taglio delle spese militari. Si deve smettere di fare le guerre e bisogna accogliere i migranti.
Le alternative vanno conquistate, insieme. In Europa, in Italia, nel Mediterraneo, nel mondo. In tanti e tante, diversi e diverse, uniti. E’ il solo modo per vincere.
Poche parole che alcuni, in omaggio all’assurdo posizionamento interno al movimento, definirono generiche ma che , rileggendole ad un anno di distanza, sono di tutt’altro segno.
Sottolineo volutamente inoltre  che questo impegno solenne che prendemmo allora era contro qualunque schieramento avesse voluto imporre quelle politiche. E’ un impegno che non abbiamo esaudito. Le pur generose iniziative del 27 ottobre prossimo a Roma del movimento No Debito, e la tre giorni del 10+10 di Firenze nel decimo anniversario del primo social forum europeo – iniziative entrambi alle quali parteciperò - non soddisfano da sole questa fondamentale esigenza di far si che anche dall’Italia arrivi una risposta ai diktat padronali ed europei. Superare la sindrome del post 15 ottobre è diventata una esigenza non più rinviabile. Ognuno di noi non si nasconda dietro le sue paure. Lavoriamo per ricostruire quello spirito perché solo dal basso sarà possibile far nascere una alternativa.

venerdì 28 settembre 2012

Falsari sbugiardati. Agghiaccainte. Terrorismo di stato in Europa

di Fulvio Grimaldi da Mondocane (via ComeDonChisciotte)



Dobbiamo tenere e dominare Atene. Sarebbe ottimo riuscirci senza spargimento di sangue, ma anche con, se fosse inevitabile. (Winston Churchill all’epoca della resistenza del Fronte di Liberazione Nazionale)

Politici e pannolini dovrebbero essere cambiati frequentemente, entrambi per le stesse ragioni.
(José Maria de Eca de Queiroz)

I problemi del mondo non potranno mai essere risolti da scettici o cinici, i cui orizzonti sono limitati dalle realtà ovvie. Abbiamo bisogno di uomini che sappiano sognare di cose mai esistite.
(John Keats)

L’Occidente ha vinto il mondo non con la superiorità delle sue idee, religioni, valori, ma piuttosto con la sua superiorità nell’applicare violenza organizzata.
(Samuel Huntington, “Lo scontro di civiltà”)

In Belgio i compagni manifestano per la Siria


Madrid, martedì 25/9/12


Oggi parliamo della cosa più urgente e necessaria del mondo: lo smascheramento del complotto mediatico occidentale per ingannare l’opinione pubblica sul crimine più efferato in corso: la guerra alla Siria dopo quella, identica nelle forze in campo e nelle motivazioni, alla Libia e all’Iraq. Qualcuno di molto attento ha raccolto una montagna di documenti che svelano definitivamente di che pasta sia fatta l’informazione main stream, e di quali colpe contro la verità e, quindi, contro l’umanità siano investiti i papagalli delle apparenti opposizioni. Mettete da parte i documenti fotografici, di cui qui c’è spazio solo per pochi tra le migliaia, e utilizzateli. E’ un arma decisiva, per la Siria, per tutti noi.



Espana de piè
Prima, però, due righe sui combattenti di Spagna. Da Madrid a tutto il paese 12 manifestazioni di massa. Davanti alla lotta per il diritto di piazza e di espressione politica contro gli affossatori della Spagna, agli scioperi in Grecia, alle nuove mobilitazioni degli Occupy Wall Street e alle manifestazioni della galassia antiguerra ANSWER in 20 città Usa contro le guerre di Obama, cosa succede da noi? Proteste sacrosante, quotidiane, di mille realtà sofferenti separate, deboli e isolate, che nessuna forza come Indignados, Syriza, Occupy, si preoccupa di unificare in un’unica marcia contro il Potere e che quindi scorrono sulle facciate dei robot mannari di regime come gocce di pioggia sui vetri. Noi, intossicati fino alla paralisi dalla diserzione di tutte le sinistre e sedicenti tali, davanti agli sterili onanismi di “nuovi soggetti politici” fatti di pura velletarietà, che compaiono, starnazzano, spariscono; noi, ammutoliti davanti all’enormità della corruzione mafiosa nella quale sprofonda il paese con tutte le sue istituzioni, compreso il centro nevralgico Vaticano, a evidente vantaggio della tecnodittatura antipolitica bocconian-bancaria che si pretende fuori dal verminaio partitico e dalla sua corruzione.

Fuori dal verminaio e dalle sue pratiche, rispetto alle quali il citatissimo “basso impero” fa la figura di un concentrato di virtù, ma a capo di un progetto in corso d’opera la cui corruzione è la peggiore di tutte: ontologica, con mire millenariste planetarie, escatologiche, a paragone della quale Polverini, Formigoni, Penati, Lusi, il mignottame berlusconiano e le loro schiere politiche, sono ladri di polli. E anche i trascorsi disumani fascisti sfigurano un po’.
A Madrid, all’ora attuale, 70 feriti e decine di arrestati dalla violenza, sacrosantamente contrastata (come da noi i soli No Tav), delle orde in divisa degli avvoltoi lanciati sulla Spagna dalla criminalità organizzata di Francoforte e Bruxelles (ma chi tira le fila sta a Washington e Tel Aviv). Una ferocia repressiva che si spera adeguata a liquidare la portata rivoluzionaria degli obiettivi delle centinaia di migliaia che assediavano il Congresso (parlamento) e le città spagnole nel nome dei cittadini sociomassacrati e desovranizzati: la dissoluzione dei poteri dello Stato e un’Assemblea Costituente. Come nel migliore Egitto, come in Bolivia, Venezuela, Ecuador, Nepal, India, nella Cuba del Che. La risposta della Delegada de Seguridad de Madrid, Cristina Cifuentes, la locale Cancellieri: “i manifestanti sono golpisti, circondare il parlamento e disturbarne le sedute è un crimine”.


 “Giovane rivoluzionario” alla pulizia etnica di cristiani e patrioti in Siria
Il Photoshop all’epoca del terrorismo mediatico: sconvolgenti falsificazioni

In Siria, più la situazione delle forze e delle strategie in campo si va chiarendo, più traspare la verità del complotto sion-imperial-salafita, a volte con il vanto delle stesse centrali della cospirazione, come il Mossad e la Cia, a volte con gole profonde eterodosse delle amministrazioni, con le ammissioni di settori di stampa sopraffatti dall’evidenza, con la cattura di comandanti turchi delle svariate e rivaleggianti bande di mercenari salafiti, o con la scoperta di spedizioni d’armi e di contractors sia occidentali (anche italiani, sul modello dei delinquenti alla Quattrocchi), sia trasferiti in massa da scenari insanguinati da Nato-Al Qaida in Afghanistan, Cecenia, Libia, Iraq, Pakistan, Yemen. La Siria, il suo popolo, le sue forze armate, alla difesa dell’ultima casamatta libera, sovrana, indomita della nazione araba, continuano a vincere il confronto militare: cittadini soldati in difesa della patria, della dignità, della vita, della libertà, contro gli sgherri al soldo della globalizzazione cannibalica, a nome di tutti noi. Attentati stragisti, pulizia etnica di centri abitati, spesso cristiani, come ieri al confine con il Libano (e il Papa salmodia contro Assad!), massacri di donne e bambini da attribuire al governo, sono diventati la risposta di Washington, Bruxelles, Tel Aviv e dei despoti del Golfo, alla sconfitta militare. Con il terrorismo reso endemico, alimentato a bassi costi dagli esperti dell’11 settembre e degli assassinii mirati Cia-Mossad e di difficilissimo contenimento da parte di chi si rifiuta di reagire con gli stessi metodi, la vicenda siriana dovrebbe essere destinata a incancrenirsi e assicurare nel tempo, se non la conquista del paese e il rovesciamento delle sue istituzioni, la loro perenne destabilizzazione, il caos, la cancellazione del ruolo sociale, politico, geostrategico della Siria. Un ostacolo di meno alla marcia degli stivali nazisionisti sull’Iran.
E su questo sfondo che il lavoro di smantellamento del gigantesco menzognificio operato per giustificare lo Staticidio in Siria, diventa un’arma irrinunciabile e, nel tempo, decisiva perché si lacerino nebbie accecanti e popoli e classi prendano coscienza e si muovano. Come ai tempi delle vittorie sul primo colonialismo. A Damasco, come a Belgrado, a Baghdad, a Tripoli, il terrore della verità giustiziera impone l’obiettivo dell’annientamento dell’informazione dell’aggredito: bombe su centri televisivi, assassinio di giornalisti non venduti ad Al Jazira e Al Arabiya, cancellazione delle emittenti siriane dai satelliti. Il 26 settembre è stato assassinato il 12esimo giornalista che riferiva in termini onesti sulle vicende siriane: Maya Nasser, inviato dell’emittente iraniana “Press TV. Dalle fucilate del cecchino è rimasto ferito anche il capo dell’ufficio di corrispondenza a Damasco, Hosein Mortada. Numerosi sono stati i giornalisti rapiti, torturati e uccisi dai mercenari. Qui Ali Abbas, della TV indipendente Adunia Il 26 settembre è stato assassinato il 12esimo giornalista che riferiva in termini onesti sulle vicende siriane: Maya Nasser, inviato dell’emittente iraniana “Press TV. Dalle fucilate del cecchino è rimasto ferito anche il capo dell’ufficio di corrispondenza a Damasco, Hosein Mortada. Numerosi sono stati i giornalisti rapiti, torturati e uccisi dai mercenari. Qui Ali Abbas, della TV indipendente Adunia Il 26 settembre è stato assassinato il 12esimo giornalista che riferiva in termini onesti sulle vicende siriane: Maya Nasser, inviato dell’emittente iraniana “Press TV. Dalle fucilate del cecchino è rimasto ferito anche il capo dell’ufficio di corrispondenza a Damasco, Hosein Mortada. Numerosi sono stati i giornalisti rapiti, torturati e uccisi dai mercenari. Come Ali Abbas, della TV indipendente Adunia 

      
 Ma, inesorabilmente, la forza delle cose apre delle crepe. Chi legge queste mie righe su FB, per vedere i documenti fotografici vada su www.fulviogrimaldicontroblog.info. Agghiacciante esempio della deontologia di chi, su un set cinematografico del Qatar, aveva già costruito e poi diffuso nel mondo una Piazza Verde di Tripoli “conquistata dai ribelli”. Goebbels, con i suoi finti soldati polacchi che sparano sui tedeschi e provocano la Seconda Guerra Mondiale, era a livello di sorpresine Kinder. Il materiale che vedrete, perlopiù prodotto e diffuso da emittenti del Golfo è stato sistematicamente, acriticamente e volenterosamente recepito e ridiffuso dai media occidentali, quelli del mondo della democrazia e della libertà d’informazione.


Vittime di Gaza “trasferite” in Siria

Vittime Nato in Iraq “trasferite” in Siria

Manifestazione per Assad diventa contro Assad, il cui volto viene sfregiato

 Una famiglia in fuga dalle bombe di Assad, o una famiglia in tranquillo cammino?

Sfilata di truppe governative diventa sfilata di “ribelli” (vedi bandiere)

 cosmesi anti-Assad: colori dei "ribelli" sulle guance

Bandiera nazionale diventa dei “ribelli”

aereo iracheno caduto diventa siriano

Il saluto ad Ahmadi Nejad, diventa il medio alzato contro di lui

Gaza diventa Siria

Elicottero Usa abbattuto in Afghanistan, diventa siriano

Casa crivellata di Gaza diventa casa bombardata da Assad

Missili nordcoreani si trasformano in siriani

Palestina, bimba e tank israeliano trasferiti in Siria


Balcani 1995  ma, per l’agenzia del Qatar, 2012 Siria

Sangue a Gaza divenuto siriano

Aereo russo caduto nel Caucaso diventa siriano e ricade in Siria

Bombardamenti Nato trasformati in siriani

Coppia in fuga dalle bombe di Assad, o coppia in tranquillo cammino?


Arte di strada a San Francisco diventa beffa  su casa "distrutta da Assad"

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Con un'informazione libera l'Italia cambierebbe in 24 ore. I giornalisti italiani si suddividono in tre categorie: gli indipendenti (pochi, eroici e spesso emarginati), gli schiavi (tantissimi, sfruttati e pagati 5/10/20 euro a pezzo) e i Grandi Trombettieri del Sistema, nominati in posizioni di comando dai partiti e dalle lobby (direttori di testata, caporedattori, grandi firme, intellettuali per meriti sul campo). Sabato scorso a Parma tecnici e esperti hanno discusso per ore di inceneritori, dei danni alla salute, della loro assoluta inutilità, di rifiuti zero, dei tre miliardi di debiti di Iren, società quotata in Borsa e posseduta in maggioranza dai Comuni targati pdmenoelle. Nulla di tutto questo è stato riportato. La piazza vuota, semi vuota, quasi piena è stato l'unico argomento di interesse (in piazza della Pace erano presenti 3.000 persone e decine di migliaia erano collegate in streaming). Parlare d'altro per non parlar di niente.
Il conflitto di interessi tra informazione e potere economico e politico è diventato insopportabile. La maggior parte degli italiani è informata da sette televisioni e tre giornali. Rai1, Rai 2 e Rai 3 sono occupate dai partiti, Canale 5, Italia 1 e Retequattro sono di proprietà di Berlusconi, a capo di un partito, la7 appartiene a Telecom Italia. La Repubblica è di De Benedetti, tessera numero uno del Pdmenoelle, La Stampa è della famiglia Agnelli, gli azionisti di riferimento del Corriere della Sera sono le banche e Confindustria. Siamo manipolati dai partiti, dalle banche e dalle industrie che, attraverso i media, stravolgono la realtà. L'Italia è un'Isola dei Famosi, un reality show di sessanta milioni di persone che ascoltano favole, racconti fantastici in dosi così massicce e da così lungo tempo da aver trasformato il Paese in un gigantesco Truman Show in cui la verità è menzogna e la menzogna è verità. Più il Sistema si decompone, più i media ne diventano l'ultimo feroce baluardo (dopo infatti non c'è più alcuna difesa) perdendo ogni ritegno e vergogna. Gli attacchi al MoVimento 5 Stelle sono diventati parossistici, quotidiani, bipartisan, falsi, con notizie inventate di sana pianta, diffamatori verso chi non ha mai governato, rubato, che non candida condannati, non vuole poltrone o rimborsi elettorali. Il gioco al massacro è così chiaro, evidente da essere diventato imbarazzante, paradossale, quasi comico per chi lo pratica.
Beppe Grillo (topperà tante volte, ma qui ha le ragioni che tutti gli altri non dicono).



mercoledì 26 settembre 2012

Avete un'idea di quello che sta realmente accadendo in Grecia?

Il Blogger greco Keeptalkingreece racconta gli ultimi giorni in Grecia, le difficoltà della gente, le proteste, i sussulti (o l'agonia) del governo

da investireoggi 


20 settembre 2012 – La mattina inizia con la metropolitana, il tram e il treno urbano in sciopero. Gli 800-900 mila residenti ad Atene sono costretti a cercare vie alternative per andare al lavoro. Coloro che ancora hanno un lavoro. Perché, secondo i dati ufficiali, quasi un greco su quattro non ha un lavoro e non ha reddito. Molto probabilmente non ha neanche un auto.

Questo giovedì mattina si è scoperto che la maggior parte di questo gruppo sociale privilegiato ha anche una macchina. La gente ha usato l’auto per andare al lavoro. E si è trovata bloccata nel traffico.
 

Colloqui sull’Austerità

La giornata è proseguita con il tentativo della leadership politica e del team che guida l’economia di ‘chiudere’ il pacchetto di austerità di 11,5 miliardi di euro – come condizione della Troika per assegnare la tranche di 31 miliardi di salvataggio.

Sembra che ci sia un certo disaccordo tra i partner del governo sulle misure, tra il governo e la troika, e tra la stessa troika.

Le ulteriori misure non portano al risultato essenziale. La Troika vuole misure di risparmio di 11,5 miliardi di euro. Il governo greco non è attualmente in grado di presentare più di 9-9,2 miliardi di euro. Troppe obiezioni da parte dei due partiti della coalizione di governo PASOK e Sinistra Democratica. Come ha accennato il Ministro delle finanze Stournaras, la tranche e le misure per il momento potrebbero essere ridotte. E la differenza (misure per 2-2,5 miliardi di euro) potrebbe arrivare in seguito, insieme al resto della tranche del salvataggio.
 

Pacchetto di Austerità e Tranche del Salvataggio

Da questi 31 miliardi, il mio vicino di casa o mio padre non vedranno nulla. Saranno spesi per la ricapitalizzazione delle banche e dei debiti statali in essere verso i creditori privati.

Mio padre è un pensionato da 600 euro al mese. Egli non ha alcun debito da rimborsare, né ha in programma di indebitarsi. Né per scopi privati, né a fini commerciali. Mio padre non è mai stato coinvolto in affari con lo stato come fornitore di qualsiasi tipo. Così, pensa che non avrebbe alcun guadagno dal piano di salvataggio. Tuttavia, egli è chiamato a pagare più tasse (1.000 E per il 2012 e 500E in anticipo per il 2013). Quando è andato all’ufficio delle imposte per fare un accordo, ha detto loro che a causa di due operazioni di cancro e un pacemaker impiantato da poco aveva buone probabilità di essere un contribuente … morto nel 2013.

Il mio vicino è senza lavoro. Anche lui ha figli e una moglie che porta a casa 900 euro. Nemmeno lui crede che il piano di salvataggio potrebbe contribuire a costruire un futuro per i suoi figli, come propagandato dal governo. Infatti, l’uomo è disperato. Dopo forti pressioni da parte di sua moglie e dei suoi familiari, ha cercato un neurologo. Gli ha diagnosticato ‘depressione’. L’uomo sta a casa tutto il giorno, non parla, non mostra alcun interesse. Come parte della terapia il medico gli ha proibito di guardare la televisione e sicuramente non le notizie di prima serata. La sua famiglia è in ansia per il progresso della sua malattia. E che potrebbe fare qualcosa di inaspettato …
 

Proteste

Questa mattina 26 settembre 2012, poliziotti, pompieri e guardie costiere in protesta hanno avuto un assaggio di quel che migliaia di manifestanti stanno inalando da due anni. Hanno respirato i gas lacrimogeni. Da parte dei colleghi della polizia antisommossa. Non era mai successo prima. Ma per ogni cosa c’è una prima volta.

Allo stesso tempo, marinai e metalmeccanici hanno fischiato il ministro delle finanze Yiannis Stournaras che ha avuto l’idea geniale di scendere in mezzo alle masse dei manifestanti anti-austerità e anti-tagli-salariali.

Anche i giudici sono in una sorta di ‘sciopero’ e si rifiutano di portare il lavoro a casa, e di fare gli straordinari. E se questo non bastasse – udite! udite! – vogliono avere degli uffici nei tribunali, e quindi i computer e l’accesso ai data base! Essi ritengono che i loro imminenti tagli salariali siano contro la Costituzione, che prevede che i loro stipendi siano equivalenti a quelli dei parlamentari. “Se i nostri salari sono da tagliare lo stesso dovrebbe accadere agli stipendi dei parlamentari” dicono, cosa del tutto corretta!

Allo stesso tempo, ci sono piccole notizie che rendono la zuppa dell’austerità più piccante: per esempio, i proprietari degli autobus turistici assegnati per il trasporto degli alunni alle scuole a partire da domani fermeranno i loro servizi in Attica. A causa dei debiti in sospeso dello stato.
 

Sanità? Quale sanità?

Ai Medici ospedalieri di Stato non sono stati pagati gli straordinari da diversi mesi.
I dipendenti dei centri diurni per l’Alzheimer negli ultimi sei mesi non sono stati pagati. Un incontro con il ministro della Sanità è finito male. Sembra che il ministro ritenga che le persone dovrebbero lavorare senza paga.

Allo stesso tempo, i pazienti assicurati continuano a pagare i farmaci delle prescrizioni di tasca propria, dato che i farmacisti in 18 prefetture del paese continuano e continueranno a boicottare l’organizzazione nazionale dell’assistenza sanitaria fino al 30 settembre 2012.

PS Un’amica ha trascorso l’intera mattinata di giovedì girando più di sette farmacie al Pireo per trovare tutti insieme i cinque farmaci diversi necessari per la malattia cronica di sua madre. Non c’è riuscita. Ha trovato un farmaco in una farmacia, due in un’altra e due in un’altra. Tuttavia, non è possibile utilizzare una stessa prescrizione in diverse farmacie. Dove sono i farmaci?

Articolo originale: Do You Have an Idea What’s Really Going On in Greece?



Madrid, il giorno dopo

da contropiano
 
Dopo l'assedio al Parlamento di ieri e le brutali cariche della polizia contro i manifestanti, i portavoce dei movimenti sociali ribadiscono: basta tagli, via governo e parlamento, assemblea costituente. Stasera e sabato si torna in piazza.  
Madrid, 26 settembre. La città si risveglia tra le gocce di pioggia di una nube passeggera e la costernazione per la violenza gratuita scatenata ieri sera dalla polizia durante il presidio attorno la Camera dei deputati spagnola.

Dopo le dichiarazioni del governo che si complimentava con l'operato delle forze dell'ordine, i vertici del movimento "25-S" promotori della manifestazione "Rodear el Congreso" (Circondare la Camera) hanno ritenuto opportuno tenere una conferenza stampa per difendere la propria posizione e rilanciare le accuse e le richieste ad un governo che si dimostra ogni giorno più incapace di fronteggiare la crisi.

L'organizzazione è quanto di più spartano possa esserci: un tavolino posizionato su un largo marciapiede, di fronte la Fuente de Neptuno che dà il nome alla piazza dove ieri sera sono avvenuti gli scontri e i pestaggi. La polizia avanza la pretesa di identificare coloro che prenderanno la parola: ottengono i loro nomi, tra i fischi e le contestazioni dei presenti, giornalisti compresi. Ma è solo un'altra dimostrazione di dignità da parte di chi non ha niente da perdere, di chi si sente nel giusto e non ha paura di metterci la faccia.

Parlano innanzitutto di quanto è accaduto ieri sera. Rivendicano la loro innocenza, testimoniata da ognuna delle riprese video che girano sul web. E denunciano le ferite e le contusioni subite da decine di manifestanti. Manifestanti pacifici, di ogni estrazione sociale: studenti e pensionati, operai e piccoli imprenditori, e soprattutto disoccupati.

Il corteo è stato pacifico per tutto il tempo. Molti, anzi, sono stati i cori rivolti verso la polizia per incitarla ad unirsi alla protesta. Verso le 19 di sera sono stati lanciati alcuni frisbee e qualche bottiglietta di plastica vuota in direzione delle forze dell'ordine. Tanto è bastato per far scattare dall'alto l'ordine di caricare i manifestanti. 6000 in tutto secondo il delegato del governo nella capitale (a Madrid governano i popolari, il partito di Rajoy), molti di più a quanto risulta dalle foto che ritraggono piazze e strade affollate.

Passando ai motivi delle proteste, durante la conferenza stampa gli attivisti dichiarano che sono gli stessi di sempre, ormai chiari quanto ovvi per chiunque: i tagli del governo centrale colpiscono tutti gli ambiti della società tranne le banche, alle quali anzi vengono destinati i pochi fondi rimasti e gli aiuti europei. “Che la paghino i ricchi la crisi, non noi”. Il governo è ritenuto illegittimo, nonostante sia passato per regolari elezioni, a causa dell'alto tasso di astensionismo. Per questo, e per la sua incompetenza, viene invitato a dimettersi quanto prima. Ricordano parole già sentite in Italia, ma qui a Madrid ci sono manifestazioni quasi ogni giorno. La prossima è già stata convocata per stasera alle 19, e un’altra ancora per sabato.

Infine i rappresentanti dei movimenti sociali non parlano di proposte di legge, ma avanzano una richiesta ancora più radicale, peculiare rispetto ai vari movimenti di protesta sorti in altri Paesi: l'inizio di processo costituente che porti alla promulgazione di una nuova Costituzione. Quella attuale è stata epurata da ogni significato, commissariata dalla Troika europea, che guarda soltanto ai conti e non alle persone.

Questa Unione Europea non piace a nessuno, perlomeno non così come è ridotta oggi. 


Mosca e Tehran rompono il monopolio Usa negli scambi sulle materie prime

Una decisione che avrà conseguenze non da poco sui rapporti diplomatici (e non solo) tra le grandi potenze. Un nuovo passaggio verso un mondo sempre più multi-polare.

di  Tommaso De Berlanga (il Manifesto)

La «guerra delle monete», denunciata dal ministro delle finanze brasiliano, Diego Mantega, una settimana fa, dopo i quantitative easing decisi quasi in contemporanea dalle principali banche centrali del pianeta (Europa, Usa, Giappone, Inghilterra) si arricchisce di una battaglia potenzialmente decisiva. La Cina ha reso noto che dal 6 settembre sta pagando in yuan il petrolio che compra da Iran e Russia.

Che c’è di male? Nulla. Solo che la moneta regina degli scambi nel mercato delle materie prime è da oltre 60 anni il dollaro. Non basta. La materia prima più scambiata a mondo è ovviamente il petrolio. Conseguenza logica (storica, politica, geostrategica): del dollaro si può fare a meno, se c’è un’alternativa. Che non è l’euro, ed anche questo ha la sua sporca importanza.
I dirigenti del Pcc cinese sono proverbiali per la loro prudenza. Non solo perché non è loro intenzione irritare oltre misura gli Stati uniti, notoriamente fumantini quando si mette in discussione con i fatti il loro dominio globale. C’è la ragione molto più prosaica che la Cina è anche il primo creditore degli Usa, e non le conviene affatto far «deprezzare» violentemente la moneta di cui detiene quantità immense nei propri forzieri. Eppure, hanno messo in essere il primo gesto esplicito che conduce dritto al taglio di una delle gambe su cui si fonda il potere globale Usa: il dollaro. L’altra è la potenza militare, con tanto di supremazia tecnologica. La prudenza, perciò, è un obbligo.
Cos’ha di particolare il dollaro? È l’unica moneta al mondo che può essere stampata in quantità arbitrarie senza intaccare più di tanto il suo valore. È così dall’estate del 1971, quando Richard Nixon «il bugiardo» revocò la convertibilità tra dollaro e oro su cui si reggevano gli accordi di Bretton Woods, del ’44. Da allora l’America scarica sul resto del mondo tutti i propri problemi: stampa dollari e gli altri paesi se li prendono come se fossero una «moneta rifugio». Un surrogato dell’oro, ma «creabile» in tipografia, senza i fastidiosi limiti della natura fisica.
Sull’isola di Kish, nel Golfo Persico, a pochi chilometri dalla costa iraniana, gli ayatollah hanno creato oltre un anno fa la prima borsa petrolifera con le quotazioni non espresse in dollari, Chi ha sottovalutato la portata del gesto ha fatto male i conti. Che il mercato delle materie prime diventi un luogo in cui «più monete gareggiano» – ci scusi Mao Zedong per la parafrasi – è qualcosa di più di un gesto simbolico. È la creazione di una circolazione alternativa, di una «via di fuga» per monete nazionali – o continentali – che rischiano sempre di essere strozzate dalle oscillazioni «politiche» del dollaro.
Non è difficile immaginare che molto presto – questione di settimane, non di mesi – per altre materie prime minerali, estratte da altri paesi in altri continenti, si potrà fare una scelta simile. Vale per l’America Latina che da tempo ha scelto di «autonomizzarsi» dall’invadente e invasore vicino del Nord. Vale per l’Africa, che da altrettanto tempo si vede attraversare da guerre per delega, in territori ricchi nel sottosuolo, senza mai vedersi restituire alcunché in termini di infrastrutture stabili. Quelle infrastrutture che i cinesi costruiscono oggi quasi come un omaggio, che diventerà un vincolo nel prossimo futuro.
Qualcosa si sta rompendo nell’ordine globale. E non era previsto, quando la globalizzazione era ancora saldamente nelle mani dell’Occidente.


martedì 25 settembre 2012

SOGGETTO POLITICO NUOVO La nostra lista arancione ALBA – Comitato Esecutivo Nazionale

Non una lista della sola Alba, nessuna riedizione dell’Arcobaleno. Una nuova rappresentanza di lavoro e beni comuni. Primo impegno le firme per i referendum
 
 
È arrivato anche per noi il momento di prepararci a saltare (Hic Rhodus, hic salta…). Di prepararci cioè a decidere sul che fare in vista delle elezioni politiche, con una discussione all’altezza dei propositi del nostro manifesto, che non ne tradisca né il merito né il metodo. Da Parma in poi abbiamo detto che non stiamo con il Pd che sostiene Monti, né nelle sue primarie prive di un orizzonte decente di contenuti; che vogliamo costruire un’alternativa a questo governo, al neoliberismo e alle politiche di austerità europee.
Diciamo subito che questa discussione non parte da zero. Che alcuni punti fermi già ci sono:
1. La questione dell’urgenza. Abbiamo detto che ci muovevamo perché avvertivamo che non c’era più tempo. Che la crisi dei partiti tradizionali aveva raggiunto un punto tale da minacciare di contagiare le istituzioni e la stessa democrazia.
2. Il rifiuto di un nuovo partitino. Un “soggetto politico nuovo”, non un “nuovo partito politico” per dire che si voleva avviare un processo di cambiamento radicale e totale nel modo di costruire e concepire la rappresentanza, non dare vita a una nuova micro-formazione tra le altre.
3. Il metodo è il contenuto. Abbiamo ripetuto fino alla noia che la nostra identità consisteva nella volontà di uno stile diverso di fare politica, altri valori, certo, ma anche altri metodi.
Ora, questi tre punti, ci dicono che cosa non possiamo fare.
1. Non possiamo far finta di niente. Non possiamo “saltare un giro”. La crisi della politica è talmente profonda che apre uno spazio immenso: c’è oggi una massa di elettrici ed elettori “liquida”, in uscita massiccia dai contenitori tradizionali. Questa “liquidità” politica è insieme una risorsa e una minaccia. Saltare l’agenda elettorale dei prossimi mesi comporta il rischio di non esistere nel momento forse più importante della nostra storia repubblicana.
2. Non possiamo coltivare il “peccato” dell’autosufficienza. Non possiamo cioè pensare a una “lista Alba”, né possiamo veicolarci nei e con i partiti esistenti. La situazione non offre spazi a una soluzione identitaria e non siamo nati per questo.
3. Non vogliamo un’altra “sinistra arcobaleno”. Un assemblaggio di sigle e partitini messi insieme con riunioni di vertice, accordi di segreteria e manuale Cencelli.
4. Non vogliamo affrontare la questione elettorale partendo dal tema delle alleanze e delle variabili delle leggi elettorali, ma partendo dai contenuti, dal progetto e dalle forme radicalmente nuove di pratica politica.
5. Non possiamo utilizzare i vecchi schemi. Siamo tra coloro che elaborano un’altra idea di come uscire dalla crisi economica, contenuti alternativi al pensiero neoliberista dominante. Abbiamo anche chiaro che la crisi non è solo di “economia” ma di cultura e di democrazia, in questa fase costituente del neoliberismo, che mira a liberarsi insieme della mediazione con il lavoro e della democrazia
Dentro queste coordinate ogni soluzione è aperta, affidata alla discussione che condurremo collettivamente. Tutto è affidato alla nostra capacità di dar vita a una discussione e a un’elaborazione davvero collettiva, nelle prossime settimane.
La proposta su cui intendiamo confrontarci e lavorare è la presentazione alle elezioni di una lista di democrazia radicale, una lista “arancione”, per un’altra Europa, antiliberista, per il lavoro e per i beni comuni, per la giustizia ambientale e sociale. Una lista che dia voce a quell’Italia vasta, tutt’altro che minoritaria, che tra il 2010 e il 2011 ha mosso il paese e prodotto la rottura culturale vera con il berlusconismo.
Non pensiamo a una lista della sola “Alba”, sappiamo che tante e tanti altri stanno elaborando idee, praticando relazioni politiche e conflitti sociali. Pensiamo alle battaglie della Fiom e dei No-Tav, a quelle del Teatro Valle o del Macao per l’autogestione degli spazi comuni, alla proposta di De Magistris, alle riflessioni di Micromega, agli appelli che stanno uscendo da più realtà.
Proponiamo di ripartire dal lavoro, dalla difesa dei suoi diritti e della sua dignità. Dal lavoro inteso come relazione politica complessiva, appartenenza a una comunità, cioè capace di riconsiderare i tempi della produzione e della riproduzione, la cura del lavoro e il lavoro di cura, i ruoli e le relazioni fra i generi.
Questa non è tanto o solo un’alternativa “di sinistra”, è qualche cosa che può parlare a un mondo molto più vasto. L’opposto del minoritarismo, costruzione di nuova egemonia. Dobbiamo puntare altissimo, non esiste una via di mezzo.
Per questa proposta è di fondamentale importanza la campagna referendaria che sta aprendosi. Un’azione diffusa di presa di coscienza popolare, che riempia della realtà della democrazia i mesi che precedono la campagna elettorale.
Alla fine di questo percorso dovremo valutare insieme le risposte che avremo, il grado di coinvolgimento realizzato.
Possiamo e dobbiamo verificare l’esito di questo percorso con gli strumenti democratici che sono già elementi fondanti della nostra bozza di statuto, ovvero con una consultazione vincolante referendaria.
Soltanto dopo questo indispensabile percorso aperto di verifica affronteremo la questione delle alleanze, anche in base alla legge elettorale che ci sarà.
Un’ultima considerazione: è vero che una lista non è un soggetto politico. Essa può costituire tuttavia un passo avanti nel processo di costruzione della nuova soggettività politica. Proprio per questo si richiedono regole nuove e radicalmente democratiche per selezionare candidature, incarichi, funzioni. Mettiamoci in cammino.
 

Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...