martedì 3 marzo 2009

Dr House Vs Madre Teresa di Calcutta


di Franco Cilli  

Ho appena finito di vedere l'ultimo episodio della serie televisiva House MD. Alla fine della puntata il Dr. House  rinuncia ad assumere il metadone, un farmaco che si era rivelato estremamente efficace nel far cessare del tutto il suo dolore cronico, perchè questo aveva un tale potere euforizzante su di lui al punto da sviare le sue capacità di giudizio e condurlo a scelte sbagliate nelle diagnosi.
C'è da premettere che in un altro episodio house descrive il suo dolore come qualcosa che "quando va bene è insopportabile". Chi accetterebbe di tenersi un dolore così atroce pur di non rinunciare alla propria lucidità di giudizio? Ma soprattutto chi sarebbe tanto stolto da credere che il dolore sia un viatico indispensabile per poter vedere le cose nella loro giusta prospettiva, senza essere sviato da un innaturale quanto accecante ottimismo? E' vero, alcuni studi eseguiti su pazienti depressi rivelano che quest'ultimi tendono a valutare i fatti in termini più realistici rispetto alle persone maggiormente inclini all'ottimismo, ma non è un buon motivo per credere che soffrire le pene dell'inferno favorisca le tue capacità di giudizio.
Ma non è questo il punto. Il punto è che temo che in House inizi ad intravedersi lo svolgersi della classica parabola, la quale dopo un calvario costellato di dolore e di profondi conflitti interiori, conduce inevitabilmente alla resipiscenza e ad  una nuova consapevolezza di sè e del mondo.
Quello che mi ha sempre attratto del personaggio House è il suo assoluto disincanto, un atteggiamento che gli fa rigettare  con sarcasmo qualsiasi mitologia del cammino verso la fede e  del rinnovamento spirituale, e persino verso il cambiamento interiore tout court.
Non mi piace pensare alla serie di House come ad una sorta di romanzo di formazione. Insomma non ce lo vedo House nelle vesti dell'eroe romantico che passa da una fase di immaturità giovanile, fatta di ingenuità e aspettative vane, ad una fase della piena consapevolezza del proprio destino, sia esso tragico che eroico; e nemmeno alla favola della conquista  dell'equilibrio interiore e della saggezza attraverso un cammino sui sentieri impervi della vita, col suo fardello di dolore e con il lento  disvelamento di maschere artificiali che nasconderebbero la vera natura dell'io. Di questa mitologia si sono nutrite abbondantemente la letteratura e la psiconalisi, e la ritengo un qualcosa che fa parte dell'infanzia dell'umanità. Anche la mitologia cristiana e religiosa in generale vede nel dolore  e nella sofferenza il viatico che conduce alla vera conoscenza, che si conquista solo con "l'abbraccio di Dio", e questo abbraccio è per forza di cose un abbraccio doloroso, perchè solo il dolore ti dispensa dalla colpa orginaria dell'uomo e di da il passasporto  verso l'eternità.
House finora ha rappresentato una delle poche aree di libero pensiero, lontane dalla retorica dei buoni sentimenti, da morali salvifiche e da quel turpe immondezzaio di sentimentalismo da discount, alternato all'ottimismo beota dei "consigli per gli acquisti", che ci propina la TV. Speriamo che continui ad esserlo.

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