giovedì 28 giugno 2018

Intervista a Domenico Losurdo

Dall'intervista che chiude il mio libro L'humanité commune : Dialectique hégélienne, critique du libéralisme et reconstruction du matérialisme historique chez Domenico Losurdo (Delga, Paris 2012).

Grazie di tutto.



di Stefano Azzarà
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Azzarà - Come incide questa debolezza teorica sullo stato della sinistra attuale? L'Europa si confronta oggi con trasformazioni imponenti che stanno mutando il volto del mondo. Sono trasformazioni che riguardano i rapporti di forza internazionali sul piano politico e su quello economico, ma anche l'equilibrio tra Stato e mercato, la natura della democrazia, le grandi migrazioni. La sinistra non sembra avere oggi né idee, né prospettive politiche.

Losurdo - Con la crisi prima e col crollo poi del «socialismo reale», in Occidente e in Italia in modo particolare la sinistra ha smarrito ogni reale autonomia. Sul piano storico ha sostanzialmente desunto dai vincitori il bilancio storico del Novecento. Due sono i punti centrali di tale bilancio: per larghissima parte della sua storia, la Russia sovietica è il paese dell'orrore e persino della follia criminale. Per quanto riguarda la Cina, il prodigioso sviluppo economico che si verifica a partire dalla fine degli anni 70 non ha nulla a che fare col socialismo ma si spiega soltanto con la conversione del grande paese asiatico al capitalismo. A partire da questi due capisaldi ogni tentativo di costruire una società post-capitalistica è oggetto di totale liquidazione e persino di criminalizzazione, e l'unica possibile salvezza risiede nella difesa o nel ristabilimento del capitalismo. È paradossale, ma sia pure con sfumature e giudizi di valore talvolta diversi, questo bilancio viene spesso sottoscritto dalla sinistra, compresa quella «radicale».
Ancora più grave è la subalternità di cui la sinistra dà prova sul piano più propriamente teorico. Nell'analizzare la grande crisi storica che si sviluppa nel Novecento, l'ideologia dominante evita accuratamente di parlare di capitalismo, socialismo, colonialismo, imperialismo, militarismo. Queste categorie sono considerate troppo volgari. I terribili conflitti e le tragedie del Novecento sono invece spiegate con l'avvento delle «religioni politiche» (Voegelin), delle «ideologie» e degli «stili di pensiero totalitari» (Bracher), dell'«assolutismo filosofico» ovvero del «totalitarismo epistemologico» (Kelsen), della pretesa di «visione totale» e di «sapere totale» che già in Marx produce il «fanatismo della certezza» (Jaspers), della «pretesa di validità totale» avanzata dalle ideologie novecentesche (Arendt). Se questa è l'origine della malattia novecentesca, il rimedio è a portata di mano: è sufficiente un'iniezione di «pensiero debole», di «relativismo» e di «nichilismo» (penso al Vattimo degli anni Ottanta). In tal modo non solo la sinistra fornisce il suo bravo contributo alla cancellazione di capitoli fondamentali di storia: i massacri e i genocidi coloniali sono stati tranquillamente teorizzati e messi in pratica in un periodo di tempo in cui il liberalismo si coniugava spesso con l'empirismo e il problematicismo; prima ancora dell'avvento del pensiero forte novecentesco, la prima guerra mondiale ha imposto col terrore a tutta la popolazione maschile adulta la disponibilità e la prontezza ad uccidere e ad essere uccisi. Per di più, come medico per eccellenza della malattia novecentesca viene spesso celebrato Nietzsche, che pure si attribuisce il merito di essersi opposto «ad una falsità che dura da millenni» e che aggiunge: «Io per primo ho scoperto la verità, proprio perché per primo ho sentito la menzogna come menzogna, la ho fiutata» (Ecce homo, Perché io sono un destino, 1). Così enfatica è l'idea di verità, che coloro i quali sono riluttanti ad accoglierla sono da considerare folli: sì, si tratta di farla finita con le «malattie mentali» e con il «manicomio di interi millenni» (L'Anticristo, § 38). D'altro canto, il presunto campione del «pensiero debole» e del «relativismo» non esita a lanciare parole d'ordine ultimative: difesa della schiavitù quale fondamento ineludibile della civiltà; «annientamento di milioni di malriusciti»; «annientamento delle razze decadenti»! La piattaforma teorico-politica suggerita a suo tempo da Vattimo - ma che Vattimo stesso pare oggi mettere in discussione - mi sembra insostenibile da ogni punto di vista.
Altre correnti del pensiero dominante indicano il rimedio alle tragedie del Novecento non già nel relativismo, ma, al contrario, nel recupero della saldezza delle norme morali, sacrificate da comunisti e nazisti sull'altare del machiavellismo e della Realpolitik (Aron e Bobbio) ovvero della filosofia della storia e della presunta necessità storica (Berlin e Arendt). Nella sinistra e nella stessa sinistra radicale (si pensi a Empire di Hardt e Negri) è divenuta un punto di riferimento soprattutto Arendt. Rimossa o sottoscritta è la liquidazione a cui lei procede di Marx e della rivoluzione francese con la connessa celebrazione della rivoluzione americana (e il conseguente indiretto omaggio al mito genealogico che trasfigura gli Usa quale «impero per la libertà», secondo la definizione cara a Jefferson, che pure era proprietario di schiavi). In questo caso ancora più assordante è il silenzio sulla tradizione colonialista e imperialista alle spalle delle tragedie del Novecento. Arendt condanna l'idea di necessità storica nella rivoluzione francese, e soprattutto in Marx e nel movimento comunista; dimentica però che il movimento comunista si è formato nel corso della lotta contro la tesi del carattere ineluttabile e provvidenziale dell'assoggettamento e talvolta dell'annientamento delle «razze inferiori» ad opera dell'Occidente, si è formato nel corso della lotta contro il «partito del destino», secondo le definizione cara a Hobson, il critico inglese dell'imperialismo, letto e apprezzato da Lenin. Arendt contrappone negativamente la rivoluzione francese, sviluppatasi all'insegna dell'idea di necessità storica, alla rivoluzione americana, che trionfa all'insegna dell'idea di libertà. In realtà l'idea di necessità storica agisce con modalità diverse in entrambe le rivoluzioni: se in Francia viene considerata ineludibile anche l'emancipazione degli schiavi, che è in effetti è sancita dalla Convenzione giacobina, negli Usa il motivo del Manifest Destiny consacra la conquista dell'Ovest, inarrestabile nonostante la riluttanza e la resistenza dei pellerossa, già agli occhi di Franklin destinati dalla «Provvidenza» ad essere spazzati via.
Arendt muore nel 1975, non ancora settantenne. In questa morte precoce c'è un elemento paradossale di fortuna sul piano filosofico. Solo successivamente intervengono gli sviluppi storici che falsificano totalmente la piattaforma teorica della filosofa scomparsa: a partire dalla presidenza Reagan sono proprio gli Stati Uniti a impugnare la bandiera della filosofia della storia contro l'Urss e i paesi che si richiamano al comunismo, destinati a finire nella «spazzatura della storia» e comunque collocati ai giorni nostri - lo proclamano Obama e Hillary Clinton - «dalla parte sbagliata della storia». Più longevi ma meno fortunati sul piano filosofico sono i devoti di Arendt, che continuano a ripetere la vecchia filastrocca, senza accorgersi del radicale rovesciamento di posizioni che nel frattempo si è verificato sul piano mondiale.
Subalterna sul piano del bilancio storico così come delle categorie filosofiche, la sinistra (compresa quella radicale) è chiaramente incapace di procedere a un' «analisi concreta della situazione concreta». Tanto più, se teniamo presente che alla catastrofe teorico-politica ha contribuito ulteriormente una mossa sciagurata, quella che contrappone negativamente il «marxismo orientale» al «marxismo occidentale». Alle spalle di questa mossa agisce una lunga e infausta tradizione. In Italia, subito dopo la Rivoluzione d'Ottobre, Filippo Turati, che continua a fare professione di marxismo, non riesce a vedere nei Soviet null'altro che l'espressione politica di un«orda» barbarica (estranea e ostile all'Occidente). A partire dagli anni 70 del secolo scorso, la divaricazione tra marxisti orientali e marxisti occidentali ha visto contrapporsi da un lato marxisti che esercitano il potere e dall'altro marxisti che sono all'opposizione e che si concentrano sempre più sulla «teoria critica», sulla «decostruzione», anzi sulla denuncia del potere e dei rapporti di potere in quanto tali, e che progressivamente nella loro lontananza dal potere e dalla lotta per il potere ritengono di individuare la condizione privilegiata per la riscoperta del marxismo «autentico». È una tendenza che ai giorni nostri raggiunge il suo apice nella tesi formulata da Holloway, in base alla quale il problema reale è di «cambiare il mondo senza prendere il potere»! A partire da tali presupposti, cosa si può capire di un partito come il Partito comunista cinese che, gestendo il potere in un paese-continente, lo libera dalla dipendenza economica (oltre che politica), dal sottosviluppo e dalla miseria di massa, chiude il lungo ciclo storico caratterizzato dall'assoggettamento e annientamento delle civiltà extra-europee ad opera dell'Occidente colonialista e imperialista, dichiarando al tempo stesso che tutto ciò è solo la prima tappa di un lungo processo all'insegna della costruzione di una società post-capitalistica?

Anvedi che furbetti sti tedeschi e sti francesi

Titolo mio
 
di Giuseppe Masala
 
Davvero sconcertante la narrazione sul vertice del Consiglio Europeo di oggi. Una narrazione concentrata sul problema immigrazione che secondo me è totalmente fallace. E' vero, il vertice di oggi è assolutamente fondamentale per i destini dell'Europa. Ma non certamente per poche decine di migliaia di migranti la cui vita è cinicamente in balia di governanti che non esitano a darla in pasto alle opinioni pubbliche allo scopo di evitare di spiegare la reale posta in palio.
In realtà il tema è la dichiarazione di Meseberg di Merkel e Macron e la proposta di modifica dell'architettura europea che vi è contenuta. L'asse Parigi-Berlino ai sensi di quanto scritto nella dichiarazione vorrebbe:

1) Utilizzare il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) anche per rifinanziare le banche private in crisi. Inutile notare che fino a ieri i tedeschi non volevano e noi (ma anche gli spagnoli e i ciprioti) la crisi del nostro sistema bancario ce la siamo pagata di tasca. Ora che nelle forche caudine c'è Deutsche Bank chissà come mai i tedeschi sono favorevoli a modificare la norma. Oh, ma guarda che coincidenza. I signori di Berlino sempre inflessibili con la sferza per gli altri ma quando tocca a loro sempre pronti ad attingere dai fondi europei pagati anche con i soldi dei paesi derelitti (nella loro definizione);
2) Creazione di un FME (Fondo Monetario Europeo) sulla falsariga dell'FMI che salvi gli stati in difficolta imponendo dei piani di rientro (avete presente la Grecia). Forse lo vogliono fare perché anche l'FMI (che non sono dei santi ma evidentemente rispetto alla spietatezza franco tedesca anche loro si spaventano) ha avuto da ridire sull'estrema durezza del piano applicato alla Grecia. Evidentemente non vogliono nessuno che ponga limiti al saccheggio delle nazioni. Ovvio che questo Fondo qualora nascesse vedrebbe Francia e Germania in situazione di preminenza raggiungerebbero il 49% del capitale (che verrebbe suddiviso come da proposta di Meseberg in base al Pil) e quindi gli basterebbe di aggiungere il voto di un singolo paese satellite (Belgio, Olanda, Austria, Cekia...per dirne alcuni) e avere sempre la maggioranza. Ovvio che gli stati che finissero in un simile meccanismo sarebbero in realtà espropriati della democrazia e diretti da Parigi e Berlino sotto le mentite spoglie di questo Fondo. Il premier Conte ieri in parlamento per fortuna ha già anticipato il no dell'Italia.
3) Creazione di un embrione di Esercito Europeo per fortuna la Ministra Trenta ha già anticipato la non partecipazione dell'Italia. Idea che condivido in toto per motivi storici. La Germania avrebbe l'egemonia. E io, sono fermamente contrario al riarmo tedesco, con l'imperialismo prussiano abbiamo già pagato nella seconda guerra mondiale. Inoltre essendo l'Europa militarmente arretrata dovrebbe fare investimenti folli per affrancarsi dalla dipendenza americana, il che mi pare non accettabile per un paese in difficoltà economica come l'Italia. Non solo, sono anche convinto che una simile iniziativa porterebbe alla distruzione dell'Industria militare italiana che verrebbe con il tempo fagocitata da quella francese e da quella tedesca. Meglio non correre rischi.
4) Sempre la dichiarazione di Meseberg prevede che le banche delle singole nazioni risolvano il problema degli NPL (sofferenze e incagli bancari). Ora il caso vuole che il sistema bancario con più problemi di NPL sia proprio quello italiano che ha l'11% degli impieghi incagliati e in sofferenza. La riduzione al 5% degli impieghi NPL dall'11% attuale comporterebbe la necessità di ricapitalizzare le nostre banche con tutte le difficoltà conseguenti e il rischio che siano facile preda delle banche tedesche e francesi. Sottolineo per chi non lo sapesse che le banche italiane custodiscono 8000 mld di risparmi degli italiani (il secondo risparmio europeo) e quei soldi fanno gola a tanti. Soprattutto a chi come francesi e tedeschi hanno le banche fallite a causa dei titoli tossici che non esattamente per caso nella dichiarazione di Meseberg non vengono manco citati e non sarebbero un problema.
Questo è ciò che è in ballo nel Consiglio Europeo di oggi e che rischia di far saltare l'Europa. Tutto nascosto cinicamente dietro la foglia di fico della cosiddetta "crisi dei migranti". Personalmente per come la vedo io la demolizione dell'Europa per quanto mi riguarda sarebbe un grandissimo successo italiano. Se questa è l'Europa meglio non averla. E tedeschi e francesi i grossi problemi che hanno (e che avranno in futuro) se li paghino da sé senza derubare gli altri.

martedì 12 giugno 2018

Perché Venezuela e Siria Non Possono Cadere

di Andre Vltchek (da New Eastern Outlook)
traduzione di Domenico D'Amico

Con l'Occidente e il suo fascismo non si può venire a patti, si può solo combattere


Malgrado le terribili avversità che il popolo del Venezuela deve affrontare, malgrado le sanzioni e le intimidazioni provenienti dall'estero, il presidente Nicolás Maduro ha ottenuto un secondo mandato di sei anni.
Due settimane fa, presso l'ambasciata venezuelana a Nairobi, Kenya, dove mi stavo rivolgendo a svariati leader dell'opposizione di sinistra est-africana, un incaricato d'affari, Jose Avila Torres, ha dichiarato: “Il popolo del Venezuela sta vivendo una situazione simile a quella del popolo siriano”.
Ed è vero. Le due nazioni, Venezuela e Siria, sono separate da un'enorme distanza geografica, ma condividono lo stesso destino, la stessa determinazione e lo stesso coraggio.
Durante la Guerra Civile Spagnola, i combattenti antifascisti cechi, volontari nelle Brigate Internazionali, dicevano spesso: “A Madrid noi combattiamo per Praga”. Madrid cadde nelle mani dei fascisti di Franco nell'ottobre del 1939. Praga era stata occupata dalle truppe tedesche vari mesi prima, nel marzo del 1939. Fu la cecità e la codardia dei leader europei, insieme all'appoggio dato alle orde assassine fasciste da popolazioni di ogni angolo del continente, che condusse a una delle più grandi tragedie dell'epoca moderna – una tragedia che ebbe fine solo il 9 maggio 1945, quando le truppe sovietiche liberarono Praga, sconfiggendo la Germania nazista e di fatto salvando il mondo.
Più di settant'anni dopo, il mondo deve affrontare un'altra calamità. L'Occidente, mentalmente incapace di porre termine pacificamente al suo plurisecolare e omicida dominio sul pianeta – un dominio che ha già consumato centinaia di milioni di vite umane – mostra i denti, avventandosi da ogni parte, provocando e inimicandosi o perfino attaccando direttamente paesi come la Corea del Nord (RPDC), la Cina, l'Iran, la Siria e il Venezuela.
Quello in corso non viene chiamato fascismo o nazismo, ma è precisamente quello che chiaramente è, dato che tale barbaro dominio è basato su un profondo disprezzo per le vite dei non europei, su fanatici dogmi di estrema destra maleodoranti di eccezionalismo, e sullo sfrenato desiderio di controllare il mondo.
Molti dei paesi che si sono rifiutati di piegarsi dinanzi alla forza bruta dell'Occidente, negli ultimi tempi sono stati letteralmente rasi al suolo, come l'Afghanistan, la Libia e l'Iraq. Nel caso di molti altri, i governi sono stati rovesciati con interventi diretti e indiretti, o con la frode, come è successo nel paese più potente dell'America Latina, il Brasile. Innumerevoli rivoluzioni “colorate” o “degli ombrelli”, insieme a svariate “primavere”, sono state sponsorizzate da Washington, Londra e altre capitali occidentali.
Ma il mondo si sta risvegliando, in maniera lenta ma irreversibile, e la lotta per la sopravvivenza della razza umana è già cominciata.
Venezuela e Siria, senza dubbio, si trovano sulla prima linea di questa battaglia. Contro ogni aspettativa, feriti ma eroicamente ancora in piedi, resistono contro forze superiori in maniera schiacciante, e si rifiutano di cedere.
Qui nessuno si arrende!” gridava Hugo Chavez, coi capelli già radi per la chemioterapia, mentre moriva per un tumore che molti, in America Latina, ritengono gli sia stato procurato dagli Stati Uniti. Il suo pugno era serrato, e una fitta pioggia gli inondava il volto. È così che moriva uno dei più grandi rivoluzionari dei nostri tempi. Ma la sua rivoluzione è sopravvissuta, e continua!
*
Del fatto che molti dei miei lettori sono occidentali, me ne rendo conto benissimo. In qualche modo, in particolare in Europa, ho l'impressione di non essere più in grado di spiegare cosa voglia dire essere rivoluzionari. Di recente ho parlato a un folto pubblico di insegnanti “progressisti”, in Scandinavia. Ho cercato di infiammare il loro animo, di spiegargli quali crimini mostruosi l'Occidente abbia perpetrato in tutto il mondo, per secoli.
Ho provato, e fallito. Quando si sono riaccese le luci, centinaia di sguardi mi hanno trafitto. Certo, c'è stato un applauso, e molti si sono alzati nel falso cliché della standing ovation. Ma sapevo che i nostri erano mondi separati.
Poi sono arrivate domande superficiali e prefabbricate sui diritti umani in Cina, a proposito del “regime di Assad”, ma nessuna sulle responsabilità collettive dei popoli dell'Occidente.
Per comprendere quel che sta succedendo in Siria e Venezuela bisogna uscire dalla forma mentis occidentale. E questo non lo possono fare menti egoistiche che pensano solo alla sessualità e agli orientamenti sessuali e all'interesse personale.
In Siria e Venezuela quello che sta accadendo è qualcosa di essenziale, qualcosa di molto basilare e umano. Si tratta di orgoglio, si tratta della propria terra madre, dell'amore per la giustizia e del sogno di un migliore sistema globale. Non è poca cosa, anzi, è qualcosa di enorme, qualcosa per cui si può lottare e perfino morire.
In entrambi questi luoghi l'Occidente ha fatto male i conti, così come ha fatto in altri “casi” quali Cuba, Russia, Cina, Iran, RPDC.
Patria no se vende!” l'hanno ripetuto per decenni a Cuba - “La patria non è in vendita!”
Il profitto non è tutto. Il vantaggio personale non è tutto. Egoismo e personalità microscopiche gonfiate come palloni non sono tutto. Giustizia e dignità sono superiori. Gli ideali umani sono superiori. Per alcuni è così. Lo è davvero, fidatevi – non importa come possa sembrare irreale in Occidente.
La Siria sanguina, ma si rifiuta di arrendersi al terrorismo scatenato dall'Occidente e dai suoi alleati. Aleppo è stata trasformata in una Stalingrado dei nostri giorni. Pagando un alto prezzo, la città ha resistito a tutti gli assalti, è riuscita a invertire il corso della guerra, e come conseguenza ha salvato il paese.
Il Venezuela, come Cuba nei primi anni 90, si è trovato solo, abbandonato, disprezzato e demonizzato. Ma non è caduto in ginocchio.
In Europa e in Nord America le analisi su ciò che accade da quelle parti vengono condotte “logicamente” e “razionalmente”. Oppure no?
Lo sanno i popoli occidentali cosa vuol dire essere colonizzati? Lo sanno cos'è l'”opposizione venezuelana”?
Conoscono l'entità del terrore scatenato per secoli dall'Occidente contro tutta l'America Latina, da posti come la Repubblica Dominicana e l'Honduras, giù giù fino a Cile ed Argentina?
No, non ne sanno niente, o quantomeno ne sanno ben poco, come quei tedeschi che vivevano a un passo dai campi di sterminio, e che dopo la guerra dicevano di non aver mai avuto la minima idea di cosa fosse quel fumo che veniva su dai camini.
È improbabile ci sia, in Centro o Sud America, un solo paese il cui governo non sia stato almeno una volta rovesciato dal Nord, questo ogni volta che il governo decideva di operare a beneficio del suo popolo.
E il Brasile, l'anno scorso, è diventato l'ultima edizione degli incubi, delle campagne di disinformazione, “fake news” e golpe – dispiegati coi complimenti del Nord, per mezzo delle élite locali.
*
Cercate di capire, non serve davvero a nulla di continuare a discutere con le “opposizioni” in paesi come il Venezuela, Cuba o Bolivia. Quello che c'era da dire è stato detto.
Quella che è in corso non è materia da centro studi, ma una guerra; un'autentica e brutale guerra civile.
Io conosco le “opposizioni” dei paesi sudamericani, e conosco le loro élite. Certo, conosco molti dei miei compagni, i rivoluzionari, è naturale, ma anche le élite mi sono familiari.
A scopo illustrativo, permettetemi di rievocare una conversazione che ebbi una volta in Bolivia col figlio di un potente senatore di destra, per di più ras dei media. Leggermente brillo, non faceva che ripetermi:

Presto cacceremo a calci in culo quell'indio di merda [il presidente Evo Morales] (…) Credi che ce ne freghi qualcosa dei soldi? Ne abbiamo a vagoni! Non importa se perdiamo milioni di dollari, e nemmeno decine di milioni! Diffonderemo insicurezza, incertezza, paura, indebitamento, e se dobbiamo farlo, anche la fame... Li faremo sanguinare a morte, quegli indios!”

Tutto ciò potrebbe suonare “irrazionale”, perfino contrario al loro vangelo capitalista. Ma a loro non interessa la razionalità, solo il potere. E comunque i loro mandanti del Nord compenseranno le eventuali perdite.
Non c'è modo di negoziare, di discutere con questo genere di persone. Sono traditori, ladri e assassini.
Per anni, per decenni hanno utilizzato la stessa strategia, scommettere sul cuore tenero e i sentimenti umanitari dei loro avversari sociali. Hanno trascinato i governi progressisti in dibattiti interminabili e vani, per poi usare i loro media (e quelli occidentali) per infangarli. Se questo non funzionava, sabotavano la loro stessa economia, creando deficit di bilancio, come in Cile prima del golpe di Pinochet nel 1973. Se anche questo non funzionava, passavano al terrorismo – puro e semplice e spietato. E alla fine, l'ultima risorsa – l'intervento diretto dell'Occidente. I loro scopi non hanno niente a che fare con la “democrazia” o il “libero mercato”. Essi sono al servizio dei loro padroni occidentali e dei loro stessi interessi feudali.
Negoziare con loro significa essere sconfitti in partenza. Significa giocare con le loro regole. Perché alle loro spalle c'è l'intera propaganda occidentale, insieme al sistema finanziario e militare.
L'unico maniera per sopravvivere è diventare più duri, stringere i denti e combattere. Come ha fatto Cuba per decenni e, sì, come fa ora il Venezuela. È un approccio per nulla “gradevole”, e nemmeno “pulito”, ma è l'unico che faccia andare avanti, l'unico modo che rivoluzione e progresso hanno di sopravvivere.
Prima che Dilma venisse destituita da un branco di quaquaraquà filo-occidentali, in un mio scritto (censurato da Counterpunch, ma pubblicato su varie piattaforme e in svariate traduzioni) avevo suggerito che inviasse i carri armati nelle strade di Brasilia. Affermavo che questo era il suo dovere, nel nome del popolo brasiliano, che aveva votato per lei e che molti benefici aveva ottenuto dal governo PT (Partido dos Trabalhadores).
Lei non l'ha fatto, e sono quasi sicuro che adesso se ne sta pentendo. Il suo popolo viene di nuovo derubato, e sta soffrendo. E l'intero Sud America, come risultato, è nel caos!
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Corruzione? Malgoverno? Per decenni, per secoli i popoli dell'America Latina sono stati dominati e derubati da una banda di corrotti, che utilizzavano il loro continente come una vacca da mungere, e intanto sguazzavano nel lusso osceno delle aristocrazie occidentali. E tutto questo, naturalmente, nel nome della “democrazia”, una farsa totale.
Il Venezuela è ancora qui – il popolo si muove a sostegno del governo – soffrendo terribilmente, mezzo affamato, ma comunque si muove. Questo perché per molte di quelle persone gli interessi personali sono secondari. Quello che conta è il loro paese, l'ideologia socialista e la grande patria sudamericana. Patria grande.
È impossibile da spiegare. Non è razionale, è intuitivo, profondo, fondamentale e umano.
Coloro che non possiedono l'ideologia o la capacità di impegnarsi, non potranno capire. E che lo facciano o meno, francamente, chi se ne frega.
C'è da sperare che presto sia il Brasile sia il Messico – le due nazioni più popolose dell'America Latina – eleggano governi di sinistra. In tal modo, le cose cambieranno, e in meglio, per il Venezuela.
Fino ad allora, Caracas dovrà fare affidamento sui vicini (seppur lontani) amici e compagni, la Cina, l'Iran e la Russia, così come sulla sua bellissima e coraggiosa sorella – Cuba.
Evo Morales ha di recente preavvisato che l'Occidente sta organizzando un golpe in Venezuela. Il governo di Maduro deve reggere ancora per qualche mese. Prima del ritorno [a sinistra] del Brasile, prima dell'avvento del Messico.
Sarà una lotta dura, forse anche sanguinosa. Ma la Storia non si fa con i compromessi e le capitolazioni. Non si può negoziare col fascismo. La Francia ci ha provato, prima della Seconda Guerra Mondiale, e tutti conosciamo i risultati.
Con l'Occidente e il suo fascismo non si può venire a patti, si può solo combattere.
Quando si difende il proprio paese, le cose non possono mai essere pulite e ordinate. Nessuno è un santo. La santità porta alla sconfitta. I santi arrivano dopo, quando si è ottenuta la vittoria e la nazione se li può permettere.
Il Venezuela e la Siria devono essere sostenuti, con tutti i mezzi. Questi splendidi popoli ora stanno sanguinando, combattendo in nome di tutto l'oppresso mondo non-occidentale. A Caracas e a Damasco il popolo lotta, combatte e muore per l'Honduras e l'Iran, per l'Afghanistan e l'Africa Occidentale.
I loro nemici si possono fermare solo con la forza.
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Durante il dibattito in Scandinavia, un gusano [castigliano per “verme”, i.e. Controrivoluzionario, neofascista – ndt] siriano, che vive in Occidente e diffama, ben compensato, il presidente Assad, contestava me, il “regime” siriano e l'Iran. Ho detto che mi rifiutavo di discutere con lui, perché anche se avessimo passato due ore a gridarci in faccia pubblicamente, non avremmo mai trovato un terreno comune [di discussione]. Sono quelli come lui che hanno iniziato la guerra, e guerra dovrebbero avere. Gli ho detto che sicuramente viene ben pagato per il suo lavoro, e che l'unico modo di sistemare la questione, per noi, sarebbe stato “fuori”, per strada.
Venezuela e Siria non possono cadere. Troppo alta è la posta in gioco. Entrambi i paesi sono adesso in lotta contro qualcosa di smisurato e sinistro – stanno combattendo contro l'intero imperialismo occidentale. Non si tratta di una qualche “opposizione”, o addirittura di elementi traditori all'interno delle loro società. È in gioco qualcosa di più grande. Si tratta del futuro, si tratta della sopravvivenza dell'umanità.
In tutto il mondo, miliardi di persone hanno seguito da vicino le elezioni nella Repubblica Bolivariana. E il popolo ha votato. E il presidente Maduro ha vinto. Di nuovo. Con tanto di ferite e cicatrici, ma ha vinto. Ancora una volta, il socialismo ha sconfitto il fascismo. E lunga vita al Venezuela, dannazione!

Andre Vltchek è filosofo, romanziere, filmmaker e giornalista investigativo. È uno dei creatori di Vtlchek's World in Word and Images, autore del romanzo rivoluzionario Aurora e di molti altri volumi. Scrive in particolare per la rivista online New Eastern Outlook.


domenica 10 giugno 2018

Le pillole economiche di Tonino D'Orazio

di Tonino D'Orazio
 
1230 treni merci sono partiti per l’Europa, dal 2016, dalla capitale cinese della regione autonoma del Xinjiang, Urumqi. Solo quest’anno ne sono già partiti 384, in aumento del 92%. Sono treni merci con più di 50 vagoni e stanno già creando problemi al trasporto marittimo da e per l’Europa poiché liberano grandi quantità di merci sulle linee marittime. E’ già iniziato, via ferrovia, il progetto della “Nuova via della Seta”, con conseguenze reali per la politica d’indipendenza cinese visto che passando su terra, ferrovia e … Russia si copre da un eventuale blocco americano. L’Europa è il più grande mercato per la Cina. Ad oggi, il centro trasporti di Urumqi ha inaugurato ferrovie per 24 grandi città di 17 paesi d’Europa e Asia centrale. (Agenzia Xinhua)
La dedollarizzazione continua. Gli investimenti cinesi in Russia aumentano costantemente ed è una tendenza geometrica perché la Cina ha interesse a sviluppare commercialmente e politicamente questo immenso continente “euroasiatico” dove risiede la maggior parte della popolazione e delle ricchezze mondiali, in modo da marginalizzare sempre più il continente nord-americano. Da non dimenticare che in America centrale, la costruzione strategica del canale cinese concorrente di quello di Panama avanza anche se con molte difficoltà. Non dovremo stupirci di una eventuale rivoluzione arancione in Nicaragua con un po’ di morti. Durante la 22° edizione del Forum Economico Internazionale di S. Pietroburgo (fine maggio corrente), e secondo il rapporto di EY (Ernst&Young), nel 2017, gli stranieri hanno investito in Russia 238 nuovi progetti (+16%), e per la prima volta la Cina ha superato la Germania (quella delle sanzioni …).
Italia-Europa. (AFP). Per accedere al potere è stato chiesto da Mattarella, cioè dalla troika di Bruxelles e in modo garibaldino, al M5S e alla Lega di confermare l’appartenenza dell’Italia alla zona euro. Che ci vuole? L’euro sarà irreversibile, ma tutte le persone serie sanno che non funziona proprio. Tanto che diranno sì all’euro e poi spenderanno 10 volte più di quello che guadagnano. Attività che non ha mai posto veramente problemi, sia a noi, sia ai francesi e sia agli spagnoli. Finirà che saranno proprio i tedeschi a ridarci la libertà, a noi e a qualcun altro, non senza qualche invettiva.
In Francia, (solo?). Penurie e rischi. I Cinesi stanno acquistando per il loro paese tutto il burro possibile lasciando i francesi in grande difficoltà. Per questo prodotto alimentare di base anche i Brasiliani stanno racimolando il possibile in Francia e Germania. Penuria di latte in polvere. I Cinesi hanno istallato parecchie fabbriche per spedire il latte in polvere ai loro bebé in patria. Si può aggiungere una penuria anche del vino rosé vista la stragrande quantità spedita in Cina. Meno male che da noi (fatto salvo il cerasuolo abruzzese) questo vino non è così pregiato, prodotto e consumato. Penuria di terre agricole. Oltre agli acquisti fenomenali di terre africane e sud americane, (anche Canada e Australia), i cinesi riescono ad acquisirle anche in Francia, acquistando il 99,9% delle grandi imprese agricole. Le esportazioni di querce francesi verso la Cina sono aumentate del 35% e le segherie rischiano di non avere più querce a disposizione. In Francia ve ne sono 550 e impiegano circa 26.000 persone. Ah, la mondializzazione! In Francia gran parte dei parquet in quercia francese sono fabbricati in Cina. La furbizia mondiale sta nell’acquisto di beni immobili con il dollaro carta straccia che posseggono. Il protezionismo è una brutta parola sia in entrata sia in uscita, ma i Cinesi, per esempio per le loro “terre rare”, utilizzano una quota massima in uscita. Per esempio.
Il Libano e la Russia (ma anche la Turchia) hanno deciso di utilizzare le rispettive monete negli scambi commerciali dei loro paesi, anche se le quotazioni di riferimento rimangono fissate sul dollaro, perché l’euro purtroppo non è stabile, oltre al fatto che il suo valore, e le sue variazioni, lo decidono di volta in volta le banche americane, a secondo dei loro interessi. E’ una storia che sta diventando ricorrente. Più gli Usa allargano le loro sanzioni cosiddette extraterritoriali (negando l’utilizzo del dollaro), più i paesi che possono commerciare tra loro senza il dollaro lo fanno. Il problema sta diventando identico per i paesi europei in merito alle “sanzioni” decise dagli americani secondo i loro interessi o dei loro amici. Vedi, e vedrai, l’Iran. (Sputnik News 6/6/2018). L’UE utilizzerà l’euro o il rublo?
Spagna. Maggioranza di governo alle donne. Bene. Ma se si deve continuare le politiche di austerità della troika di Bruxelles, non significa proprio nulla. Una politica negativa governata al maschile o al femminile rimane una politica negativa. La ministra dell’economia e delle finanze è stata inviata direttamente dalla Commissione di Bruxelles. Una volpe della troika a controllo del pollaio. Economista e avvocato, Nadia Calviño, è diventata ministra dopo aver lavorato per 8 anni al servizio della Commissione Europea e dal 2014, con la funzione di Direttrice generale dei bilanci, con l’incarico della programmazione dei bilanci, l’elaborazione dei bilanci annuali contabili e finanziari. Nulla di politico, qui si fanno solo conti. Evidentemente i mercati non sono panicati con questo cambio di governo, e si capisce, ma solo per le ripercussioni della questione italiana. Nulla di nuovo dalla Spagna socialista, ovviamente non per la giusta immagine e sicuramente competenza delle donne, almeno fino alle prossime elezioni per il Parlamento europeo.
La Svezia mobilita 22.000 riservisti per il giorno della festa nazionale. Che succede? La Svezia è un paese che da due secoli non è mai stato invaso. Le manovre, dopo quarant’anni, impegneranno 40 battaglioni su tutto il territorio, in appoggio all’esercito di professione. La società svedese si sta velocemente rimilitarizzando. I dirigenti svedesi citano continuamente la Russia per giustificare l’ammodernamento del riarmo, il ristabilimento del servizio militare e il dispiego recente di un reggimento sull’isola di Gotland, avamposto svedese sul mare Baltico. Il governo svedese, di destra, ha stampato 5 milioni di libretti di 20 pagine “In caso di crisi o di guerra”, dove si spiega alla popolazione le minacce possibili: guerra, attentati, cyber attacchi, incidenti gravi, catastrofe naturali e tutte le altre precauzioni da prender per prepararvisi e tenersi pronti, cioè cosa conservare (stock), dove trovare rifugio ecc … (AFP, 6 giugno)
OPA (Offerta Pubblica d’Acquisto) di China Three Gorges sul gruppo EDP (Energias de Portugal). Il Consiglio di amministrazione del gruppo ha chiesto ai suoi azionari di non vendere le loro azioni, ritenendo l’offerta troppo bassa e sottovalutata. L’offerta, per 9 miliardi di euro, porta anche sulla efficientissima e prosperosa filiale per le energie rinnovabili EDP Renovaveis. Il gruppo portoghese ha spiegato che il prezzo dell’offerta non riflette in maniera adeguata il valore dell’azione e il prezzo è troppo basso, “tenuto conto della pratica perseguita nel mercato europeo dei servizi di utilità pubblica”. (AFP. 9 giugno). E’ il veleno nella coda. Perché un cittadino possessore di azioni EDP, in un libero mercato mondiale sostenuto dall’ideologia rampante delle privatizzazioni dei servizi pubblici indispensabili, ora non dovrebbe fare soldi e speculare con le sue azioni? Se si pensa che sia di utilità pubblica si rimetta il gruppo nelle mani dei beni comuni indispensabili gestiti dallo Stato.

venerdì 8 giugno 2018

Governi sudditi, politica estera irrilevante

di Alberto Negri da Il Manifesto

Da Tripoli a Dublino. Mancando un minimo di analisi non si è neppure in grado di trarre delle conclusioni di politica estera che abbiano una qualche rilevanza effettiva mentre in Europa si prepara la notte dei lunghi coltelli sulla riforma del trattato di Dublino sull’immigrazione


Come si avvia l’Italia G-7 del Canada che comincia domani? La politica estera è una materia complessa e i politici italiani in maggioranza ne masticano assai poca, come del resto anche di storia e geografia.
Se ci fosse un esamino pre-elettorale la gran parte verrebbe bocciata e così si preferisce scegliere gente che non è stata neppure eletta alle urne: una simpatica tradizione rinnovata in questa legislatura.
Il nuovo presidente del Consiglio parla con il suggeritore e si sente soprattutto quando pronuncia la formula rituale della consunta repubblica del Belpaese: «La convinta appartenenza all’Alleanza Atlantica, con gli Stati uniti d’America quale alleato privilegiato».
È vero che aggiunge, per tenere buono il sulfureo Salvini, «una revisione del sistema delle sanzioni alla Russia». Tanto sappiamo perfettamente che mentre il pilastro Nato non si scalfisce, per rimuovere le sanzioni europee a Mosca ci vuole ben altro che l’iniziativa italiana.
A sette anni dalla caduta di Gheddafi non si trova in questo Paese un uomo politico al governo che dica chiaramente chi ci ha messo nei guai: la Francia, gli Usa, la Gran Bretagna e la Nato, che avevano persino minacciato di bombardare i terminali dell’Eni.
In poche parole nessuno è in grado di riconoscere che la guerra in Libia del 2011 è stata la peggiore sconfitta italiana dalla seconda guerra mondiale. Con Gheddafi sei mesi prima avevamo firmato contratti miliardari e l’accordo sui migranti, diverso ma non troppo da quello che la Germania ha voluto fare con Erdogan per i profughi siriani.
Mancando un minimo di analisi non si è quindi neppure in grado di trarre delle conclusioni di politica estera che abbiano una qualche rilevanza effettiva mentre in Europa si prepara la notte dei lunghi coltelli sulla riforma del trattato di Dublino sull’immigrazione.
Si continua a girare intorno al problema: sono i nostri alleati che ci hanno destabilizzati. A questo si aggiunge la grave insipienza di accodarsi nel 2011 ai raid della Nato contro il regime libico: ne fossimo stati fuori oggi avremmo qualche argomento in più da giocarci.
Ma il premier Conte, che pure ha parlato un’ora e mezza, questa sintesi di poche righe non può farla: i nostri governi cambiano soltanto per restare ancorati sempre alla Nato, anche quando questa ci bastona. Questo non significa uscire dall’Alleanza Atlantica ma almeno segnalare che non si è troppo contenti di come sono andate le cose.
Quanto agli Stati uniti, saranno pure un alleato privilegiato ma non hanno detto una parola quando Erdogan ha bloccato la nave Saipem che andava a fare legittime prospezioni offshore a Cipro.
E la Turchia, non dimentichiamolo, è un altro alleato della Nato, alla quale però non si possono muovere rimproveri perché ricatta l’Europa con i profughi e gli Usa sulla questione siriana, usando la sponda di Putin e dell’Iran.
C’è un doppio standard nell’Alleanza Atlantica e abbiamo paura a dirlo: la cancelliera Merkel può raddoppiare il Nordstream 2, la pipeline del gas con la Russia, mentre il Southstream con Mosca dell’Eni-Saipem fu fatto saltare dalle sanzioni per la crisi Ucraina e l’annessione della Crimea nel 2014.

Vedremo cosa si diranno Conte e l’ineffabile Macron che la scorsa settimana ha convocato un vertice all’Eliseo sulla Libia con quasi tutti i principali protagonisti segnalando la volontà francese di scalzare l’Italia dalla ex colonia: da difendere c’è per lo meno la presenza delle imprese italiane, dall’Eni alle piccole e medie che tradizionalmente lavorano sulla Sponda Sud.
È con questo spirito, con la coda tra le gambe della Nato, che il nuovo governo italiano, non diversamente da quelli che lo hanno preceduto, si prepara ad andare al G-7 del Canada che inizia venerdì e si svolgerà a Charlevoix, in Quebec, presieduto dal premier canadese Justin Trudeau.
Sul tavolo c’è la questione dei dazi introdotti in maniera unilaterale dagli Usa su acciaio e alluminio anche contro l’Unione europea ma pure quella delle sanzioni all’Iran che bloccano 27 miliardi di commesse italiane. Siamo sicuri che come nelle volte precedenti faremo un figurone per manifestazione di indipendenza e sovranità.

martedì 5 giugno 2018

Cesaratto: “Governo del cambiamento? Solo se avrà il coraggio di scontrarsi con l’Ue”


L’economista ha un giudizio interlocutorio, ma anche preoccupato, sul nuovo esecutivo: “C’è un problema di coperture finanziarie, fare sia la flat tax che il reddito di cittadinanza, oltre alla riforma della Fornero, sarà impossibile”. E per farlo, nel caso, è necessario battere i pugni a Bruxelles: “Manca una visione macroeconomica, non ci si può limitare all’alternativa secca che o si obbedisce ai vincoli europei o si rompe con l’Ue. Bisogna articolare una proposta di mezzo per rinegoziare il quadro”. Infine, come Piano B, crede non si possa morire per l’Europa: “Come extrema ratio sono per il recupero della piena sovranità monetaria, ciò ha a che fare con la nostra democrazia”.


intervista a Sergio Cesaratto di Giacomo Russo Spena da Micromega

“Non è certamente un governo progressista però sono curioso di capire se andrà a scontrarsi con Bruxelles. È lì che si gioca la partita”. In questi anni Sergio Cesaratto, economista e professore all’università di Siena, ha scritto libri, interventi e relazioni contro l’attuale assetto dell’Unione Europea. Adesso ha un giudizio interlocutorio, ma anche preoccupato, sul nuovo esecutivo. Se pensa che la cancellazione della riforma Fornero sulle pensioni sia giusta, dall’altra critica la flat tax: “È una redistribuzione del reddito dal basso verso l’alto: una misura che accresce l’ingiustizia sociale e, persino, la crisi finanziaria perché penalizza la domanda interna”. In sospeso rimane poi la battaglia cardine, quella con l’Europa.

Professore, partiamo dal contratto di governo siglato tra Salvini e Di Maio. Sono state fatte varie promesse ma, secondo lei, esistono le coperture finanziarie?

Il problema delle coperture finanziarie è reale, fare sia la flat tax che il reddito di cittadinanza, oltre alla riforma della Fornero, sarà pressoché impossibile. Farlo con l’aumento dell’IVA o peggio con tagli alla spesa sociale sarebbe socialmente iniquo e depressivo per la domanda interna. Non si capisce bene questo governo dove voglia precisamente andare.

Quindi siamo solo ad annunci propagandistici di Salvini e Di Maio?

Attenzione, il problema di recuperare risorse ce l’avrebbe un qualsiasi governo progressista che si prefissi di cambiare lo status quo ponendo al centro, ad esempio, gli investimenti e la politica industriale o la redistribuzione del reddito a favore delle classi lavoratrici oltre che incapienti. Va fatto un passo indietro. Quali politiche macroeconomiche vorremmo adottare affinché queste risorse emergano? Questo governo ha annunciato alcune proposte di spesa discutibili, senza ancora chiarire il lato macroeconomico che implica poi il punto di collisione con l’Europa.

Proprio le posizioni euroscettiche di Paolo Savona hanno aperto un braccio di ferro con il presidente Mattarella e, alla fine, Salvini e Di Maio hanno ceduto alla sua richiesta depennando Savona dal ministero dell’Economia. Pensa che questo governo abbia, comunque, il coraggio di battere i pugni a Bruxelles o sarà in linea con gli esecutivi precedenti?

È difficile prevederlo. Sicuramente agli Esteri, con Moavero, hanno scelto un profilo moderato. Il ministro Tria, invece, è un liberista con qualche tinta keynesiana. Però in fondo lo è anche Paolo Savona e non enfatizzerei un’opposizione tra i due. Ciò detto, insisto, non mi è ancora chiaro cosa questo governo vuol chiedere all’Europa. Non ci si può limitare all’alternativa secca che o si obbedisce ai vincoli europei o si rompe, pensando dunque all’uscita dalla moneta unica. Nelle varie prese di posizione del governo non sono per ora contemplate vie di mezzo, entro cui peraltro collocare le decisioni di finanza pubblica (discutibili nel merito). Questo mi preoccupa. Ma concediamo ancora qualche settimana al governo per chiarire il quadro.

Lei cosa chiederebbe all’Europa?

Beh, condivido una proposta che viene da lontano e sottoscritta da centinaia di colleghi nella “
lettera degli economisti” del 2010, ma è un’idea ben più vecchia. L’obiettivo di un Paese come l’Italia, ad alto debito, dovrebbe essere la stabilizzazione del rapporto tra debito pubblico e Pil (non la sua riduzione, si badi). Con bassi tassi di interesse – che l’Europa ci deve assicurare – si può fare un po’ di deficit spending e far ripartire domanda interna e crescita. Siamo per dire all’Europa e ai mercati che ci impegniamo a stabilizzare quel rapporto in maniera compatibile con la ripresa della crescita del Paese.

Eh, nel concreto, come possiamo far aumentare la crescita?

La questione è cambiare i parametri dell’UE. Gli economisti sanno che se l’Europa si impegna ad andare verso l’annullamento dello spread tra titoli italiani e bond tedeschi, è possibile conciliare la stabilizzazione del rapporto debito-Pil e avere dei deficit primari (disavanzi al netto della spesa per interessi). Ciò dimostra che è possibile fare politiche fiscali espansive tenendo bloccato il rapporto debito-Pil.

Mi scusi, ma per annullare lo spread ci vorrebbe un intervento diretto della Bce. Lo trova possibile?

Quando Salvini e Di Maio scrissero nella bozza del contratto di governo che la Bce deve annullare il debito di 300 miliardi, si espressero malissimo, generando confusione. La proposta, per esempio, di Wyplosz, che è uno dei più noti economisti europei, prevede che la Bce mantenga in grembo questi titoli e non li rimetta nel mercato. Già così abbiamo eliminato il 10% e oltre del debito pubblico italiano. Quindi, innanzitutto, a Bruxelles va fatta una proposta: l’Ue cominci a fare misure per annullare lo spread, in cambio l’Italia si impegna a non aumentare il rapporto debito/Pil. Questo permette deficit spending e crescita economica. Tutto questo ragionamento mi pare assente nel nuovo governo, siamo schiacciati tra il profilo moderato di Moavero e la (presunta) proposta no-euro di Savona. Bagnai lo conosce benissimo, tuttavia.

Nel suo recente libro (“Chi non rispetta le regole? Italia e Germania le doppie morali dell’euro”, Imprimatur editore) ha mosso fortissime critiche all’Unione Europea e ha spiegato come l’europeismo ordoliberista non sia altro che una forma estrema di nazionalismo della potenza dominante, ovvero la Germania. È una boutade dire che siamo una colonia di Berlino?

Non so se noi siamo definibili come colonia, ma certamente la classe dirigente tedesca è molto nazionalista, oltre che ottusa e arrogante.

Se questo è il quadro, può esserci un margine di trattativa con Bruxelles? L’Europa si può cambiare da dentro?

La Germania ha detto no alle proposte di Macron, pur essendo molto minimali. Figuriamoci se accetta una proposta come questa avanzata della stabilizzazione del rapporto debito/Pil, del tutto ragionevole ma che ai tedeschi sembrerà orribile. È tuttavia una regola del gioco dell’unione monetaria: il Paese più forte deve avere un’inflazione più forte. Questo permette di dare respiro ai paesi più deboli.

E allora?

È interessante che il premier francese sia stato il primo a telefonare a Conte, nel momento del primo incarico cercando una sponda ai tavoli di trattative per una riforma dell’unione monetaria e per contrastare i nein tedeschi. È fondamentale che Italia e Francia (e forse la Spagna di Pedro Sánchez) ribaltino la narrazione europea, mostrando che è la Germania che la sta facendo esplodere rifiutando le riforme. Poi, certo, se fallisse il piano A rimane sempre il piano B.

Ricapitolando: consiglia al governo di giocarsi la partita su due piani. Il piano A consiste nel rinegoziare i vincoli con Bruxelles, e il piano B in cosa consiste?

Non si può morire per l’Europa, come extrema ratio sono per il recupero della piena sovranità monetaria. E ciò non ha niente a che vedere col nazionalismo di destra, ha a che fare con la nostra democrazia.

Si definisce un sovranista?

È un termine che non utilizzo perché è diventato sinonimo di nazionalista. Non mi piace. Mentre penso che “Stato nazionale” sia sinonimo di autogoverno e democrazia. Chi non lo comprende è un liberista, anche se mascherato da internazionalista.

Ritorniamo al piano B. Lei rimane sempre e comunque contrario all’uscita dall’euro?

Entrare nella moneta unica è stato un errore, ormai lo dicono in molti. Ma, una volta dentro – grazie soprattutto all’Ulivo e ai suoi esponenti – è difficile adesso uscirne. Credo sia l’extrema ratio. I problemi sono molti. Nel breve periodo c’è da ripristinare il sistema dei pagamenti (con cui le banche operano eseguendo i nostri ordini di pagamento), se l’Europa ci tagliasse fuori dal famoso Target 2. Può darsi che la cosiddetta moneta fiscale sia una preparazione surrettizia di un sistema dei pagamenti alternativo e della stampa di nuove banconote. Nel lungo periodo i problemi sono il debito estero non ridenominabile in lire, incluso gran parte del debito pubblico, e le possibili ritorsioni commerciali. Ma nel caso di una accentuazione della crisi (magari perché il governo disubbidisce ai diktat), a un aiuto europeo e alla Troika in casa, preferibile l’uscita che fare la fine della Grecia.

Un’ultima domanda: l’economista Emiliano Brancaccio, in una intervista sul nostro sito,
ha proposto di applicare l’articolo 65 del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea per bloccare le fughe di capitale e tenere a bada le scorribande degli speculatori. È d’accordo?

Un qualsiasi Stato sovrano e progressista come primo provvedimento adotta il controllo dei movimenti di capitale. Non a caso Margaret Thatcher, quando andò al governo nel 1979, come primo atto smantellò questo controllo. Però la proposta di cui parla mi pare estemporanea e poco strutturata. Esattamente, di che cosa stiamo parlando? Controllare i capitali dei residenti o anche dei non residenti? Dobbiamo congelare i capitali stranieri investiti nei titoli pubblici italiani? Dubito che il menzionato articolo 65 lo permetta facilmente. Mi sembra che misure di questo tipo siano parte di un percorso di ripresa della sovranità monetaria. Allora questo contesto va specificato, sennò si lanciano solo slogan ad effetto che aiutano poco.

(4 giugno 2018)


Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...