lunedì 23 ottobre 2017

giovedì 5 ottobre 2017

Il voto tedesco accelera la crisi europea. Recuperiamo la sovranità nazionale per difendere la democrazia



Dopo le elezioni in Germania si corre verso una nuova crisi dell'eurozona: per contrastare da una parte le suicide imposizioni autoritarie delle istituzioni europee e l'austerità imposta dai mercati finanziari, e dall'altra la montante onda dei nazionalismi xenofobi, l'unica possibilità di riscossa democratica è quella di difendere strenuamente gli interessi nazionali ripristinando la sovranità delle istituzioni elette dai cittadini.
 

di Enrico Grazzini da Micromega

Le elezioni tedesche e la fine delle illusioni europeiste

Nonostante i roboanti discorsi dell'ex banchiere Rothschild ed attuale presidente francese, Emmanuel Macron, e del premier italiano Paolo Gentiloni sulla “rifondazione europea”, il destino dell'eurozona appare sempre più cupo. Macron e Gentiloni possono declamare finché vogliono le magnifiche e progressive sorti dell'Europa vendendo illusioni europeiste con l'intento di distrarre i loro popoli dalla distruzione dello stato sociale e dalle controriforme del mercato del lavoro che i due leader stanno imponendo ai loro paesi.

Tuttavia, a parte i proclami franco-italiani, non la Francia e tanto meno l'Italia saranno determinanti per l'avvenire dell'Europa e della moneta unica: sarà sempre e solo la Germania a decidere del futuro dell'Unione Europea e dell'euro. E gli ultimi risultati elettorali indicano chiaramente una volta di più che – dopo lo spietato assoggettamento della Grecia – la Germania punterà a sganciarsi da qualsiasi vincolo europeo e a soddisfare esclusivamente i suoi interessi nazionalistici a scapito delle altre nazioni dell'eurozona.

La sorpresa che ha guastato le pur ostinate illusioni europeiste viene dalla Germania, proprio dal centro di gravità dell'Europa. Quasi tutti gli osservatori politici questa volta sono d'accordo: il nuovo probabile governo “giamaica” formato dai popolari, dai liberali e dai verdi, e guidato dalla inossidabile (anche se indebolita) Merkel, sarà ancora più inflessibile e duro di quello precedente verso le prospettive europeiste e in particolare verso i paesi mediterranei. Non avrà alcuna volontà di perseguire politiche europee di ampio respiro e di attuare politiche espansive. Non vorrà assolutamente mai mutualizzare i debiti e correre il rischio di trasferire risorse verso i “pigri e indolenti” paesi bagnati dal Mediterraneo. In una parola: nessuna volontà di cooperazione.

La Germania continuerà senza alcun dubbio ad avere record mondiali di avanzo commerciale, continuerà a fare una politica economica ultrarestrittiva che porta ad attivi di bilancio pubblico, e continuerà così ad esportare deflazione e disoccupazione in tutta Europa e nel mondo. Non ci sarà alcun accordo con Macron sulle sue richieste di una Europa più espansiva e più unita anche sul piano fiscale e politico: al massimo il nuovo governo Merkel riuscirà (forse) ad accordarsi con Macron per nominare un ministro del Tesoro europeo guardiano delle finanze dei paesi debitori, e soprattutto per condividere i costi del nucleare francese e delle avventure militari all'estero, e limitare drasticamente i flussi migratori dall'Africa e dall'Asia.

La nuova Germania che esce da queste elezioni è sempre più spostata a destra – grazie all'affermazione del partito AFD – e dichiaratamente nazionalista e anti-europea: nel nuovo probabile governo giamaica solo i verdi sono dichiaratamente pro-Europa. Però saranno costretti a puntare più sull'ecologia e sulle auto elettriche che sull'Europa unita. Tuttavia è dubbio che la prevedibile crescente durezza teutonica darà dei frutti: sarà difficile per il nuovo governo tedesco proseguire ancora più tenacemente nel soffocamento dei paesi debitori senza provocare nuove e più accese rivolte.

La moneta unica è stata fin dall'inizio basata sul dogma della libera e incontrollata circolazione dei capitali finanziari globali che mirano a sfruttare come parassiti le risorse economiche nazionali sfruttando i debiti dei Paesi più deboli. In questo contesto l'eurozona è diventata l'unione tra paesi creditori e paesi debitori. Un'unione monetaria snaturata e impossibile, gestita attraverso politiche neo coloniali di austerità che hanno come obiettivo la resa completa dei debitori, la svalutazione del lavoro e dei capitali produttivi nazionali, la spoliazione dei contribuenti, il depauperamento dei ceti medi dei paesi periferici. In una parola, questa eurozona serve ormai gli interessi puramente finanziari ed è molto utile ai paesi più forti per sottomettere quelli più deboli e impossessarsi delle loro risorse. A causa del risultato delle elezioni in Germania l'eurozona diventerà una camicia di forza ancora più stretta.

La convergenza dei paesi europei è diventata divergenza. Le diseguaglianze aumentano.

L'Unione Europea e l'eurozona sono nate per fare convergere le economia dei diversi paesi europei. Ma le diseguaglianze dentro e tra i Paesi dell'eurozona aumentano e non si riducono, come ha riconosciuto a chiare lettere e con dati statistici alla mano perfino Benoît Cœuré, membro dell'Executive Board della BCE.

Cœuré ha affermato “che non esiste quasi alcuna convergenza - misurata in termini di PIL pro capite - sin dai primi anni '90 tra i 12 Stati membri dell'area dell'euro che si sono uniti prima del 2002. E di recente abbiamo anche visto una vera e propria divergenza - certamente uno sviluppo preoccupante per una moneta unione. ...Le differenze nei livelli di reddito reale rimangono elevati e possono anche crescere... Senza prospettive credibili di recuperare i paesi con reddito più elevato, alcuni potrebbero mettere in discussione i vantaggi dell'appartenenza all'unione monetaria. In altre parole, senza una reale convergenza, non potremmo garantire la promessa che abbiamo fatto quando l'euro è stato introdotto, cioè che avrebbe portato prosperità e opportunità”. 1

Per salvare l'euro e il sistema finanziario europeo la BCE ha inondato di liquidità le grandi banche con il suo programma di Quantitative Easing da 2 triliardi (migliaia di miliardi) di euro. La BCE sta comprando i titoli di debito degli stati europei e le obbligazioni delle maggiori corporations europee (come in Italia ENEL, ENI, Telecom). La BCE sta in effetti creando una bolla finanziaria che arricchisce solo gli operatori finanziari che scommettono in borsa e negli altri mercati finanziari e valutari; tuttavia la BCE non è riuscita a risollevare l'economia reale, cioè a rilanciare consumi e investimenti. Ora si lamenta perfino che (proprio a causa della sua politica) i salari non sono cresciuti abbastanza da rilanciare la domanda! La bolla finanziaria creata dal Q.E. prima o poi è destinata a scoppiare coinvolgendo nella crisi anche gli stati creditori.

L'architettura della moneta unica impedisce alla BCE di intervenire per monetizzare direttamente il debito degli stati in difficoltà e sottrarli così alla speculazione finanziaria; inoltre impedisce alla BCE di finanziare direttamente l'economia reale. Così, quando – prevedibilmente entro il prossimo anno – finirà il programma di espansione monetaria della BCE di Mario Draghi, ovvero quando Draghi smetterà di acquistare i titoli di stato dell'eurozona, la grande finanza internazionale potrà speculare senza più limiti sui debiti nazionali e colpire gli stati più esposti. Il problema è che, come ha scritto a chiare lettere Joseph Stiglitz, l'euro è una moneta insostenibile – a meno che, ha aggiunto lui, non ci sia la volontà politica di riformare strutturalmente l'eurosistema; ma questa volontà manifestamente manca del tutto -2.

Sindacati e Confindustria favorevoli all'euro che però soffoca le attività produttive e il lavoro.

E' paradossale ma, nonostante la palese crisi strutturale dell'eurozona, gran parte degli intellettuali e delle istituzioni della produzione e del lavoro continuano a rimanere ancora testardamente fedeli alle illusioni sulla moneta unica. Sindacati e Confindustria sembrano essere afflitti dalla sindrome di Stoccolma verso quel sistema dell'euro che in pochi anni ha tolto all'Italia il 25% della sua capacità produttiva e ha portato la disoccupazione ai livelli massimi. Con il Fiscal Compact l'economia italiana verrebbe poi distrutta.

Non si comprende perciò perché quasi tutta l'intelligenza italiana - come, per fare dei nomi, Sergio Fabbrini, docente della LUISS, l'università della Confindustria, che vorrebbe una Europa più sovranazionale e meno intergovernativa (ovvero una Europa che non esisterà mai) o come Alberto Quadrio Curzio, presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, che vorrebbe l'espansione degli investimenti europei (quando la Germania invece punta a contrarli) - continuino a illudersi e a illudere sulla possibilità di creare un'Europa più ricca ed equilibrata, mentre essa è invece egemonizzata dai concorrenti tedeschi e francesi.

Non si comprende come la confindustria e i sindacati, ma anche e soprattutto la sinistra, continuino a santificare l'Europa e l'euro, a illudersi di riuscire a farli diventare benevoli fattori di sviluppo e di crescita. Sindacati e Confindustria, in quanto rispettivamente rappresentanti (nel bene e nel male) del lavoro e del capitale industriale, dovrebbero invece difendere con vigore l'economia nazionale, le forze produttive, l'occupazione, senza subordinarsi agli interessi della finanza predatoria e al nazionalismo tedesco e francese.

I crediti germanici del Target 2 e il debito italiano

Il paradosso è che l'euro rischia di crollare addosso anche alla ricca Germania. Il Target 2 – il sistema dei pagamenti e di compensazione utilizzato dalle banche dell'eurozona – vede la Germania in credito (crescente) verso le altre nazioni dell'euro di ben 835 miliardi di euro – l'Italia ha invece un debito di 430 miliardi, anch'esso in crescita –. La Bundesbank ha il timore (peraltro in parte giustificato) di finanziare attraverso il Target 2 i deficit degli altri paesi europei, e, nel caso di una nuova probabile crisi, di non recuperare mai più centinaia di miliardi.

L'euro è intrinsecamente fragile e alla lunga si rivelerà controproducente per gli stessi creditori, Germania in primis.

Non a caso il tabù della moneta unica irreversibile – come scudo per i Paesi europei di fronte alle crisi – sta crollando. Il liberale Christian Wolfgang Lindner, ministro in pectore delle finanze tedesche, ha già affermato che non è più disposto a finanziare con fondi europei la Grecia e gli altri paesi debitori, e che è piuttosto preferibile che questi escano dall'euro. Probabilmente molti del costituendo governo tedesco preferirebbero perfino concordare lo scioglimento dell'euro – e questo non sarebbe male, anzi! – pur di non accollarsi il peso di una nuova crisi.

La fine dell'euro “strutturalmente insostenibile” – già preconizzata da Joseph Stiglitz nel suo libro sull'euro – potrebbe essere vicina. 3
E' per questo motivo che Mario Draghi ritarda continuamente la fine del Q.E.

La situazione è confusa e incerta. Ma un fatto è certo. Di fronte all'irrigidimento nazionalistico di Germania e Francia, di fronte alla caduta delle illusioni europeiste, occorre riconoscere finalmente che bisogna innanzitutto salvaguardare con grande vigore e forza i nostri interessi nazionali. Recuperare la sovranità (che è potere decisionale autonomo) significa recuperare anche la democrazia, ovvero il potere dei cittadini di decidere, senza delegare a istituzioni sovranazionali e intergovernative (incontrollabili e incontrollate) il proprio destino.

La legge di bilancio di Padoan: l'Italia corre il pericolo di fare la fine della Grecia

I conti sono semplici ma spietati. La crescita reale del PIL italiano è attualmente di 1,5%, l'aumento dell'inflazione è pari a 0,8%, quindi noi cresciamo nominalmente del 2,3%, mentre il tasso di interesse che paghiamo ai mercati finanziari è del 3%. Questo significa che la nostra crescita reale e il tasso di inflazione non bastano a ripagare l'interesse sul debito pubblico e che dobbiamo indebitarci sempre di più per ripagare una posizione debitoria che continua a crescere.

Una situazione disastrosa che il grande economista americano Hyman Minsky descriveva come “la condizione Ponzi”, che porta dritto al crack finanziario. Una condizione ancora più grave se si considera che, come ha dimostrato Marcello Minenna in un recente articolo sul Financial Times, dal marzo 2015 al giugno 2017 circa 250 miliardi hanno lasciato l'Italia per essere investiti all'estero4. Ovvero gli investitori italiani e stranieri fuggono dall'Italia temendo il crollo. La fuga di capitali verso l'estero vale molto di più del saldo positivo della bilancia commerciale (50 miliardi). Quindi l'economia nazionale continua a perdere euro.

Per diminuire il debito pubblico il nostro ineffabile ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, nel Documento di economia e finanza (DEF) che prepara la prossima (assolutamente invotabile) legge di bilancio, ha programmato per i prossimi anni un saldo positivo tra entrate e spese pubbliche (il cosiddetto avanzo primario) pari al 3,5 % del PIL. Si tratta di un gigantesco e insopportabile salasso. Da due decenni ormai l'avanzo primario italiano – che segnala il fatto gravissimo che i contribuenti pagano più tasse di quanto lo stato spende per i servizi ai cittadini, cioè che lo stato depreda i cittadini per pagare il sistema finanziario – vale circa l'1-2% del PIL (dai 20 ai 30 miliardi circa). Questi avanzi non sono però sufficienti a coprire il debito dello stato e quindi lo stato è stato costretto a chiedere soldi al mercato finanziario per coprire gli oneri del debito stesso (circa 60-80 miliardi all'anno).

Per rompere il circolo vizioso, l'ineffabile Padoan intende fare crescere l'avanzo primario dal 1,7% del 2017 al 3,5% circa del PIL del 2020. Ovvero: più entrate e meno spese, cioè più tagli alla spesa sociale, più privatizzazioni dei beni comuni e anche più tasse! In questo modo i contribuenti dovrebbero pagare ogni anno ai creditori dello stato circa 67 miliardi all'anno per servire il debito pubblico e fare in modo che non aumenti. Una somma enorme che deriverebbe da ulteriori riduzioni selvagge a sanità, istruzione, pensioni, ecc e, certamente, dall'aumento della pressione fiscale.

Ma anche questo piano suicida è destinato a fallire miseramente dal momento che ogni taglio alla spesa pubblica comporta anche una più che proporzionale diminuzione del PIL (moltiplicatore keynesiano negativo). Vale a dire che i tagli peggiorano la situazione economica. E' così assolutamente prevedibile che il debito pubblico sul PIL continuerà a crescere, e che l'Italia dovrà sopportare una nuova condizione di grave crisi finanziaria (e sociale).

Non a caso anche il segretario del PD Matteo Renzi è entrato in conflitto con la politica di Padoan e con il suo furore europeista: Renzi, da politico consumato, ha compreso che i progetti di Padoan sono un suicidio economico compiuto sull'altare della servile subordinazione all'Europa, e che per cercare di conquistare l'elettorato e tentare di mantenersi in sella al governo occorre al contrario fare politiche espansive e cominciare a contestare le politiche europee.

Sovranità nazionale e sovranità monetaria
Nel mondo si assiste al contrasto sempre più acceso tra la globalizzazione incontrollata guidata dai capitali speculativi e il nazionalismo più bieco e sciovinista. Non si può ovviamente approvare né la globalizzazione finanziaria né lo sciovinismo commerciale e culturale. Ma occorre prendere atto che la grande finanza è per sua natura cosmopolita e “internazionalista”, mentre il lavoro ha forti radici nazionali: è un dato di fatto imprescindibile che le lotte del lavoro per la democrazia e per i diritti sociali si svolgono quasi esclusivamente dentro i confini dello stato nazionale. E' inoltre un dato di fatto che la neo-colonizzazione monetaria non solo attacca il lavoro ma svalorizza anche il capitale produttivo nazionale. La lotta per la democrazia e il progresso non può quindi che fondarsi innanzitutto sulla difesa dell'interesse nazionale sia sul piano economico che politico.

La difesa della sovranità nazionale dovrebbe essere il primo obiettivo delle forze progressiste e della sinistra democratica, mentre al contrario sembra che esse da tempo abbiano rinunciato alla salvaguardia degli interessi nazionali, forse per paura di confondersi con la destra sciovinista e razzista. Ma questo timore è assurdo: per esempio, destra e sinistra hanno entrambi votato contro la controriforma della Costituzione di Renzi, ma a nessuno è saltato in mente di pensare che le loro politiche convergano. La difesa dell'interesse nazionale dalle imposizioni di istituzioni europee non elette e dalle scorrerie del capitalismo speculativo non dovrebbe essere appannaggio della destra ma della sinistra. Senza riconquistare sovranità a livello nazionale è impossibile ricominciare a costruire una Europa cooperativa.

Con la svolta a destra della Germania, è possibile fare una previsione: tutti i grandi riformatori idealisti di sinistra, da Tsipras a Varoufakis, alla sinistra spinelliana, ai verdi europei, dovranno ben presto rinunciare a ogni bel sogno di riformare … tutto il continente! Le forze progressiste non sono riuscite a sconfiggere l'austerità nel loro Paese e hanno lasciato le classi più svantaggiate in mano alle retoriche nazionaliste delle destre scioviniste e xenofobe, dichiaratamente anti-europee. L'ondata di destra è pericolosa e crescente. E' ora che le forze progressiste riprendano a difendere gli interessi nazionali e popolari, altrimenti le destre domineranno definitivamente la scena politica.

Senza l'intervento deciso e massiccio dello stato, senza forme di moneta nazionale, senza una banca pubblica di sviluppo, senza investimenti pubblici, senza un Piano del Lavoro, senza politica industriale, non si esce dalla crisi. Se vogliamo risolvere la crisi occorre che le questioni della sovranità nazionale, della sovranità monetaria, della democrazia e della finanza – tutte strettamente collegate tra loro – tornino a essere centrali per realizzare a livello nazionale una politica di sviluppo sostenibile. In quest'ambito la sovranità monetaria gioca un ruolo fondamentale che non si può sottostimare. Per sostenere questa tesi vorrei qui citare alcune fonti autorevoli e autorevolissime.

Abramo Lincoln: «Il governo […] non ha necessità né deve prendere a prestito capitale pagando interessi come mezzo per finanziare lavori governativi e imprese pubbliche. Il governo dovrebbe creare, emettere e far circolare tutta la valuta e il credito necessari per soddisfare il potere di spesa del governo e il potere d’acquisto dei consumatori. Il privilegio di creare ed emettere moneta non è solamente una prerogativa suprema del governo, ma rappresenta anche la maggiore opportunità creativa del governo stesso. […] La moneta cesserà di essere la padrona e diventerà la serva dell’umanità. La democrazia diventerà superiore al potere dei soldi»5,

Mayer Amschel Rothschild: “Datemi il controllo della moneta di una nazione e non mi importa di chi farà le sue leggi.6

W. L. Mackenzie King, primo ministro canadese 1935-1948. "Se una nazione perde il controllo della moneta e del credito, non importa poi nulla chi fa le leggi. Fino a quando il controllo della moneta e del credito non viene recuperato dal governo e riconosciuto come la sua responsabilità più sacra, tutti i bei discorsi sulla sovranità del parlamento e della democrazia sono assolutamente inutili”7.

Luciano Gallino: “Scegliendo di entrare nella zona euro, lo stato italiano sì è privato di uno dei fondamentali poteri dello stato, quello di creare denaro . Per gli stati dell’eurozona, in forza del Trattato di Maastricht soltanto la BCE può creare denaro in veste di euro, sia esso formato da banconote, depositi, regolamenti interbancari o altro; a fronte, però, del divieto assoluto, contenuto nell’art. 123 (mi riferisco alla versione consolidata del Trattato) di prestare un solo euro a qualsiasi amministrazione pubblica – a cominciare dagli stati membri. … Al tempo stesso accade che le banche private abbiano conservato intatto il potere di creare denaro dal nulla erogando crediti o emettendo titoli finanziari negoziabili. Tutto ciò ha messo gli stati dell’eurozona in una posizione che si sta ormai rivelando insostenibile. Debbono perseguire politiche economiche fondate su una moneta straniera, appunto l’euro, ma se hanno bisogno di denaro debbono chiederlo in prestito alle banche private, pagando loro un interesse assai più elevato di quello che esse pagano alla BCE”8.

Ricordo che Luciano Gallino ha promosso insieme a un gruppo di intellettuali ed economisti – me compreso – il progetto di moneta fiscale che costituisce un primo ma decisivo passo verso la ripresa della sovranità monetaria. Per dirla con le parole di Gallino: “La questione centrale è che questa proposta di moneta fiscale rappresenta nella UE il primo tentativo concreto di togliere alle banche il potere esclusivo di creare denaro in varie forme, per restituirlo almeno in parte allo stato. E’ una delle maggiori questioni politiche della nostra epoca”.

Infine in un libro appena pubblicato “Reclaiming the State. A Progressive Vision of Sovereignty for a Post-Neoliberal World” William Mitchell e Thomas Fazi si propongono di dimostrare che la sovranità nazionale è indispensabile per contrastare la globalizzazione che arricchisce l'1% e impoverisce i popoli9.

“La lotta per difendere la sovranità e la democrazia dall'attacco della globalizzazione neoliberale è l'unica base sulla quale può essere rifondata la sinistra (e può anche venire contrastata con successo la destra nazionalista). Considerando la guerra costante che il neoliberismo conduce contro la sovranità, non dovrebbe sorprenderci il fatto che la questione della sovranità sia diventata il problema principale e il quadro di contesto della politica contemporanea... Lo svuotamento della sovranità nazionale e la compressione dei meccanismi di democrazia popolare – ovvero il processo definito spesso come “depoliticizzazione” – sono elementi essenziali del progetto neoliberista, finalizzato ad isolare le politiche macroeconomiche dalla critica popolare e a rimuovere qualsiasi ostacolo ai flussi commerciali e finanziari... Il fatto che la richiesta di sovranità nazionale sia stata al centro delle campagne di di Donald Trump e della Brexit, e che attualmente domini il discorso pubblico, che abbia un carattere reazionario e quasi-fascista – dal momento che la sovranità è definita in gran parte lungo linee etniche, xenofobe e autoritarie – non dovrebbe impedirci di rivendicare la sovranità nazionale in quanto tale. La storia dimostra che la sovranità nazionale e l'autodeterminazione nazionale non sono concetti intrinsecamente reazionari e necessariamente collegati a una ideologia di patriottismo guerrafondaio: in effetti sovranità nazionale e autodeterminazione nazionale sono state le parole d'ordine dei socialisti del diciannovesimo e ventesimo secolo e dei movimenti di liberazione di sinistra … Sarebbe un errore grave cercare di comprendere come Trump abbia sedotto i lavoratori considerando solo che questi siano imbevuti di ideologia di estrema destra. In realtà le classi lavoratrici si sono semplicemente rivolte agli unici movimenti e ai partiti che (finora) hanno promesso di proteggerli dai brutali processi di globalizzazione neoliberista (anche se ovviamente è assai discutibile che questi partiti possano o vogliano veramente mantenere la promessa)”.

Secondo Mitchell e Fazi per riconquistare la sovranità politica e la democrazia è indispensabile recuperare anche e soprattutto la sovranità monetaria.

NOTE


1 “Convergence matters for monetary policy” Speech by Benoît Cœuré, Member of the Executive Board of the ECB, at the Competitiveness Research Network (CompNet) conference on "Innovation, firm size, productivity and imbalances in the age of de-globalization" in Brussels, 30 June 2017
2 Joseph Stiglitz “L'euro. Come una moneta comune minaccia il futuro dell'Europa” Einaudi, 2017
3 Joseph Stiglitz “L'euro. Come una moneta comune minaccia il futuro dell'Europa” già citato
4 Marcello Minenna “The ECB’s story on Target2 doesn’t add up” Financial Times, 14 settembre 2017
5 A. Lincoln, in R.L. Owen, «National Economy and the Banking System of the United States», 76th Cong., 1st sess. Senate Doc. 23, United States Govt. Print. Off., Washington D.C. 1939.
6 Frase attribuita a Rothschild e citata in Monetarists Anonymous, Economist.com, 29 settembre 2012.
7 Citato da Sergio Cesaratto “Sovranità monetaria e democrazia” Economia e politica, 11 giugno 2011
8 Vedi eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro” a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino.
9 William Mitchell e Thomas Fazi ““Reclaiming the State. A Progressive Vision of Sovereignty for a Post-Neoliberal World”, Pluto Press 2017. La traduzione in italiano delle frasi citate è responsabilità mia.

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