martedì 29 novembre 2011

L'insostenibile leggerezza del male necessario.

di Nicodemo

Sarà vero che il governo Monti è un male necessario? Ne sembra convinto persino Marco Revelli, un tipo che ho sempre conosciuto come uno tosto, di idee “radicali”, che non si piega alle logiche del mercato e non si fa incantare dalla sirene liberiste. Adesso non riesce a nascondere la sua soddisfazione per l'avvento di Monti. Mah! La metafora è quella della nave che affonda: sarà una nave che fa schifo e ti porta alla deriva, ma ci siamo sopra e se c'è una falla, questa va tappata o si affonda, ci dicono, non c'è n'è, zitto e tappa. Che dire poi dello spettro della repubblica di Weimer che ti agitano sempre sotto il naso per farti paura ? Quello fu un perio do nero e forse paradigmatico del comportamento dei mercati, d'accordo. Costretta dal trattato di Versaille a riparare i danni della I guerra mondiale con la devoluzione di ingenti risorse economiche, la Repubblica tedesca si è trovò di fronte ad una inflazione stellare e una massiccia disoccupazione, che spianarono la strada al nazismo. Ma se dobbiamo imparare dalla storia, impariamola tutta allora. Il fatto assolutamente paradossale, almeno secondo la mia personale visione delle cose, è che si cerca di scacciare il fantasma delle Repubblica di Wieimer adottando le stesse misure che ne hanno determinato il fallimento e la caduta.

Le misure imposta a Grecia e Italia non assomigliano a una sorta di risarcimento danno? “Abbiamo vissuto per anni al di sopra delle nostre possibilità e adesso paghiamo!” ci rimproverano le cassandre del regime. Ma che cazzo vuol dire? Chi ha vissuto al disopra delle proprie possibilità? La maggioranza di noi ha semplicemente vissuto e basta, abbiamo vissuto con i nostri salari sempre inadeguati, siamo andati a scuola, siamo stati curati nei nostri ospedali, a volte bene a volte male, abbiamo speso, abbiamo risparmiato, abbiamo vissuto guardando con un po' di rabbia a chi sopra di noi se la spassava e ci siamo rattristati per quelli sotto di noi che pativano la fame. Ditemi in che modo abbiamo scialacquato. Coloro che hanno davvero scialacquato grazie alla politica e all'inganno continuano a farlo tuttora e ci fanno la morale, chiedendoci “sacrifici necessari”. Poi c'è il ritornello della crescita, che palle: “il guaio vero è che non c'è crescita e quindi non c'è ricchezza da redistribuire”, chiosano i professori. Idee bizzarre amalgamate con la favoletta del buon padre di famiglia che con giudizio lavora e risparmia. Risparmio e crescita. Ma in cosa dobbiamo crescere, e per arrivare dove? Dobbiamo produrre di più ci dicono. Cosa? Più automobili? Più ponti sullo stretto? Più TAV? Più palazzi? Dobbiamo bruciare più boschi per far crescere il PIL? Che dobbiamo fare? Domande semplici, imposte da una logica elementare, che non trovano risposta alcuna. Dobbiamo crescere, all'infinito, punto, chissenefreega se le risorse sono per loro natura, finite.

Non vorrei passare per irresponsabile vetero-marxista cospirazionista, ma Monti mi sembra la solita vecchia storia del capitalismo che si salva il culo con il sudore e il sangue dei proletari, anche se la retorica patriottica riesce sempre a farti sentire in colpa e a ingentilirti l'anima, tanto da non farti vedere che per tappare la falla della nave che affonda usano le pensioni degli operai e il futuro delle nuove generazioni.
 

lunedì 28 novembre 2011

Volete una dittatura illuminata?



Ok. Abbiamo scherzato. Sapete tutta la storiella del popolo che governa? People have the power, insomma. Reset! Kaput! Buttate i libri di educazione civica. Anzi no... Dimenticavo che da quando l'hanno direttamente abolita non li avete più nemmeno dovuti comprare. A proposito, la storia della costituzionalità o meno del governo Monti è una questione di lana caprina. Esercitatevi voi, io mi annoio. Certo, è evidente che questa è (era) una Repubblica Parlamentare. E' evidente che i ministri non li scegliete voi. Ma è anche evidente che non avete scelto voi manco i parlamentari, così come è evidente che non esistono i governi tecnici, così come è evidente che le regole scritte non possono tenere conto di ogni possibile forma di tortuoso aggiramento, altrimenti il governo Berlusconi non avrebbe potuto tenere in scacco il paese per gli ultimi cinque anni infilando tutta una serie di leggi incostituzionali che prima o poi venivano seccate dalla Corte In-Costituzionale ma che, nel frattempo, valevano come qualsiasi altra legge, garantendo di fatto quella stessa immunità che in teoria non esisteva. Fico vero? Una legge che non può esistere, ma che viene applicata per un anno e mezzo alla volta. Cosa mi dite? Che è costituzionale? Bravi, continuate a guardare il dito, ma usereste meglio il vostro tempo su YouPorn.

  E così in Europa (e la Commissione Trilaterale) decidono che devono andare verso una totale unione politica e fiscale. Decidono che Berlusconi non va bene e iniziano a ridergli in faccia. Poi, siccome gli italiani non sono svegli abbastanza da mandarlo a casa da soli, gli svalutano le aziende di famiglia e quello finalmente molla il colpo. L'opinione pubblica? Basta parlargli di spread, credit default swap, btp, bund, collateralized debt obligation e si rifugiano subito in X-Factor, terreno su cui si muovono più agevolmente, lasciando campo libero a "quelli che ne capiscono".  Il governo De Bortoli, dopo mesi e mesi di preparativi, vede quindi la luce in meno di 24 ore. Colpo di stato? Modo legale di sostituire una nuova élite al posto dell'armata Brancaleone raffazzonata dalla volontà popolare? Chiamatelo come volete, tanto la sostanza non cambia. Perché è vero che è il presidente della Repubblica a verificare la squadra di governo, ma è anche vero che (facendo finta che il porcellum non esista) i ministri sono proposti e, solitamente, scelti dai partiti e tra i parlamentari. Quello è il senso. Vedere i partiti (soggetto costituzionale fondante nel meccanismo di rappresentanza) annichiliti, farsi da parte di fronte all'avanzata dei tecnici, vuoi per incapacità, vuoi per codardia, vuoi per l'assedio dello spread, è uno spettacolo osceno dal punto di vista democratico. E' la luna, non il dito.

 Ma non c'è problema, perché i giornali si affrettano a tranquillizzare tutti: finalmente l'Europa non ride più. Sarà che adesso piangono anche loro, sarà che le risatine erano funzionali ad ottenere un obiettivo poi raggiunto, ma il fatto che non ridano non mi sembra un successo sensazionale. Così come non si può certo definire un successo la prima sortita di Monti nella "Trilaterale" di Sarkozy - Merkel. Ora che abbiamo Monti, però, il lato positivo è che possiamo lasciar fare ai grandi. Hanno da fare e devono fare presto! Christine Lagarde, del Fondo Monetario Internazionale, è soddisfatta per la nomina del collega italiano. Non è dato sapere cosa ne avrebbe pensato Strauss-Kahn perché l'hanno fatto fuori prima, in America. Per metterci una francese che però è di fatto americana, avendo lavorato e fatto i soldi negli States sin dai tempi in cui era alle dipendenze di William Cohen, coinvolto pesantemente nel Watergate. Che giri, eh? Che poi dentro a queste élite ci sono sempre le stesse facce.

 Ma veniamo al dunque, che la stiamo tirando troppo per le lunghe. Se parli di "Bilderberg" e di "Commissione Trilaterale" e dici che questi decidono tutti insieme negli Hotel di Saint Moritz e poi vengono ad attuare i loro piani nei parlamenti, sei un complottista. Se invece alle parole "Bilderberg" e "Commissione Trilaterale" sostituisci la terminologia standard "élite", allora ti puoi chiamare Angelo Panebianco e fare l'editoriale di prima pagina sul Corriere della Sera (che poi è buffo perché parlano di se stessi).
« Si pretende che i Paesi membri dell'Unione Europea siano democrazie, ma si pretende anche che se ne dimentichino tutte le volte che sono in gioco questioni di interesse europeo. Si pensi, ad esempio, alla prostrazione che suscitò in Europa la sentenza con cui la Corte costituzionale tedesca nel 2009 pose nella Legge fondamentale, la Costituzione, e nel principio democratico che essa tutela, il limite alla ingerenza del processo di integrazione europea. O al disprezzo con cui vennero pubblicamente giudicati da diversi capi di governo i poveri elettori irlandesi, rei, nel 2008, di avere votato "no" nel (primo) referendum di ratifica del Trattato di Lisbona. O alla indignazione per il comportamento degli elettori francesi che bocciarono il "trattato costituzionale" nel 2005. O all'insofferenza che hanno sempre suscitato i britannici per il fatto che la loro costituzione (consuetudinaria e, quindi, più cogente di una costituzione scritta) non riconosce altra sovranità se non quella del Parlamento britannico. »
 E fino a qui - fatevene una ragione - sembra di sentire parlare Nigel Farage quando, nel suo discorso al Parlamenteo europeo del 16 novembre scorso, ricordava a Van Rompuy e soci come i referendum europei contemplassero solo due opzioni: "" e "Sì, ve ne prego!" (vedi anche l'esclusiva intervista dello scorso sabato rilasciata a Byoblu.com). Ma continua il complottista Panebianco:
« Fino a Maastricht (1992) e oltre, il silenzio/assenso degli elettori garantì mano libera alle élites nella costruzione dell'Europa. Le classi dirigenti si erano abituate a credere che gli elettori, nelle faccende europee, non fossero poi tanto importanti. Pensavano: contano solo le decisioni dei leader, l'intendenza (elettorale) seguirà. Come era sempre avvenuto. Fino alla moneta unica non venne presa in considerazione l'eventualità che le questioni europee potessero "politicizzarsi" entro le singole democrazie, suscitando divisioni e conflitti, e riducendo così drasticamente il margine di manovra delle élites. [Oggi] Si immagina (senza dirlo apertamente) che gli elettori europei concederanno senz'altro il loro permesso. [...] Sembrano due le ragioni per le quali gli elettori europei possono accettare (e lo hanno dimostrato in sessant'anni di integrazione) uno svuotamento lento, graduale, incrementale, del potere di decisione delle loro istituzioni democratiche nazionali ma non una brusca, radicale e plateale accelerazione del processo. »
  Ricapitolando, l'idea che le classi dirigenti vogliano fare e disfare, convinte che gli elettori (l'opinione pubblica) seguirà, non è altro che il senso del rapporto "The Crisis of Democracy" della Commissione Trilaterale, quello in cui si dice che le uniche democrazie che funzionano sono quelle dove larga parte della popolazione resta in apnea. E l'idea dello "svuotamente lento, graduale, incrementale del potere di decisione delle istituzioni democratiche nazionali" cos'è, se non la storia dei piccoli pezzetti di sovranità nazionale che se ne vanno, condotti per mano da Mario Monti, come da lui stesso sostenuto? Messa giù così, Panebianco-style, vi piace di più?
« Si impone [..] un cambiamento radicale nell'atteggiamento delle élite europeiste nei confronti della democrazia (nazionale). Non può più essere trattata con sufficienza, come problema residuale. [...] Se si continuerà a pensare che la democrazia non vada presa sul serio, che l'Europa si possa fare senza chiedere il permesso agli elettori, e che i politici preoccupati del consenso elettorale nazionale siano solo degli irresponsabili, alla fine si sfascerà tutto. Non solo l'euro. »
 Ecco. Se nei discorsi dei complottisti sostituite al temine "illuminati" il termine "élite", e alle parole "Nuovo Ordine Mondiale" la locuzione "Europa Unita", otterrete un discorso che fila liscio, serio, comprensibile da tutti, che può trovare spazio anche in prima pagina sul Corriere e che sostanzialmente ricalca quello che mi sto chiedendo dall'otto novembre scorso, incessantemente. E mi dispiace se alcuni si risentono perché vorrebbero leggere qualche bel post di calcio, magari sul 4-0 del Milan sul Chievo. Non è colpa mia se ormai è chiaro a tutti, perfino a De Bortoli che vi ha contribuito in prima persona, che la democrazia sta passando di moda e che un governo elitario di pseudo-auto-nominati sta facendosi largo al suo posto come nuova forma di governo. Di larghe intese, per carità.

 Del resto, bisogna pur considerare che il 33% degli italiani, pur sapendo leggere, riesce a decifrare soltanto testi elementari e il 71% si trova al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura di un testo di media difficoltà. Fanno di tutto per metterci di fronte all'evidenza compiuta, insomma: questa democrazia è proprio un gran stupidata.

 Vogliamo metterla in questi termini? Ok, ci sto, ma anche in questo caso mi duole avvertirli che il sottoscritto era più avanti di loro. Era il 3 maggio 2009 quando invocavo una patente elettorale a punti. Non significava certo togliere il diritto di voto, quanto subordinarlo a un esamino che certifichi che uno sappia perlomeno cosa sta facendo, quando imbraccia una matita copiativa in una cabina elettorale.

 Ora, in ogni caso, non serve più. Ora le elezioni andrebbero direttamente abolite. E il referendum potrebbe essere usato un'ultima volta per scegliere la prossima forma di governo. Qualcosa come "Volete una dittatura illuminata?". Risposte possibili, ovviamente: "" e "Sì, ve ne prego!".

sabato 26 novembre 2011

Marco Revelli: Italia a rischio Weimar

di Marco Revelli da left
«Il pericolo è che da un lato il Pd si sdrai sulle posizioni del governo e che dall’altro una parte della  sinistra si sciolga in uno sterile neopopulismo anticapitalistico. Sarebbe una tragedia. Eppure il governo Monti è il male minore».
L’analisi è di Marco Revelli, storico e sociologo torinese, attento e partecipe osservatore dei  movimenti della politica e della società sotto il giogo berlusconiano. Qualche giorno fa il suo commento sul Manifesto dal titolo “Bacio il rospo”, in cui affermava senza mezzi termini di aver fatto il tifo per Monti, ha suscitato un vivace dibattito. Cosa accadrà alla sinistra da qui alla fine della legislatura? Il Governo dei tecnici sarà l’ultimo colpo fatale?
Professor Revelli cominciamo dal governo Monti: qual è il suo giudizio dopo la presentazione del programma? Continuo a sperare che la situazione non precipiti e sono convinto che questo Governo è una  condizione necessaria – non so se sufficiente – perché questo non avvenga. Non vedo altre alternative. E quando dico “altre alternative” non intendo quello che piacerebbe a me. Questo è importante perché invece molti commentatori fanno una sovrapposizine tra ciò che si vorrebbe e ciò che si può fare. Anch’io avrei preferito che se ne andasse Berlusconi, che si facesse una bella campagna elettorale da cui uscisse vincente il centrosinistra, o meglio ancora che la sinistra prendesse il 70 per cento. Mi sarebbe piaciuto tantissimo. Ma non sta nel piano di realtà.
Cosa vede dunque a sinistra? Vedo, e questo mi genera una rabbia profonda, una “sinistra sinistra” – quella radicale, che faceva capo a Rifondazione – che negli ultimi anni ha giocato a devastare se stessa con una serie impressionante di scissioni dimostrando stupidità politica perché questo significa mettersi fuori gioco in un momento di crisi profonda. Insomma, vedo pochissimo pensiero e molta riproposizione di schemi falliti, bandierine agitate per affermare la propria identità e non delle soluzioni. Per questo considero Monti il male minore. Non certo il bene.
Quando parla di piano della realtà, cosa significa? Che la politica come è stata fatta finora è fallita? Sicuramente sì. Dietro questa svolta c’è il fallimento della politica, intesa anche come dimensione, quella che i filosofi chiamano il Politico. Sette anni fa scrissi un libro dal titolo La politica perduta, ora ne vedo una conferma. Il fatto che il Parlamento abbia dovuto fare quello che eufemisticamente si chiama un passo indietro e che il Governo sia stato affidato a un gruppo di tecnici che, ripeto, è l’unica soluzione praticabile oggi, è il segno di questa sconfitta: il fallimento della forma partito e del partito come soggetto che ha come sede naturale il Parlamento all’interno del quale definire le scelte. Questo meccanismo è saltato, i partiti si sono rivelati contenitori vuoti e incapaci di generare in tempi utili una soluzione. Aggiungerei a nostra infamia nazionale che questo impresentabile governo Berlusconi è caduto prevalentemente per ragioni esogene. È vero che era cominciato a finire ben prima, il 14 dicembre, poi c’è stato il 13 febbraio con il movimento di “Se non ora quando”, le amministratve e il referendum: un lungo processo di secessione del Paese dai suoi governanti. Però è indubbio che il colpo di grazia gliel’ha dato lo spread.
Come vede il più grande partito d’opposizione, il Pd? Supposto che la squadra di tecnocrati guidata da Monti ci faccia guadagnare un po’ di tempo, questo dovrebbe essere considerato da tutta la sinistra una “grazia  ricevuta”. Potrebbe rappresentare una possibilità di riconfigurare il proprio cervello e la propria azione a livello delle sfide del tempo. Questo sarebbe auspicabile in primo luogo ponendosi in ascolto. Perché c’è un popolo di sinistra che ha parlato in tutti questi anni e che nessuno ha ascoltato, sono stati i 27 milioni di italiani che hanno votato al referendum per i beni comuni, oppure quelli che hanno lottato contro la Tav in Val di Susa, quelli che hanno votato per Pisapia e De Magistris, candidati non scelti dagli apparati. Se sapranno ascoltarlo, c’è qualche speranza. Io però sono un pessimista.
Perché? In particolare ho il terrore di due cose. Una è che il Pd si faccia influenzare verso l’alto, identificandosi con la politica di governo invece di utilizzare il tempo guadagnato per ridefinire una propria cultura. E poi temo che un pezzo di sinistra vada a finire nel populismo dei complotti, della congiura massonico, plutocratica, globale, eccetera. Se si confrontassero un’élite tecnocratica da una parte e un tumulto di populismi confusi e carichi di risentimento, dall’altra, sarebbe davvero Weimar.
Bersani alla Camera ha pronunciato un discorso in cui parlava dell’«orgoglio delle proprie idee». Bersani ha un compito improbo e ha davvero la mia simpatia. Deve tenere insieme tendenze anche centrifughe spaventose. Ma non giudicherei dai discorsi di maniera di questi giorni, invece monitorerei con molta attenzione quello che succederà a breve. Il rischio della decomposizione è grande: il Pdl senza più il magnete della leadership di Berlusconi potrebbe esplodere in molti frammenti centrifughi, perché è un agglomerato forte di interessi e di affari che tenderanno ad andare a giocare ognuno la propria  partita. Ma il rischio è anche simmetrico: nel Pd le identità che lo compongono non hanno un cemento solido e quindi è grande che il rischio che il vuoto che il Parlamento ha mostrato in questo anno diventi un dato permanente nel nostro sistema politico.
In questo contesto quanto pesa l’intervento della Chiesa? Nel vuoto della politica la Chiesa ha sempre fatto irruzione. Quanto più si fa rarefatta la sfera pubblica per assenza di soggetti credibili – i partiti in questo caso -, tanto più la Chiesa esce dal suo ruolo di magistero e assume una veste direttamente politica. Qui non si tratta del magistero morale ma del perseguimento dei propri interessi temporali: dall’Ici sul patrimonio immobiliare alla scuola privata, o alla bioetica. Su questo passeranno all’incasso.
Nel governo Monti sono stati nominati tre ministri donne in incarichi importanti. C’è qualcosa di nuovo? Vedo qualcosa di radicalmente nuovo rispetto al più immediato passato. Qui il merito e la competenza accedono ai posti di responsabilità, e devo dire che c’è stato un ruolo formidabile delle donne in questo ultimo anno. Inoltre, questo punto di vista femminile che privilegia per certi versi competenza e cura rispetto alla competitività e muscolarità della politica può essere un’uscita di sicurezza dal labirinto in cui ci siamo cacciati.

martedì 22 novembre 2011

Il processo contro Bush e Blair per crimini di guerra a Kuala Lumpur

Per la prima volta saranno esaminate le accuse per crimini di guerra contro i due ex capi di Stato.
 
Dal 19 al 22 novembre 2011, il processo contro George W. Bush (l'ex presidente degli Stati Uniti) e Anthony L. Blair (ex Primo Ministro britannico) si terrà a Kuala Lumpur. Questa è la prima volta che le accuse per crimini di guerra contro i due ex capi di Stato saranno esaminate nel rispetto di una corretta procedura legale.
Le accuse sono state dirette contro gli accusati dalla Commissione per i Crimini di Guerra di Kuala Lumpur (KLWCC), a seguito delle procedure previste dalla legge. La Commissione, dopo aver ricevuto denunce da vittime della guerra in Iraq nel 2009, ha proceduto ad effettuare un'accurata e approfondita indagine per quasi due anni e, nel 2011, ha costituito accuse formali per crimini di guerra contro Bush, Blair e i loro associati.
L'invasione dell'Iraq nel 2003 e la sua occupazione hanno provocato la morte di 1,4 milioni di iracheni. Innumerevoli altri hanno sopportato torture e privazioni indicibili. Le grida di queste vittime sono finora rimaste inascoltate dalla comunità internazionale. Il diritto umano fondamentale di essere ascoltati è stato loro negato.
Come risultato, nel 2008 è stato costituito il KLWCC  per colmare questo vuoto e per agire, come iniziativa  dei popoli, per fornire un modo a tali vittime per presentare le loro lamentele e per avere la loro giornata in una corte di giustizia popolare.
La prima accusa contro George W. Bush e Anthony L. Blair per Crimini contro la Pace:
Gli imputati hanno commesso crimini contro la pace, nel senso che le persone Accusate hanno pianificato, predisposto e invaso lo stato sovrano dell'Iraq il 19 marzo 2003 in violazione della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale.
La seconda accusa è di crimine di tortura e crimini di guerra, nei confronti di otto cittadini degli Stati Uniti che sono in particolare George W. Bush, Donald Rumsfeld, Dick Cheney, Alberto Gonzales, David Addington, William Haynes, Jay Bybee e John Yoo, in cui:
Le persone Accusate hanno commesso il crimine di tortura e crimini di guerra, in quanto: gli imputati hanno volontariamente partecipato alla formulazione di ordini esecutivi e direttive per escludere l'applicabilità di tutte le convenzioni e le leggi internazionali, in particolare la Convenzione contro la tortura del 1984, la Convenzione di Ginevra III, 1949, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Carta delle Nazioni Unite, in relazione alla guerra lanciata dagli Stati Uniti e altri in Afghanistan (nel 2001) e in Iraq (marzo 2003), inoltre, e/o sulla base e nel perseguimento dello stesso, le persone Accusate hanno  autorizzato o sono stati conniventi, ordinando atti di tortura e trattamenti crudeli, degradante e inumano trattamento nei confronti di vittime, in violazione del diritto internazionale, dei trattati e delle convenzioni tra cui la Convenzione contro la tortura del 1984 e le Convenzioni di Ginevra, inclusa la Convenzione di Ginevra III del 1949.
Il processo si terrà davanti al Tribunale per i crimini di guerra di Kuala Lumpur, che è costituito da eminenti personalità in possesso di qualifiche legali.
I giudici del Tribunale, che fanno capo al giudice in pensione della Corte Federale malese Dato' Sulaiman Abdul Kadir, includono anche altri nomi importanti come il signor Alfred Lambremont Webre, un laureato di Yale, che ha scritto alcuni libri sulla politica, Dato' Zakaria Yatim,  giudice in pensione della Corte Federale malese, Tunku Sofiah Jewa, avvocato e autore di numerose pubblicazioni in diritto internazionale, il prof Salleh Buang, ex Consigliere federale del procuratore generale Chambers e autore di spicco, il prof Niloufer Bhagwat, esperto di Diritto Costituzionale, Diritto Amministrativo e Diritto Internazionale, e il Prof. Dr. emerito Datuk Shad Saleem Faruqi, prominente accademico e professore di diritto.
Il Tribunale giudicherà e valuterà le prove presentate, come in ogni tribunale. I giudici del tribunale devono essere convinti che le accuse sono provate oltre ogni ragionevole dubbio e fornire un giudizio motivato.
Nel caso in cui il tribunale condannasse uno qualsiasi degli imputati, l'unica sanzione è che il nome del colpevole sarà iscritta nel Registro dei Criminali di Guerra della Commissione e pubblicizzato in tutto il mondo. Il tribunale è un tribunale di coscienza e un'iniziativa dei popoli.
L'accusa per il processo sarà presentata dal Prof. Gurdial S Nijar, professore di legge di spicco e autore di numerose pubblicazioni giuridiche e dal Prof. Francis Boyle, eminente professore americano, professionista e sostenitore del diritto internazionale, e assistito da un team di avvocati.
Il processo si terrà in una corte aperta dal 19 al 22 Novembre 2011 presso la sede della Fondazione Al-Bukhari a Jalan Perdana, Kuala Lumpur.
Fonte: Global Research 19 Novembre 2011
Traduzione: Anna Moffa

 

“Fate presto!” Appello per l'introduzione di un reddito minimo garantito

Lettera aperta al
Presidente del Consiglio Mario Monti

E p.c. Ministro del Lavoro e delle politiche sociali
Prof.ssa Elsa Fornero

Egregio Sig. Presidente del Consiglio,
ci rivolgiamo a Lei in questa fase iniziale e concitata dell'azione del Suo nuovo ministero affinché prenda nota, al fine di porvi riparo, della drammatica condizione di  emergenza sociale in cui versa il nostro Paese. 
I termini “emergenza” ed “eccezionalità” sono stati tutti usati per il racconto della crisi economica internazionale che siamo costretti ad affrontare, tanto che su questi si sono basate le scelte della nascita di un nuovo governo e a quanto pare delle future politiche economiche.
Ma riteniamo che esista una emergenza ancora più impellente da affrontare. Parliamo di quella emergenza sociale presente da anni nel nostro paese e che con la crisi è divenuta ormai di carattere “esistenziale”. Solo pochi dati basteranno a mostrare la necessità e l'urgenza di un intervento sul  piano della realizzazione di misure di sostegno in favore dei cittadini:  il 13,8% della popolazione vive in stato di povertà (fonte Caritas, ottobre 2011), i furti dei generi di prima necessità nei supermercati sono aumentati del 7,8% nell'ultimo anno (per un ammontare di 3 miliardi di euro annui, secondo il "Barometro dei furti nella vendita al dettaglio" a cura del Centre for Retail Research, ottobre 2011),  i giovani privi di occupazione ed espulsi anche dal ciclo della formazione sono nel 2011 oltre 2,5 milioni mentre solo nel 2006 erano 824mila, tra i disoccupati solo 1 su 4 riesce a trovare un lavoro, sempre più spesso precario, entro un anno (dati Bankitalia, novembre 2011). Già ricordare questi pochi dati, che Lei certo conosce bene, siamo in grado di definire questa come una situazione di allarmante “emergenza sociale” che attende una risposta di urgente decisione. Il nostro grido di allarme e rivolto dunque al nuovo governo e chiediamo a gran voce di “Fare Presto!”.
Conosciamo la sua ferma e ribadita intenzione di orientare le decisioni del governo alla luce delle indicazioni dell’Unione europea. Ebbene, guardando sempre all’Europa, la Commissione da anni ci invita a combattere quella che definisce la “segmentazione“ del mercato del lavoro e negli ultimi documenti rivolti all’Italia, dall’esame (molto negativo peraltro), in giugno, del Programma nazionale di riforma del nostro paese in poi, ha costantemente richiesto misure in  particolare in favore del precariato e dei giovani nonché l’adozione di forme inclusive e universali di indennità di disoccupazione e di efficienti misure di sostegno al reddito. La stessa Commissione ci invita sin dal 1992 con la Raccomandazione 92/441, ad “impegnarci per adottare misure di garanzia a partire dal reddito minimo come elemento qualificante del modello sociale europeo”. Come saprà di certo l’Italia è oggi uno dei pochi paesi in Europa a non avere alcuna misura di reddito minimo per coloro che sono in uno stato di disoccupazione, o in difficoltà economica. Tanto che l’Eurostat il 3 ottobre del 2005 indicava “l’Italia come uno dei paesi più a rischio povertà” individuando addirittura nel “42 per cento della popolazione totale” il segmento a rischio di esclusione nei prossimi quindici o venti anni.
E' noto che in numerosi stati europei quando si perde lavoro si ha la possibilità di accedere ad un sussidio di disoccupazione (in Italia solo il 17,2 per cento di disoccupati riesce a farlo, contro il 94,7 per cento dell’Olanda o il 91,8 per cento del Belgio o il 70,9 per cento della Francia o l’ 80 per cento della Germania) e sappiamo anche che quando questo tipo di misura termina si può ancora avere un sostegno economico quale il reddito minimo garantito. E non si tratta di sostegni simbolici perché l'ammontare medio è pari a circa 600 euro al mese in Belgio, a circa 700 euro in Austria, altrettanti in Irlanda o in Belgio, senza poi menzionare i livelli di tutela offerti dagli ordinamenti scandinavi. E' noto poi che oltre al sostegno finanziario i nostri concittadini europei in stato di bisogno possono contare sull'accesso alla casa, ai trasporti, alla cultura o alle misure di supporto per la famiglia o i figli.
Siamo certi che lo scenario interno ed europeo Le è  ben chiaro, che conosce meglio di noi i dati della crisi ed i suoi effetti drammatici, che il governo da Lei presieduto valuterà le misure generalmente adottate nel welfare europeo e le best practices valorizzate nell’ambito del metodo aperto di coordinamento e che sicuramente è consapevole dell’enorme ritardo italiano rispetto alle misure di reddito minimo garantito vigenti negli altri paesi, tanto da farci dire che oggi possiamo essere uno di quei paesi che potrebbero persino superare, migliorandone l’efficacia a partire da un reddito minimo garantito ed incondizionato, le tradizionali forme di sostegno al reddito che sono presenti negli stati europei.
Vogliamo però ancora una volta sottolineare che la situazione esistenziale delle persone in difficoltà è drammatica se non esplosiva e per questo Le suggeriamo di mettere, presto, immediatamente, in calendario lo studio di misure appropriate per porvi rimedio a partire proprio dall’individuazione di una misura di reddito minimo garantito incondizionato (ulteriore rispetto a una indennità di disoccupazione generalizzata,  che dovrebbe anche essa essere garantita a tutti quei lavoratori che oggi non possono richiederla) affinché si definisca un nuovo diritto sociale.
Sappiamo che in molti già diranno che questa misura costa denaro, ma sappiamo anche che non avere una misura di questo tipo, costa in verità molto, ma molto di più, sia in termini economici che in termini di coesione sociale, di garanzia dei diritti, del riconoscimento di una piena cittadinanza, della certezza di un impoverimento di una società nel suo complesso.
Far rimanere l’Italia, a tutti gli effetti, un paese “europeo” non presuppone solo la difesa della moneta comune, ma la salvaguardia effettiva di quei diritti che permettano a tutti i cittadini di questo continente di sentirsi tali, di non vedere calpestata la propria dignità personale e poter così mantenere un proprio ruolo attivo nella vita culturale, politica e sociale di questo paese e di questo continente. Oggi è il momento: un reddito minimo garantito è possibile, necessario, fondamentale.
Il rischio di “default dei diritti di cittadinanza e della dignità della persona” è ormai presente. Per questo le chiediamo di fare presto.
Certi della Sua sensibilità ci attendiamo al più presto che la misura del reddito minimo garantito diventi una realtà anche per i cittadini italiani e Le porgiamo i nostri cordiali saluti.
 
Consiglio direttivo del Bin Italia

lunedì 21 novembre 2011

La violenza dei mansueti

Ci hanno detto che dovevamo diventare non violenti perché la violenza dei deboli può creare discordia e rovinare l’armonia di una comunità e allora siamo diventati non violenti. Ma non gli è bastato, perché la malignità del povero si manifesta anche nei gesti e nelle parole e anche quella è violenza, e allora hanno preteso che divenissimo mansueti. Neanche ciò è stato sufficiente, perché persino i mansueti nel loro belare possono fare cagnara e disturbare chi è al potere. Allora hanno preteso che non manifestassimo sentimenti come forma di rispetto per chi, delegato a servire i nostri interessi è caduto in disgrazia e perché mostrassimo un nobile distacco per le cose terrene.
Ho il sospetto che neanche questo gli basti, poiché persino un individuo totalmente apatico può sbandare per strada e urtare qualche potente pestandogli i piedi.
Alla fine temo proprio che dovremo chiuderci in casa e uscire solo quando ce lo diranno giornalisti e intellettuali accreditati dal governo, ma con la massima compunzione mi raccomando, perché dal levar di ciglia al terrorismo il passo è breve.

domenica 20 novembre 2011

Gli Indignati vogliono vincere?

di Jacopo Fo da  ilfattoquotidiano

Mi ha un po’ preoccupato l’intervento a Servizio Pubblico di alcuni giovani. Spero rappresentino una piccola minoranza sennò son dolori…

Durante la trasmissione di Santoro alcuni Indignados italiani si sono presentati con la maschera dell’eroe del film V per Vendetta. Questo eroe è un terrorista giustiziere che in un mondo dittatoriale del futuro uccide una serie di potenti malvagi e alla fine organizza un mega attentato con un treno imbottito di esplosivo scagliato contro il Parlamento dittatoriale.

Tra un assassinio e l’altro salva una fanciulla di incomparabile bellezza, che diventa sua complice. Ma siccome non è sicuro dell’affidabilità di lei, la sequestra e la porta in una finta prigione della polizia, la tortura per un lungo periodo di tempo e poi le fa credere di essere stata condannata a morte. La ragazza nonostante tutto non cede alle torture, non rivela i segreti che conosce e viene quindi accettata nel club terrorista.

Ora, scusate, non solo questo è un film che inneggia alla violenza militare, ma è pure un film che vende una visione fascista dei rapporti umani, a cominciare dal fine che giustifica i mezzi. Un’immagine della costruzione di un mondo nuovo basata sull’eroe, una specie di superman, che si erge al di sopra della morale umana per mondare i peccati. In questo film c’è l’idea che l’amore, l’empatia, il rispetto, possano essere negati e uccisi in nome di un obiettivo superiore.

Io avevo capito che il mondo nuovo si costruisce facendo rete, praticando la via dei piccoli passi, del pensiero trasversale, della spinta gentile, della sacralità del ridere. Avevo capito che la qualità del mezzo contiene la qualità del fine, che il viaggio è altrettanto importante della meta da raggiungere. Avevo capito pure che siamo pacifisti. Che siamo il 99% del mondo e che possiamo cambiare il corso della storia mettendo insieme la nostra sensibilità, la nostra creatività, la nostra capacità di cooperare e amare.

E credo che una società che nasce da un terrorismo individualista da super eroe, disposto perfino al sadismo, è una società nella quale non voglio vivere. Mi fa schifo.

Ora qualcuno mi dirà: “Ma ti attacchi ai dettagli, non vedi il quadro d’insieme, il desiderio di giusta rivolta che se ne frega delle sottigliezze della grammatica.” Mi dispiace dirlo ma siamo nell’era della comunicazione e dei simboli. Puoi ribellarti a tutto quel che vuoi, ma se usi dei simboli che rappresentano il contrario di quel che dici di volere fai una pirlata pazzesca.

Ma il guaio è che non solo questi Indignados sono andati a Servizio Pubblico con la maschera sbagliata, ma pure (alcuni) hanno parlato con una modalità aggressiva. E oltretutto hanno portato proposte nelle quali non c’erano idee di cambiamento reale, ma solo rivendicazioni iperboliche. Dire: “Ora ci devono dare indietro tutti i soldi che hanno rubato!” E’ molto bello. Ma è solo demagogia.

Da parecchio dico che uno dei nostri obiettivi deve essere quello di cambiare le leggi sulla prescrizione dei reati e imporre a chi ha succhiato il sangue dell’Italia, formando logge segrete, corrompendo e organizzando un complotto mafioso colossale, di pagare i danni. Ma non penso che si possa fare ora, con questo Parlamento e il 25% degli italiani che è ancora convinto che Berlusconi sia vergine.

Oggi tocca rendersi conto che la situazione è tragica, che, se non riusciamo a ottenere alcuni essenziali cambiamenti, milioni di italiani rischiano di non avere più le medicine salvavita. In Grecia sta succedendo questo. In questo momento dovremmo impegnarci a bloccare il tentativo di far pagare la crisi al popolo individuando obiettivi sui quali realizzare una grande alleanza tra gli italiani onesti: basta burocrazia folle, basta sprechi (e spese militari e regali alla Casta), basta corruzione, basta evasione fiscale, basta tolleranza verso le mafie e l’illegalità, nuove regole per banche e mercato azionario (e magari anche la fine del segreto bancario e dei paradisi fiscali).

Sono argomenti capaci di convincere il 99% degli italiani di buona volontà. Di questo dovrebbe parlare chi ha modo di farlo. E si dovrebbe dimostrare con i numeri e le statistiche che la crisi non esisterebbe se recuperassimo solo una parte dei 500 miliardi circa che lo Stato Italiano oggi spreca o si fa rubare.

La maschera spaventosa di V e gli obiettivi al momento irrealizzabili non sono utili. Fare i duri in tv danneggia tutto il movimento.

sabato 19 novembre 2011

La serietà del male

di Boiardo

Il governo Monti ha davvero una vocazione ecumenica, per non scontentare rifondaroli, no global, indignados e compagnia cantando ha messo Clini all'ambiente, così da dare a tutti i soggetti sopraelencati un motivo per continuare a far sentire la propria voce e per sopramercato ci ha messo pure le flessibilità in uscita del lavoro, l'ICI, la riforma delle pensioni, tagli qui e la e altre cosette che si scopriranno strada facendo.
L'ex opposizione ha ormai gettato la maschera definitivamente, buttando alle ortiche ogni briciolo di dignità rimasta seppure ne aveva ancora, e ha fatto il suo giuramento definitivo alla religione di mercato, purché, senza avere pretese eretiche o riformatrici, sia coniugata con l'equità. Equità significa, secondo il lessico di Bersani e compagnia la seguente equazione: se un operaio viene spogliato, derubato e messo sulla graticola, il ricco deve essere almeno solleticato con una piuma sotto la pianta dei piedi. In realtà la cura dei professori è una solenne fregatura, non solo perché finirà per aggravare ancora di più le condizioni delle classi lavoratrici e per la terapia dimagrante che si profila per lo stato sociale, ma soprattutto perché sancirà definitivamente come inderogabili e assoluti i principi del mercato. Ogni idea fuori dal coro verrà bollata come ingenuo complottismo e qualsiasi proposta che sfugga al rigore della legge del pareggio di bilancio, come irresponsabilità.
Allo stato di cose attuale il governo Monti ha prodotto un effetto effetto psicologico devastante: l'immaginario collettivo si è modellato immediatamente sull'idea del binomio serietà/irresponsabilità, dove Monti rappresenta, in questo continuum, la polarizzazione estrema della serietà. Al di fuori di questa polarità c'è il nulla. L'alternativa che abbiamo a questo punto è essere irresponsabili o essere nulla. Questo è ciò che aspetta chi oserà criticare il richiamo alla ragionevolezza dei professori: si potrà scegliere fra l'essere degli irriducibili oppositori della ragione, che delirano di complotti dei poteri forti, o chiamarsi fuori da ogni contesa. Ognuno di noi da oggi in poi temerà in cuor suo di fare la scelta sbagliata, quella che conduce la baratro se non asseconderà i dettami dei professori.
Risalire una china così impervia sarà un'impresa improba, rendere attuale un'idea di società diversa da quella prospettata dal liberismo, richiederà molta forza di volontà e molta pazienza. Occorrerà moltiplicare sul territorio gli esempi positivi di una buona politica, come nel caso di De Magistris, ma soprattutto occorrerà uscire il prima possibile dalla logica delle grandi manifestazioni, buone per infoltire gli album di ricordi e nulla più. I movimenti devono imparare a produrre esempi concreti di società alternativa, colonizzare le istituzioni e fornire una nuova classe dirigente al paese, sul modello di Grillo, altrimenti la loro forza è destinata a disperdersi.
La vedo male per Vendola e Rifondazione, riconquistare la scena con un ruolo da protagonisti sarà dura, almeno fintantoché non si riuscirà a rompere l'incantesimo della “giusta via” tracciata da Monti. Non so cosa si può fare a questo punto, ma non vorrei augurarmi che Monti lasci dietro di sé solo macerie, per poter dire di aver avuto ragione.
Una lista civica nazionale, che riunisca la parte migliore di questo paese, come propone De Magistris e come questo blog nel suo piccolo propone da sempre, potrebbe essere una buona idea dalla quale ricominciare.

La violenza dei mansueti

Ci hanno detto che dovevamo diventare non violenti perché la violenza dei deboli può creare discordia e rovinare l'armonia di una comunità e allora siamo diventati non violenti. Ma non gli è bastato, perché la malignità del povero si manifesta anche nei gesti e nelle parole e anche quella è violenza, e allora hanno preteso che divenissimo mansueti. Neanche ciò è stato sufficiente, perché persino i mansueti nel loro belare possono fare cagnara e disturbare chi è al potere. Allora hanno preteso che non manifestassimo sentimenti come forma di rispetto per chi, delegato a servire i nostri interessi è caduto in disgrazia e perché mostrassimo un nobile distacco per le cose terrene.
Ho il sospetto che neanche questo gli basti, poiché persino un individuo totalmente apatico può sbandare per strada e urtare qualche potente pestandogli i piedi.
Alla fine temo proprio che dovremo chiuderci in casa e uscire solo quando ce lo diranno giornalisti e intellettuali accreditati dal governo, ma con la massima compunzione mi raccomando, perché dal levar di ciglia al terrorismo il passo è breve.

La serietà del male

di Boiardo

Il governo Monti ha davvero una vocazione ecumenica, per non scontentare rifondaroli, no global, indignados e compagnia cantando ha messo Clini all'ambiente, così da dare a tutti i soggetti sopraelencati un motivo per continuare a far sentire la propria voce e per sopramercato ci ha messo pure le flessibilità in uscita del lavoro, l'ICI, la riforma delle pensioni, tagli qui e la e altre cosette che si scopriranno strada facendo.
L'ex opposizione ha ormai gettato la maschera definitivamente, buttando alle ortiche ogni briciolo di dignità rimasta seppure ne aveva ancora, e ha fatto il suo giuramento definitivo alla religione di mercato, purché, senza avere pretese eretiche o riformatrici, sia coniugata con l'equità. Equità significa, secondo il lessico di Bersani e compagnia la seguente equazione: se un operaio viene spogliato, derubato e messo sulla graticola, il ricco deve essere almeno solleticato con una piuma sotto la pianta dei piedi. In realtà la cura dei professori è una solenne fregatura, non solo perché finirà per aggravare ancora di più le condizioni delle classi lavoratrici e per la terapia dimagrante che si profila per lo stato sociale, ma soprattutto perché sancirà definitivamente come inderogabili e assoluti i principi del mercato. Ogni idea fuori dal coro verrà bollata come ingenuo complottismo e qualsiasi proposta che sfugga al rigore della legge del pareggio di bilancio, come irresponsabilità.
Allo stato di cose attuale il governo Monti ha prodotto un effetto effetto psicologico devastante: l'immaginario collettivo si è modellato immediatamente sull'idea del binomio serietà/irresponsabilità, dove Monti rappresenta, in questo continuum, la polarizzazione estrema della serietà. Al di fuori di questa polarità c'è il nulla. L'alternativa che abbiamo a questo punto è essere irresponsabili o essere nulla. Questo è ciò che aspetta chi oserà criticare il richiamo alla ragionevolezza dei professori: si potrà scegliere fra l'essere degli irriducibili oppositori della ragione, che delirano di complotti dei poteri forti, o chiamarsi fuori da ogni contesa. Ognuno di noi da oggi in poi temerà in cuor suo di fare la scelta sbagliata, quella che conduce la baratro se non asseconderà i dettami dei professori.
Risalire una china così impervia sarà un'impresa improba, rendere attuale un'idea di società diversa da quella prospettata dal liberismo, richiederà molta forza di volontà e molta pazienza. Occorrerà moltiplicare sul territorio gli esempi positivi di una buona politica, come nel caso di De Magistris, ma soprattutto occorrerà uscire il prima possibile dalla logica delle grandi manifestazioni, buone per infoltire gli album di ricordi e nulla più. I movimenti devono imparare a produrre esempi concreti di società alternativa, colonizzare le istituzioni e fornire una nuova classe dirigente al paese, sul modello di Grillo, altrimenti la loro forza è destinata a disperdersi.
La vedo male per Vendola e Rifondazione, riconquistare la scena con un ruolo da protagonisti sarà dura, almeno fintantoché non si riuscirà a rompere l'incantesimo della “giusta via” tracciata da Monti. Non so cosa si può fare a questo punto, ma non vorrei augurarmi che Monti lasci dietro di sé solo macerie, per poter dire di aver avuto ragione.
Una lista civica nazionale, che riunisca la parte migliore di questo paese, come propone De Magistris e come questo blog nel suo piccolo propone da sempre, potrebbe essere una buona idea dalla quale ricominciare.

martedì 15 novembre 2011

L’Europa, la Trilateral Commission e il gruppo Bilderberg Tratto da: L’Europa, la Trilateral Commission e il gruppo Bilderb

Da leggere assolutamente per comprendere bene da dove arriva Monti, come funzionano alcuni club esclusivi internazionali che “pianificano” a livello globale il futuro dell’economia, della finanza e quindi della politica.

Vittorio Agnoletto

di Giovanna Cracco da Paginauno via Informare per Resistere

 

Le pressioni della Trilateral Commission e del gruppo Bilderberg sulle commissioni europee e l’invenzione del Patto di stabilità per estromettere i governi nazionali dalle scelte economiche: quando la politica, obbligata a fare i conti con il voto e il consenso popolare, è un lusso che il neoliberismo non si può più permettere

Poche cose generano disinteresse negli italiani quanto l’Unione europea, le sue regole, i vari trattati che l’hanno creata, le istituzioni. Un disinteresse radicato, nonostante la consapevolezza, o il sentore, che l’Unione stia fagocitando pian piano l’autonomia decisionale di ogni Paese membro.
Le ultime elezioni europee del 2009 hanno visto un’affluenza del 65%, in calo rispetto alle votazioni precedenti dell’8%. Una persona consapevole ma ottimista (quasi un ossimoro) potrebbe valutare il disinteresse come una presa di coscienza da parte degli italiani del fatto che la politica, in Europa, ha un peso talmente irrisorio, che esercitare il proprio diritto di voto per decidere da chi farsi rappresentare al Parlamento europeo è una farsa a cui si sottraggono volentieri. Ma proprio in virtù dell’ossimoro, risulta difficile dare questa interpretazione. Più probabile che la complessità delle strutture europee, e quindi l’impegno che richiede il conoscerle e farsi un’opinione, sia la ragione alla base del disinteresse.

Nel 1992, anno della firma del Trattato di Maastricht, l’Unione europea era stata presentata agli italiani come la terra promessa, l’unica possibile salvezza da un sistema Paese in fallimento, in preda a Tangentopoli, falcidiato nella sua classe politica corrotta; come il solo modo per uscire dalla dinamica di un debito pubblico in perenne aumento e da una lira buttata fuori dal Sistema monetario europeo (Sme). In nome dei parametri del Trattato – inerenti ai valori di debito pubblico, deficit, inflazione, tasso d’interesse a lungo termine e permanenza nei due anni precedenti nello Sme – fu lanciata la campagna delle privatizzazioni delle imprese pubbliche (svendute ai grandi gruppi privati come nemmeno a un mercato delle pulci); fu approvata dal Parlamento italiano – 1996, governo Prodi – una manovra economica da 62.500 miliardi di lire, perno dell’affannata rincorsa, risultata vittoriosa, per entrare nel primo gruppo che avrebbe adottato l’euro. Quel che a tutti i costi si doveva agguantare, infatti, era l’unione economica dell’Europa: il treno del libero mercato, lanciato a piena velocità.

La mano invisibile, la legge naturale della domanda e dell’offerta che genera i giusti prezzi e la competizione tra pari: nel ’92 il libero mercato era già divenuto quel che Foucault avrebbe definito un ‘regime di verità’. Aveva cioè già imposto il proprio processo di veridizione, stabilendo in modo autoreferenziale l’insieme delle regole che sanciscono che cosa è vero e che cosa è falso. Tra quelle vere, la principale è l’automatismo delle dinamiche del mercato, che produce maggior ricchezza per tutta la popolazione a patto sia lasciato libero di agire. A patto, dunque, che la politica adotti la logica del ‘governo minimo’ – privatizzare, abbandonare il welfare, ritirarsi dal ruolo di mediatore dei conflitti sociali e dal tavolo della contrattazione collettiva sul lavoro. Le sue azioni quindi non sono più giudicate sulla base di criteri come legittimo o illegittimo, ma esclusivamente sugli effetti che producono in termini di utilità. Il ‘governo del fare’, ben prima che Berlusconi lanciasse lo slogan.

Ne nasce, inevitabilmente, un primato dell’economia sulla politica, e un governo della società in tal senso. Non è una novità (con la definizione di struttura/sovrastruttura, Marx aveva già individuato e analizzato questa dinamica), ma viene a mancare quel discorso dialettico che politica ed economia sono sempre state costrette a tenere in piedi, con le conseguenze che questa mancanza comporta. Prima fra tutte, la questione della libertà degli individui, che perde la caratteristica giuridica – naturale, direbbe Rousseau – per abbracciare quella mercantile. Il libero mercato ‘consuma’ libertà, ne deve dunque produrre per sopravvivere: libertà del venditore, dell’acquirente e del consumatore; libertà di proprietà, d’impresa e del mercato del lavoro. La formula del liberalismo, scriveva Foucault, non è ‘sii libero’, ma: ‘ti procurerò di che essere libero’.

Al ricco banchetto del libero mercato, siede però un convitato di pietra: i cittadini. Non tanto perché possono scendere in piazza a protestare – dato che il concetto di democrazia ormai sacralizzato, vuole che il conflitto sociale sia pacifico, colorato, fantasioso negli slogan e rispettoso delle ‘zone rosse’: quando trasgredisce queste regole, si trasforma automaticamente in facinoroso e terrorista e opinione pubblica, mass-media e politica fanno a gara per condannarlo. Il problema è che i cittadini hanno il diritto di voto.

La politica, in realtà, ha già trovato il modo per rendere innocuo tale diritto, creando quel che a tutti gli effetti è un sistema unipolare: la visione economica infatti è una, destra e sinistra hanno entrambe abbracciato l’ideologia del libero mercato. Ma l’inseguimento del consenso elettorale, per giochi di potere, produce inevitabilmente lentezze decisionali, che provocano gravi danni in un contesto economico che vive di rapidità e immediatezza, ancora più necessarie in una fase di crisi come quella attuale. Lo dichiara candidamente anche lo stesso Sacconi, in un’intervista rilasciata al Corsera l’8 novembre scorso, quando afferma che la crisi ha innescato un passaggio epocale: da una parte vi sono Paesi come la Cina, “con sistemi istituzionali molto semplici e perciò veloci nelle decisioni, dall’altra i Paesi di vecchia industrializzazione che non possono più far leva sul debito pubblico, come l’Italia”. Far leva sul debito pubblico, nelle parole del ministro, significa sostenere quella politica di welfare che produce consenso elettorale. Non è più possibile farlo, e per ragioni ormai evidenti: il mercato, lasciato totalmente libero di agire, penalizza, attraverso la speculazione finanziaria, i Paesi troppo indebitati. Tuttavia non è nemmeno possibile diventare la Cina: la democrazia è sacra, con il suo diritto di voto, e non si può tornare indietro, a un regime dittatoriale.
La soluzione trovata a questa impasse è l’esautorazione della politica dalle decisioni economiche, e l’Europa vi è riuscita così bene che Bernanke, governatore della Fed, la indica come la futura strada maestra.

In un convegno a Rhode Island, il 4 ottobre scorso, egli afferma che il progressivo aumento e invecchiamento della popolazione in tutti i Paesi occidentali – data la crescita delle aspettative di vita creata dal benessere economico – rischia di generare enormi spese sanitarie e pensionistiche, che andranno ad aumentare sempre più i debiti pubblici. Tagliare e privatizzare tutto è l’unico modo per evitarlo, dato che le imposte sulle imprese, i redditi alti e i patrimoni non si possono aumentare – sono i principali attori del libero mercato, non li si può ‘impoverire’ – e nemmeno si può più spennare un pollo – il ceto medio-basso – ormai rimasto senza piume. Una soluzione tuttavia che rischia di provocare problemi di consenso elettorale. Occorre dunque affidare la politica economica a organismi non elettivi e vincolarla all’applicazione di rigide ‘regole fiscali’, impersonali, asettiche, non derogabili.

L’invidia di Bernanke nasce dal fatto che l’Europa, ben prima degli Stati Uniti, è riuscita a mettere in pratica l’esautorazione, con l’invenzione del Patto di stabilità. Comodo paravento dietro cui la politica si nasconde, evitando così di rispondere del fatto che è essa stessa ad aver innalzato il libero mercato a luogo di verità – dal momento che ancora, il potere legislativo è unicamente nelle sue mani – i cittadini si sentono dire che non è responsabilità del governo italiano una manovra economica da 24 miliardi di euro, perché la esige l’Unione europea, il Patto di stabilità, la difesa dalla speculazione.
Il processo di veridizione si è talmente compiuto che Tremonti è, nell’elettorato di destra come in quello di sinistra, il ministro più apprezzato: ha tenuto i conti pubblici in ordine, recita il mantra trasversale. Senza che alcuno si chieda quale ordine dovrebbe essere ritenuto legittimo, per uno Stato che non ha sottoscritto alcun contratto economico con chicchessia bensì, al limite, un contratto sociale con i propri cittadini.

Gli attori protagonisti dell’intero sistema sono diventati i banchieri. Tengono per lo scroto sia gli Stati, sia l’economica produttiva, che agisce ormai con un unico fine: creare gruppi industriali sempre più grandi. La ragione è duplice: realizzare quelle economie di sistema che permettono di essere competitivi e (dolce chimera) agguantare posizioni dominanti o addirittura di monopolio; e diventare talmente grandi da non poter fallire. Raggiungere ossia quella posizione per cui il fallimento dell’impresa trascinerebbe con sé nel baratro talmente tante banche creditrici, che sono loro stesse a correre continuamente in soccorso con nuovo credito. In un circolo vizioso e virtuale di un giro di denaro che esiste ormai solo dentro i computer.

Non stupisce, in tale contesto, che si siano creati consessi di poteri forti, lobby chiuse, ristrette, riservate; spazi in cui banchieri, politici e industriali tracciano le linee guida comuni e strategiche per salvaguardare il sistema e possibilmente farlo crescere, e rappresentanti del mondo accademico e dell’informazione si occupano di mettere in circolo il pensiero unico del ‘vero’ e del ‘falso’ sancito dal processo di veridizione. La Trilateral Commission, il gruppo Bilderberg. Nomi che il solo pronunciare genera accuse di complottismo e dietrologia. Nulla di tutto questo. Come nulla di più normale che un sistema basato su pochi attori principali crei spazi adibiti al confronto programmatico: né più né meno di un consiglio di amministrazione.

La Trilaterale nasce nel 1973, su iniziativa di David Rockefeller. Il nome rimanda alle tre aree all’epoca punto di riferimento dell’economia del libero mercato, nord America, Europa e Giappone, in cui sono tuttora presenti le tre direzioni regionali, a Washington, Parigi e Tokyo. Nel tempo il gruppo si è allargato, inglobando i vari Stati dell’est Europa e dell’Asia che abbracciavano il neoliberismo, e dai 180 membri iniziali – 60 per ogni area – si è arrivati oggi a circa 400, suddivisi per Paese in base a un principio di rappresentanza stabilito sul doppio parametro Pil/popolazione.
La struttura è insomma quella di un Parlamento globale, ma con meno membri della sola Camera italiana e, soprattutto, non elettivo: si entra a farne parte su invito, e vi si contano soprattutto banchieri (tutti i presidenti dei grandi istituti, compresi quelli centrali delle varie nazioni, della Banca europea, della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, e gli amministratori delegati dei maggiori fondi speculativi); politici (ministri e parlamentari seduti nelle Camere dei loro Paesi e/o in quella europea e nelle commissioni europee); industriali (i rappresentanti delle principali multinazionali: Coca Cola, Nokia, Rothschild, Shell, Sony ecc.); rappresentanti del mondo accademico, giornalisti e soprattutto editori (Les Echos, Le Figaro, Financial Times, Frankfurter Allgemeine Zeitung, El Pais, Politiken [Danimarca], Helsingin Sanomat, The New York Times, Time Magazine, The Wall Street Journal, The Globe and Mail [Canada], New York Daily News, The Asahi Shimbun [Giappone]). Si riunisce in seduta plenaria una volta l’anno, a rotazione nei diversi Paesi membri, e la sua mission è favorire la globalizzazione. Nella riunione del 1975, i tre relatori principali – il francese Michel Crozier, l’americano Samuel Huntington e il giapponese Joji Watanuki – analizzarono la crisi economica del periodo come il risultato di un “sovraccarico del sistema decisionale”: la soluzione proposta fu quella di spingere per un radicale cambiamento, verso la riduzione dell’intervento statale e un rafforzamento del potere politico esecutivo a scapito del Parlamento e degli istituti di democrazia diretta, come il referendum (1).
L’elenco completo dei partecipanti alla riunione del 2010 è appetitosa e scaricabile dal sito stesso della Trilateral (2), vale la pena giusto indicare qualche nome, italiano e non, conosciuto (vedi box Trilateral Commission).

Il Gruppo Bilderberg è ancora più ristretto: un comitato esecutivo (di cui si conosce solo il nome del presidente, l’ex commissario europeo V.E. Davignon, e non l’identità e il numero dei componenti) e circa 120 persone – alcuni ospiti fissi ai meeting annuali, altri saltuari – tra politici, banchieri, industriali, accademici e giornalisti appartenenti all’area del nord America e dell’Europa. La prima riunione data 1954. Rispetto alla Trilateral, è più chiuso e riservato: i suoi ritrovi sono off-the-record (a ogni partecipante è imposto l’obbligo della segretezza), blindati alla stampa e protetti da rigide misure di sicurezza.
È riuscito a restare praticamente nell’ombra fino agli anni Duemila, quando sono iniziate a circolare voci – fuori dall’ambiente politico/economico il quale, al contrario, della sua esistenza ha sempre saputo. Per la sua segretezza è stato più volte accusato di essere una loggia massonica coperta. Probabilmente è per questo che recentemente ha iniziato un percorso di parziale (o simil) trasparenza, con un sito ufficiale (3) in cui sono pubblicate le date, i luoghi, le scalette tematiche degli incontri annuali dal 1954 a oggi e, dalla riunione del 2008, anche le liste dei partecipanti (quanto complete non è dato saperlo: il presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, per esempio, pare che a domanda diretta non abbia smentito la sua partecipazione alla riunione del 2009; eppure, nell’elenco disponibile sul sito non compare).

Gli argomenti affrontati in quelli che vengono definiti dei semplici forum riguardano l’economia globale, la finanza, il mercato monetario, la governance mondiale, la sicurezza internazionale, le risorse energetiche, i conflitti militari. In un’intervista del settembre 2005 alla BBC (4), il presidente del Bilderberg dichiara che il gruppo nasce semplicemente perché persone influenti sono naturalmente interessate a parlare con altre persone influenti; parla di common sense, senso comune, che lega fra loro i dirigenti politici ed economico/finanziari interessati a far crescere il libero mercato mondiale; afferma che il fatto che importanti leader politici (Bill Clinton, Tony Blair e tutti i presidenti della Commissione europea) prima di diventare tali abbiano fatto parte del Bilderberg, non significa che il gruppo selezioni la classe dirigente del mondo occidentale ma semplicemente che fa del suo meglio per valutare chi siano gli astri nascenti: appartenere al Bilderberg, dice Davignon, non è un caso nella loro carriera, ma poi dipende dalle loro capacità. Reti informali e private come il Bilderberg hanno contribuito a oliare gli ingranaggi della politica mondiale e della globalizzazione per mezzo secolo, conclude Davignon; e finché affari e politica resteranno reciprocamente dipendenti, queste reti continueranno a prosperare.
Anche per il Bilderberg, l’elenco dei partecipanti alle riunioni è appetitoso, quanto se non più della Trilateral (vedi box Bilderberg).

Dal 1998 inizia ad apparire, al Parlamento europeo, qualche sporadica interrogazione parlamentare (5) che chiede di far luce sulla ragione della presenza di numerosi commissari europei alle riunioni del Bilderberg (tra cui anche Emma Bonino, nel 1998); alcune chiedono anche se Mario Monti e Romano Prodi facciano parte del comitato esecutivo del gruppo. Le richieste di chiarimenti si intensificano negli anni. Le risposte sono sempre le medesime: i commissari partecipano in quanto invitati, e certamente sono invitati in qualità dei ruoli che rivestono; la loro partecipazione resta comunque a titolo personale, e soprattutto non significa che si fanno rappresentanti degli interessi del gruppo Bilderberg all’interno dell’Unione europea né di quelli dell’Unione europea all’interno del Bilderberg. Negazione categorica, invece, per quanto riguarda la partecipazione di alcuno al comitato direttivo, sia del Bilderberg che della Trilateral.
Il progetto dell’Unione europea è ormai giunto al suo compimento. E non è un caso che l’unica unione realmente attuata sia quella economica: non quella politica, né tanto meno quella sociale, dal basso, identitaria. Due ultimi passaggi hanno definito le regole di appartenenza all’Unione: uno già completato, con il Trattato di Lisbona, l’altro in via di attuazione.
Il primo è l’inserimento della possibilità di recesso volontario e unilaterale di uno Stato membro dall’Unione. La logica è economica, e risponde alla regola del più forte: non ce la fai a stare nel gioco? Ne devi uscire. Sia il Bilderberg che la Trilateral, d’altra parte, sono realtà ‘a invito’. Poiché è indubbio che al recesso volontario un Paese possa esserci spinto, con forti pressioni; o, al contrario, che la minaccia dell’uscita possa essere usata nei confronti di quei Paesi i cui governi, recalcitranti per ragioni di consenso, si attardino a varare quelle ‘riforme’ non ancora attuate e profondamente necessarie al libero mercato – pensioni e mercato del lavoro, soprattutto.

Il secondo riguarda il nuovo Patto di stabilità e l’istituzione del Fondo anti-crisi.
Il patto sarà reso ancora più stringente, con un inasprimento delle regole e un meccanismo di sanzioni, per lo Stato che le viola, quasi automatico. Germania e Francia – le economie forti dell’Unione – vorrebbero anche introdurre una sanzione politica: la sospensione del diritto di voto nel Consiglio europeo per i Paesi non in regola con i parametri del Patto.
Il Fondo, oggi provvisorio, sarà reso permanente e vi potranno accedere non solo gli Stati ma anche i privati. L’Unione europea si prepara dunque a sostenere banche, fondi d’investimento e chissà quale altra realtà finanziaria privata, e a farlo con soldi pubblici – la parola ‘pubblico’ suona ormai stonata accostata alla Ue, resta il fatto che in quanto istituzione politica è per definizione pubblica. E lo farà bypassando i governi nazionali. Perché se è vero che degli 85 miliardi di euro concessi all’Irlanda (22,5 dall’Unione e i restanti tra Fmi, prestiti bilaterali internazionali e contributo irlandese proveniente dalle riserve di cassa e dal Fondo nazionale di riserva per le pensioni), 35 vanno nelle casse delle banche private del Paese per evitarne il fallimento, è pur vero che la scelta della forma sotto la quale concedere il denaro è stata finora una prerogativa della politica nazionale: entrare come Stato nella proprietà della banca o semplicemente concedere a prestito.

Le sanzioni politiche e l’istituzione del Fondo, per essere rese operative, necessitano di una modifica del Trattato di Lisbona. Secondo le regole che lo stesso Trattato si è dato, una simile variazione dovrebbe passare attraverso un referendum popolare. Non avverrà, ovviamente. Gruppi di studio sono già al lavoro per trovare i giusti cavilli giuridici e far rientrare le modifiche tra quelle che non devono essere sottoposte alla verifica della volontà popolare.
Poco male, una farsa in meno. La stessa Costituzione europea uscita dalla porta, grazie ai referendum negativi di Francia e Olanda, è poi rientrata dalla finestra praticamente variata solo nel nome: Trattato di Lisbona. Ci eviteremo così il teatrino di un ulteriore inutile esercizio del voto, e prima o poi, magari, si smetterà anche di parlare di democrazia. In modo consapevole, e pessimista.

 
(1) Cfr. La crisi della democrazia: rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione Trilaterale, Michel Crozier, Samuel Huntington, Joji Watanuki, Franco Angeli, 1977 (con prefazione di Gianni Agnelli)
(2) http://www.trilateral.org/download/file/TC%20list%2012-10(2).pdf
(3) http://www.bilderbergmeetings.org/index.html
(4) Cfr. http://news.bbc.co.uk/2/hi/4290944.stm
(5) Cfr. http://www.europarl.europa.eu/search/simple/perform.do?language=IT&collecti
on=default_collection&sortBy=date&page=1&inArchives=true&query=bilderberg&submit. x=16&submit.y=4

mercoledì 2 novembre 2011

Bisogna fare come se il Pd non ci fosse

di Nicodemo

La fine di ogni speranza di cambiamento di questo paese si avvicina, il sistema Italia appare sempre più irriformabile, poiché il termine riformismo ha perso da tempo ormai la sua valenza di mediazione fra le istanze del capitale e quelle delle classi oppresse. Persino Renzi si definirebbe un riformista se avesse un vocabolario a disposizione. Andiamo avanti contrabbandando gusci vuoti per novità epocali, che nascondono sempre l'ignobile inganno: in culo ai lavoratori, ma per il bene della patria naturalmente. Il mantra oggi, quello che calma i mercati in ansia è: dobbiamo avere il coraggio di fare scelte impopolari. Tradotto: pensioni a 70 anni, privatizzazioni, licenziamenti facili, meno welfare, scuole private, ospedali magari pure ecc. Se non si fa questo il mondo così come lo conosciamo ci si rovinerà addosso e non avremo più il GF(e meno male mi verrebbe da dire). In poche parole se non ci facciamo flagellare e mettere in croce sarà l'apocalisse now. Questa visione del popolo come salvatore che si immola sull'altare del mercato è davvero paradossale: in genere i salvatori si immolano per salvare l'umanità, qui il salvatore identificandosi esso stesso con l'umanità, chi salva? Il mercato ovviamente, cioè quella cosa che gli fa volutamente del male. Strana idea davvero.
Dicono che non c'è altro rimedio. Stretti da un'aporia che pare ci debba sopravvivere, siamo costretti a rimandare la risoluzioni dei problemi domestici, come quello di avere un governo di merda e un sistema dominato dagli interessi di una banda di delinquenti, alla risoluzione dei problemi del mondo intero. Eppure, sarò ingenuo, ma credo che occorra cercare di conciliare la lotta per cambiare il mondo (Occupy the world), con la lotta per non mandare al potere gente come Casini, Montezemolo o Renzi in Italia. E Bersani? Diciamocela tutta: bisogna fare come se il PD non ci fosse, lasciandoli alle loro beghe, i loro inciuci, i loro giochetti di corrente e al loro falso realismo. Dobbiamo elaborare un programma politico-elettorale che sia diretta espressione della società civile, quella dei referendum sull'acqua pubblica e del bene comune, senza cedere ai ricatti del voto utile o baggianate simili, poi si vedrà. Abbiamo una forza che è pari alla nostra frammentazione a alla nostra passione per i veti, vinceremmo senz'altro se superassimo resistenze ideologiche e qualche decina di ismi con relative geografie politiche, e il governo dell'Italia andrebbe ai migliori e non ai Verdini, i Cicchitto, i Bisignani, le concubine e le zoccole del sultano e chi più ne ha più ne metta.
Mi viene in mente un vecchio film di Monty Python: Brian di Nazareth, del '79, davvero attualissimo, dove il fronte degli sgangherati oppositori dei romani, non faceva che dividersi al suo interno, fino a creare e movimenti composti anche da una singola persona, e tutte le varie componenti si accusavano vicendevolmente di essere dei parolai venduti e inconcludenti. Alla fine, per tutte le fazioni il nemico principale era diventato il Fronte Popolare delle Giudea, partito con le loro stesse  finalità, odiato più dei romani stessi.
Speriamo nel miracolo.

Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...