giovedì 31 luglio 2008

Mercato Antropofago. iL LIBRO VERDE DI SACCONI


Il “Libro Verde” di Sacconi: chi non lavora non osi mangiare!
di Carlo Sgambescia

 

lunedì 28 luglio 2008

Veniamo subito al sodo. Crediamo che le critiche dell’opposizione e del sindacato al cosiddetto decreto anti-precari siano sicuramente giuste. Tuttavia riteniamo pure che si tenda a scambiare l’albero con l’intera foresta. E quale sarebbe la foresta? Presto detto: il Libro Verde di Sacconi, Ministro del Lavoro della Salute e delle Politiche Sociali.
A dire il vero l’opposizione di centrosinistra si è scagliata contro l’ipotesi di innalzalmento dell’età pensionale ventilata nel documento. Il che non è sufficiente. Qui è lo spirito del Libro Verde http://www.lavoro.gov.it/Lavoro/PrimoPiano/20080725_Libroverde.htm) che non può essere assolutamente condiviso. E per almeno due ragioni.
In primo luogo, escluse le cosiddette fasce deboli (in particolare gli anziani oltre i sessantacinque anni ) si collega la fruizione delle prestazioni al possesso e alla ricerca attiva di un lavoro ( welfare to work). “Ciò comporta" si legge, "una riflessione critica sul reddito minimo garantito alle persone in età di lavoro mentre forme di sussidio potrebbero riconoscersi a coloro il cui stato di bisogno o la cui età è tale da non consentire che il lavoro sia la doverosa risposta alla indigenza” (p. 13). O meglio, "la concessione di tutele e benefici deve essere condizionata piuttosto, ovviamente là dove possibile, alla partecipazione attiva nella società, nell’ottica virtuosa del binomio opportunità - responsabilità, e deve essere indirizzata anche verso coloro che, con comportamenti attivi e stili di vita responsabili, possono e vogliono operare come moltiplicatori di risorse e ricchezza e comunque prevenire lo stato di bisogno" (p. 14): pochi giri di parole, chi non lavora non osi mangiare! Il che significa che viene meno il concetto di welfare come diritto sociale di cui godono tutti i cittadini, a prescindere dal fatto che lavorino o meno. 
In secondo luogo, si apre ai privati. E con il solo scopo, dopo la previdenza, di introdurre anche una sanità basata su assicurazioni private, integrative o totali, di cui però andrebbero a fruire solo i soggetti in possesso di un lavoro e dunque in grado di stipulare una polizza assicurativa [Quanto queste "assicurazioni" siano un'abissale fregatura, che mira solo a rastrellare quattrini tra la plebe, con la complicità di banche e stampa connivente, lo spiega esaurientemente Beppe Scienza nel suo inestimabile Il Risparmio Tradito, Edizioni Libreria Cortina, Torino 2001- ndr]. Ecco a riguardo un altro passo molto significativo: ”Lo sviluppo del pilastro privato complementare è un passaggio essenziale per la riqualificazione della spesa e la modernizzazione del nostro Welfare. L’eccessiva intermediazione dello Stato nella predisposizione dei redditi per la quiescenza impedisce lo sviluppo di istituti redistributivo-assistenziali per i quali quella intermediazione è essenziale. Questi istituti non possono prescindere dalla fiscalità generale, sia che questa vada a finanziamento di produzione diretta di beni e servizi sia che essa finanzi deduzioni/detrazioni o voucher a sostegno di scelte dei cittadini, individuali o associate. Lo sviluppo dei fondi su base contrattuale, delle forme di mutualità, delle assicurazioni individuali o collettive può essere la risposta alle limitate risorse pubbliche e alla domanda di accesso a maggiori servizi” (p. 20). Pertanto “occorre dare, dunque, maggiore impulso allo sviluppo della previdenza complementare nonché ai fondi sanitari integrativi del servizio pubblico al fine di orientare e convogliare la spesa privata verso una modalità di raccolta dei finanziamenti…” (p. 21)”
E’ ovvio che in un quadro del genere poi si cerchi di favorire l’innalzamento dell’età pensionabile. Ma si tratta della punta dell’iceberg. O se si preferisce del punto di arrivo di una “filosofia” sociale basata sul "chi non lavora, a meno che decrepito, non osi mangiare". Una "filosofia" lavorista che va combattuta perché superficiale e dettata soltanto da utilitaristiche e produttivistiche ragioni di mercato. E che quindi riduce il lavoratore a un puro e semplice Homo oeconomicus, condannato al lavoro (forzato) a vita.
Quel che è più irritante (e derisorio per chiunque abbia un minimo di intelligenza) è il richamo di Sacconi a un Welfare che, una volta riformato, conserverebbe “un carattere universale” ma coniugando “la caratteristica della universalità con quella della personalizzazione e anche della selezione dell’intervento” (p. 15) ...
Ma come si può parlare di “Welfare universale”, e dunque a prescindere, se poi lo si collega al possesso di un posto di lavoro? O quel che è peggio di una salute decrepita a causa dell' età e magari a seguito di un lavoro usurante?
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Argentina: spazzatura l'Espresso

di Gennaro Carotenuto (da Giornalismo Partecipativo)

Esser contro la pena di morte di Tarek Aziz (il ministro degli esteri di Saddam Hussein) non vuol dire aver voglia di andarci a cena o, se si dirige un settimanale, affidargli una rubrica e farlo passare per un autorevole opinionista. Eppure è quello che fa, lo abbiamo più volte denunciato, L’Espresso con Moisés Naím.

Naím come Tarek Aziz, probabilmente non ha mai ammazzato personalmente nessuno, ma era un ministro chiave nel governo di Carlos Andrés Pérez, che nell’89 fece ammazzare forse 10.000 persone in un giorno solo con il Caracazo, colpevoli di protestare contro il Fondo Monetario Internazionale del quale l’economista Naím era ligio esecutore.
E quindi Moises Naim è responsabile di crimini contro l’umanità e per quelli essere giudicato, non fare l’opinionista. Insomma tanto impresentabile è Naím che tanto vale che L’Espresso la prossima bustina di Minerva la faccia scrivere a Radovan Karadzic, magari nella sua nuova veste di santone new age.

Ovviamente per L’Espresso Naím fa gioco perchè scrive peste e corna dei governi integrazionisti latinoamericani. Tutto questo cappello mi si perdoni e valga come riassunto delle puntate precedenti per far notare che questa settimana nel settimanale c’è un reportage (pp. 82-85) da Buenos Aires a firma Antonio Carlucci (noto per descrivere la Bogotà di Álvaro Uribe come fosse Stoccolma), pensato, scritto e realizzato solo per tirare una vagonata di letame contro il governo argentino. Con un linguaggio di altri tempi si sarebbe definito un proditorio attacco.
Tagliando e cucendo solo ed esclusivamente punti di vista antipatizzanti e dell’opposizione sempre denigratori, irridenti fino all’insulto, il pezzo è una infinita sequenza di luoghi comuni, chiacchiere da cortile e affermazioni false e tendenziose, o puro gossip come quello che vuole (e che dà il titolo al pezzo) Cristina Fernández e il marito litigare continuamente, sbattere porte… Ovviamente non manca la chiamata alle armi dei lettori democratici dell’Espresso. Come fossimo ancora alla fine degli anni ‘40 e l’ambasciatore dell’Unione Sovietica andasse ancora sotto braccio con quello degli Stati Uniti, i peronisti Nestor e Cristina non sono altro che fascisti oppure socialisti da archeologia, populisti, assistenzialisti…
Il cuore del pezzo è fatto per esempio col punto di vista de la Nación, il giornale che appoggiò tutte le dittature e tutta la corruzione neoliberale, morti per fame incluse. E’ come dire chiedere a Feltri di Prodi e fare il gioco delle tre carte per far passare Feltri come indipendente, ma cosa importa a L’Espresso! Solo a me continua a stridere del perchè un giornale che in Europa si considera di centro-sinistra in America latina vada compitando rapito, e facendoli passare come dogmi di fede, opinioni ed interessi della destra dura e pura.
Ovviamente, gira gira la colpa principale di Cristina e Nestor non è essere fascisti. Quella serve per far fumo nei lettori distratti. La colpa di Nestor e Cristina è sempre quella: essere parte fondamentale del progetto integrazionista latinoamericano ed essere alleati del Venezuela. I toni, per chi ha visto in Argentina i morti per fame, sono da rabbrividire, come quando Carlucci definisce quelle dell’FMI “trasparenti scelte di politica economica” che i Kirchner hanno eluso per “affidarsi ai dollari di Hugo Chávez”.
Questo perchè, è qui si arriva al sublime per chi ricorda i tempi di Martinez de Hoz e di Carlos Menem, con Chávez i Kirchner possono “occuparsi della cosa per loro più importante, la caja”. Ovvero, ammesso e NON concesso che siano corrotti i Kirchner, sarebbero corrotti da Chávez e il baluardo contro la stessa sarebbe l’FMI. Ho letto bene? Sì, Carluccio passa il segno: “l’Argentina è nata con la cultura del lavoro e della decenza. [Con i Kirchner] il lavoro è stato sostituito dai sussidi e la decenza con la corruzione”.
Avete capito bene, per L’Espresso la corruzione in Argentina l’hanno inventata i Kirchner (e Chávez). Mi sbrodola il percolato da tutte le parti.

martedì 29 luglio 2008

Lettera al Manifesto


Caro Manifesto,


La questione della giustizia mi sembra una questione dirimente, per quanto riguarda la visione della politica all’interno della sinistra: non per nulla è stata motivo di acceso dibattito nell’ultimo congresso di rifondazione.
Il nodo fatidico, che ci portiamo in eredità da quando abbiamo scoperto che la società è divisa in classi, è il concetto di conflitto. Una grossa parte della sinistra rifiuta di ricondurre la politica alla giustizia, cioè a dire all’etica, in nome dell’autonomia e del primato della politica, poiché concentrare l’azione sui problemi etici vuol dire mettere da parte le radici fondamentali dell’ingiustizia, che risiedono nella divisione in classi della società, e incentrare l’azione su tematiche “sovrastrutturali”. In altre parole, non si può ricondurre la politica a una questione etica, altrimenti si rischia, una volta risolta questa, di precludere ogni possibilità di cambiamento radicale della società. Mettiamoci anche il fatto che il conflitto rappresenta di per sé il motore fondamentale del diritto, poiché questo non può essere ipostatizzato, ma va considerato in perenne evoluzione, proprio in grazia del conflitto stesso. Mettiamoci inoltre l’idiosincrasia della sinistra verso una cultura genericamente repressiva, e si capisce il mal di pancia di Vendola e dei Bertinottiani. È paradossale, però, che proprio quella componente di Rifondazione che fa del conflitto la discriminante fondamentale del suo agire abbia voluto porre l’accento sulla questione morale.
Il problema è, a mio avviso, che nel contesto italiano in particolare il problema giustizia non può semplicemente essere eluso, bollando gli avversari come giustizialisti tout court e rimarcando la differenza fra chi è per il cambiamento vero e chi invece per una morale levantina punto e basta. La specificità italiana è tale che i principi basilari del diritto borghese vengono calpestati, soffocando ogni possibilità di politica (alta o bassa che sia) che abbia un minimo di credibilità. Non si può placidamente discutere in un salotto televisivo con dell’Utri o Cicchitto, o Berlusconi stesso, facendo finta di ignorare le loro storie intrise di trame, malaffare e connivenze mafiose, solo perché “il problema, compagni, è politico”. Tutto ciò crea una prevedibile irritazione nella “plebe” poiché mette tutti i soggetti della politica sullo stesso piano. È vero, non bisogna assecondare gli istinti forcaioli e plebei del cosiddetto “popolo”, ma qui non si tratta di mettere in galera nessuno, qui si tratta di raggiungere un  grado accettabile di legalità, si tratta di restituire un minimo di agibilità alla politica, soffocata da interessi mafiosi e di casta. È proprio la politica con la P maiuscola che viene danneggiata da fenomeni regressivi come la criminalità politico-mafiosa, ed è per questo che si corre il rischio della mutazione del popolo in plebe.
Ho letto (nell’intervista al Manifesto) Vendola che irrideva all’intervento di un compagno che proponeva di formare un CLN insieme ai dipietristi. Anch’io un po’ fra il serio e il faceto ho fatto una proposta simile sul blog di Grillo, e alidilà degli aspetti che Vendola trova scandalosi, il problema di una transizione italiana si pone eccome, e  non possiamo ignorarlo. Dire che Grillo e di Pietro sono  populisti è come dire che il dolore è tale perché fa male. Non significa niente. Bisogna finirla coi pregiudizi e con le discriminanti, non dobbiamo essere d’accordo con Grillo su tutto, ma non possiamo ignorare quelle istanze che la sinistra in tempi non sospetti aveva fatto sue prima ancora dello stesso Grillo. Dire che la mafia è un problema politico e come tale va considerato non vuol dire niente: la mafia bisogna combatterla a tutti i livelli, recidendo in primis il filo che la lega alla politica e questo, sebbene molti compagni abbiano sacrificato le loro vite nella lotta alla mafia, non è stato fatto o è stato fatto con una tale schizzinosità (per non apparire giustizialisti), che è sembrato ai più una gara di fioretto fra Bertinotti e dell’Utri. Insomma, quando si è trattato di denunciare apertamente i legami fra mafia e politica il messaggio è stato talmente debole che non l’ha sentito nessuno.

Franco Cilli

domenica 27 luglio 2008

Il metal dei rostellari

Qualche giorno fa stavo godendomi, insieme ad amici, il paradisiaco conforto della frescura di Campotino (vedi qui sotto un'immagine assolutamente veridica della serata)...


Azzannando un numero spropositato di arrosticini, resi fulminanti da peperoncini pirofori e ingentiliti da un insalatina amarognola (entrambi amorevolmente coltivati dall'esimio dottor Franco Strocchi), riflettevo sulle verità che la vita ci pone davanti: quanto sia sciocca l'idea che le carni vadano salate a fine cottura, come si distingua il sapore di grappolo nel vino di Tino Santoro, e quanto sia fatale che un giorno questa zona d'Abruzzo debba rendere conto della terribile strage di ovini che la sua ingordigia di arrosticini procura (forse, col favore delle tenebre, orde di pecore bulgare assaliranno nel sonno i rostellari, facendone scempio - qualcosa del tipo Black Sheep).


Non so come, non so perché (a quel punto trasudavo Montepulciano e Nero d'Avola come una madonnina miracolosa) si è cominciato a parlare dei miei gusti musicali, più che altro per via del mio indefesso e altruistico tentativo di far conoscere ai miei amici le delizie dello sludge metal (o meglio, dell'atmospheric sludge, perché, ad esempio, i Crowbar, esponenti del vero sludge metal, non mi piacciono affatto)
Ammetto che, di primo acchito, Neurosis, Isis, Mastodon, Cult of Luna [1], Rosetta, Pelican, Impure Wilhelmina e via dicendo, possano risultare un po' sfracassoni, soprattutto per via dell'uso della voce (niente delucidazioni: non sono mai riuscito a capire la differenza tra la vocalità death, quella doom e la black).


Ma a me quello che interessa sono gli accordi. In parole povere, il contenuto melodico.
In particolare, Steve von Till (il genius loci dei Neurosis) possiede un estro melodico semplicemente devastante, che si rivela anche nelle sue minimali composizioni da solista (vedi la pseudo-copertina che gli ho dedicato).


Incidentalmente, è anche discreto poeta.
Esempio:

My Work Is Done

My forging hammer
Lies reclined

My bellows, too
Have lost their wind

My fires extinct
My forge decayed

And in the dust
My vices layed

My coal is spent
My iron is gone
My anvil is broke
My work is done

My work is done
My work is done
My work is done


Il che (tradotto da me, così, su una gamba sola) sarebbe:

La Mia Opera È Compiuta

Il martello da forgia
giace esausto

E anche i mantici
non hanno più vento

Il fuoco, estinto
La forgia, corrosa

E lì, gettate nella polvere,
le tenaglie

Il mio carbone è stato consumato
Il mio ferro è svanito
La mia incudine si è spezzata

La mia opera è compiuta

In ogni caso, degli arrosticini non mi pento.
Addentatemi, agnelli!

Domenico D'Amico


[1] A proposito, è uscito il nuovo disco dei Cult of Luna, Eternal Kingdom, basato su un libro che il gruppo avrebbe rinvenuto nell'edificio usato per le prove, un ex manicomio. Il libro in questione sarebbe stato scritto da un ospite della vecchia istituzione, un uomo internato (anche) per aver ucciso la moglie. Titolo del libro Racconti dal Regno Eterno. Manzoni e Lovecraft sarebbero contenti.

martedì 22 luglio 2008

A ruota libera: Paese di merda

Questo è un testo ascientifico, sono solo opinioni espresse in libertà e non pretendo siano vere, sebbene io creda fermamente che lo siano.

L’Italia è un paese di merda, e questa merda è tracimata al punto di invadere i cervelli delle persone. Siamo un paese corrotto, patetico, debole e vigliacco.
Il tutto è cominciato all’indomani del’unità d’Italia, quando il regime “democratico” espressione della borghesia del Nord ha stipulato un patto di sangue con l’aristocrazia indolente e fortemente conservatrice del Sud: voi garantite il potere dello stato centrale nelle vostre regioni  e noi chiudiamo un occhio sui vostri privilegi di terroni aristocratici: niente riforme agrarie serie, garanzie per le vostre clientele, tasse a piacere ecc.ecc. Siamo andati avanti con questo sistema fino ad ora, con qualche ritocco e con qualche rimodellamento dei soggetti in campo. Solo che la DC, figlia legittima di quell’aristocrazia, ha finito per trasformarsi da partito in sistema di potere, dando l’avvio a una generale corruzione del tessuto politico sociale italiano, con l’opposizione di una metà dell’Italia stretta tra la doppiezza togliattiana, le frange marxiste post sessantottine con misto anarcoide-insurrezionale e le aspirazioni riformiste, subito liquidate come socialfasciste e divenute minoritarie. Oggi, con modalità diverse, il patto si rinnova. I nordisti di oggi, però, non sono più i grigi burocrati di marca austro-ungarica di una volta, austeri e rigorosi, o gli sdegnosi cugini dei francesi (i piemontesi), un po’ schifati dalla cafonaggine terrona. I nordisti odierni sono di due specie: quelli assimilati per contiguità di interessi ai mafiosi del sud e alleati di questi ultimi, e quelli che fanno finta di essere gli eredi della stirpe celtica, garanzia di una razza superiore. Un puro e semplice delirio causato da un’intossicazione di malta bergamasca che produce come sintomi: stronzaggine estrema, analfabetismo, razzismo, violenza verbale e tendenza a favorire la parentela.
Accade qualcosa di paradossale: chi vorrebbe strappare il Nord produttivo e sano dall’Italia mafiosa del Sud, si allea, per proprio tornaconto, con i partiti che meglio di altri rappresentano gli interessi di Cosa Nostra. Non finisce qui. Tutto ciò è solo un effetto di facciata, perché anche una buona parte della flaccida opposizione sarebbe disposta a fare patti di qualsiasi genere con chicchessia, magari con meno folclore e più aplomb, pur di conservare i propri privilegi. Si tratta della solita e vecchia casta.
La sinistra che fa? Si dibatte tra i soliti dilemmi: far finta di essere puri e farlo vedere in giro per tenersi stretti i cuori puri, bandiera rossa e falce e martello, oppure essere “realisti”, quindi ipocriti?
Io ricette non ne ho, rimango di sinistra perché è molto meglio che essere di destra, ma non mi spingo oltre. Anch’io vorrei un’Italia normale, dove gente come Berlusconi e D’Alema sparisse per sempre dalla circolazione, e vorrei almeno intravedere un percorso che porti da qualche parte, magari se non al comunismo almeno alla abolizione della servitù della gleba, tornata in auge con la legge 30. Una cosa è certa: se ci sarà una nuova rivoluzione francese le decapitazioni si arresteranno solo dopo  che il  Billionaire non avrà più nemmeno un cliente e tutto questo sarà solo colpa dellinguaribile fetentissima stronzaggine della destra. L’odio di classe però è salutare, più energetico e meno narcotico del sogno italiano di diventare velina. Il fatto è che gli italiani hanno smesso di odiare i ricchi perché di questi tempi è preferibile il genere favole a lieto fine (che è di destra), popolate da ricconi, principi e principesse dal volto raggiante che infondono ottimismo, piuttosto che il genere pulp (che è di sinistra), con finali spesso tragici e dove i personaggi sono impegnati a farsi saltare il cervello l’un l’altro. Tutto ciò evidentemente non infonde nessun ottimismo.
Una gran fregatura: a me non piacciono né le favole né il pulp.

Franco Cilli

domenica 20 luglio 2008

Il meglio della bibbia

postato da oniat alle ore 21:52 domenica, 20 luglio 2008

Piccola antologia tratta dall'antologia di Zorobabele, Dio cavalcava un cherubino, Milano, Baldini&Castoldi, 1994

 Numerosi furono i feriti e i morti, perchè la guerra era voluta da Dio.
1 Cronache 5,22

Nella mano del Signore è un calice colmo di vino drogato. Egli ne versa: fino alla feccia ne dovranno sorbire, ne berranno tutti gli empi della terra.
 Salmi 76,9

Poi mi unii alla profetessa, la quale concepì e partorì un figlio. Il Signore mi disse "Chiamalo Bottino Pronto Saccheggio Prossimo".
Isaia 8,3

Improvvisamente un angelo del signore lo colpì, perchè non aveva dato gloria a Dio; e, roso dai vermi, spirò.
Atti 12,23

Giuda prese una moglie per il suo primogenito Er, la quale si chiamava Tamar. Ma Er, primogenito di Giuda, si rese odioso al Signore e il Signore lo fece morire. Allora Giuda disse a Onan "Unisciti alla moglie del fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così posterità per ilfratello". Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva per terra,per non dare posterità al fratello. Ciò che egli faceva non fu gradito al Signore, il quale fece morire anche lui.
Genesi 38,6-10

Eliseo andò a Betel. Mentre egli camminava per strada, uscirono dalla città alcuni ragazzetti che si burlarono di lui dicendo "Vieni su, pelato; vienisu, calvo!". Egli si voltò, li guardò e li maledisse nel nome del Signore. Allora uscirono dalla foresta due orse, che sbranarono quarantadue di quei fanciulli.
2 Re 2,23-25

E' meglio andare in una casa in pianto che andare in una casa in festa; perchè quella è la fine di ogni uomo e chi vive ci rifletterà. E' preferibile la mestizia al riso, perchè sotto un triste aspetto il cuore è felice. Il cuore dei saggi è in una casa di lutto e il cuore degli stolti in una casa in festa.
 Qoèlet 7,2-4

Trovo che più amara della morte è la donna, la quale è tutta lacci: una rete il suo cuore, catene le sue braccia. Chi è gradito a Dio la sfugge ma il peccatore ne resta preso.
Qoèlet 7,26

Una donna accetterà qualsiasi marito, ma una giovane è migliore di un'altra.
Siracide 25,15

Dalla donna ha avuto inizio il peccato, per causa sua tutti moriamo.
Siracide 25,24

Meglio la cattiveria di un uomo che la bontà di una donna.
Siracide 36,21

Come in tutte le comunità di fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perchè non è loro permesso di parlare, stiano invece sottomesse,come dice anche la legge.
1 Corinzi 14,34

E' cosa buona per l'uomo non toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell'incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. [...] In conclusione, colui che sposa la propria vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio.
1 Corinzi 7,1-38

[...]Davide si alzò, partì con i suoi uomini e uccise tra i filistei duecento uomini. Davide riportò i loro prepuzi e li contò davanti al re per diventare genero del re. Saul [il re] gli diede in moglie la figlia Mikal.
1 Samuele 18,26-27

Fa buona guardai a una figlia libertina.[...] Come un viandante assetato apre la bocca e beve qualsiasi acqua a lui vicina, così essa siede davanti a ogni palo e apre a qualsiasi freccia la faretra.
Siracide 26,10-12

Gesù rispose loro "Io e il Padre siamo una cosa sola".
Giovanni 10,30

Gli rispose Gesù "Il Padre è più grande di me".
Giovanni 14,28

Il signore disse ancora a Mosè "Parla a Aronne e digli: Nelle generazioni future nessun uomo della tua stirpe, che abbia qualche deformità, potrà accostarsi a offrire il pane del suo Dio.
Levitico 21,16

I fabbricanti di idoli sono tutti vanità e le loro opere preziose non giovano a nulla; ma i loro devoti non vedono né capiscono affatto e perciò saranno coperti di vergogna.[...] Essi non riflettono, non hanno scienza e intelligenza per dire "Ho bruciato nel fuoco una parte [dell'albero], sulle sue braci ho cotto perfino il pane e arrostito la carne che ho mangiato; col residuo farò un idolo abominevole? Mi prostrerò dinanzi a un pezzo di legno?".

 Isaia 44,9-19
 
Il Signore disse a Mosè "Come offerta volontaria potrai presentare un bue o una pecora che abbia un membro troppo lungo e troppo corto; ma come
offerta per qualche voto non sarebbe gradita".
Levitico 22,23

Non entretà nella comunità del Signore chi ha il membro contuso o mutilato.
Deuteronomio 23,2

Meglio uno di scarsa intelligenza ma timorato, che uno molto intelligente ma trasgressore della legge.
Siracide 19,21

Beati i poveri in spirito, perchè di essi è il regno dei cieli.
Matteo 5,3

Molta sapienza molto affanno; chi accresce il sapere aumenta il dolore.
Qoèlet 1,18

Parola di dio

Rendiamo grazie a Dio...


Comitato di Liberazione Nazionale



Io non ho la pazienza di aspettare altri cinque anni per le prossime elezioni. Per fare cosa poi? Per sperare che una flaccida controfigura di Berlusconi prenda il suo posto?
Propongo la formazione di un Comitato di Liberazione Nazionale, apartitico, non-ideologico, aperto a tutte le donne e gli uomini di buona volontà, che si riproponga il rovesciamento pacifico di questo regime fascistoide e antiestetico, la liberazione del territorio italiano dalle mafie e il ricambio totale dell'attuale ceto politico.
¡Que se vayan todos!

Alexis Bledel - Walpaper -

martedì 15 luglio 2008

ROTTALABANCA: Ricette per la Recessione



da The Beast - America's Best Fiend


Base di Partenza:
Delocalizzazione della forza lavoro, un debito catastrofico che vi ha procurato una malattia che l'assicurazione si rifiuta di coprire, crisi dei mutui subprime, sfratto esecutivo, tagli alle spese sociali, la spesa militare più alta dopo la II Guerra Mondiale, forchette a serramanico [1], barattoli di vernice vuoti e falò di bidone.

Minestra di stracci: La leccornia del pezzente!
Ingredienti: Stoffa sbrindellata, 1 cucchiaio di salgemma e 2 bicchieri d'acqua.
Preparazione: Rovistate nella vostra caotica stracciumaglia da accattoni, alla ricerca di frange di tessuto penzolanti (assicuratevi di compulsare le estremità dei pantaloni, lì c'è la vera manna!); rimuovete quei rimasugli peregrini col serramanico o a mano; riempite un barattolo vuoto di vernice con 2 bicchieri d'acqua (benzinaio o pozzanghera), portatela a un vivace bollore su un bel fuoco di bidone (cucinare sotto un cavalcavia esalta al massimo le delicate e terrose sfumature del liquido di cottura); aggiungete la salgemma e le strisce di stoffa, mescolate bene, lasciate raffreddare e servite. Le vostre feci arrossiranno... di piacere!

Variazione:
Zuppa di fuffa [2]: Rimarrete a mascelle spalancate!
Preparazione: Prima di cuocere i vostri stracci, rastrellate tasche, polsini e colletti in cerca di turgide pepite di fibra. I prodotti esteri in saldo sono una vera miniera di sbrindelli; perfino il vostro ombelico può rivelarsi un concentrato di manna. Non sciacquate via i detriti prima della cottura: rischiate di lavar via tutte le benefiche sostanze naturali. Raccogliete la suddetta mappazza nel portacenere di un SUV rottamato, insieme a mezza tazza d'acqua, e portate a bollore regolando il vostro bidone a fuoco medio; abbassate la temperatura alzando il portacenere e fate sobbollire fino a cottura ultimata, o finché non vi si stancano le braccine atrofizzate. Se desiderate una zuppa più legata, aggiungete palline di pullover. Spolverate con fondi di saccoccia quali fermagli, chewingum cristallizzati, mutui subprime e documenti di divorzio ciancicati, cartamoneta svalutata e carte di credito sforbiciate. Servite come antipasto, oppure come contorno, ottenendo una splendida pienezza ipocalorica. (Nota: Può indurre soffocamento od ostruzione intestinale.) Bon appetit!

Stracotto di gatto: Da ciucciarsi i baffi! [3]
Ingredienti: Gatti domestici o randagi.
Preparazione: La Protezione Animali non vi imbandirà mai la tavola. Ma per fortuna le strade pullulano letteralmente di opzioni trascurate, snelle e a basso contenuto calorico! Basterà randellare l'animale di vostro gradimeno con l'oggetto contundente [4] più a portata di mano - mattoni, bottiglie di whisky e tubi innocenti sono l'ideale. Abbiate cura di evitare zanne e artigli (non avete l'assistenza sanitaria, e la minima ferita potrebbe esservi fatale). Scuoiate ed eviscerate la carcassa, quindi seguite la ricetta classica. Utilizzando il vostro oggetto contundente a mo' di pestello, lavorate e schiacciate cervello, reni e intestini, fino ad ottenere una salsa spalmabile, aggiungendo il sangue a filo per ottenere la consistenza desiderata. O anche, rosolate la carne e brasatela nel suo brodetto, ottenendo una magnifica fricassea felina.
Suggerimenti: Una coda ben rasata aggiunge un gusto unico a stufati e salse. Tutta la famiglia farà le fusa!

B & E Special: Il piatto antisociale di Jean Valjean.
Ingredienti: Il cibo degli altri.
Preparazione: Il Break and Eat (Irrompi e Pappa) non è alla portata di tutti. Richiede abilità, sveltezza e audacia. Fate semplicemente irruzione in una drogheria, un alimentari o una civile abitazione e svignatevela col gustoso malloppo. (Alcuni chef condiscono il piatto con quattrini, gioielli e piccoli elettrodomestici - variare aggiunge sale alla vita!)

Alco-salsa: Non c'è servizio senza vizio! [5]
Ingredienti: Sardine, birra doppio malto, erba sanguinaria, medicinali qualsiasi.
Preparazione: Se il vostro cibo manca di colore e sostanze nutritive, non ha senso imporsi di scegliere tra il sapore e una mente ottenebrata. Tagliuzzate sardine e sanguinaria col vostro serramanico, quindi mescolatele con cura in un coprimozzo capovolto. In un coprimozzo a parte, pestate le vostre pillole preferite, seguendo o ignorando (decidete voi) l'esempio di Heath Ledger, quindi aggiungete la birra. Unite tutti gli ingredienti e servite come condimento di un piatto a scelta, o come aperitivo su particole eucaristiche.

Macedonia di assegni familiari [6]: Il pastone che aggiusta tutto!
Ingredienti: Lotti in svendita di croccantini di quarta scelta, sego di rognone, mangime per uso zootecnico, proteine grezze a piacere.
Preparazione: Come dice il Libro: "[L]'uomo non ha superiorità di sorta sulla bestia." La vostra miserrima assistenza sociale migliorerà di certo, se voi striscerete verso il basso. Basta mescolare gli ingredienti in un grosso truogolo, e rimpinzarvi carponi insieme ai vostri cuccioli. Ed è anche un ottimo ripieno per il gatto stracotto.

Pappa di pupù: Uno stronzo risparmiato è uno stronzo guadagnato.
Ingredienti: Manducaglia maldigerita.
Preparazione: Probabilmente quello scroccone di ET avrebbe arricciato il suo nasino schizzinoso davanti a questa prospettiva, ma voi non disponete né di benefattori né di navi spaziali. Dovete solo sfruculiare nel vostro water, alla ricerca di roba che non avete digerito. Date una sciacquata, riscaldate e gustate. Tutto è migliore, la seconda volta!
Suggerimenti: per un'allusione migliore, servite in un catino di polvere e accompagnate col vino dell'ira.

Traduzione di Domenico D'Amico


note del traduttore

[1] Cioè un hobo blade, letteralmente "coltello del vagabondo".


[2] L'originale ha "lint-el soup", gioco di parole tra "lentil soup" (zuppa di lenticchie) e "lint", che alla lettera indicherebbe i fili di cotone separatisi dalla trama (siamo sempre nel campo monnezza), ma anche la lanugine ombelicale ("navel lint"). Possibile anche un riferimento al "lint soup", cioè la miscela di frammenti di tessuto e liquidi che viene utilizzata per fabbricare la carta più pregiata, in italiano "polpa".

[3] Nell'originale "Cat-sup: Meals on paws!", coppia di giochi di parole intraducibile. Il primo evoca il gatto, la cena (supper), richiama il quasi omofono catsuit (tuta aderente tipo Diabolik o Batgirl) e forse allude al gergale sup, che è contrazione di "what's up?" o "whassup?" ("Come butta?"). "Meals on Paws" parafrasa "Meals on Wheels" un celebre servizio di pasti a domicilio per anziani in difficoltà, attivo da molti decenni sia nel Regno Unito sia negli Stati Uniti (Pasti su Ruote > Pasti su Zampe).

[4] Ho preferito rendere "blunt" (smussato) con "contundente", perché in italiano ne conserva l'aroma forense.

[5] Nell'originale, gioco di parole intraducibile tra "seviche" (più correttamente, "ceviche"), piatto peruviano relativamente noto negli USA, e "vice" (vizio), riferito all'alcol.

[6] Lo "stimulus check" dell'originale è il denaro che l'amministrazione Bush ha erogato una tantum ai cittadini statunitensi per sostenere i consumi (cfr.  http://www.four-pillars.ca/2008/04/27/economic-stimulus-check/)

domenica 13 luglio 2008

Brava Sabina!

Lo sfogo dei giusti


di Franco Cilli
Brava Sabina!
Ci voleva un po’ di satira graffiante e senza riguardo, almeno ci sfoghiamo.
Il punto è questo: Sabina Guzzanti e Grillo non fanno politica, almeno non nel senso di coloro che portano avanti un programma politico da realizzare in un quinquennio o giù di lì, non rappresentano un’opzione politica, non sono neanche, come direbbe qualcuno, il sintomo della disgregazione politica e della crisi: sono semplicemente persone che dicono le cose come stanno, le cose che coloro i quali sono ancora raziocinanti e non si sono bevuti il cervello e non hanno interessi “omogenei” a quelli della banda di gangster che ci governa, amano sentirsi dire. Altra cosa è il progetto politico, il fare.

Che fare?

C’è una casta politica, trasversale, che fa unicamente i propri interessi in maniera sempre più sfacciata, e ci sono i loro corifei e i loro cortigiani con una qualche patente di intellettualità, che ti ricattano moralmente e ti maciullano i testicoli dicendoti che l’antipolitica (quella dei Grillo e delle Guzzanti) porta alla rovina, perché storicamente il populismo ha sempre generato svolte autoritarie. Il problema è che se quelli che dovrebbero essere i garanti della stabilità istituzionale sono banditi che ci stanno conducendo nel baratro, rinnegando quel poco di valori sui quali essi stessi hanno giurato, con un politica del tipo “prendi i soldi e scappa”, come fai a non volerli mandare a casa tutti?
In sintesi: abbiamo un Pd a cui non crede più nessuno, fotocopia sbiadita del berlusconismo con aggiunta di pie donne e omofobia, una poltiglia nauseabonda e indigesta, che non rappresenta uno straccio di alternativa; abbiamo i Travaglio, i Grillo, le Guzzanti che dicono delle cose, tentano di fare delle cose, ma non sono certo pronti a formare un governo, sia pure di larghe intese. Abbiamo inoltre una sinistra in pieno marasma, che per anni ha taciuto e ingoiato rospi, stretta in una morsa mortale: usciamo dal governo e le prendiamo o rimaniamo e le prendiamo lo stesso? Lasciamo perdere i visionari tardo zen rikombinanti e autonomie di classe e sinistre critiche, che rappresentano più una patologia mentale che una proposta politica. Che ci rimane?

Pensiamo.

Certo, la situazione non è facile. Dobbiamo coniugare la necessità di un pensiero radicale con quella di evitare la catastrofe, rimboccandoci le maniche e andandoci a leggere sul vocabolario cosa significa governance. Dovremmo essere in tanti per fare un  progetto politico degno di questo nome, magari in due tempi, o anche in tre. Innanzitutto, però, bisogna spegnere la casa che brucia. Dopo, forse, potremo ricominciare a sognare un altro mondo possibile. Ci sarebbe da dividersi i compiti, del tipo: voi fate i movimentisti, noi governiamo. Ma come facciamo, se già cominciano gli anatemi dei vari Moretti & co, le liti, le scomuniche. C’è un altro fatto che pone problemi seri: alla maggior parte degli elettori della destra non frega nulla di quello che fa e dice Berlusconi. Potrebbe emanare una legge che conferisce il diritto a un posto di ministro a chiunque gli faccia un pompino, che quelli, imbeccati da Feltri, Ferrara e compagnia di giro, lo troverebbero sacrosanto, e coloro che si oppongono sarebbero i soliti vetero ostili al dialogo. Questa gente è corrotta nell’intimo, e purtroppo è tantissima. Quanti potenziali elettori ci rimangono, a noi che vorremmo fare una politica seria e rigorosa? Inutile fare affidamento su fascistoidi, razzisti, mafiosi, evasori fiscali, furbi illecitamente arricchiti, stipendiati d’oro della politica, tangentisti, truffatori di ogni ordine e grado, notai (molti), farmacisti (parecchi), tassisti (una sporta), liberi professionisti dalle tasse, cattolici del chi se ne frega delle guerre salviamo lo spermatozoo, popoli delle partite IVA, poveracci a reddito zero (ma con la Ferrari in garage e la barchetta di 15 metri). Inutile. Ma un appello a un comportamento più etico lo si può sempre fare. Ho una cognata che ha votato lega perché non sopportava i vicini egiziani: magari quella si potrebbe ravvedere. D’accordo, mi si dice, se prima non vai sul territorio e non susciti contraddizioni che spingano il sociale a rappresentare interessi antagonisti al pensiero unico, come fai, mica puoi stare lì col pallottoliere e fare i conti di chi ci sta e di chi non ci sta! Vabbè, ma mentre aspettiamo di avere dalla nostra parte le casalinghe di Voghera (dopo quelle di Vicenza), vogliamo cercare di fare un progetto politico alternativo a quello delle destre? C’è chi dice che bisogna aspettare una crisi profonda dell’economia perché il popolo si ravveda. È un rischio che però non possiamo permetterci: io già mi vedo a minare il mio orticello per impedire che i nuovi barbari cerchino di fregarmi le zucchine.
Insomma, nell’attesa di avere le idee chiare, almeno sfoghiamoci con Grillo, Travaglio e la Guzzanti. Non dobbiamo per forza essere d’accordo con tutto quello che dicono, basta non mettergli l’aureola in testa. E non stiamo a sentire quelli che dicono che “così perderemo sempre, l’antiberlusconismo non paga”. Perché, fino ad ora che abbiamo fatto? Perlomeno eviteremo attacchi di bile per far finta di essere dialoganti e “moderni”, ed eviteremo di reprimere tutti i “vaffanculo, banda di teste di cazzo bastardi” che ci esplodono dentro.

venerdì 11 luglio 2008

UTA RANKE-HEINEMANN: COSI' NON SIA - PARTE II -

postato da oniat alle ore 23:32 venerdì, 11 luglio 2008
Ghirlandaio-Adorazione dei Magi

I racconti dell'infanzia di Gesù in Matteo e in Luca risalgono al tardo primo secolo. In fondo il solito termine «racconti dell'infanzia» non è corretto. Infatti, non veniamo a sapere che tipo di bambino fosse Gesù. Era un bambino vivace? O piutto­sto tranquillo? Queste storie si riferiscono più che altro alla sua nascita.

Che i racconti sulla nascita di Gesù risalgano a un periodo così tardivo è, secondo un noto studioso del Nuovo Testamento, Karl Hermann Schelkle, del tutto naturale: «Il primo dei quattro vangeli in ordine di tempo è - almeno stando alle versioni in lingua greca a noi pervenute - il vangelo di Marco, che fu scritto probabilmente prima del 70 d.C. vale a dire pri­ma della distruzione di Gerusalemme. Il vangelo di Marco non comprende nessun racconto dell'infanzia. Il fatto sor­prende.

Ma sarebbe affrettato se da questo dato si volesse de­sumere che i racconti dell'infanzia siano delle aggiunte appo­ste in epoca posteriore e probabilmente leggendarie. In un primo momento bisognava annunciare la risurrezione di Cri­sto per spiegare e superare la croce spaventosa che tutti avevano davanti agli occhi. [...] Solo più tardi nasceva l'interesse per gli accadimenti nascosti della prima infanzia di Gesù. Ciò spiega come mai solamente i vangeli scritti più tardi, vale a dire quelli di Matteo e di Luca, comprendano una storia sull'in­fanzia» (Die Kindheitsgeschichten, in: Bibel und zeitgemäßer Glaube, vol. II [1967], p. 14).

Schelkle intende quindi dire questo: non in quanto leggen­de, i racconti dell'infanzia sono nati così tardi, ma perché pri­ma si era occupati in altro. Prima, infatti, si doveva annuncia­re la risurrezione. Solo alla fine del primo secolo (i vangeli di Matteo e di Luca furono scritti, secondo Schelkle, intorno all'80 d.C.), quando cioè la morte di Gesù era «spiegata e superata» in virtù di tale annuncio, Matteo e Luca potevano dedicarsi ad altre questioni.

Ma anche se i cristiani fossero stati celeri a «spiegare e supe­rare» la morte di Gesù, i racconti dell'infanzia, ai quali in tal caso, si sarebbero potuti dedicare prima, sarebbero pur sem­pre leggende.

D'altronde c'è gente che a tutt’oggi non è riu­scita a «spiegare» la morte di Gesù e che, soprattutto, non riesce a «superarla», gente cioè a cui costa molto prendere atto delle spiegazioni teologiche della morte sulla croce e del supe­ramento di tale morte da parte dei teologi. Ma di questo parleremo più avanti. Tutto ciò non riguarda i racconti dell'infanzia che restano pur sempre leggende.

Anche Matteo racconta che «Gesù di Nazaret» (probabil­mente Gesù è nato storicamente in questa città) nacque a Betlemme, nella città di Davide. Quanto al resto, racconta una storia completamente diversa da quella che troviamo in Luca. Matteo colloca gli avvenimenti esclusivamente al tempo di Erode. Pertanto, Gesù sarebbe nato, secondo Matteo, prima del 4 a.C., anno in cui Erode morì.

Matteo inoltre non sa niente di un censimento ordinato da Augusto. Luca aveva bisogno di tale censimento solamente per giustificare il viaggio di Maria e Giuseppe a Betlemme, nella città di Davide.

Per Matteo, invece, Maria e Giuseppe abitano non già a Nazaret, bensì sin dall'inizio a Betlemme. Pertanto il problema di Matteo è completamente diverso da quello di Luca: mentre Luca fa andare Maria e Giuseppe a Betlemme per far sì che «Gesù di Nazaret» nasca a Betlemme, Matteo deve risolvere il problema opposto: per lui «Gesù di Nazaret» deve in qualche modo spostarsi da Betlemme per ar­rivare appunto a Nazaret. E in questo contesto Matteo scorge prontamente l'avverarsi di una profezia dell'Antico Testamento: «Perché si adempisse ciò che era stato detto dai profe­ti: "Sarà chiamato Nazareno"» (Mt 2,23).

Purtroppo tale profezia presenta un piccolo difetto: non esiste affatto. Ora, neanche le sentenze veterotestamentarie esistenti andrebbero interpretate come profezie su persone concrete, pertanto si può anche ricorrere direttamente a sen­tenze veterotestamentarie inesistenti per ottenere una profe­zia su Gesù. La citazione riportata da Matteo dimostra che questi ha completamente frainteso un versetto di Isaia (11,1) in cui il Messia viene descritto come nezer (= germoglio), vale a dire come germoglio che spunterà dal tronco di Iesse (il padre di Davide); da questo nezer Matteo ha, poi, derivato la città di Nazaret. Ma comunque sia, non si scappa: questo versetto co­strinse Maria e Giuseppe a trasferirsi a Nazaret.

Ed ecco il motivo che Matteo addusse per tale trasferimen­to: non un caotico censimento ordinato da Augusto o qualcos'altro di questo genere, ma la fuga, una fuga però che comprendeva una sosta intermedia. Gesù fuggì da re Erode prima in Egitto e poi, per paura del successore di questi, a Nazaret.

Certo che sarebbe potuto fuggire direttamente a Nazaret, ma al fine di adempiere prima un'altra profezia dovette scappare in un primo momento in Egitto: la colpa era del profeta Osea. Questi infatti, aveva detto: «Dall'Egitto ho chiamato mio fi­glio» (Os 11,1).

Di conseguenza era necessario che prima o poi anche Gesù fosse chiamato dall'Egitto, e affinché ciò fosse possibile era ovvio che prima doveva recarvisi. Ecco perché fuggendo da Erode, da quell'assassino di bambini, andò in Egitto. Una nota a parte: il «figlio» che venne chiamato dall'Egitto non era affatto un figlio unico; questo termine indica piuttosto il popolo d'Israele.

Ma prima delle due fughe (in Egitto e a Nazaret) c'erano ancora le insidie di Erode le quali erano a loro volta collegate con una visita di personaggi altolocati provenienti da Oriente. Più precisamente, le cose andarono più o meno così: Matteo menziona brevemente l'evento della nascita di Gesù (si vede che non ha conoscenze particolari in merito) e solo dopo que­sta nota il suo racconto inizia davvero. Comincia cioè con de­gli avvenimenti astrologici: «Gesù nacque a Betlemme in Giu­dea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme» (Mt 2,1). Probabilmente vennero da Babilo­nia per cercare il neonato re dei Giudei poiché avevano visto la sua stella. E così fecero scendere in campo Erode. Infatti, sembra che per un certo periodo la stella non avesse assolto il suo compito alla perfezione: è vero che i Magi l'ave­vano vista in Oriente, ed essa gli aveva sì indicato la via fino a Gerusalemme, ma poi aveva ripreso a splendere solo dopo la visita a Erode per precederli fino a Betlemme, al luogo dove si trovava il bambino cercato.

Se il bagliore della stella li avesse accompagnati, invece, ininterrottamente o se, almeno, fosse ripreso un po' prima, o se gli avesse indicato la via senza farli passare per Gerusalemme, allora avrebbero potuto fare a me­no della fatale visita a Erode; e così il nuovo re dei Giudei non sarebbe venuto a trovarsi in pericolo di morte a causa del gua­sto temporaneo della stella. Almeno per i bambini di Betlemme che, secondo Matteo, furono assassinati da Erode, la stella celeste diventò in tal modo una cattiva stella, greve di morte.

Quanto poi all'illuminazione astrale sulla via da Gerusalemme a Betlemme, si trattava di una cosa superflua poiché già Erode si era preso la briga di fornire ai Magi le informazioni necessarie circa Betlemme quale possibile città nativa del neo­nato re. Ormai la stella serviva praticamente solo a individuare con precisione il numero civico. Hermann Samuel Reimarus (m. 1768), il padre degli scettici moderni, commenta a proposito: «Una cometa con una coda si trova troppo in alto per indicare una qualche casupola» (Apologie oder Schutzschrift fűr die vernunftigen Verehrer Gottes, vol. II [1972], p. 536).

Nel racconto di Luca non c'era, ovviamente, abbastanza tempo per tutta questa storia della stella e dei Magi. Infatti, dato che, secondo Matteo, Erode fece uccidere tutti i bambini maschi «dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi» (Mt 2,16), deve essere passato al­meno un anno fra la nascita di Gesù e la visita dei Magi guidati dal bagliore della stella, e Gesù deve essere stato nel secondo anno di vita.

Come sappiamo da tutte le rappresentazioni ecclesiastiche del presepe con i tre Magi, Gesù stava in quel mo­mento ancora nella mangiatoia: sembra, quindi, che non fosse un bambino eccessivamente vivace. L'aspetto flemmatico del suo carattere Gesù l'aveva probabilmente ereditato da suo pa­dre, che dopo tutto quel tempo stava con la sua giovane famiglia ancora fermo in quella stalla.

Ma secondo Luca le cose andarono altrimenti: già dopo quaranta giorni, vale a dire dopo la purificazione della madre richiesta dalla Legge, Maria e Giuseppe tornarono diretta­mente in Galilea nella città di Nazaret (Lc 2,39). Non è tutta­via possibile che la visita dei Magi a casa del bambino di uno o due anni, nonché la successiva fuga in Egitto e la strage dei bambini fossero avvenute nell'arco di quei quaranta giorni. A questo punto si vede come le fiabe si avvicinano almeno indirettamente alla verità quando si confutano a vicenda.

Nell'antichità si parla spesso di una stella che annuncia av­venimenti importanti e, in particolare, la nascita di uomini illustri. In tempi antichi l'idea di essere guidati dalle stelle era una convinzione diffusa. Era un pensiero familiare a tutte le nazioni che avevano a che fare con la navigazione marittima. Ma poiché questi segni che indicavano la via, furono interpre­tati come segni divini, si cominciò presto a scorgervi l'allusione a una dignità divina che andava al di là delle possibilità dei comuni mortali.

Svetonio (n. 70 d.C. circa, anno di morte sconosciuto) parla non già esplicitamente di una stella, ma di un segno miracolo­so apparso nel contesto della nascita di Augusto. Facendo ri­ferimento a Giulio Marato, un liberto che era segretario di Augusto, egli scrive: «Narra Giulio Marato che pochi mesi prima della sua nascita (= della nascita di Augusto) avvenne in Roma un portento, che fu noto a tutti, annunziante che la na­tura generava un re per il popolo romano; che il Senato atter­rito decretò che non si avesse ad allevare nessuno nato in quell'anno, e che coloro i quali avevano la moglie incinta, spe­rando tal fortuna per sé stessi, procurarono che il decreto non fosse passato agli archivi».

Inoltre, Svetonio racconta quanto segue: «Nel Teologùmeni di Asclepiade Mendete leggo che Azia (la madre di Augusto), recatasi a mezza notte a un solenne rito di Apollo, si addor­mentò, mentre dormivano anche le altre matrone, nella lettiga che aveva deposta nel tempio; e d'un tratto un serpente strisciò fino a lei e poco dopo se ne uscì; ed ella, risvegliatasi, si purificò quasi fosse giaciuta col marito, e tosto sul suo cor­po apparve una macchia, come d'un serpe dipinto, né mai po­té levarsela, sì che dovette poi astenersi sempre dal frequenta­re i bagni pubblici; e Augusto nacque nove mesi dopo e per ciò fu ritenuto figlio di Apollo. [ ... ] Il padre Ottavio sognò che su dall'utero della moglie sorgeva un raggiante fulgor di sole» (Svetonio, Augusto 94; trad. it.: Caio Svetonio Tranquillo, Le vite di dodici Cesari, Nicola Zanichelli Editore, Bologna, vol. I,195  p. 185).

Gli stessi elementi narrativi che incontriamo nei racconti sulla nascita di Gesù, ricorrono quindi anche in riferimento ad Augusto: un segno miracoloso, il concepimento senza l’intervento di un uomo, la visione onirica del marito, l'inseguimento da parte dei potenti.

Anche Schellde richiama l'attenzione su testi paralleli che parlano di qualche segno astrale: «Secondo Virgilio (m. 19 a.C.), Eneide 2,694ss, una stella condusse Enea da Troia nel Lazio. Secondo il commento di Servio (che visse intorno al 400 d.C.) su Eneide 10,272, apparve una cometa quando Au­gusto giunse al potere. Si annunciava una grande gioia che sarebbe stata di tutto il popolo. La descrizione della stella dei Magi che appare, scompare e riappare, può essere definita come racconto stilizzato in forma leggendaria» (loc. cit. p. 16).

Visto in questa chiave il racconto del vangelo sulla miracolosa apparizione di una stella in occasione della nascita di Gesù, non rappresenta più nessun miracolo.

Il padre della chiesa Origene (m. 253) arriva addirittura a pretendere una stella per la nascita di Gesù: «È stato osservato che nei grandi eventi e nei cambiamenti più forti che avvengo­no sulla terra si levano gli astri di natura cotale, che presagi­scono o rivoluzioni di regni, o guerre, o altri fatti che possono capitare agli uomini, capaci di scuotere il mondo. Lo ho letto nello scritto Sulle comete dello storico Cherèmone (sec. I d.C.) come delle comete siano apparse talvolta alla vigilia di un felice evento, e l'autore ne porta degli esempi. Se pertanto una cometa o qualche altra stella di natura simile appare all'avven­to di una nuova monarchia o in occasione di altri grandi even­ti della terra, qual meraviglia che sia sorta una nuova stella alla nascita di una persona che doveva determinare un così grande mutamento del genere umano?» (Origene, Contro Celso 1, 59; trad. it.: Aristide Colonna [a cura di], Contro Celso di Origene, UTET, Torino 1971, p. 108s).

Inoltre, il fatto stesso che si trattasse dell'apparizione di una stella singola e non, invece, di un insieme di più stelle, esclude la possibilità che si fosse trattato della rarissima triplice congiunzione di Giove-Saturno nel segno dei Pesci che si verificò, secondo i calcoli degli astronomi da Keplero in poi, nei mesi di maggio, ottobre e dicembre del 7 d.C. Del resto, una congiunzione astrale non si sposta da Gerusalemme a Betlemme per fermarsi lì, secondo l'affermazione di Matteo, sopra una casa.

Solo una stella delle fiabe può tanto, vale a dire una stella che si trovi a bassa quota. Infatti, se stesse molto in alto non si capirebbe certo sopra quale casa si sia fermata. In questo contesto è interessante notare quanto papa Leone I (m. 461) - ispirato da un antisemitismo formatosi già molto presto - disse in merito a tale stella: egli sostenne che essa era invisibile per i Giudei per via del loro accecamento. Dev’essere stato un accecamento davvero superdimensionale, dato che la stella era, secondo l'opinione della chiesa antica, anch'essa superdimensionale. Il padre della chiesa Ignazio di Antiochia (m. 110 circa) scrive in merito: «Un astro brillò nel cielo sopra tutti gli astri, la sua luce era indicibile, e la sua no­vità stupì. Le altre stelle con il sole e la luna fecero un coro all’astro ed esso più di tutti illuminò» (Lettera agli Efesini 19, trad. it.: Antonio Quacquarelli [a cura di], I Padri Apostolici, Città Nuova Editrice, Roma, VII edizione, settembre 1991, p. 106). E nell'apocrifo Protovangelo di Giacomo (ca. 150 d.C.) i Magi descrivono la stella a Erode in questi termini: «Abbiamo visto una stella grandissima che splendeva tra queste stelle e le oscurava, tanto che le stelle non apparivano più» (21; Luigi Moraldi [a cura di], Apocrifi del Nuovo Testamento, ed. TEA, 1991, [abbr.: L. Moraldi I], p. 85)

Per gli scrittori del Nuovo Testamento, e in particolar mo­do per Matteo, l'Antico Testamento è un libro pieno di profe­zie su Gesù. Matteo fa di tutto per spiegare che tali profezie si sono ormai avverate, anche se a volte non ci riesce senza ri­correre a forzature.

Quanto a Betlemme, che, in quanto città di Davide, veniva comunque messa in relazione con il futuro Messia, Matteo menziona anche una profezia del profeta Michea.

Michea, in­fatti, parla di Betlemme come città nativa di un futuro «domi­natore in Israele» (Mi 5,1). I sommi sacerdoti (si noti a propo­sito che bisogna distinguere fra il sommo sacerdote e i sommi sacerdoti: i sommi sacerdoti sono i membri di un concistoro composto da sacerdoti e nobili laici sottoposto al sommo sa­cerdote) e gli scribi sapevano indicare a Erode il luogo di na­scita del neonato re, appunto sulla base di tale profezia: «E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capo­luogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo Israele» (Mt 2,6). Solo che in Michea si legge, invece, questo: «Sei la più piccola delle tribù di Giuda» (Mi 5,1).

Approfondendo la questione, si può osservare inoltre che la presunta identità fra il dominatore preannunciato da Michea e Gesù non sembra poi tanto convincente. Infatti, colui che viene annunciato è un condottiero sanguinario. I suoi uo­mini «governeranno la terra di Assur con la spada, il paese di Nimròd con il suo stesso pugnale» (Mi 5,5). La nota traduzione cattolica della Bibbia edita dall'editore (tedesco) Pattloch non esita a dare a questa scena all'insegna del putiferio e della strage così come viene descritta dal profeta Michea (secolo VIII a.C.), il titolo: «Nascita e opere del Messia». Quanto a tali «opere del Messia», il testo prosegue: «Il quale, se entra, calpe­sta e sbrana e non c'è scampo» (Mi 5,7). In base a questa pro­fezia sul Messia, dunque, si afferma che Gesù nacque a Betlemme (se non è nato altrove).

Ogniqualvolta Matteo pensa di aver scoperto, nell'Antico Testamento, qualcosa di somigliante a una profezia, si sforza di trovare nella vita di Gesù avvenimenti che potrebbero rap­presentare il compimento della stessa. In caso di bisogno inventa i rispettivi avvenimenti. Racconti inventati in cui si com­piono in questo modo antiche profezie, si chiamano «leggen­de di compimento» (Erfilungssagen). E’ come quando in Christian Morgenstem il Wiesel (la donnola) sta seduto sul Kiesel (il ciottolo) per far rima.

A questo proposito conviene accennare a un passo in cui una profezia dell'Antico Testamento si compie, alla maniera di Matteo, in modo assai curioso, anche se tale compimento si verifica solamente verso la fine della vita di Gesù, vale a dire nel contesto del suo ingresso a Gerusalemme. Secondo la vi­sione di Matteo tale ingresso a Gerusalemme rappresenta il compimento della profezia di Zaccaria 9,9: «Esulta grande­mente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asi­no, un puledro figlio d'asina».

L’espressione «puledro figlio d’asina» precisa l’espressione «asino». Si tratta, pertanto, di un unico asino. L’errata interpretazione di Matteo, il quale pensa che Zaccaria parli di due asini, porta l’evangelista ad una traduzione errata: «Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato scritto dal profeta: “dite alla figlia di Sion: ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma”» (Mt 21,5). Di conseguenza, Gesù dice, secondo Matteo, prima ai discepoli: «“Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un’asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a me. Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, ri­sponderete: Il Signore ne ha bisogno” [ ... ] I discepoli andaro­no e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l'asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere (su tutt'e due gli animali!) » (Mt 21,2ss). Il sodalizio tra chiesa e stato è, comunque, in grado di suc­chiare da questa traduzione errata in Matteo miele teologico: nella sinossi cattolica della casa editrice Pattloch (1968) auto­rizzata come libro scolastico dal ministro della Pubblica Istru­zione della Renania-Vestfalia si legge: «Così Matteo testimo­nia modo suo la fede che tale avvenimento corrisponde alla volontà di Dio [ ... ] Per Matteo è, evidentemente, molto im­portante che la profezia veterotestamentaria si compia fin nei più piccoli particolari» (p. 13).

Un'interpretazione curiosa e sbagliata di un passo dell'Antico Testamento da parte di Matteo, viene quindi risanata interpretando tale malinteso come testimonianza per la fede «che gli avvenimenti corrispondono alla volontà di Dio». Tirare in ballo la volontà di Dio non sembra, però, opportuno quando si tratta di malintesi. Non c'è affatto bisogno di ravvisare la volontà di Dio anche in mezzo alle insensatezze; basta vederla nelle cose sensate. Ma accordare Dio e il buon senso è cosa che riesce a chiunque. Il nonsenso, invece, è quel fondo di caffè da cui i teologi spesso cercano di leggere la volontà di Dio: un'arte in cui questi studiosi vedono non di rado il loro compito principale.

Un detto di Gesù contenuto in un testo copto, l'apocrifo vangelo di Tommaso, ritrovato nel 1945 a Nag Hammadi nell'alto Egitto e per l'autenticità del quale depongono svariati indizi, dimostra che Gesù stesso aveva più buon senso che non i teologi con la loro capacità di raddrizzare tutto. Tale detto di Gesù suona così: «Non è possibile che un uomo cavalchi due cavalli» (vangelo copto di Tommaso, logion 47, Luigi Moraldi [a cura di], Apocrifi del Nuovo Testamento, UTET Torino, vol. I [1971], p. 491).

Alunni più piccoli, dagli otto ai nove anni circa, potrebbero non capire la teologia «bi-asinina». I teologi non hanno trascu­rato questo problema, ma per affrontarlo preferiscono passare dalla teologia alla zoologia invece di insistere ancora sulla cavalcata su due asini. Joseph Solzbacher, che vuole rispar­miare agli insegnanti di religione «un'esegesi (spiegazione del testo) complicata», ha escogitato, nel Kommentar [… ] zum Glaubensbuch fűr das 3. und 4. Schuljahr (Commento [ ... ] al li­bro della fede per la 3a e 4a elementare), una soluzione esem­plare di tale problema: l'interpretazione zoofila dell'ingresso a Gerusalemme di Gesù, di mamma asina e figlio asino, un'interpretazione a favore delle famigliuole degli animali. Egli scrive: «Gesù era seduto sull'asina? Sul puledro? Su entrambi? [ ... ] Gesù cavalcava il puledro e solo il puledro. Comunque, bisognava andare a prendere anche la madre, poiché il puledro si sarebbe impuntato se non ci fosse stata anche l'asina: non avrebbe seguito i discepoli e non si sarebbe fatto cavalca­re» (1966, p. 190).

Anche l'atroce storia di Erode il quale avrebbe fatto uccide­re i bambini maschi di Betlemme, rappresenta il compimento di una profezia.

Ma non dobbiamo rattristarci a causa di que­sta strage: tutta questa storia, infatti, è una fiaba, proprio co­me la storia dei tre Magi venuti da Oriente, e tutto ciò accad­de solo ed esclusivamente perché si verificasse una profezia.

Matteo scrive: «Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più» (Mt 2,17s; Ger 31,15).

A Matteo non importa che Geremia parli di Rama, che si trova a otto chilometri dalla capitale in nord, e non invece di Betlemme, sita anch'essa a otto chilometri da Gerusalemme, ma in direzione sud. Del resto, Geremia non parla affatto di una strage di bambini, poiché i figli di Rachele sono, secondo lui, prigionieri, e il profeta predice: «Essi torneranno dal paese nemico» (Ger 31,16).

Il racconto della strage di bambini si trova anche in altri tempi e in altri luoghi: essa contiene un motivo ricorrente in molte fiabe e leggende. Matteo riprende questo motivo in li­nea di massima da Es 1, 15s. Ciò facendo, egli utilizza la forma che questa storia su Mosè ha assunto nell'ambito della cultura ebrea del suo tempo e che si trova anche in Giuseppe Flavio (m. 100 d.C. circa): «[ ... ] uno scriba de i sacrificij [ ... ] predisse al Re, che nascerebbe a quel tempo un fanciullo tra gli Hebrei, che abbasserebbe de gli Egitti l'Imperio, e salverebbe la natione Israelitica [ ... ) Per il qual consiglio il Re comandò che ogni maschio de gl'Israeliti nasciuto fosse nel fiume annegato [ ... ]» (Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, II, 9,2; trad. it.: p. 52). L'inseguimento dei bambini israeliti da parte del faraone è la matrice dell'inseguimento dei bambini betlemiti da parte di Erode.

Matteo arricchisce la sua fiaba sulla strage degli innocenti ancora con alcune altre citazioni tratte dall'Antico Testamen­to che si riferiscono a uno stadio successivo della vita di Mosè, quando cioè questi era già adulto. Mosè era dovuto fuggire dal faraone perché aveva colpito a morte un egiziano (Es 2,12ss), ed era rimasto lontano dal faraone fin quando Dio gli aveva comunicato che poteva ritornare: «Sono morti quanti insidiavano la tua vita» (Es 4,19). «Sono morti coloro che insi­diavano la vita del bambino» (Mt 2,20). «Mosè prese la moglie e i figli [ ... ] e tornò nel paese d'Egitto» (Es 4,20). «Prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele» (Mt 2,21). Matteo riprende, quindi, gli avvenimenti di Es 1,15s (secondo la versione abbellita del suo tempo) e le frasi di Es 4,19s per comporre una nuova storia.

Certo che dimostrando come un autore abbia ripreso una storia da un altro autore, non si riesce a mettere in imbarazzo un teologo. Hermann Schelkle, per esempio, scrive: «La tradi­zione della storia dell'infanzia miracolosa di Mosè ha eviden­temente influenzato il racconto dell'infanzia di Gesù. Questo risultato della Storia delle Forme ha però anche un significato teologico: in questo modo si intende esprimere che Gesù è il nuovo Mosè» (loc. cit., p. 17). All'insegna del motto del «signi­ficato teologico» diventa possibile copiare tante cose da tanti autori facendo sì che Gesù diventi la copia di qualsiasi predecessore. In realtà, il paragone con Mosè non calza già per il fatto che Gesù non ha colpito a morte nessuno.

Quanto a Erode, sappiamo di tante infamie che egli ha commesso, ma non gli si può imputare l'assassinio dei bambi­ni betlemiti. Si tratta semplicemente di una calunnia cristiana. Del resto, un tale provvedimento da assassino non sarebbe stato necessario: infatti, chiunque a Betlemme sarebbe stato in grado di dire sopra quale casa con quale ragazzino (ci saranno stati dai 20 ai 30 ragazzini che, in questo contesto, po­tevano interessare Erode) si fosse fermata la stella seguita dalla carovana dei Magi.

Ma se davvero si volesse prendere per oro colato il racconto della strage degli innocenti, allora sorgerebbe una domanda: come mai Dio aveva salvato suo figlio, mettendo in guardia Giuseppe attraverso un angelo apparso in sogno, mentre ave­va consentito la morte dei piccoli figli di altri padri e altre ma­dri che nessuno aveva avvertito? Ma chissà, forse questa non è una domanda cristiana. Almeno papa Leone I Magno (m. 461) vede la cosa in chiave positiva: Dio concesse ai piccoli bambini morti «già la dignità dei martiri» (Sermo XXXI). Rimane aperta anche la questione del perché Maria e Giuseppe, dopo un sogno d'allarme del genere, non avessero avvertito gli altri genitori. Forse la pensavano come più tardi l'avrebbe pensata Leone Magno: era tutta una cosa positiva.

Anche se la strage dei bambini betlemiti attribuita a Erode non è che una fiaba, l'affermazione che Erode era un assassi­no di bambini è in qualche modo corretta. Egli fece, infatti, giustiziare tre dei suoi figli accusati di congiura contro il pa­dre: nel 7 a.C. i due figli Alessandro e Aristobulo avuti dalla seconda moglie Marianna (nel 29 a.C. aveva fatto uccidere an­che lei, accusata di adulterio) e poi, nel 4 a.C., cinque giorni prima della propria morte, suo figlio maggiore Antipatro, avuto dalla prima moglie Doris. Erode era stato sposato, complessivamente, con dieci donne. Augusto, considerando gli as­sassini dei figli perpetrati da Erode, pare aver detto che avreb­be preferito essere uno dei maiali di Erode piuttosto che uno dei suoi figli. In greco - e ogni romano colto di quel tempo conosceva il greco - le parole «figlio» e «maiale» suonano simili: hys = maiale e hyos = figlio. Erode, essendo ebreo, non man­giava carne di maiale, ma assassinava i propri figli.

Quanto poi ai Magi e alla loro visita a Betlemme, tutto lo scenario rimase, nonostante il fascino orientale di tali sacer­doti incantatori e divinatori, comunque troppo scarso e palli­do per non suscitare la curiosità di sapere qualcosa di più pre­ciso sul conto di questi visitatori misteriosi. La chiesa ha provveduto a colmare questa lacuna offrendo al pubblico credente una specie di teologia illustrata per spegnere la pia sete di sapere sempre di più fino a giungere alla completa soddisfazio­ne. In questo modo prese forma una delle immagini da fiaba centrali del cristianesimo. Per non pochi il centro del cristia­nesimo è proprio questa consueta immagine fantastica del pe­riodo natalizio con la mangiatoia, i re Magi, il bue e l'asino e, in mezzo a loro, «l'intima coppia e l'incantevole fanciullo dal capello riccioluto».*

All'inizio non si sapeva neppure quanti Magi fossero mai venuti da Oriente, ma questa fu la prima lacuna a venire col­mata. Dato che i doni che, secondo il vangelo di Matteo, furono portati al bambino erano tre - oro, incenso e mirra - si concluse che anche i donatori erano tre. I Magi erano tre: ec­co l'opinione professata già da Origene (m. 253; cfr. Gen. hom. XIV,3). Per papa Leone Magno era, come si vede nelle sue «Prediche per l'Epifania», ormai un dato indiscutibile che i Magi fossero tre. A mano a mano i Magi divennero dei re: dignità questa che gli fu aggiudicata definitivamente da Cesario (m. 542), vesco­vo di Arles (la Roma della Gallia), il quale era nel secolo VI il principe della chiesa più influente. Nel secolo VIII si conob­bero anche i loro nomi (Gaspare, Melchiorre e Baldassarre), nonché l'età di ciascuno: un uomo giovane, un uomo e un uo­mo vecchio. E sempre a partire dal secolo VIII, sappiamo che provenivano da tre continenti: Europa, Asia e Africa.

I loro nomi servivano a scongiurare fantasmi e demoni. La notte prima dell'Epifania (la festa dei tre re Magi) è la notte della Befana, l'ultima delle notti tra Natale ed Epifania in cui spiriti maligni passavano nell'aria. La benedizione dei tre re protegge tutt’oggi casa e bottega da cattive influenze. Incan­tesimi da Epifania (festa dei tre re Magi) scongiuravano epidemie, disgrazie e incendi. Le loro iniziali incise sulle campane delle chiese tenevano lontano il maltempo, e a tutt'oggi pro­mettono ai viaggiatori che sostano in pensioni chiamate per esempio Stern (la stella) o Krone (la corona), una sosta sicura. La stella di Betlemme ha quindi perso il suo grande e santo splendore per essere profanamente commercializzata.



* «L'intima coppia e l'incantevole fanciullo dal capello riccioluto» «das traute Paar und der holde Knabe im lockigen Ram»: allusione a un versetto di Stille Nacht, heilige Nacht (ital.: Astro del ciel) [N.d.T.]

Uno dei tre re risulta ancor oggi vivacissimo nel Kasperletheater.* Il fatto che a Colonia Gasparetto sia più vivace che al­trove non è casuale. Infatti, nel 1164 Rainaldo di Dassel (m. 1167), arcivescovo di Colonia nonché cancelliere dell'impero, fece portare con la forza le reliquie dei tre da Milano a Colo­nia. Insieme a Federico I Barbarossa, questi aveva combattuto in Italia, e per l'occasione univa la realtà profana della guerra con la realtà sacra del trafugamento di reliquie. Quale fosse la buona o cattiva stella che prima aveva guidato i tre a Milano, non lo sappiamo. Quanto poi ad alcune altre questioni, come ad esempio chi li avesse trovati e dove, e chi avesse in seguito avuto la fantastica idea che si trattasse delle ossa dei Magi, siamo completamente all'oscuro. Secondo la tradizione fu l'im­peratrice Elena, la madre dell'imperatore Costantino (la quale ogni tanto aveva visioni di luoghi e oggetti sacri) a mandarli come dono a Milano. Ma questa è un'altra fiaba.

Per chi ci crede, i tre vecchi incantatori giacciono, ormai tranquilli, dentro una grande bara d'oro all'interno dell'alto duomo di Colonia, sul Reno, aspettando che trascorra il tem­po. Qualche visitatore notturno del duomo crede di aver av­vertito, nella notte precedente la loro festa, cose misteriose intorno a questo sarcofago. Alcuni pensano addirittura di aver visto una strana luce che proveniva dalla bara, una specie di stella; altri, invece, sostengono che si fosse trattato semplicemente di un riverbero smarrito dei lampioni di Colonia.


 prima parte

Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...