martedì 31 gennaio 2012

L’attuale crisi tra Mandeville e Keynes

di Robert Shiller,da Micromega ( Il Foglio, 26 gennaio 2012) 
 
Nel suo classico "La favola delle api, ovvero vero vizi privati e pubbliche virtù" (1724), il filosofo e satirico anglo-olandese Bernard Mandeville descrisse in versi la storia di una prosperosa società (di api) che improvvisamente decide di fare dell'austerità una virtù, abbandonando tutte le spese eccessive e i consumi stravaganti.

Cos'era successo, poi? "Crollano i prezzi della terra e delle case; / palazzi incantevoli, le cui mura, / simili a quelle di Tebe, che erano state elevate a suon di musica, / si devono dare in affitto. / (...) L'architettura è del tutto abbandonata. / Gli artigiani non trovano più alcun impiego. / Le poche api che restano, vivono miseramente. / Non si è più preoccupati di come spendere il proprio denaro, ma di come guadagnarne quanto basta per vivere". Questi versi non suonano forse vicini a quello che molti paesi avanzati stanno passando, dopo che una crisi indotta dalla finanza ha lasciato il passo al lancio dei piani di austerità? Quella di Mandeville è forse un'autentica profezia dei nostri tempi? "La favola delle api" ha avuto un vasto seguito ed è all'origine di una disputa che è arrivata fino ai nostri giorni. I piani di austerità adottati da buona parte dei governi europei e di altri nel resto del mondo, sommati alla riduzione dei consumi dei singoli cittadini, minacciano di produrre una recessione su scala globale.

Ma come possiamo sapere se Mandeville aveva ragione rispetto all'austerità? E' difficile che il suo metodo di ricerca – un lungo poema per illustrare una teoria possa suonare convincente a orecchi moderni.

Alberto Alesina, economista a Harvard, ha recentemente raccolto le prove necessarie a capire se una riduzione di un deficit sovrano – che è come dire un taglio alla spesa e/o un aumento delle tasse – provochi sempre effetti negativi: "La risposta a questa domanda è un sonoro no", scrive Alesina. A volte, forse addirittura spesso, le economie si sviluppano in modo soddisfacente a seguito di brusche riduzioni dei deficit governativi. Può darsi che, a volte, un programma d'austerità rafforzi la fiducia tanto da alimentare una ripresa economica.

Dobbiamo esaminare la questione con attenzione, non dimenticando che il problema sollevato da Mandeville è di natura decisamente statistica: il frutto di una riduzione del deficit non è mai del tutto prevedibile, perciò possiamo soltanto chiederci qual è la probabilità che un piano del genere possa riportare con successo alla prosperità economica. E il problema più grande, in questo caso, è rendere conto di possibili fenomeni di causalità invertita.

Per esempio, se i sintomi di un periodo di prosperità economica portano un governo a preoccuparsi dell’ “overheating" del mercato (il "surriscaldamento" dato dall'afflusso eccessivo di capitali stranieri, che li porta a finanziare anche investimenti improduttivi, ndr) o dell'inflazione eccessiva, si può provare a raffreddare la domanda interna alzando le tasse o riducendo la spesa statale. Se il governo riuscisse a evitare anche lievemente il surriscalda mento del mercato, un osservatore sprovveduto potrebbe pensare di trovarsi di fronte a un caso in cui l'austerità ha rafforzato l'economia nazionale.

Allo stesso modo, il deficit governativo potrebbe essere calato non per effetto dell'austerità, ma perché le aspettative di crescita economica che si sono create sui mercati azionari permettono al governo di incassare entrate maggiori dall'imposta sulle plusvalenze. Di nuovo - ma questa volta dal punto di vista dei bilanci statali – ci ritroveremmo di fronte a uno scenario osservando il quale si potrebbe concludere che l'austerità porti prosperità.

Jaime Guajardo, Daniel Leigh e Andrea Pescatori, del Fondo monetario internazionale, hanno recentemente studiato diciassette piani di austerità messi in atto negli ultimi trent'anni. Il loro approccio è diverso da quelli usati finora: si sono focalizzati sugli intenti dei governi e non hanno considerato soltanto l'andamento del debito pubblico, ma anche quello che poi gli esecutivi stessi hanno dichiarato a proposito. Hanno analizzato i discorsi sul debito, rivalutato nei dettagli i programmi di stabilità e hanno persino considerato le interviste concesse da esponenti del governo. Hanno considerato "piani di austerità" soltanto i casi in cui i governi hanno imposto aumenti di tasse o tagli alla spesa perché li consideravano funzionali a una politica prudente, in grado di dare benefici sul lungo termine, e non perché dovevano rispondere a rischi economici nel breve termine o alla possibilità che il mercato si surriscaldasse. La loro analisi ha rilevato una chiara tendenza dei programmi di austerità a ridurre i consumi e a indebolire l'economia. Questa conclusione, se valida, costituisce un ammonimento severo per i politici di oggi.

Invece altri, come Valerie Ramey dell'University of California di San Diego, sostengono che Guajardo, Leigh e Pescatori non hanno giustificato del tutto le loro conclusioni.

E' possibile, dice Ramey, che i risultati a cui sono giunti riflettano una sorta di causalità inversa: potrebbero descrivere la tendenza dei governi a usare l'austerità nei confronti di un debito pubblico eccessivo soltanto quando hanno ragione di credere che le condizioni economiche in cui si trovano potrebbero rendere il peso del debito insostenibile.

Potrebbe sembrare un comportamento improbabile - uno sarebbe portato a pensare che delle pessime prospettive economiche suggeriscano ai governi di posticipare, piuttosto che accelerare, le misure di austerità.

In risposta ai commenti di Ramey, i tre economisti del Fmi hanno aggiunto alla loro analisi anche la percezione che i mercati avevano della serietà del problema del debito al momento dell'approvazione dei piani di austerità, arrivando a risultati molto simili a quelli a cui erano arrivati in precedenza. Ma Ramney potrebbe avere ragione: anche se uno scoprisse che i tagli alla spesa o gli aumenti delle tasse sono seguiti da tempi cupi per l'economia, questo non basterebbe a escludere che la colpa possa essere di tutt'altri fattori.

In definitiva, il problema principale delle valutazioni dell'efficacia dei programmi di austerità è che gli economisti non possono condurre degli esperimenti controllati in tutti i dettagli. Quando c'era da testare il Prozac sui pazienti depressi, i ricercatori li hanno divisi a sorteggio in gruppi di controllo e gruppi sperimentali. Fatta la divisione, avevano iniziato a sottoporli a numerosi test. Con il debito di una nazione non possiamo fare niente di tutto questo.

Quindi, che cosa dobbiamo concludere? Che le analisi storiche non ci insegnano niente di utile? Dobbiamo forse tornare alle argomentazioni astratte di Mandeville e dei suoi epigoni, John Maynard Keynes incluso, che pensava che ci fossero buone ragioni per aspettarsi che l'austerità avrebbe prodotto periodi di depressione? Non c'è una teoria astratta che può prevedere come la gente reagirà a un programma di austerità. Non abbiamo altra alternativa che guardare ai dati storici. E le prove portate da Guajardo e dai suoi co-autori ci dicono che sì, le decisioni con cui un governo adotta deliberatamente un programma di austerità tendono a essere seguite da momenti molto duri.

I politici non possono permettersi di aspettare per decine di anni, in attesa che gli economisti gli offrano una risposta definitiva (che peraltro potrebbe benissimo non essere mai trovata). Ma, a giudicare dagli elementi in nostro possesso, i programmi di austerità, in Europa come altrove, sembrano ragionevolmente diretti a risultati molto deludenti.

ACTA: la nuova minaccia a internet

Cari amici,



Un nuovo trattato globale darebbe carta bianca alle multinazionali per controllare tutto quello che facciamo su internet. La scorsa settimana 3 milioni di noi hanno fermato le leggi censorie americane. Se agiremo ora potremo far sì che il Parlamento europeo affossi questo nuovo pericolo per tutti noi:
La settimana scorsa 3 milioni di noi sono riusciti a respingere l'attacco americano a internet! Ma ora c'è una minaccia persino più grave, e il nostro movimento globale per la libertà di internet è l'arma migliore per annientarla.

ACTA, un trattato mondiale, darebbe il potere alle multinazionali di censurare internet. Dopo che è stato negoziato in segreto da un manipolo di paesi ricchi e poteri forti, ora potrebbe mettere in piedi un organismo nell'ombra per combattere le contraffazioni e che permetterebbe a interessi organizzati di controllare tutto quello che facciamo su internet, imponendo sanzioni che prevedono addirittura il carcere contro chi metterebbe in pericolo i loro affari.

L'Europa sta decidendo ora se ratificare o meno ACTA: se non lo farà questo attacco globale alla libertà di internet cadrà. In passato si sono già opposti a ACTA, ma ora alcuni parlamentari vacillano: diamo loro l'ultima spinta per rigettare il trattato. Firma la petizione: faremo una consegna spettacolare a Bruxelles non appena avremo raggiunto le 500.000 firme:

http://www.avaaz.org/it/stop_acta/?vl

E' una vergogna: i governi dei quattro quinti della popolazione mondiale sono stati esclusi dai negoziati dell'Accordo commerciale anti-contraffazione (ACTA) e burocrati non eletti hanno lavorato spalla a spalla con i lobbisti delle multinazionali per scrivere le nuove regole e un regime sanzionatorio pericoloso. ACTA sarebbe inizialmente esecutivo negli Stati Uniti, in Europa e in altri 9 paesi, poi in tutto il resto del mondo. Ma se riusciremo a far dire no all'Europa, il trattato perderebbe il momento buono e potrebbe essere chiuso in un cassetto per sempre.

Grazie a queste regole liberticide persone in ogni dove potrebbero essere sanzionate per semplici gesti come condividere l'articolo di un giornale o scaricare un video di una festa dove c'era musica protetta dal copyright. Venduto come un trattato commerciale per difendere il diritto d'autore, ACTA potrebbe vietare anche la vendita di farmaci salvavita e mettere in pericolo l'accesso degli agricoltori ai semi di cui hanno bisogno. E, incredibile ma vero, la commissione ACTA avrebbe carta bianca per cambiare le sue stesse regole e sanzioni senza alcun scrutinio democratico.

Potenti interessi organizzati stanno facendo di tutto per far passare il trattato, ma il Parlamento europeo si è messo in mezzo. Inviamo un grido enorme ai parlamentari per contrastare le lobby e difendere la libertà di internet. Firma ora e inoltra questo appello a tutti:

http://www.avaaz.org/it/stop_acta/?vl

La scorsa settimana abbiamo visto in concreto la forza del nostro potere collettivo: quando milioni di noi hanno unito le forze per fermare gli Stati Uniti dall'adottare la legge sulla censura a internet, che avrebbe trafitto il cuore della rete. Abbiamo anche dimostrato al mondo quanto possono essere potenti le nostre voci. Uniamole ancora una volta per contrastare questo nuovo pericolo.

Con speranza e determinazione,

Dalia, Alice, Pascal, Emma, Ricken, Maria Paz e il resto del team di Avaaz

Più informazioni:

Pirateria, l'Unione europea firma ACTA: "Bavaglio al web e alla ricerca medica"
http://www.repubblica.it/tecnologia/2012/01/26/news/pirateria_acta-28803676/


La Polonia marcia per il web libero: in 10.000 contro ACTA
http://www.giornalettismo.com/archives/193127/la-polonia-che-marcia-per-il-web-libero/


ACTA, inizia un'altra battaglia per la Rete
http://daily.wired.it/news/internet/2012/01/26/acta-censura-internet-copyright-sopa-16742.html


Accordi segreti minacciano la libertà di espressione (e non solo)
http://www.valigiablu.it/doc/607/accordi-segreti-con-le-multinazionali-minacciano-la-libert-di-espressione-e-non-solo.htm


Reddito garantito: un appello per prendere parola

Reddito garantito: un appello per prendere parola


In questa fase di dibattito nazionale sulla riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali abbiamo voluto lanciare un "appello" attraverso le pagine de Il Manifesto cosi da avviare un dibattito aperto ed una presa di parola in merito al tema del reddito garantito.


Invitiamo, tutti coloro che ritengano che in questa fase sia utile ed importante sostenere il tema del reddito garantito ad inviare il proprio contributo o articolo inviando una mail ad info@bin-italia.org con nome cognome (o nome collettivo se scritto a più mani)


Reddito garantito: un appello per la presa di parola.


«Entro il mese di marzo»: questa la scadenza fornita da Mario Monti per riformare il mercato del lavoro e gli ammortizzatori sociali. Nei primi giorni di gennaio 2012 sono partite le consultazioni del ministro del Welfare Elsa Fornero, che poche settimane prima si era dimostrata favorevole all'introduzione di un reddito minimo garantito anche nel nostro Paese. Visto il modo di operare fin qui svolto dall'attuale governo nel comunicare le iniziative politiche e viste le poche informazioni in circolazione al momento, non abbiamo ancora compreso cosa significhi in concreto riformare gli ammortizzatori sociali e quali siano le opzioni realmente in gioco.


Nel frattempo i dati diffusi da enti statistici e centri di previsione economica certificano l'aumento della disoccupazione, una precarizzazione sempre più selvaggia, l'abbassamento dei salari e il conseguente, generale, scivolamento verso il basso dei diritti dei lavoratori e dei cittadini, giovani e vecchi, precari o garantiti che siano. In tutto questo, le politiche di austerity creano pressioni inedite su quelle forme di "welfare familistico" a cui per anni e fino ad ora, è stato delegato di risolvere le storture del welfare pubblico italiano e fornire una sorta di compensazione per l'assenza di una qualsivoglia misura universalistica di sostegno al reddito.


Per questo oggi il tema del reddito garantito diviene centrale, ineludibile, urgente. L'urgenza è data non solo dal peggioramento spaventoso della condizioni sociali, ma anche dall'emergere di una nuova aspettativa da una parte sempre più viva e larga di popolazione, che vede nel reddito garantito una concreta opportunità di garanzia e tutele. È testimonianza di ciò la straordinario risultato della legge regionale del Lazio in tema di reddito garantito, che ha portato nel 2009 all'emersione di oltre 120.000 domande di sostegno, totalmente inattese e largamente superiori alle previsioni, da parte di coloro che non arrivano a 8000 euro l'anno.


In questo periodo che ci porterà alla riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, la parola d'ordine del reddito garantito può e deve diventare al più presto occasione di confronto per tutti i soggetti sociali che subiscono la crisi in maniera oppressiva. Far emergere la necessità del diritto al reddito significa ridare corpo e voce a quella "folla solitaria" in cerca di opportunità di lavoro e di sopravvivenza. Una folla solitaria fatta di milioni di pensionati o anziani, cassaintegrati senza più cassa, precari di prima generazione (quelli tra i 35/50 anni), di seconda generazione (tra i 20/35 anni), componenti della generazione Neet (tra i 16/25 anni), donne, famiglie con un solo stipendio, immigrati, figure operaie ormai in dismissione, lavoratori over 50 non più spendibili sul mercato, working poors diffusi anche tra il lavoro autonomo e la lista potrebbe allungarsi.


Sul tema del reddito si possono unire tutte le singolarità che subiscono, spesso in silenzio, nuove forme di povertà, per ricostruire una solidarietà intra-generazionale, tra chi ha perso un lavoro e non riesce a ricollocarsi, e chi, un po' più giovane, è costretto a svolgere un lavoretto precario cui non riesce a dire di no, pur di racimolare qualche soldo a fine mese. Sul tema del reddito si possono unire coloro che pensano sia necessario coltivare forme di autonomia, di autodeterminazione, di libertà di scelta, anche della vita professionale, senza per questo dover continuamente sottostare ai ricatti del lavoro purché sia. Sul tema del reddito si possono unire studenti, giovani, ai quali non piace il futuro che si offre loro perché subiscono un presente senza diritti. Sul tema del reddito possono e debbono prendere parola tutti i cittadini di questo Paese convinti che al centro delle politiche di contrasto alla crisi debba esserci una misura di distribuzione delle ricchezze.


Auspichiamo insomma una presa di parola capace di unire, di definire un obiettivo comune, indipendente dalla miriade di storie private ed individuali, che in verità ormai raccontano una storia unica fatta di povertà, ricatti e privazioni. Una presa di parola sul reddito garantito per tornare a guardare con fiducia al "futuro" a partire dal presente, per immaginare un orizzonte oltre la crisi, con maggiore giustizia sociale, in cui sia possibile una distribuzione delle ricchezze, in cui non sia più accettabile che alcuni percepiscano compensi superiori di oltre 500 volte quelli di un lavoratore medio. Occorre una presa di parola per dare visibilità al rischio di "default sociale" che stiamo vivendo e far si che intorno al tema del reddito garantito prendano parola i senza diritti insieme a chi i diritti rischia di perderli quotidianamente.


Insomma, in questa fase così strategica ci sembra necessaria una presa di parola larga, in grado di unire la frammentazione sociale, per lanciare una proposta politica concreta nel pieno del dibattito sulla riforma degli ammortizzatori sociali, affinché il tema del reddito garantito venga preso in considerazione in maniera seria, forte, concreta, urgente come nuovo diritto fondamentale per la realizzazione di vite degne.


Auspichiamo che a questa richiesta di presa di parola sul tema del reddito ne seguano altre di singoli cittadini e soggetti collettivi, personalità scientifiche e culturali, esponenti della politica locale e nazionale; di tutti coloro che insomma ritengano non sia più possibile rimandare un tema così importante per la coesione sociale, la libertà e dignità delle persone. Con la convinzione che questa presa di parola individuale e collettiva possa trasformare l'attuale frammentazione, solitudine e disagio sociale, in una massa critica verso l'obiettivo comune del reddito garantito.
Basic Income Network - Italia
(http://www.bin-italia.org)

giovedì 26 gennaio 2012

La retata anti-No Tav è una dichiarazione di guerra



"La 'ndrangheta in Piemonte è l'anima nera di questa colossale quanto inutile e devastante 'Grande opera' che è la Tav. (...) Il cappio intorno alle libertà personali e collettive si stringe sempre di più, e la retata di questa mattina lo dimostra in modo esemplare".
La retata anti-NO TAV di questa mattina porta con sé un chiaro messaggio repressivo: lo Stato individua nei comitati NO TAV il nemico da abbattere e reprimere. Ciò fa il paio con la militarizzazione pervasiva di un territorio - la Val di Susa - strenuamente difeso, con ogni mezzo necessario, da chi ci abita. Una vera e propria occupazione militare, efficacemente condotta da forze dell'ordine in costante assetto antisommossa, che va avanti e andrà avanti a tempo indeterminato. Messaggio chiarissimo: lo Stato tutela tutti coloro che intorno al malaffare della Tav si arricchiscono e traggono vantaggi politici, senza contare le forti infiltrazioni della criminalità organizzata: mafia, 'ndrangheta e camorra.

Ricordiamolo cos'è l'Alta Velocità:


"Ad Afragola e nella zona di Napoli e del casertano, gli investimenti hanno arricchito le imprese legate alla camorra che hanno ricevuto subappalti prima dalla FIAT celata sotto il nome di Cogefar Impresit e poi da Impregilo, il mostro edilizio a tre teste controllato da Ligresti, Gavio e Benetton. In Campania, i subappaltori hanno aperto cave abusive poi riempite di rifiuti, hanno devastato un territorio già provato per non lasciarvi niente, costruendo anche il consenso (e voti) attraverso le assunzioni di lavoratori nei cantieri. Nella zona di Roma dove sono passati i cantieri, Tor Sapienza in particolare, i binari sono passati in mezzo alle case, rovinando la vita di parecchie persone, come il signor De Giusti che ha lavorato una vita e si è ritrovato con la casa che trema ad ogni passaggio di treno e due infarti. Per alcuni costruttori e politici è un male necessario in nome del progresso. In Toscana, il Mugello è stato devastato. Sorgenti d`acqua prosciugate, montagne fatte a brandelli. E poi morti, morti sul lavoro [v.: Claudio Metallo sul sito "Terrelibere"]".


La 'ndrangheta in Piemonte è l'anima nera di questa colossale quanto inutile e devastante "Grande opera". Il giudice Ferdinando Imposimato è stato il primo, nel 2004 a delineare l'alleanza di ferro tra ceto politico e grandi imprese, in un sistema dominato da oligarchie finanziarie di ogni estrazione e provenienza:


"Lo scandalo del TAV è l'emblema della degenerazione globale del sistema politico; esso ha coinvolto maggioranza ed opposizione in egual misura. Dopo Tangentopoli non è scaturita una Repubblica rinnovata, ma una riedizione peggiore del vecchio sistema di potere. Si è organicamente strutturata l'alleanza tra ceto politico e forze dominanti del potere economico delle grandi imprese sia private che pubbliche, alle quali è demandato il controllo della totalità degli appalti delle grandi opere pubbliche. Ancora oggi entrambe sono sempre più dipendenti dallo Stato. Più che nel passato esse manovrano l'informazione e la formazione del consenso con metodi spregiudicati e contrari alla verità: coprono i mosfatti e le violazioni delle regole del mercato e esaltano i personaggi politici che agiscono all'insegna di una becera antipartitocrazia e del più demagogico populismo, anticamera di scelte illiberali. Le oligarchie finanziarie e tecnocratiche, sopravvissute all'ondata di tangentopoli, sono riuscite a ridimensionare la presenza dei partiti, divenendo esse arbitre esclusive del sistema di spartizione delle commesse pubbliche, per decine di migliaia di miliardi, con una sistematica violazione delle norme interne e internazionali sulle gare di appalto. Altri gruppi finanziari antagonisti hanno optato per accordi diretti con Cosa Nostra, nuovo soggetto politico-finanziario, accettato e riconosciuto dallo Stato, tanto da monopolizzare quasi tutte le commesse per le grandi infrastrutture. Cosicché nelle grandi opere pubbliche, come l'Alta Velocità e le autostrade, coesistono, in perfetta armonia, i protagonisti di sempre: i boiardi di stato, i grandi mediatori-corruttori, le imprese cooperative, Cosa Nostra, la Camorra, alcuni magistrati collaudatori e i grandi gruppi finanziari [v. libro: Corruzione ad alta velocità - Viaggio nel Governo Invisibile]".


Parole da scolpire nel tempo in modo indelebile, da cogliere nella loro enorme gravità. Troppo fitti gli intrecci, troppo grandi gli interessi, per consentire che legittime forme di protesta li intacchino. La retata di oggi è un giro di vite davvero inedito, un attacco frontale che ha precedenti soltanto nella disastrosa e corrottissima gestione giudiziaria del dopo-G8. Alle polizie di tutta Italia, è demandato il compito di difendere a oltranza un sistema così strutturato con cariche violente, arresti, retate, pestaggi. Il tutto condito da quella perfetta triade di capi d'accusa; quella che spunta sempre, in ogni occasione, nei contesti di piazza, negli stadi, nelle strade, persino dentro le nostre case: violenze, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. Che vuol dire tutto e niente. Può voler dire che manifestare anche in modo acceso implichi resistere a un pubblico ufficiale. Può voler dire che rispondere a un lacrimogeno sparato ad altezza uomo significhi commettere atti di violenza contro l'ordine costituito. Può significare tutto e niente. Stefano Gugliotta era stato catturato per strada con queste accuse. Federico Aldrovandi è stato ucciso perché avrebbe posto in essere atti di resistenza e violenza. E come loro tutti gli altri che ben conosciamo.

Lesioni, violenza e resistenza a P.U.: le parole dei pubblici ufficiali contro quelle di individui liberi.
Il cappio intorno alle libertà personali e collettive si stringe sempre di più, e la retata di questa mattina lo dimostra in modo esemplare. Bisogna stare molto attenti, perché le notizie di questa mattina rappresentano il superamento di un limite che sembrava inviolato ormai da tempo; queste notizie ci parlano di uno Stato che macina tutto e tutti, delegittima ogni forma di dissenso, con lo scopo di salvaguardare forme evidenti di malaffare, devianza istituzionale, ibridazioni varie tra Stato, criminalità e affarismo da squali.

Allo stato attuale, sei mesi di indagini hanno portato a 26 arresti in tutta Italia, da nord a sud: a queste ragazze, a questi ragazzi, a questi militanti senza pace, va tutta la nostra solidarietà. Completa e incondizionata.


* Autore del libro "Malapolizia"

Debito sovrano europeo – Chi deve a chi?

Incrociando i debiti che i paesi europei hanno l'uno con l'altro, il debito totale si potrebbe ridurre del 64%!

di Tyler Burden (da ZeroHedge)
traduzione per DoppioCieco di Domenico D'Amico

È sempre più evidente che con l'attuale struttura e composizione dei suoi aderenti l'Euro non funziona. Il mercato sembra orientare il cambiamento verso un cambiamento dei membri (attraverso ristrutturazioni e svalutazioni temporanee – i.e. GRE CDS [1] e una Dracma WI [2]) mentre il 'management' dell'Eurozona sembra tendere a cambiamenti strutturali (i.e. La protezione dell'EFSF [3], Euro-bond, e unione fiscale). A fronte del costo elevato di qualsiasi soluzione si adotti, una ricerca effettuata quest'estate da ESCP Europe suggerisce che sia possibile un approccio più sofisticato, volto a ridurre il complesso del debito sovrano aggregato europeo di quasi il 64%. La soluzione: interconnessioni [netting] [4] bi- e tri-laterali, oltre al libero commercio [del debito].
Evidentemente, in questo 'libero scambio' ci sarebbero vincitori e perdenti, e il processo di negoziazione (da teoria dei giochi) tra 17 politici di carriera viziati ed egocentrici è improbabile che ottenga risultati positivi. In ogni caso, è altrettanto evidente che qualsiasi soluzione si adotti dovrà avere comunque quast'approccio da nodo gordiano.

La Rete Debitoria europea (aggiornata al Maggio 2011)

debito sovrano europa interconnessione link


Dopo tre fasi di 'negoziazione', cioè netting bi-laterale, netting tri-laterale e quindi un libero scambio [del debito] (per la gestione delle differenti maturazioni e scadenze), la complessità si riduce drasticamente – rendendo molto chiaro dov'è che sta il vero debito.

debito sovrano europa interconnessione link


Le principali conclusioni sono state le seguenti:

Attraverso la cancellazione incrociata del debito interconnesso, le nazioni dell'UE potrebbero ridurre il loro debito del 64%.

Sei paesi – Irlanda, Italia, Spagna, Gran Bretagna, Francia e Germania – potrebbero cancellare più del 50% del loro debito arretrato;

Tre paesi – Irland, Italia e Germania – potrebbero ridurre le loro pendenze in modo da dovere più di un miliardo di Euro solo ad altri due paesi.

Inoltre:

Circa il 50% del debito portoghese è nei confronti della Spagna;

L'Irlanda e l'Italia potrebbero completamente cancellare i debiti nei confronti di altri paesi PIIGS, e l'Irlanda potrebbe portare il suo debito dal 120% a meno del 20% del PIL;

La Grecia potrebbe ridurre il suo debito del 20%, dovendone un 60% alla Francia e un 30% alla Germania;

La Gran Bretagna ha un debito che è in assoluto il maggiore, prima e dopo l'operazione di cancellazione, dovuto principalmente a Spagna e Germania, ma potrebbe ridurre il rapporto debito/PIL di 34 punti percentuali;

La Francia potrebbe a tutti gli effetti eliminare il suo debito (del 99,76%) - riducendolo a uno 0,06% del PIL;

Così gli autori sintetizzano il loro studio:

Queste ipotesi non risolvono il problema della crisi debitoria dell'UE, e suscita più domande che risposte in tema di affidabilità dei dati. In ogni caso, l'osservazione rivelatrice che il debito interconnesso possa essere ridotto (possibilmente perfino azzerato) costituisce un'opzione di tipo politico. Difatti, se è vero che questa ipotesi lascerebbe comunque ad alcuni paesi un grosso debito residuale, indica tuttavia la vera natura del problema. Sia come sia, getta luce sulla questione e fornisce nuovi dati.

Il fatto che una tale quantità del debito sia interconnessa ci offre una reale possibilità di risolvere il problema. La tela del debito interconnesso è troppo spessa per poterla spazzar via con un'ipotesi accademica, e tuttavia la classe politica dovrebbe prendere sul serio i risultati di questo studio: potrebbero scoprire che invece di continuare a tessere i fili della rete dovrebbero impugnare la scopa per dare una ripulita.

La nostra conclusione è che mentre la dismissione dell'Euro comporterebbe costi enormi e una drammatica destabilizzazione non solo dal punto di vista dei mercati (dato che la disarticolazione delle unioni monetarie tende storicamente a concludersi nel pubblico disordine), questo studio ci indica un modo semplice di capire come un sistema dotato di una Banca Centrale e di un'unità fiscale 'potrebbe' risultare più solido. Comunque, la strada verso questa solidità 'potenziale' sarebbe lastricata dalle carcasse di detentori di titoli finanziari e non, creditori senior e non, spacciatori di CDS, speculatori valutari [5] operanti, grazie ad aggiustamenti dei tassi a rischio zero, mutui subordinati, ringfencing [6], forzate ricapitalizzazioni, e conseguente austerity.


note del traduttore

[1] Famigerati strumenti finanziari, in teoria assicurativi, in realtà speculativamente devastanti. “Questa, però, è la teoria. Nella pratica i «credit default swap» sono titoli scambiati tra operatori al telefono. E dato che il prezzo della polizza sale e scende ogni giorno in base alla maggiore o minore rischiosità delle società o Paesi, tanti operatori li usano solo per 'scommettere' sul rialzo o sul ribasso. Dato che nessuno sa cosa fanno gli altri, si arriva quindi al paradosso che su certe società esistono più «credit default swap» che debiti da assicurare.” “nessuno sa esattamente come giri il mercato dei Cds. Si conoscono quotazioni indicative, riportate da provider come Bloomberg, ma nessuno sa quanti volumi di scambi ci siano effettivamente sotto. Si conoscono solo gli ammontari nominali di questi derivati, perché sono contabilizzati (al 90%) da un'istituzione americana che si chiama Dtcc. Ma nulla di più. I grandi broker (JP Morgan, Goldman Sachs, Deutsche Bank, Citigroup, Bank of America e le altre grandi banche mondiali) sanno quanti volumi fanno loro, ma nessuno conosce l'operatività degli altri. Nessuno sa quante telefonate tra trader ci sono state, quanti «Cds» sono stati comprati o venduti. Questo fa paura: l'opacità. Questo desta sospetti di speculazioni, di manipolazioni. Forse le speculazioni sono solo bluff con volumi irrisori (come ha ventilato la Consob tedesca pochi giorni fa), ma dato che nessuno lo sa, la paura dilaga. E contagia altri mercati. Come quello molto più consistente dei titoli di Stato.” (ilSole24Ore)
[2] WI sta per “When Issued”. “Una transazione che è effettuata condizionatamente, in quanto un certo strumento finanziario è stato autorizzato, ma non ancora emesso [issued]” (Investopedia)
È un mercato non ufficiale, che sfugge al controllo di qualsiasi autorità. Agisce alla condizione 'se e quando emesso' nell'intervallo di tempo che passa fra il primo giorno di un'emissione obbligazionaria e il momento in cui verrà fatto il primo prezzo sul mercato ufficiale.” (ProZ)
[3] il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria.
[4] L'autore sembra fare un piccolo gioco di parole, dato che net può indicare un'interconnessione, ma anche un guadagno economico.
[5] Nell'originale “FX jockeys”, dove FX sta per Forex, cioè Foreign Exchange, cioè il mercato internazionale delle valute, in cui può fare speculazioni e guadagni un “artista” del campo.
[6] “Ecco quindi che il concetto di ring fencing, l'idea di isolare con un "recinto" i rami di attività di un'istituzione finanziaria per evitare contagi, viene usato in questi giorni con grande frequenza anche in riferimento ai titoli di stato greci, con l'idea di poterli isolare nel caso di un default o di un'uscita della Grecia dall'Europa.” (Sole24Ore)

mercoledì 25 gennaio 2012

domenica 22 gennaio 2012

Vendola tergiversa

Lo capisco, non può dire al Pd che ormai si sta costruendo un'ipotesi di percorso politico che lo esclude definitivamente da qualsiasi accordo o coalizione. D'altronde non è che il Pd abbia operato una svolta liberista, il liberismo è da parecchio ormai consustanziale alla sua forma partito, dacché gli eredi del PCI hanno abbracciato una visione cosiddetta post-moderna della politica o se si preferisce post-novecentesca. In altre parole laddove c'è un vuoto di riferimenti culturale e di richiami alle grandi tradizioni politiche, questo vuoto è riempito da una falsa oggetività, che tradotto significa pensiero unico in economia. Per questo il Pd è incompatibile con qualsiasi ipotesi alternativa seria. 
Se Vendola tergiversa, Flores D'Arcais straparla di liste autonome, straparla bene, ma non razzola affatto, perché di concreto si vede poco o niente. De Magistris da parte sua annuncia novità e forse di lui almeno c'è da fidarsi, perché una scommessa, una grossa l'ha vinta almeno. 
Vendola dice che farà una conferenza stampa con Di Pietro. Attendiamo con ansia quello che diranno. Difficile conciliare tutto, soprattutto la visione della giustizia e del diritto, nonché alcuni aspetti inerenti le liberalizzazioni e le privatizzazioni. Oltretutto Di Pietro ingnora il significato della parola liberismo, ma potremmo alla fine  accontentarci di accordi concreti sui  programmi, lasciando perdere le parole.
Dateci un segnale, battete un colpo, la società civile e i movimenti aspettano, ma rendetevi conto che le ricette amare di Monti a dispetto di tutto appaiono sempre più una fatalità, come la grandine o il morbillo. Se si ci si vuole presentare alla prossime elezioni con una compagine e un programma veramente attraenti, oltre che a nuove narrazioni occorrerà pensare a qualcosa di molto concreto. 
Il reddito comune di cittadinanza mi sembra una delle cose che può fare davvero la differenza.

La verità sul movimento dei forconi

da Informareperesistere

Questo articolo è per spiegare la mia posizione sul movimento dei forconi.Ho avuto bisogno di una presenza assidua nei punti di blocco e tre giorni di dialogo continuo con la gente presente ai caselli per farmi un’idea precisa di quello che sta succedendo e tutt’ora la mia conclusione può essere esposta esclusivamente a livello personale, per non creare conflitti in futuro con tutta la strumentalizzazione che stanno compiendo i media e per quello che rappresenta il lavoro di Lo Sai.Quello che ho visto dall’inizio dell’organizzazione della protesta, nell’assemblea di Catania dove ha partecipato anche il presidente del Palermo Calcio Maurizio Zamparini col famosissimo intervento contro Banche, moneta debito, Monti e media ( http://www.youtube.com/watch?v=7FF9_JTYQaA ), ad oggi è riassumibile in 2 fasi. Nella prima il blocco è stato organizzato dalla massiccia presenza degli autotrasportatori in genere che hanno orchestrato dei blocchi sicuramente d’effetto e di evidente impatto sulla regione. Nella seconda fase, dal secondo giorno in poi, quello che è successo ha quasi dell’incredibile. Si è sviluppato una notevole presenza di ragazzi e padri di famiglia che hanno accompagnato la protesta, come i forconi in maniera pacifica, per tutta la nottata di Giovedì e Venerdì. Il numero dei presenti estranei al movimento e coesi alla protesta nella serata di Venerdì è arrivato a pareggiare il numero di autotrasportatori, tanto che al casello di S.Gregorio di Catania si è notata una massa di gente mista, che non portava né bandiere né colori, nessuno slogan ma un unica voce… Adesso Basta! Dobbiamo camminare uniti e coesi a sostegno dei nostri diritti e contro le manovre bancarie che stanno schiacciando il paese. Si è vista una massiccia presenza di gente che era consapevole del problema della moneta debito e che era cosciente della soluzione che lo statuto siciliano può portare. In molti si erano informati via facebook tramite le pagine Lo Sai e Informare per Resistere.Nei giorni precedenti la mia presenza insieme a quella dei ragazzi di Lo sai siciliani ha provato a capire le motivazioni di questo blocco, aprendo più volte un dialogo con gli autotrasportatori. Le loro proteste sono per lo più legate alla forte tassazione di benzina e dei diritti degli autotrasportatori che per interrompere questo inizio anno davvero pesante e con una prospettiva futura ancora più nera, chiedevano e chiedono l’applicazione dello statuto Siciliano. Questo per evitare una tassazione così massiccia e per dar forza ad un regolamento regionale che dimezzerebbe teoricamente tutte le spese che i lavoratori stanno subendo e che hanno portato ad una situazione di grave pressione e fame… Il movimento è stato boicottato da tutti i tg nazionali e da molti regionali, nessuno ne parlava. E quando hanno iniziato a parlarne strumentalizzavano le notizie in modo da far pensare ad una manipolazione di Forza Nuova e Mafia. Adesso io non so se all’origine ci sia stata questa manipolazione, quello che so e che ho visto che le richieste dei trasportatori sono sacrosante e vanno a richiedere quello statuto che potrebbe liberare dalla pressione fiscale e dal debito tutta la regione. Non ho visto bustarelle, non ho visto pressione ai commercianti che volevano aprire la propria attività, non ho visto bandiere o striscioni o ragazzi di forza nuova per tutto il periodo e la mia presenza nei punti strategici dei blocchi. Ma allora perchè boicottare in questa maniera la manifestazione? Io posso solo immaginare il perchè del volere di boicottare questa manifestazione, ma la censura mediatica ha più motivo di esistere nella seconda fase e nei giorni successivi del blocco… Questo perchè la massiccia presenza dei non autotrasportatori, e dei raggazzi che hanno partecipato ai blocchi era una massa a me anomala in quanto a consapevolezza. Mi sono davvero stupito del fatto che la maggior parte della gente era consapevole di dover protestare per l’attuazione dello statuto al fine di far uscire l’intera regione dalla morsa del debito pubblico e dalla pressione schiavista della BCE. E in che modo? Vi voglio dare alcune notizie su questo statuto… L’Autonomia speciale è quella particolare forma di governo della Regione che fu concessa il 15 maggio 1946 alla Sicilia da re Umberto II di Savoia, disciplinata da uno Statuto speciale (art. 116 della Costituzione Italiana), che la ha dotata di una ampia autonomia politica, legislativa, amministrativa e finanziaria.

Grazie allo Statuto autonomistico, la Regione Siciliana ha competenza esclusiva (cioè le leggi statali non hanno vigore nell’isola), su una serie di materie, tra cui beni culturali, agricoltura, pesca, enti locali, territorio, turismo, polizia forestale[1]. Ogni modifica allo Statuto, trattandosi di legge costituzionale, è sottoposta alla cosiddetta procedura aggravata, cioè a una doppia approvazione, a maggioranza qualificata, da parte delle Camere.

Per quanto riguarda la materia fiscale, la totalità delle imposte riscosse in Sicilia, ai sensi degli articoli 36 e seguenti del proprio Statuto (Legge Costituzionale n.2 del 26 febbraio 1948), è dotata di completa autonomia finanziaria e fiscale.

Ma che significa questa ultima frase? Per non annoiarvi troppo suggerisco di andarvi a leggere in toto lo statuto e per comprendere bene la sue funzioni sarebbe utile approfondire tramite le relazioni del prof. Massimo Costa docente universitario e costituzionalista dell’Università di Palermo. Adesso citerò, a mio parere, il punto principale che potrebbe cambiare quell’autonomia finanziaria che tanto ci preme. L’Articolo 41 cita testualmente: 41. Il Governo della Regione ha facoltà di emettere prestiti interni.

L’attuazione di questo statuto a cosa porterebbe? Vi aiuterò a capire meglio la questione sulle riflessioni, appunto del prof.Costa:

La Banca Centrale Regionale sarà totalmente pubblica, con un capitale diviso a metà tra la Regione e i Comuni, con diritto di voto proporzionale al numero degli abitanti ed al prodotto interno lordo, ed emetterà la totalità della moneta spettante alla Sicilia, sia metallica, sia cartacea, sia bancaria. Tutti i proventi dell’emissione monetaria, fissata nei limiti decisi dalle autorità monetarie italiane e, pertanto, ad oggi europee, sono attribuiti direttamente alla Regione, così come le eventuali eccedenze di riserve auree e valutarie. Una quota delle eventuali eccedenze potrà essere riservata ad emissioni monetarie di pregio con funzioni specifiche di riserva di valore, ad alto valore numismatico. La moneta bancaria è emessa integralmente dalla Banca Centrale e poi prestata, anche a interesse puramente simbolico, alle banche private (la riserva frazionaria è dunque posta pari al 100 %) o accreditata direttamente alla Regione, tolte le spese della Banca Centrale ed una congrua quota di accantonamento. Anche la moneta cartacea non è “prestata” alla Regione ma direttamente accreditata alla stessa come sopra.

La Banca Centrale Regionale emetterà, sotto forma di prestito interno infruttifero, anche una moneta complementare regionale avente valore legale solo per le transazioni interne all’isola, accreditando i relativi benefici al 50 % alla Regione ed al 50 % alle persone in condizione non lavorativa quale “reddito di cittadinanza” (minori, studenti universitari, casalinghe, disoccupati, pensionati).

Alla luce di queste analisi suggerirei vivamente a tutta la popolazione siciliana di unirsi alla protesta ai fini di pressare per l’attuazione dello statuto e smetterla di lamentarsi per la mancanza di benzina o alimenti.. In quanto, da qui a poco, questa mancanza potrebbe rivelarsi non indotta dalla protesta ma un reale pericolo che rifletterebbe la situazione Greca che si è venuta a creare all’interno del palcoscenico europeo.Piuttosto che chiedersi chi sta dietro alla protesta sarebbe molto più utile chiedersi dove cazzo sono gli altri movimenti e schieramenti politici regionali che non stanno accompagnando questa richiesta d’aiuto popolare con la soluzione in mano. E’ stato più volte detto che la protesta non vuole ne bandiere ne colori, ma vedere che la gente resta a casa perché non accompagnata dalla propria bandiera è assai più sconfortante e evince la totale mancanza di personalità e carattere di tutta la cittadinanza. Soprattutto alla luce dell’unione a gran voce di tante città italiane che stanno occupando i caselli di tutto il territorio nazionale… Siciliani sarebbe ora di svegliarsi o ORA O MAI PIU’!!

Santo YesMan

giovedì 19 gennaio 2012

Il tentato suicidio in psichiatria: fra decisionismo e garantismo

da Doppiamente


Una delle bestie nere degli psichiatri sono i cosiddetti TS: i tentati suicidi. L'infermiere del PS o il medico di turno nella maggior parte dei casi ti chiama e si esprime in maniera rituale: "c'è una (la maggioranza di casi sono donne) che si è impasticcata, sembrerebbe un atto dimostrativo, comunque..." Comunque sottintende che occorre una consulenza specialistica, non si può certo trascurare l'eventualità che sia una cosa seria e ad ogni modo come si suol dire se uno ha fatto un gesto dimostrativo c'è sicuramente dietro un disagio di cui occore farsi carico. Corri in PS. e mentre vai già ti ripassi mentalmente il protocollo con i suoi algoritmi. Lavanda gastrica, esami ematochimici, anamnesi accurata, colloquii coi familiari, se occorre consulenza internistica o neurologica ecc.:"se ne ha prese tante, va in Medicina ci mancherebbe, occore stabilizzare il quadro clinico, e poi lì da noi si sa un paziente critico è a rischio". Arrivi e trovi la ragazza o la donna matura disperata, in lacrime oppure con aria dimessa e contrita, raramente spavalda o rivedicativa, o il ragazzo giovane col telefonino in mano che cerca di rintracciare qualcuno, possibilmente l'amica delle ragazza che lo ha appena lasciato, diamine che si sappia in giro cosa ha fatto e perché. Qualche volta invece trovi volta la donna maltrattata col marito alcolista, altre volte il marito geloso convinto del tradimento della moglie o viceversa, o quello appena piantato in asso, e potrei continuare. Raramente, molto raramente ti trovi di fronte un TS con dietro una storia di fallimenti, depressione, psicosi, degrado e quant'altro, dove il tentativo letale è fallito per pura fatalità. A quel punto sei ad un bivio: l'immaginario assume le forme di aule di tribunali dove sei chiamato a rispondere sul perché non hai ricoverato un paziente o una paziente a rischio di suicidio o al contrario perché hai privato della libertà una persona che a conti fatti accettava le cure a domicilio e non presentava le "gravi alterazioni psichiche" necessarie per un TSO. Il mestiere dello psichiatra è questo: devi saper bilanciare le istanze garanttiste con quelle interventiste e custodialistiche e comunque agisci rischi sempre di avere torto.Ricoverare o no? Molti colleghi non ricoverano, ma fanno addirittura firmare ai pazienti il foglio di consulenza in cui lo stesso dichiara sotto la sua responsabilità di aver compiuto un gesto dimostrativo. Roba da matti, ma c'è da capirli. Altri non ci pensano due volte e ricoverano sottolineando il rischio di reiterazione del gesto. Il più delle volte ci si arrabatta con le parole: "la paziente si mostra critica nei confronti del gesto compiuto, che presenta tutti gli aspetti di un atto dimostrativo, anamnesi negativa per disturbi psichiatrici, esame psichicio negativo ecc ecc". Guai a nominare la parole suicidio, meglio succedanei o sinonimi fantasiosi: "tentativo autosoppressivo", "ingestione incongura di farmaci", "gesto autolesivo" ecc. Dopo il colloquio di rito con il paziente segue l'inevitabile il colloquio con i familiari, per sviscerare il problema ovviamente, ma anche per la segreta speranza di una collusione  con questi, in modo da potergli affidare la/il malcapitata/o senza essere costretti a rinchiuderla/o in gabbia inutilemente, e evitando al tempo stesso  il rischio di denunce. Quando non si può evitare il ricovero a causa di un'ingestione massiccia di farmaci e dell'instabilità del quadro clinico si tenta la carta del ricovero in  Medicina, meglio della psichiatria in fondo, con l'inevitabile corollario di comicità del collega che inviperito per una rogna in più da gestire, ti chiede di certificare che non ci sono rischi che il paziente si butti dalla finestra, "sai è già successo... "
Che dire, il tentato suicidio come la metti metti è un dramma, occorre solo cercare di non trasformarlo in una farsa. Magari qualche psichiatra e qualche psicologo in più non guasterebbe nei servizi pubblici, come pure delle linee guida più chiare e un miglior coordinamento con il PS.

La schiavitù del debito ha distrutto Roma e ci distruggerà se non ci poniamo fine

Debito e democrazia:si sono rotti i legami?

di Michael Hudson (da Tlaxcala)
traduzione di Curzio Bettio

cancellazione debito



Il Libro V della Politica di Aristotele descrive l’eterna transizione di oligarchie che si fanno aristocrazie ereditarie, che finiscono per essere rovesciate da tiranni, o sviluppano rivalità interne quando alcune famiglie decidono di “arruolare le moltitudini nel loro campo” e di introdurre la democrazia, all’interno della quale emerge ancora una volta una oligarchia, seguita da aristocrazia, e poi democrazia, e così via nel corso della storia.
Il debito è stata la principale dinamica che ha guidato questi cambiamenti, sempre con nuovi colpi di scena e trasformazioni.
Si polarizza la ricchezza, creandosi una classe di creditori, il cui governo oligarchico giunge alla fine quando nuovi leader (“tiranni” per Aristotele) ottengono l’appoggio popolare, cancellando i debiti e ridistribuendo i patrimoni, o trasferendo nelle casse dello Stato le rendite patrimoniali.
Fin dal Rinascimento, però, i banchieri hanno spostato il loro sostegno politico verso le democrazie. Questo non rifletteva convinzioni politiche egualitarie o liberali in quanto tali, ma piuttosto un desiderio di maggiore sicurezza per i loro prestiti. Come James Steuart ha spiegato nel 1767, l’indebitamento finanziario dei re rimaneva un affare privato, ​​piuttosto che un debito veramente pubblico [1]. Quando i debiti dei sovrani divennnero vincolanti per l’intera nazione, i rappresentanti eletti hanno dovuto imporre tasse per pagare le spese per interessi.
Dando ai contribuenti voce nel governo, le democrazie olandesi e britanniche hanno fornito ai creditori molte più assicurazioni di pagamento di quelle prodotte da re e principi, i cui debiti morivano con loro.
Ma le recenti proteste contro il debito alzatesi dall’Islanda alla Grecia e alla Spagna suggeriscono che i creditori stanno spostando il loro sostegno lontano dalle democrazie. Costoro stanno esigendo austerità di bilancio e fiscali, e perfino svendite per privatizzazioni.
Siamo in presenza di una trasformazione della finanza internazionale con nuove caratteristiche da stato di guerra. L’obiettivo della finanza è lo stesso delle conquiste militari del passato: appropriarsi di territori e risorse minerarie, quindi impadronirsi di infrastrutture-“beni comuni”, e riscuotere tributi. Di conseguenza, le democrazie stanno chiedendo attraverso referendum la possibilità di pagare i creditori con la dismissione del patrimonio pubblico e coll’aumento delle tasse, ingenerando così la disoccupazione, la diminuzione dei salari e la depressione economica.
L’alternativa è quella di svalutare i debiti o addirittura annullarli, e di riaffermare il controllo delle leggi sul settore finanziario.

I governanti del Vicino Oriente decidevano per decreto di fare tabula rasa dei debiti per preservare l’equilibrio economico
Far pagare gli interessi sugli anticipi di beni o di denaro non era in origine destinato a creare polarizzazioni nei sistemi economici.
All’inizio del terzo millennio a.C. il debito veniva regolato soprattutto da accordi contrattuali fra i templi e i palazzi (vale a dire da sacerdoti e regnanti) con i mercanti e gli imprenditori, che di solito lavoravano nell’ambito della burocrazia reale: si presupponeva che l’interesse al 20 per cento (che doppiava il capitale in cinque anni) si approssimasse ad una giusta proporzione sui rendimenti da traffici commerciali a lunga distanza, o da affitti di terra e di altre strutture pubbliche quali laboratori, navi e fabbriche di birra.
Quando questa procedura venne privatizzata mediante esattori reali di canoni di utenze e di affitti, la “divina regalità” pose sotto la sua protezione i debitori agrari.
Le leggi di Hammurabi (ca. 1750 a.C.) cancellavano i loro debiti in tempi di inondazioni o siccità. Tutti i governanti della dinastia babilonese iniziavano il loro primo anno di insediamento sul trono eliminando i debiti agrari e cancellando gli arretrati di pagamento, proclamando una sanatoria totale. Diritti sui servi, sui terreni o sui raccolti e altri impegni venivano restituiti ai debitori per “ristabilire l’ordine” in un ideale stato “originale” di equilibrio.
Questa pratica entrava in vigore nell’Anno Giubilare della Legge Mosaica, in Levitico 25.
La logica era abbastanza chiara. Le società antiche avevano bisogno di mettere in campo eserciti a difesa della propria terra, e questo richiedeva la liberazione dalla schiavitù dei cittadini indebitati. Le leggi di Hammurabi proteggevano i conduttori di carri da guerra e altri combattenti dall’essere ridotti in schiavitù per debiti, e impedivano ai creditori di prendersi i raccolti degli affittuari di terreni reali, pubblici e demaniali, che dovevano fornire manodopera e servizio militare al palazzo.
In Egitto, il faraone Bakenranef (c. 720-715 a.C., “Bocchoris” in greco) proclamò un’amnistia dei debiti e abolì la schiavitù per debito di fronte a una minaccia militare dall’Etiopia. Secondo Diodoro Siculo (I, 79, scrivendo nel 40-30 a.C.), il faraone aveva stabilito che se un debitore contestava il credito, il debito veniva annullato se il creditore non era in grado di sostenere le sue affermazioni con la produzione di un contratto scritto. (Sembra che i creditori siano sempre stati inclini ad esagerare i saldi dovuti). Il faraone motivava che “i corpi dei cittadini dovevano appartenere allo Stato, al fine che questo potesse avvalersi dei servizi che i cittadini gli dovevano, sia in tempo di guerra che di pace. Sarebbe assurdo per un soldato ... essere trascinato in prigione dal suo creditore per un prestito non pagato, e l’avidità di privati ​​cittadini avrebbe in questo modo messo a repentaglio la sicurezza di tutti.”
Il fatto che i principali creditori nel Vicino Oriente fossero il palazzo, i templi e i loro esattori rendeva politicamente semplice cancellare i debiti. È sempre facile annullare i debiti nei confronti di se stessi. Anche gli Imperatori romani bruciavano i registri fiscali per evitare le crisi.
Ma divenne molto più difficile cancellare i debiti dovuti a creditori privati, ​​quando la pratica di far pagare gli interessi si diffuse verso ovest, presso coloro che ricoprivano il rango di capo nel bacino del Mediterraneo intorno al 750 a.C.
Invece di consentire alle famiglie di colmare le differenze tra entrate ed uscite, il debito divenne la leva principale dell’espropriazione della terra, polarizzando le comunità tra oligarchie di creditori e clienti indebitati. In Giuda, il profeta Isaia (5, 8-9) lanciava l’anatema contro i creditori: “aggiungete casa a casa e unite campo a campo, finchè agli altri non verrà lasciato spazio, e vivrete da soli sulla terra.”
Il potere dei creditori e una crescita stabile raramente sono andati di concerto. La maggior parte dei debiti personali in questo periodo classico erano il prodotto di piccole somme di denaro prestate a individui che vivevano ai margini della sussistenza e che avevano poche possibilità di sbarcare il lunario. La confisca dei terreni e dei beni - e la privazione della libertà personale – costringevano i debitori ad una condizione di schiavitù, che diveniva irreversibile.
Dal VII secolo a.C., i “tiranni” (leader popolari) emersero per rovesciare le aristocrazie di Corinto e di altre ricche città della Grecia, ottenendo il sostegno con la cancellazione dei debiti.
In modo meno tirannico, Solone fondava la democrazia ateniese nel 594 a.C., mettendo al bando la schiavitù per debiti.
Ma le oligarchie riemersero e invocarono l’intervento di Roma, quando i re di Sparta Agide, Cleomene, e il loro successore Nabis cercarono di cancellare i debiti verso la fine del III secolo a.C. Vennero uccisi ed i loro sostenitori cacciati.
È stata una costante politica della storia fin dall’antichità, che gli interessi dei creditori si contrapponessero sia alla democrazia popolare che al potere dei re, quando costoro cercarono di limitare la conquista finanziaria della società - una conquista volta a sfruttare il pagamento dei crediti e degli interessi sul debito per incamerare la maggior parte possibile della rendita economica. Quando i fratelli Gracchi e i loro seguaci tentarono di riformare le leggi sul credito nel 133 a.C., la classe senatoria dominante reagì con violenza, uccidendoli e inaugurando un secolo di guerra sociale, risolte con l’ascesa di Augusto come imperatore nel 29 a.C.

L’oligarchia creditoria di Roma vince la Guerra sociale, rende schiave le popolazioni e da il via a secoli bui
Le faccende si fecero più sanguinose all’estero.
Aristotele non ha trattato della costituzione dell’Impero come parte del suo schema politico, ma la conquista straniera è sempre stata un fattore importante nell’imposizione di debiti, e i debiti di guerra sono stati la causa principale del debito pubblico nei tempi moderni.
Nell’antichità, è stata Roma ad imporre più ferocemente il debito, i creditori romani allungavano le mani ad affliggere l’Asia Minore, la provincia romana più prospera. Quando arrivavano i pubblicani, “cavalieri” esattori, lo stato di diritto veniva completamente cancellato.
Mitridate del Ponto ha guidato tre rivolte popolari, e le popolazioni locali della città di Efeso e di altre città si sollevarono, e si riporta che vennero uccisi 80.000 Romani nel 88 a.C.
L’esercito romano reagì, e nel 84 a.C. Silla impose un tributo di guerra di 20.000 talenti. Gli oneri per interessi retroattivi moltiplicarono la somma di sei volte, al 70 a.C.
Tra gli storici di riferimento di Roma, Livio, Plutarco e Diodoro hanno imputato la caduta della Repubblica all’intransigenza creditoria, che poi condusse alla secolare guerra sociale segnata da omicidi politici, dal 133 al 29 a.C.
Leader populisti cercarono di ottenere un seguito sostenendo la cancellazione dei debiti (ad esempio, la congiura di Catilina nel 63-62 a.C.). Vennero massacrati. Con il II secolo d.C., circa un quarto della popolazione era ridotta in schiavitù. Dal V secolo, l’economia di Roma collassava, spossessata di denaro. Una esistenza di sussistenza indusse la gente a ritornare alle campagne.

I creditori trovarono una ragione legalistica a sostegno della democrazia parlamentare
Quando i banchieri si risollevarono dopo il saccheggio di Bisanzio da parte dei Crociati (quarta crociata – 1204) e immisero l’argento e l’oro a modificare il commercio dell’Europa occidentale, l’opposizione cristiana all’imposizione di interessi bancari veniva superata dalla associazione di prestigiosi istituti di credito (i Cavalieri Templari e Ospitalieri avevano fornito credito durante le Crociate) con i loro clienti più importanti – i re , in primo luogo per fornire fondi alla Chiesa e sempre di più per fare la guerra.
Tuttavia, i debiti reali diventavano inesigibili quando i re morivano.
I Bardi e i Peruzzi finirono in bancarotta nel 1345, quando Edoardo III ripudiò i suoi debiti di guerra. Famiglie di banchieri persero capitali sui prestiti concessi ai despoti Asburgo e Borbone che sedevano sul trono di Spagna, Austria e Francia.
Le cose cambiarono con la democrazia olandese, quando gli Olandesi cercarono di conquistare ed assicurarsi la libertà dagli Asburgo di Spagna. Il fatto che il parlamento olandese potesse contrarre un debito pubblico consolidato per conto dello Stato abilitò i Paesi Bassi ad accendere prestiti per assumere al proprio servizio mercenari, in un’epoca in cui il denaro e il credito erano il nerbo della guerra.
Richard Ehrenberg nel suo libro “Capitale e Finanza nell’età del Rinascimento” (1928) ha scritto che l’accesso al credito “rappresentava dunque l’arma più potente nella lotta per la loro libertà”:
Chiunque forniva crediti a un principe sapeva che il rimborso del debito dipendeva solo dalla capacità e dalla volontà del debitore di pagare. Il caso era molto diverso per le città, che avevano potere quanto i nobili, ma anche per le corporazioni, per le associazioni di individui uniti da interessi comuni. Secondo una norma generalmente accettata, ogni singolo cittadino era responsabile per i debiti della città, sia con l’esposizione della sua persona che delle sue proprietà.” [2]
L’obbiettivo finanziario dei governi parlamentari era dunque quello di concedere crediti che non obbligassero personalmente solo il principe, ma che fossero veramente pubblici e vincolanti, indipendentemente da chi occupasse il trono.
È per questo che le prime due nazioni democratiche, i Paesi Bassi e la Gran Bretagna dopo la sua rivoluzione del 1688, svilupparono i più attivi mercati di capitali e procedettero nel cammino che le portò a diventare potenze militari dominanti.
È ironico che sia stata la necessità di finanziare la guerra a promuovere la democrazia, formando una trinità simbiotica tra il “fare la guerra”, il “credito” e la “democrazia parlamentare”, simbiosi che è durata fino ai nostri giorni.
A quel tempo “la posizione giuridica del Re in quanto debitore era poco chiara, ed era del tutto aleatorio se i suoi creditori avessero qualche possibilità di risarcimento in caso di default.” [3]
Più la Spagna, l’Austria e la Francia divennero dispotiche, maggiori difficoltà trovavano nel recepire finanziamenti per le loro avventure militari. Alla fine del XVIII secolo, l’Austria era stata lasciata “senza credito, e di conseguenza senza molti debiti”, era il paese meno degno di credito e peggio armato d’Europa, totalmente dipendente da sovvenzioni e dalle garanzie di prestito della Gran Bretagna nel corso delle guerre napoleoniche.

La finanza si conforma alla democrazia, ma poi preme per il sistema oligarchico
Mentre le riforme democratiche del XIX secolo riducevano il potere delle aristocrazie fondiarie di controllare i parlamenti, i banchieri si muovevano con flessibilità, per raggiungere un rapporto simbiotico con quasi ogni forma di governo.
In Francia, i seguaci di Saint-Simon (socialisti utopistici) promuovevano il concetto di “banca” come agente di fondi comuni di investimento, che concede credito in cambio di titoli azionari.
Lo Stato tedesco strinse un’alleanza con le grandi banche e l’industria pesante.
Marx descrisse ottimisticamente su come il socialismo avrebbe preparato una finanza produttiva piuttosto che parassitaria.
Negli Stati Uniti, la regolamentazione dei servizi pubblici è andata di pari passo con la garanzia di profitti sicuri.
In Cina, Sun-Yat-Sen [considerato il fondatore della Cina moderna e uno dei più importanti rivoluzionari cinesi, tra i primi a proporre il rovesciamento dell’Impero Cinese e a considerare il problema della democrazia, N.d.t.] ha scritto nel 1922:
Ho intenzione di portare tutte le industrie nazionali della Cina in un Grande Trust di proprietà del popolo cinese, anche finanziate con capitali internazionali a reciproco vantaggio”.[4]
La Prima guerra mondiale ha visto gli Stati Uniti sostituire la Gran Bretagna tra i principali paesi creditori, e alla fine della Seconda guerra mondiale gli USA avevano accantonato circa l’80 per cento dell’oro monetario del mondo.
I diplomatici usamericani determinarono le strutture del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, secondo direttive orientate al credito per finanziare gli scambi commerciali, procurando dipendenza economica soprattutto nei confronti degli Stati Uniti.
I prestiti per finanziare il commercio e i deficit nella bilancia dei pagamenti sono stati oggetto di “situazioni condizionali” che hanno spostato la pianificazione economica nelle mani di oligarchie clientelari e di dittatori militari.
Tuttavia, la risposta democratica ai piani di austerità adatti a spremere interessi sul debito non è stata in grado di andare al di là delle “proteste contro il FMI”, almeno fino a quando l’Argentina non ha rigettato i suoi debiti con l’estero.
Un simile austerità tutta a favore dei creditori viene ora imposta all’Europa dalla Banca Centrale Europea (BCE) e dall’apparato burocratico dell’Unione Europea.
I governi apparentemente socialdemocratici si sono mossi tutti nella direzione del salvataggio delle banche, piuttosto che verso il rilancio della crescita economica e dell’occupazione. Le perdite dovute a prestiti sbagliati e a speculazioni bancarie errate sono state addossate ai bilanci pubblici, mentre la spesa pubblica è stata ridimensionata, e si è arrivati persino a vendere le infrastrutture dello Stato.
La risposta dei contribuenti a cui sono stati accollati i debiti è stata quella di proteste popolari montanti, che hanno avuto il loro inizio in Islanda e in Lettonia nel gennaio 2009, e si sono diffuse quest’autunno in Grecia e in Spagna, per manifestare contro il rifiuto dei governi di tenere referendum su questi letali salvataggi dei detentori stranieri dei titoli di Stato.

La pianificazione trasferita dai rappresentanti pubblici eletti ai banchieri
Tutte le economie sono pianificate. Tradizionalmente questa è sempre stata la funzione dei governi. Abbandonare questo ruolo sull’onda dello slogan “mercati liberi!” pone la pianificazione economica sulle mani dei banchieri.
Tuttavia, la prerogativa della pianificazione della formazione e dell’allocazione del credito risulta ancora più centralizzata rispetto a quando questa prerogativa era di competenza dei funzionari pubblici eletti. E, a peggiorare le cose, l’arco di tempo delle attività finanziarie è a breve scadenza, “mordi e fuggi”, fattore che finisce per smontare la pianificazione.
Cercando il proprio tornaconto, le banche tendono a distruggere le strutture dell’economia. Il surplus finisce per essere divorato dagli interessi e da altri oneri finanziari, senza concedere entrate per nuovi investimenti di capitale o per la spesa sociale di base.
Questo è il motivo per cui cedere il controllo politico alla classe dei creditori raramente ha comportato una crescita economica e un aumento della qualità della vita.
La tendenza per cui il debito cresce più rapidamente della capacità della popolazione di ripagarlo è stata una costante fondamentale in tutta la storia documentata. I debiti crescono esponenzialmente, assorbendo l’avanzo di bilancio e riducendo la gran parte della popolazione nella costrizione ai lavori forzati per risarcire.
Per ristabilire l’equilibrio economico, l’antico grido di sfogo per la cancellazione dei debiti ha sempre invocato ciò che durante l’Età del Bronzo nel Vicino Oriente si otteneva per decreto reale: l’annullamento dei debiti cresciuti esponenzialmente.
In tempi più vicini al nostro, le democrazie hanno fatto valere il potere di uno Stato forte di tassare i profitti e i capitali dovuti alla rendita e, quando richiesto, di depennare i debiti.
Questo si può fare più facilmente quando è lo Stato stesso a creare moneta e credito. Si può fare meno facilmente quando le banche trasformano i loro profitti in potere politico. Quando si permette alle banche di auto-regolarsi, e di imporre veti sull’azione del governo, l’economia viene distorta per consentire ai creditori di abbandonarsi ai giochi d’azzardo della speculazione e a vere e proprie frodi, come quelle che hanno marcato l’ultimo decennio.
La caduta dell’Impero romano dimostra ciò che avviene quando le esigenze proterve dei creditori vanno fuori controllo. In queste condizioni, l’alternativa alla pianificazione e alla regolamentazione del settore finanziario da parte governativa tutta a favore del credito spiana la strada al servaggio per debiti.


Finanza contro governo; oligarchia contro democrazia
La democrazia comporta la subordinazione delle dinamiche del sistema finanziario al perseguimento dell’equilibrio e della crescita economica, e la tassazione dei profitti da rendita o il mantenimento dei monopoli dei servizi fondamentali nelle mani pubbliche.
Il non tassare o il privatizzare le rendite dei patrimoni le rende “libere” di venire impegnate nelle banche, per essere capitalizzate ancora più attraverso il prestito. Finanziata dalla speculazione sul debito, l’inflazione “asset-price” aumenta la ricchezza dei redditieri mentre indebita il sistema economico in generale. [L’inflazione “ asset-price” è un fenomeno economico che indica un aumento del valore degli asset, rispetto ai beni e servizi comuni. Asset tipici sono gli strumenti finanziari come titoli, azioni, e i loro derivati, beni patrimoniali e capitali.]
L’economia si contrae, precipitando a valore negativo.
Il settore finanziario ha conquistato un’influenza tale da utilizzare queste contingenze come un’opportunità per convincere i governi che l’economia collasserà se non “si salvano le banche”. In pratica questo significa consolidare il controllo delle banche sulla politica, e questo controllo viene esercitato in modo da polarizzare ulteriormente il sistema economico.
Il modello di riferimento è quanto è successo nell’antica Roma, nel passaggio dalla democrazia all’oligarchia. In realtà, dando priorità ai banchieri e lasciando che la pianificazione economica sia dettata dall’Unione Europea, dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale si concreta la minaccia di privare lo Stato-nazione del potere di coniare o stampare moneta e di riscuotere le tasse.
Il conflitto che ne risulta sta contrapponendo gli interessi della finanza contro l’autodeterminazione dello Stato nazionale. L’idea di una Banca centrale indipendente come “marchio distintivo di democrazia” è un eufemismo della rinunzia delle decisioni politiche più importanti - la capacità di creare moneta e credito – in favore del settore finanziario.
Invece di affidare le scelte politiche a referendum popolari, oggi la principale causa dell’aumento del debito nazionale deriva dal salvataggio delle banche organizzato dall’Unione Europea e dalla BCE.
I debiti bancari privati, addossati ai bilanci statali dell’ Irlanda e Grecia, sono stati trasformati in tassazioni imposte ai contribuenti. Lo stesso vale per il bilancio degli Stati Uniti a cui sono stati ascritti 13 trilioni di dollari dal settembre 2008 (compresi i 5,3 trilioni di mutui ipotecari tossici dei giganti statunitensi dei mutui ipotecari Fannie Mae e Freddie Mac ascritti al bilancio governativo, e i 2 trilioni di dollari di swap tossici della Federal Reserve).
Tutto ciò è stato dettato dai procuratori del mondo della finanza, definiti eufemisticamente tecnocrati. Designati dai lobbisti creditori, il loro ruolo effettivo è di calcolare quanta disoccupazione e depressione siano necessarie per spremere un attivo di bilancio per pagare i creditori di debiti, ora registrati sui libri contabili dello Stato.
Ciò che rende questo calcolo autolesionista è il fatto che la contrazione economica – deflazione per debiti - rende il gravame del debito ancora più non risarcibile.
Né le banche, né le autorità pubbliche (o, se è per questo, nemmeno accademici di chiara fama) hanno preso in considerazione l’effettiva capacità economica di pagare i debiti, ossia di pagare senza avere una strozzatura dell’economia.
Attraverso i loro mezzi di informazione e i loro centri-studi, hanno convinto le popolazioni che il modo per diventare ricchi più rapidamente fosse quello di prendere in prestito denaro per acquistare immobili, azioni, obbligazioni e titoli di Stato, quando questi aumentavano di prezzo – essendo stati gonfiati dal credito bancario - e di revocare la tassazione progressiva della ricchezza imposta nel secolo scorso.
Per definire la questione in modo diretto, il risultato è sfociato in un sistema economico ciarpame. Lo scopo è quello di invalidare i controlli e i contrappesi pubblici, spostando il potere di pianificazione nelle mani dell’alta finanza, con la convinzione che questo si dimostra più efficiente della regolamentazione pubblica.
La pianificazione e l’imposizione delle tasse da parte dei governi vengono accusate di tracciare “la strada verso la schiavitù”, come se i “liberi mercati” controllati da banchieri, ai quali vengono concessi margini di azione sconsiderata e sprezzante, non fossero impostati su interessi particolari tali da risultare oligarchici e non democratici.
Ai governi si ingiunge di pagare debiti di salvataggio assunti non per difendere i propri paesi in uno stato di guerra come nel passato, ma a beneficio degli strati più ricchi della popolazione che trasferiscono le proprie perdite sui contribuenti.
La mancata considerazione delle richieste degli elettori pone i debiti nazionali risultanti su un terreno instabile politicamente e anche legalmente. I debiti imposti per decreto da governi o da agenzie finanziarie straniere a fronte di una decisa opposizione popolare possono essere solo di dimensioni ridotte, come quelli degli Asburgo e di altri despoti in epoche passate. In mancanza di una convalida popolare, questi debiti possono decadere insieme al regime che li ha contratti.
I nuovi governi dovrebbero agire democraticamente per subordinare il settore bancario e quello finanziario a porsi al servizio dell’economia, e non in modo contrario.
Intanto, dovrebbero imporre il pagamento delle imposte con la reintroduzione della tassazione progressiva dei patrimoni e delle rendite, spostando il carico fiscale sui redditieri ricchi di proprietà. La ri-regolamentazione del settore bancario e lo stabilire un’opzione pubblica per il credito e i servizi bancari potrebbero rinnovare il programma democratico e sociale che sembrava ben avviato un secolo fa.
L’Islanda e l’Argentina sono gli esempi più recenti, ma possiamo guardare indietro alla moratoria sui debiti di guerra interalleati e le riparazioni della Germania nel 1931 (*).
Sussiste un principio fondamentale, tanto matematico, quanto politico: i debiti che non possono essere ripagati, non lo saranno.


[1] James Steuart, Principles of Political Oeconomy (1767), p. 353.
[2] Richard Ehrenberg, Capital and Finance in the Age of the Renaissance (1928):44f., 33.
[3] Charles Wilson, England’s Apprenticeship: 1603-1763 (London: 1965):89.
[4] Sun Yat-Sen, The International Development of China (1922):231ff.






(*) I debiti interalleati e le riparazioni di guerra: Al termine della Prima guerra mondiale quasi tutti i paesi erano indebitati e molti di essi erano allo stesso tempo debitori e creditori. Gli Stati Uniti erano diventati il principale paese creditore, ma anche la Gran Bretagna vantava grossi crediti. Il debitore principale era la Francia, seguita dall’Italia e dal Belgio.
I paesi europei consideravano i debiti come una parte dello sforzo congiunto degli Alleati per vincere la guerra e suggerirono dapprima di annullarli e, poi, di ridefinirli o di collegarli al pagamento delle riparazioni dovute dai Tedeschi.
Gli Stati Uniti, invece, ritenevano i debiti solo una conseguenza della fornitura di beni e servizi e pretesero che fossero interamente onorati. Ma, con il tempo, si accorsero che ciò era impossibile, a causa dell’enormità del credito e furono obbligati a stipulare accordi con i paesi debitori.
Più complessa fu la questione del pagamento delle indennità di guerra, dovute quasi tutte dalla Germania, che si dissero “riparazioni” per sottolineare che si trattava di un risarcimento versato dai Tedeschi perché ritenuti responsabili della guerra. Il pagamento delle riparazioni contribuì ad accelerare l’inflazione tedesca e a far precipitare il valore del marco.
Ben presto la Germania non fu più in grado di far fronte ai propri impegni, ma gli Alleati non vollero concedere una moratoria. Ciò indusse a riesaminare la questione delle riparazioni. e nel 1924 la Commissione per le riparazioni approvò il cosiddetto “piano Dawes” (da Charles C. Dawes), che sostanzialmente riduceva l’ammontare delle annualità dovute dalla Germania, senza ritoccare il debito globale.
Dopo di allora i pagamenti furono regolari per alcuni anni, ma il meccanismo s’inceppò nella prima metà del 1929, quando i prestiti statunitensi furono drasticamente ridotti, cosa che indusse molte banche estere a ritirare i crediti a breve scadenza accordati ad imprese tedesche.
Un comitato diretto dall’uomo d’affari statunitense Owen D. Young preparò un nuovo piano, che prevedeva sia una riduzione del debito complessivo, sia un ridimensionamento delle annualità da pagare. Il “piano Young” ebbe breve vita, poiché era ormai iniziata la grande crisi.
Nel giugno del 1931 il presidente statunitense Herbert Hoover propose una moratoria dei debiti tedeschi, che in sostanza mise fine al pagamento delle riparazioni e dei debiti interalleati. [N. d. t.]

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