mercoledì 29 giugno 2016

Euro: l'uscita è a sinistra: left-exit, Lexit

 di Sergio Casarotto da Politica&Economia
 
Per la democrazia e la sovranità popolare, contro l’integrazione neoliberista e un’unione monetaria fallimentare
 
Questo documento è frutto del contributo collettivo dai partecipanti al Network Lexit. È stato redatto e approvato prima del referendum sulla Brexit e senza alcuna intenzione di influenzare il voto popolare in un senso o nell’altro.
Con l’attuazione del mercato unico europeo e del Trattato di Maastricht, l’integrazione europea si è affermata come progetto di ristrutturazione a lungo termine dell’economia europea in senso neoliberista. Il Patto di Stabilità e Crescita, l’affermazione delle “libertà fondamentali” del mercato unico e l’Unione monetaria europea, rappresentano l’impalcatura istituzionale che ha alimentato le politiche di austerità, lo smantellamento dei diritti dei lavoratori e dello stato sociale e le politiche di privatizzazione in tutti gli stati membri dell’UE.

Contrariamente alla tesi che vuole l’UE come un campo di gioco neutrale, gli eventi successivi alla Grande Recessione del 2007/9 hanno evidenziato come l’attuale progetto di integrazione europea sia segnato dalla natura regressiva dei trattati che lo definiscono e da una radicalizzazione senza precedenti del suo carattere neoliberista. Rapporti asimmetrici e relazioni gerarchiche di potere (centro-periferia) caratterizzano da lungo tempo l’integrazione europea, ma hanno raggiunto il loro culmine con il dominio tedesco sugli orientamenti di politica economica negli anni successivi alla Grande Recessione. Gli sviluppi normativi che hanno accompagnato la creazione dell’eurozona e le misure prese in risposta alla crisi dell’euro, con l’imposizione di vincoli sempre più stringenti e di regole e strumenti di governance con sempre minore legittimazione (Patto EuroPlus, Fiscal Compact ecc.) hanno accentuato il carattere autoritario e neoliberista di tale progetto di integrazione, che è diventato una vera minaccia alla democrazia e alla sovranità popolare.
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L’euro – Una valuta alla radice della crisi

La crisi dell’euro è il prodotto di un errore di concezione e un difetto di costruzione dell’Unione Monetaria Europea (UME), che ha avuto fin dall’inizio quali obiettivi prioritari l’austerità e il contenimento dell’inflazione. Per gli stati membri dell’eurozona, lungi dal condurre ad un processo di convergenza economica e sociale, la prospettiva di uno “sviluppo economico reale” (in termini di salari, produttività ecc.) si è progressivamente allontanata. L’Emu ha finito per alimentare pesanti squilibri macroeconomici (crescenti deficit delle partite correnti non solo nell’Europa meridionale più periferica, ma anche in Francia e in Italia, cui hanno corrisposto crescenti surplus in Germania e in altri paesi) e ha condotto, in una prima fase, a ingenti flussi di capitali dal centro alla periferia dell’eurozona. La disponibilità di credito a buon mercato ha alimentato bolle speculative immobiliari e finanziarie, determinando un aumento consistente del debito privato e, in alcuni casi, di quello pubblico.
Un’importante determinante di tali squilibri è stata la politica di contenimento del costo del lavoro in Germania, realizzata attraverso la riorganizzazione della filiera produttiva dell’export tedesco, con l’utilizzo di lavoro a buon mercato dell’Europa orientale, con politiche di dumping salariale e fiscale e con tagli alla spesa sociale.
La conseguenza di tutto questo è stata una forte pressione sulle economie più deboli perché aumentassero la “competitività internazionale” dei rispettivi settori produttivi nell’industria e nei servizi. Dal momento che nel quadro dell’UME non era possibile farlo attraverso un riallineamento delle valute, l’unica strada era quella della svalutazione interna. In termini pratici, voleva dire smantellamento dello stato sociale, privatizzazione dei servizi e delle infrastrutture pubbliche, riduzione dei salari e della spesa sociale, concorrenza fiscale, attacco alla contrattazione collettiva, riduzione del peso dei sindacati e demonizzazione, o in alcuni casi licenziamento, dei dipendenti pubblici.

L’euro – Uno strumento a vantaggio del capitale finanziario

È importante sottolineare che nessuna di queste cose è accaduta a causa di difetti di costruzione imprevedibili: dal punto di vista di chi ha concepito tale costruzione in un’ottica neoliberista, l’euro ha funzionato bene. Non ha funzionato rispetto agli obiettivi di equilibrio economico tra gli stati membri, di crescita economica e di piena occupazione, ma è stato molto efficace nel distruggere i diritti del lavoro, il sistema di sicurezza sociale, il settore pubblico, la tassazione dei profitti e nell’imporre il salvataggio delle banche con I soldi pubblici.
Questo è il modo in cui l’euro funziona dal punto di vista politico: costringe chi lo adotta ad una concorrenza al ribasso, per la quale la posizione economica di ciascuno stato membro può migliorare soltanto adottando politiche che vanno contro l’interesse della maggioranza della popolazione e a beneficio del capitale internazionale. Crea una spirale di progressiva riduzione delle retribuzioni, delle pensioni, delle prestazioni sociali, dell’impiego pubblico, degli investimenti pubblici.
Come dimostrato chiaramente da quanto è accaduto in Grecia nell’estate 2015, la struttura di governo dell’eurozona non mostra alcuna apertura verso politiche che seguono il volere espresso democraticamente da una maggioranza di cittadini quando queste sono in contrasto con l’agenda neoliberista. Quando il governo guidato da Syriza ha provato a realizzare il suo programma – e persino dopo il mandato ricevuto con l’Oxi del referendum – la BCE ha usato le sue armi finanziarie per costringere il governo a capitolare e firmare il memorandum.

L’euro – Un progetto sbagliato che non è possibile correggere

Come è stato dimostrato ormai da un numero elevato di studiosi, l’eurozona non ha i requisiti per essere un’area monetaria funzionante, né possiamo aspettarci che li possa avere in futuro. Per funzionare, un’area monetaria come l’eurozona, con livelli di produttività e strutture economiche così diverse, necessiterebbe tra le altre cose di ingenti trasferimenti finanziari in grado di compensare gli squilibri economici. Stime attendibili mostrano che occorrerebbe redistribuire qualcosa come il 10% del Pil dalle economie più forti a quelle più deboli. Una passo del genere non solo non è realizzabile politicamente, è anche indesiderabile: come dimostrano tutti i precedenti nella stessa eurozona, i governi dei paesi finanziatori userebbero la loro posizione per influenzare le politiche nazionali nei paesi percettori dei finanziamenti, calpestando la democrazia. Negli anni più recenti abbiamo visto con quale rapidità un tale sistema possa minare la sovranità popolare, dividere I popoli europei e alimentare la xenofobia.
In definitiva, l’opzione di uno stato europeo democratico e federale che non rifletta le attuali disparità di potere tra gli stati membri richiederebbe una società civile europea che al momento non c’è, e che non può certo essere creata dall’alto.
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Lexit – La strada per combattere efficacemente il neoliberismo e sostenere la democrazia

Sullo sfondo dell’allarmante perdita di diritti democratici, dello smantellamento dello stato sociale e della privatizzazione dei beni comuni, le forze di emancipazione presenti in Europa devono proporre un’alternativa praticabile e credibile, basata sull’esercizio della sovranità popolare, al corrente progetto autoritario di integrazione neoliberista. È per questo che occorre avanzare la proposta di una Lexit (left exit, uscita da sinistra) come strumento di rivendicazione democratica.
L’allarmante crescita delle forze di estrema destra nella maggior parte dei paesi dell’eurozona si spiega anche con la loro posizione contraria all’UE e al sistema di governo dell’euro. Le loro proposte politiche sono tuttavia fuorvianti: le forze anti-euro di destra, per esempio, lottano per maggiori controlli sull’immigrazione mentre non fanno alcun cenno alla mobilità incontrollata dei capitali da e verso quei paesi che perseguono politiche di compressione dei salari. Per queste forze sarebbe sufficiente fermare la libera circolazione delle persone in Europa e abbandonare l’euro, lasciando che le valute siano determinate dal libero operare dei mercati e dei movimenti speculativi: possiamo parlare a questo riguardo di “neoliberismo xenofobo”.
Se vogliamo evitare un tale scenario, abbiamo bisogno di una Lexit: un’alternativa internazionalista basata sulla sovranità popolare, sulla fraternità, sui diritti sociali e sulla difesa delle condizioni dei lavoratori e dei beni comuni.
L’insostenibilità dell’eurozona è un fatto oggettivo. Presto o tardi, si porrà una scelta tra alternative vie d’uscita dall’euro, verso destra o verso sinistra, con effetti molto diversi dal punto di vista sociale. Diciamo esplicitamente che l’obiettivo della Lexit è quello di sviluppare strategie di emancipazione di sinistra per superare l’euro e contrastare l’integrazione neoliberista. La discussione è già iniziata e ci sono diverse proposte sul tavolo: invitiamo tutti coloro che condividono l’idea della Lexit a unirsi a questa discussione e alla nostra iniziativa.

Primi firmatari

  • Tariq Ali, author and filmmaker, UK
  • Jorge Amar, Asociación por el pleno empleo y la estabilidad de precios, Spain
  • Prof. em. Yangos Andreadis, Pantheion University, Greece
  • Cristina Asensi, Democracia Real Ya and Money Sovereignty Commission, Spain
  • Prof. Einar Braathen, Oslo and Akershus University College, Norway
  • Prof. Lucio Baccaro, Université de Genève, Switzerland
  • Gina Barstad, No to the EU and Socialist Left Party, Norway
  • Luís Bernardo, Researcher, Portugal
  • Simon Brezan, 4th Group of United Left, Slovenia
  • Prof. Sergio Cesaratto, University of Siena, Italy
  • Prof. Massimo D’Antoni, University of Siena, Italy
  • Alfredo D’Attorre, MP Sinistra Italiana, Italy
  • Fabio De Masi, MEP GUE/NGL, Germany
  • Klaus Dräger, former staff of the GUE/NGL group in the EP, Germany
  • Stefano Fassina, former Vice-Minister of Finance, MP Sinistra Italiana, Italy
  • Prof. Scott Ferguson, University of South Florida, United States
  • Prof. Heiner Flassbeck, Hamburg University and Makroskop, Germany
  • Kenneth Haar, Corporate Europe Observatory, Denmark
  • Idar Helle, De Facto, Norway
  • Inge Höger, MP Die Linke, Germany
  • Prof. Martin Höpner, Max Planck Institute for the Study of Societies, Germany
  • Dr. Raoul Marc Jennar, Political scientist and author, France
  • Dr. Lydia Krüger, Scientific Council of Attac, Germany
  • Kris Kunst, Economy for the people, Germany
  • Wilhelm Langthaler, Euroexit, Austria
  • Prof. Costas Lapavitsas, SOAS University of London, UK
  • Frédéric Lordon, CNRS, France
  • Stuart Medina, Asociación por el pleno empleo y la estabilidad de precios, Spain
  • Prof. William Mitchell, Director of Centre of Full Employment and Equity, University of Newcastle, Australia
  • Joakim Møllersen, Attac and Radikal Portal, Norway
  • Pedro Montes, Socialismo 21, Spain
  • Prof. Andreas Nölke, Goethe University, Germany
  • Albert F. Reiterer, Euroexit, Austria
  • Dr. Paul Steinhardt, Makroskop, Germany
  • Steffen Stierle, Attac and Eurexit, Germany
  • Jose Sánchez, APEEP, Anti-TTIP Campaign, Attac, Spain
  • Gunnar Skuli Armannsson, Attac, Iceland
  • Petter Slaatrem Titland, Attac, Norway
  • Dr. Andy Storey, University College Dublin, Ireland
  • Prof. Wolfgang Streeck, Max Planck Institute for the Study of Societies, Germany
  • Diosdano Toledano, Plataforma por la salida del euro, Spain
  • Christophe Ventura, Memoire des luttes, France
  • Peter Wahl, Weed e.V., Scientific Council of Attac, Germany
  • Erik Wesselius, Corporate Europe Observatory, Netherlands
  • Prof. Gennaro Zezza, Università di Cassino e del Lazio Meridionale, Italy

martedì 28 giugno 2016

Perché è necessario un populismo di sinistra

di Gianpasquale Santomassimo da Il Manifesto


Quando una grande Utopia mostra le prime crepe profonde, quando sembra avvicinarsi il suo crollo, quando le sue promesse sembrano ormai evaporate lasciando presagire solo un futuro di miseria e di rancori, è comprensibile che chi aveva creduto in essa tenda a negare la realtà. Come è ricorrente il richiamo alle idee originarie, fondative, che riesumate e attualizzate potrebbero invertire la tendenza. Solo a distanza di tempo e a mente fredda potrà maturare la necessaria riflessione sull’essenza stessa di quella idea iniziale, su quanto in essa accanto a nobili visioni fossero presenti anche un eccesso di semplificazione, un difetto di analisi realistiche, e un tasso preoccupante di generoso pressappochismo.
E’ accaduto per altre grandi Utopie novecentesche, sta accadendo ora per l’ideale europeistico, che è stato il più grande investimento delle classi dirigenti del continente in un arco ormai lunghissimo di anni. Era stato fin dall’inizio un matrimonio di interessi, ma si volle che sbocciasse anche l’amore tra i sudditi, e si organizzò la più massiccia opera di indottrinamento mai perseguita dalle élites, dalla culla alla bara, come si conviene a ogni idea totalitaria: dai mielosi temi per gli alunni delle elementari al martellamento quotidiano di politici, giornalisti, mezzi di comunicazione di massa.
Nell’arco della sua storia l’ideale europeistico ha conseguito risultati importantissimi, che non andranno lasciati cadere nel progressivo disfacimento dell’Unione: si pensi solo all’armonizzazione dei principi giuridici, all’abolizione della pena di morte che continua imperterrita a restare in vigore in molti Stati degli Usa; si pensi alle grandi conquiste sul terreno dei diritti civili e individuali, che hanno rappresentato del resto la frontiera pressoché unica della sinistra occidentale.
Ma da Maastricht in poi il potere delle élites europee ha proceduto con spietata determinazione a smantellare le fondamenta dello Stato Sociale europeo, vale a dire la creazione più alta che i popoli europei avevano conseguito nella seconda metà del Novecento, distruggendo quindi quello che era ormai l’elemento caratterizzante della stessa civiltà europea. Gruppi di potere che non sarebbero mai stati in grado di conquistare egemonia per via democratica hanno usato spregiudicatamente il «vincolo esterno» per conseguire quei risultati che i rapporti di forza in passato negavano. Il caso italiano è esemplare da questo punto di vista.
L’acquiescenza della sinistra a questo disegno, la sua rinuncia ad opporsi, e in molti casi la sua partecipazione attiva al processo di «normalizzazione» liberista, ha fatto sì che la bandiera della rivolta contro l’establishment sia stata quasi dappertutto brandita dalle destre, che hanno imposto come ossessione dominante il tema, da ogni punto di vista secondario in termini realistici, delle politiche di immigrazione, col rigurgito di xenofobia e nazionalismo risorgente. Sono populismi, si dirà con quella punta di disprezzo delle «folle» che ormai caratterizza il linguaggio delle sinistre come delle élites. Ma in realtà avremmo bisogno di un serio populismo di sinistra, capace di parlare alle masse e di opporsi alle politiche dell’establishment.
Credo che sia illusorio e autolesionistico, per tutti, rilanciare a questo punto le nobili idee originarie, alzare la posta proponendo Stati Uniti d’Europa che non verranno mai e che – a parte piccole cerchie di adepti – nessuno seriamente vuole. Ogni volta che un politico di sinistra dice: “Più Europa”, un uomo del popolo vota Salvini o Le Pen. E ormai la mitica Generazione Erasmus è sommersa dalla Generazione Voucher, che sperimenta sulla sua pelle l’incubo della precarietà in cui si è convertito il «sogno» europeo.
Nell’immane campionario di frasi fatte che costituisce il nerbo dell’ideologia europeistica, accanto all’affermazione ipocrita sull’Europa che avrebbe impedito 70 anni di guerre (la guerra alla Serbia è stata fatta probabilmente dagli esquimesi), spicca anche l’asserito superamento degli Stati-nazione. Si tratta con ogni evidenza di una illusione ottica, perché gli stati nazionali esistenti (e quelli che si aggiungeranno, a partire dalla Scozia per finire probabilmente con la Catalogna) sono l’unica realtà in campo, e ciò che chiamiamo Europa è il risultato della mediazione di interessi ed esigenze tra essi, con una evidente penalizzazione degli stati dell’Europa mediterranea dovuta ai rapporti di forza instaurati dopo Maastricht. In attesa di fantomatici «movimenti europei» la dimensione nazionale è del resto l’unica che può opporsi ai diktat economici delle élites, come dimostrano le piazze francesi in rivolta contro la loi travail che anche noi avremmo dovuto avere un anno fa, se disponessimo ancora di sindacati liberi e combattivi.
È del tutto falso e propagandistico affermare che un recupero di sovranità, assolutamente necessario, porti a nazionalismi sfrenati o addirittura a guerre. Come italiani non dovremmo certo proporci di tornare a Crispi e Mussolini, ma dovremmo guardare piuttosto a Enrico Mattei.
Ciò che resta della sinistra europea dovrebbe affrontare con realismo e con umiltà il trauma del dopo-Brexit, in nessun caso confondendo le sue ragioni con quelle dell’establishment dominante, e tentando con ogni mezzo di imporre una politica diversa, di sviluppo e di sostegno al lavoro, senza accontentarsi di strappare decimali di «austerità compassionevole» che potranno a questo punto venire concessi.
Si tratta di verificare, e per l’ultima volta, se esistono margini di riformabilità di questa Unione Europea, blindata da trattati che sembrano escludere ripensamenti o inversioni di rotta. Se questo non sarà possibile, e la disgregazione procederà tra stagnazione e conflitti, gioverà ricordare che il mondo è molto più grande e più vario rispetto alla prospettiva che si può osservare da Strasburgo e da Bruxelles.

lunedì 27 giugno 2016

Ma la Brexit è stata una sconfitta o una vittoria?

dal Blog di Aldo Giannuli 

Uno delle poche analisi condivisibili e ragionevoli sulla brexit. 
Il sentimento che prevale in questo momento è il panico, che a volte si trasforma in un delirio elitista. Molti (ggiovani e meno giovani), hanno avuto l'illuminazione: la democrazia non funziona se gli altri non la pensano come me. Grandioso. 
I compagni altrieuropeisti ( non tutti per fortuna) poi sono i più patetici: adesso secondo questi dovremmo finalmente aver capito che queste stramberie tipo uscire dall'euro sono cose pericolose e si scervellano, loro gli esperti della soluzione 4% ( il massimo raggiunto alle elezioni) per capire come mai Podemos in Spagna è andato male. Di constatare l'ovvio, è cioè che se c'è una lezione da imparare è che questa Europa come giustamente dice Giannuli non è riformabile, perchè è bastato che gli inglesi si pronunciassero per l'uscita dall'Europa che si è scatenato un terremoto, non tanto per la perdita di un mebro di peso, quanto per il rischio serio che i fondamenti di questa Europa, e cioè l'austerità e il liberismo fossero messi in discussione. Media, politici e istituzioni  si sono prodigate a diffondere il panico e a far credere a tutti che sia meglio accettare di vivere costretti in una gabbia piuttosto che affrontare un'irragionevole libertà. Il fatto che ogni ganglio vitale e ogni più piccola fibra della UE sono impegnati a realizzare la missione di un Europa in cui lavoro, costo del lavoro e stato sociale devono essere abbattuti senza pietà, non ha importanza, ci sarà un piano b, come se, per analogia, ci potesse essere un piano b in grado di trasformare una banca in un'opera pia. Ancora si antepone l'immagine idealizzata dell'Europa a quella reale, ancora ci si rifiuta perlomeno di leggersi wikipedia per capire che la moneta unica è una fregatura, perchè se c'è uno che ci guadagna dieci ci rimettono. Ormai ci vorrebbe un miracolo.
Il terremoto è in pieno corso e sui giornali si leggono deliri uno peggiore dell’altro. Il più diffuso è quello che “legge” il risultato come una lotta fra vecchi egoisti e giovani, incuranti del fatto (notato dal solo Enrico Letta) che i giovani hanno votato solo nel 36% del totale, mentre gli anziani hanno votato nell’83%.
Quindi, considerato che secondo gli stessi “raffinati” analisti che parlano di massiccio voto giovanile per la Ue, c’è pur sempre un 25% di essi che ha votato per la Brexit, questo significa che, sul totale dei giovani inglesi, i due terzi si sono chiamati fuori, il 36% ha votato contro la Brexit ed il 9% a favore. Praticamente i favorevoli sono poco più di un po’ di fighetti in Erasmus e simili: niente di politicamente significativo.
Seconda bufala propalata dai giornali (solo quelli italiani, però, visto che quelli inglesi ignorano il fatto così come la maggior parte di quelli del resto d’Europa): 2 milioni di firme per un secondo referendum sullo stesso tema. Insomma, il girone di ritorno. Solo che:
1.    si tratta di firme on line non certificate da nessuno e di persone che dichiarano di essere cittadini inglesi ma che nessuno può garantire siano tali (io sono molto perplesso dal metodo M5s delle consultazioni on line, ma a quelle, almeno,  partecipano persone certificate!). Segnalo che ben 4.000 firme provengono dalla Città del Vaticano, dove ci sono solo meno di 1.000 abitanti, e che diversi giornalisti dichiarano di aver votato sotto falso nome e per molte volte.
2.    politicamente la cosa è piuttosto difficile: il Parlamento è a maggioranza conservatrice e, dopo questa scoppola, non immagino i conservatori che votano per un secondo referendum che li vedrebbe spaccati una volta di più
3.    non so se i partner dell’Unione accetterebbero di restare in fibrillazione per altri mesi per poi rischiare un nuovo shock finanziario in caso di Ri-Brexit
4.    la cosa si incrocerebbe con le tendenze centrifughe del Regno Unito: per ora dobbiamo vedere se parte una seconda richiesta di separazione della Scozia (e magari dell’Ulster) che necessariamente dovrebbe precedere il referendum sulla Ue, perché non è immaginabile che partecipi al voto chi sta per uscire dall’Uk; ma, in questo caso, il remain sarebbe ancora più debole. Ma se si decidesse per il secondo referendum e questo vincesse, potrebbe partire  la richiesta di separazione dell’England. Insomma peggio la toppa del buco.
Poi non ne parliamo delle cose incredibili scritte a proposito di operai pentiti (“cosa abbiamo fatto?!”), apologie dell’Unione ed  inni alla gioventù. Il primato credo spetti a Mario Calabresi, neo direttore di Repubblica che scrive:
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E via di questo passo. Se il direttore di un grande giornale (che è persona intelligente) scrive cose di questa rozzezza vuol dire che ha perso la brocca. Ma capisco: il colpo è stato troppo forte e la fibra dell’uomo troppo debole.
E’ interessante che nessuna delle grandi testate sia giornalistiche che televisive  stia cercando di capire quale è stato il cammino storico che ha portato a questo esito. Non uno ha ricordato i referendum del 2005 (Francia, Olanda) che affossarono quel mostro di trattato istitutivo dell’Unione. La classe politica reagì con il trattato di Lisbona, prudenzialmente non sottoposto a nessun referendum. E questo la dice lunga su come la classe politica europea abbia ignorato quel segnale del 2005. Esso non fu capito per niente e ciò ha posto le premesse del risultato odierno. Insomma vorrà dire qualcosa che ogni qual volta i popoli europei siano stati consultati su questo processo di unità, il risultato sia stato sempre negativo.
Ora sembra che tutto si riduca alla momentanea crisi senile di tanti inglesi. Signori, ma studiare un po’ di storia  no? Ma non vi siete accorti che la Ue è già morta da diversi anni? Questo è solo il certificato di morte. Poi possiamo decidere di tenere la salma intubata, ma al massimo si guadagnano un po’ di mesi e poco più.
Il giudizio politico sul referendum inglese deve partire di qui e da un chiarimento: la Ue non si identifica con l’idea di Europa unita, quasi che ci sia un solo modo per farla. La Ue è solo uno dei progetti possibili: quello elitario, tecnocratico, bancocentrico ed antipopolare. E la conferma viene da vecchi arnesi di regime come Monti e Napolitano, per i quali il popolo non deve mettere becco in certe materie riservate ai grandi sacerdoti della finanza e della casta politica. Il popolo capra si limiti a scegliere il suo pastore quinquennale, che è già una concessione eccessiva.
E dunque, la sconfitta della Ue, in una ottica democratica è un fatto solo positivo. Certo, questo ha dei prezzi: speculazioni finanziarie, accordi che saltano e diritti rimessi in discussione, pressione vetero nazionalistica e così via, ma avete mai visto una crisi storica che non abbia prezzi? Se l’Europa dei popoli non deve essere solo un innocuo slogan, occorre spazzare via questa Europa. L’errore (e mi pare ci sia cascato anche Grillo) è pensare che l’Europa dei popoli si faccia modificando un pezzo alla volta questo mostro tecnocratico. Non è così: la Ue non è riformabile perché la cupola di burocrati, banchieri, finanzieri vari, classi politiche nazionali che la dirigono non lo permetteranno mai e le norme stabilite dai trattati non danno possibilità di aggirarli. Perché bisognerebbe prima cambiare la Germania che ne è l’arcigna custode. Perché il sistema dei media asserviti alla cupola fa opera di disinformazione quotidiana. Come si diceva una volta: la Ue si abbatte e non si cambia.
D’altra parte, a spazzarla via stanno pensando la crisi economica, l’inettitudine di un  ceto politico di bestie, il montare della protesta… Questo, cari amici “europeisti” è un capitolo già chiuso.

domenica 26 giugno 2016

La UE, il referendum da rifare e i fascisti.

di Giorgio Cremaschi 
 
È VERO CHE CONTRO LA UNIONE EUROPEA CI SONO ANCHE FORZE FASCISTE, MA È ALTRETTANTO VERO CHE IL POTERE UE MINACCIA E NEGA LA DEMOCRAZIA
Immaginatevi cosa sarebbe successo se in Gran Bretagna avesse vinto il SI alla UE e quelli del NO avessero chiesto di rivotare, magari affermando come gli ultimi giorni della campagna fossero falsati dal clima creatosi dopo l'assassinio terrorista di Cox. Sarebbe venuto giù lo scandalo, non sapete perdere, siete antidemocratici sarebbero state le accuse più gentili che avrebbero percorso i massmedia. Invece il SI alla UE ha perso e dunque bisogna rivotare. La campagna della paura organizzata dai poteri economici sconfitti sulla Brexit, dichiara il suo primo obiettivo: riportare gli incauti britannici alle urne e fargli cambiare idea a suon di minacce.
Non è una novità. Anche con i greci la Unione Europea ha fatto lo stesso. Lì non hanno avuto bisogno di organizzare false raccolte di firme, i sondaggi falsi invece li avevano fatti, perché il governo stesso di quel paese ha deciso di non rispettare il voto del suo popolo. Cameron invece pare intenzionato a rispettarlo, anche se a questo punto non ne sarei così sicuro. In ogni caso gli sconfitti dal voto han lanciato la campagna del rivoto: non vale che abbiamo perso, si rigioca. La stampa di regime, cioè praticamente tutta qui da noi, esalta due milioni firme raccolte in due giorni. Ma si rendono conto che è una balla grande come gli Exit Poll? Secondo me lo sanno benissimo che in così poco tempo è materialmente impossibile raccogliere tante firme autentiche, sulla precisa e uniforme richiesta di rifare il referendum. Ma l'ordine di scuderia è quello, si deve sostenere che il pronunciamento contro l'Unione è una follia momentanea, colpa dei migranti e non della UE dicono fogli progressisti, si deve far rivotare il popolo una volta che sia rinsavito.
Insomma il voto contro la UE non è ammesso e se per caso scappa non vale. Il ministro delle finanze tedesco Schauble un anno fa rivolto alla Grecia lo aveva detto: è inutile che i popoli votino, le regole europee non cambiano. Dunque in un eventuale prossimo referendum in Gran Bretagna o in qualsiai altro paese europeo sarà chiarito che vale solo il SI alla Unione e che chi per pazzia mettesse la sua croce sul NO si vedrebbe in ogni caso annullato il voto.
In queste ore le minacce del rivoto vengono rivolte a tutti i popoli europei, sottoposti alla campagna della paura. In Spagna il primo ministro di destra si scaglia contro Podemos usando il terrorismo psicologico pro UE scatenato sulla Gran Bretagna. C'è davvero da aver paura di un regime che reagisce con tanta violenza e intolleranza non appena lo si metta in discussione.
È vero che contro l'Unione Europea ci sono anche forze fasciste, ma è altrettanto e pericolosamente vero che il potere della UE minaccia e nega i principi fondamentali della democrazia.


PS : ai giovani dell'Erasmus mi permetto di suggerire di tenere conto un poco di noi nonni che abbiamo passato una vita a lottare per quei diritti e quella democrazia che ora vediamo cancellati nel nome del mercato. La puzza di marcio e di bruciato noi la sentiamo subito.

sabato 25 giugno 2016

Abolire i referendum



di Tonino D’Orazio 24 giugno 2016

Sarà l’ultima arma rimasta per la troika di Bruxelles. Ma ormai è troppo tardi. L’arma popolare, costituzionale per noi, e i popoli europei in genere, è diventata per loro solo populismo pericoloso. La Gran Bretagna esce (non è “fuori!”) da questa Unione Europea a trazione tedesca e bancaria. Nulla a che vedere con la Comunità Europea dei popoli.

Perdono, momentaneamente, tutte le banche, se ci si riferisce ai listini delle borse. Dite che vi dispiace. Però sapete che pagheremo noi il conto, loro sono intoccabili. Altri, oltre a fuggire nell’acquisto di oro (soprattutto a Shangai nella Nuova Banca Mondiale dell’oro, quotata anche in yuan), se hanno denaro, hanno convenienza a comperare i titoli che stanno crollando. Presto risaliranno, torneranno stabili. sterlina compresa, perché funziona così e ha sempre funzionato così. Sono garantiti, sono al potere legislativo, e le perdite le pagherà lo stato, cioè noi. Leggere il mio ultimo articolo su quanto e come il Brexit sia ora utile all’oligarchia bancaria mondiale.

Invece i nervi stanno crollando a molti politici europei di rilievo. Hanno seminato e stanno raccogliendo.

Lezione minacciosa e ridicola dell’alcolizzato Junker, presidente della commissione europea, pensando di avere a che fare con la Grecia: “Chi è dentro è dentro, e chi è fuori è fuori per sempre”. Si può minacciare un popolo prima del referendum? Possibile che non abbiano ancora capito l’aria che tira sui loro soprusi anti-democratici e anti-popolari? Non hanno capito che non è un voto contro l’Europa, ma contro questo tipo di gestione che ha distrutto lo stato sociale dei loro popoli impoverendoli e portando milioni di cittadini alla disperazione? E’ populista dire noi, poveri, siamo tanti e loro, ricchi, sono pochi e continuano a derubarci? Questa è l’Europa, un’altra storia, non gli Stati Uniti, dove anche i poveri votano per impoverirsi e per non essere curati perché pensano che “non se lo meritano”.

La stessa Merkel, che pensa di aver vinto la terza guerra mondiale (quella economica) nella conquista dell’Europa, non ricorda i rapporti storici e le “sensibilità”, o meglio le allergie, tra i due popoli. Li ha “minacciati”. Pensava fosse Renzi. Non ha ancora capito che la diffidenza degli inglesi si era già dimostrata nel mantenersi lontani dall’euro/marco e nel tenersi la sterlina. Oppure che la Gran Bretagna gestisse ancora un impero politico-economico con il loro Commonwealth.

Draghi e la BCE: “abbiamo previsto un piano B in caso di vittoria del Brexit” e con linguaggio biforcuto, “per salvare l’Europa”. Quale senza il popolo britannico? “Manterremo fermo il volante e la direzione”. Ci mancherebbe, fino alla dissoluzione! La stessa cosa aveva detto la privata Banca d’Inghilterra, il cui governatore Mark Carney  ha aggiunto che era pronto a iniettare uno stimolo supplementare di 250 miliardi di sterline per assicurare che le istituzioni finanziarie non esauriscano la liquidità in questo periodo di incertezza. Sono padroni della loro moneta, torneranno forti. Per il resto dell’Unione è stata brandita di nuovo l’arma tedesca dello spread. I mercati azionari europei stanno crollando, un po’ meno in Gran Bretagna, perché dimostrano l’intreccio banco-finanziario che già si era installato tra loro e che comunque la City rimane forte. la Banca nazionale svizzera è già intervenuta sul mercato valutario per stabilizzare il suo franco. Il primo ministro britannico David Cameron ha riferito che si dimetterà, però a ottobre, contravvenendo a una regola decennale di british fairplay. Sa che lo hanno affondato proprio i suoi e ha bisogno di rimettere un po’ di ordine per le prossime elezioni.

I commenti lividi, nei talkshoes televisivi del giorno dopo, (e ancora ne avremo a lungo per "educarci"), di partiti governativi e giornalisti “assoldati”, sono tutti al catastrofismo e alla “vendetta”. Incredibilmente ridicoli se non dimostrassero in realtà fino a che punto tengano in conto popolo e democrazia e quanto sia profondamente e culturalmente andato avanti il “pensiero unico”.  Il sottosegretario italiano Scalfarotto (Pd) a La7: “I popoli vanno educati prima dei referendum”, quasi non sapessero che fare. Non siamo un po’ oltre le righe? Sarà un lapsus dei tempi che corrono. Lo stesso Monti, super amico di Napolitano che ha commesso reati per lui, dopo aver comperato la sua terza “villa”: “gli INTELLIGENTI vengono disturbati dalle elezioni”.”Troppa democrazia in Inghilterra”.

Che i referendum “non servono” alla gestione bancaria dell’Unione e del FMI, è stato dimostrato più volte, da quello greco a quelli olandesi e irlandesi. Espresso anche pubblicamente dallo stesso plurinquisito Junker: “non si governa con i referendum”.  Che chiarezza! Anche il povero Schulz (PSE) presidente del Parlamento europeo : "Sono deluso e triste". L’accordo con il neoliberismo li consumerà, facendo largo ai nuovi neofascismi europei che avanzano, e di cui sono convinti di non averne responsabilità.  "Rispettiamo e deploriamo la decisione degli elettori britannici" che "provoca un danno maggiore a entrambe le parti, ma in prima battuta alla Gran Bretagna" scrive il leader del Ppe all'Europarlamento Manfred Weber. Non ha capito e continua a “minacciare” loro di “danni maggiori”. Forse si riferisce anche alla preconizzata implosione interna della Gran Bretagna. Bisogna capire ancora “chi ha perso che cosa”. Anche molti esponenti del governo tedesco commentano con amarezza l'esito della consultazione. Si capisce, è a danno della loro strategia di imposizione. Molti sanno, per esperienza, che gran parte dei megaprogetti europei vengono banditi dopo che le lobby tedesche ne abbiano definito gli obiettivi, le finalità e le modalità.

Esultano i movimenti euroscettitici di tutta Europa. La leader del Front National Marine Le Pen parla di una vittoria della libertà e chiede lo stesso referendum in Francia, sapendo magari che l’unico sbocco anche del job act francese imposto da Bruxelles, e quindi dalla rigidità impotente di Hollande/Vals, alla fine, sarà contro l’Unione. Sulla stessa linea l'olandese Geer Wilders e il leghista Matteo Salvini (“da Londra schiaffo a Renzi e Napolitano”). Anche la posizione del M5S è propensa a far tornare la decisione al popolo con un referendum. Vedremo cosa pensa il popolo spagnolo, visto che Podemos/IU, in caso di vittoria domenica, hanno promesso un referendum. Vi sia avvia anche il Portogallo. Lo stesso referendum italiano di Renzi sulla deforma della Costituzione chiesta dalla troika di Bruxelles e dalle banche mondiali (es.J&P Morgan più volte), è sulla stessa linea e il popolo sembra rispondere NO. Volendo è una risposta anche a Bruxelles. Anche se Renzi ribadisce che: “Il futuro dell'Italia è nell'Ue”. Lui e i poteri forti certamente, forse, il popolo non necessariamente. Bruxelles gli ha appena risposto che di pensioni anticipate, pure col pizzo, (anzi “bisogna allungare la vita lavorativa”), non se ne parla proprio. Intanto nella “sua” deforma della Costituzione ha innalzato a 800.000 il numero delle firme da raccogliere per bandire un referendum. Sgretolare piano piano, altrimenti il popolo se ne accorge. Però anche in Italia il popolo sembra svegliarsi.

Ma allora, come dicevano i padri costituzionali, il referendum diventa l’unica arma che, alla fine, rimane al popolo in caso di tentativo di abrogazione del proprio potere democratico?

venerdì 24 giugno 2016

Brexit, Renxit, Italexit

di Giorgio Cremaschi da facebook

GLI SPITFIRE SONO SPUNTATI DALLE URNE. DEMOCRAZIA DEI POPOLI E EUFORIA DELLE BORSE SONO INCOMPATIBILI , CE NE FAREMO UNA RAGIONE . MORTO SUBITO IL TTIP COMINCIA LA FINE DELLA UE. OGGI IN GRAN BRETAGNA DOMANI IN ITALIA E IN TUTTA EUROPA. VIVA LA BREXIT, ORA RENXIT E POI ITALEXIT
Smentendo tutti i sondaggisti e tutti i palazzi del potere, e anche la prematura gioia delle Borse e le premature lacrime nostre, il popolo britannico ha detto basta alla UE. Lo aveva fatto un anno fa anche il popolo greco, anche allora smentendo i sondaggi, poi il suo governo si era piegato alla tirannia della Troika.
Le Borse e la finanza precipitano dalla euforia alla depressione, in misura esattamente inversa alla euforia di libertà dei popoli, dobbiamo prendere atto che Il potere dei mercati e la democrazia sono incompatibili, e stare con chi sceglie la democrazia.
Con questo voto muore subito il TTIP, che lo stesso Obama aveva legato ai destini della Brexit e comincia la fine della UE dell'Euro delle multinazionali e delle banche e soprattutto dell'austerità. Comincia la fine di un sistema di potere europeo dove un solo parlamento è sovrano, quello tedesco, e tutti quelli degli altri paesi eseguono gli ordini della Troika. Comincia la fine della UE perché questa istituzione non è riformabile, come dimostrano anche le reazioni isteriche, furiose e inconcludenti dei suoi leader. Anche in questi giorni c'è stato chi ha detto che si sta nella UE per cambiarla, peccato che la UE sia indisponibile a qualsiasi cambiamento vero e come tutte le tirannie può solo crollare, non cambiare.
Nel no alla UE è stato decisivo il popolo laburista, che non ha seguito le indicazioni del suo establishment politico e sindacale, ma ha premiato l'impegno di minoranze coraggiose, come il glorioso sindacato dei ferrovieri che abbiamo conosciuto come Eurostop. Minoranze oscurate dai mass media, ma che sono state determinanti per il successo della Brexit.
Il popolo della sinistra britannica ha chiarito che sinistra ed europeismo oggi sono incompatibili e che la battaglia contro la UE delle banche è stata egemonizzata finora da forze di destra perché la sinistra ufficiale ha abbandonato il suo popolo. Ora questo popolo ha bisogno di altri rappresentanti, che in nome della eguaglianza sociale e della democrazia e non dei mercati, ricaccino le destre dal terreno abusivamente occupato.
Ora si apre l'epoca del coraggio e tutto si rimette in moto, sarà dura e non sarà breve, ma questo voto mostra che l'epoca della globalizzazione senza diritti sociali è finita, sono gli stessi mercati a crollare sul potere di argilla che hanno costruito. Tornano i popoli, gli stati, le politiche economiche, i diritti sociali e del lavoro. Sará dura e non sarà breve, ma c'è tutta una classe dirigente europea da rottamare. Cominciamo qui votando NO al referendum di ottobre e mandiamo a casa Renzi e la sua controriforma costituzionale, voluta dalla UE delle banche. E dopo la Renxit avanti con la Italexit. Grazie al popolo britannico che come nel 1940 dà il via al percorso di liberazione dell'Europa, gli Spitfire sono spuntati dalle urne.

martedì 21 giugno 2016

Brexit ovvero la rottura del cerchio magico

di Tonino D’Orazio 

 L’uccisione della deputata laburista Hellen Joanne Cox, schierata per il Remain nell’Unione Europea doveva succedere. Nei momenti cruciali, la lista dei paesi e delle personalità è lunga, arriva il morto “eclatante” che riconduce “alla ragione”, contro un eventuale cambiamento radicale e per la “conservazione”, a “qualunque prezzo”. Ricordo male nel dire anch’io che ha sempre funzionato, che l’operazione psicologica è facile e quasi infallibile? Infatti Jo Cox è diventata l’incarnazione di “ogni cittadino” favorevole al mantenimento della Gran Bretagna nel l’UE. (Vedi piccolo capovolgimento emozionale propostoci dei “sondaggi”). La controprova? Quando è arrivata la notizia del decesso, la baldoria finanziaria ha raggiunto il massimo. Borse e listini impazziti, in tutta Europa, impennate azionarie, prezzi alle stelle, gaudio e giubilo di tutto gli operatori, bookmakers che aggiornavano le quote. Speculazione di morte, “ha sempre funzionato” (A.Foa).
Anzi sembra l’elemento naturale, l’assioma fondante dello sfruttamento capitalistico: mors tua,vita mea.

Tralascio la storia ancora quasi misteriosa della strategia della tensione in Italia, e magari anche in tanti altri paesi. Anche se tra Stay Beind e Gladio (a causa della singolar tenzone tra Andreotti e Cossiga che le ha portate alla luce) abbiamo intravisto qualcosa di cui non si parla più avendo seppellito morti e verità. L’importante è non dimenticare, anche se siamo una colonia consenziente. Magari ricordando anche altre personalità “irrequiete e non troppo ubbidienti” come Olaf Palm, Yitzhak Rabin, Simon Peres (uccisi dal solito “folle”, sempre legato alla Cia, magari “deviata” per non dare nell’occhio). Forse anche Coluche in Francia quando le morti sono più che “sospette”. Sbaglio nel dire che spesso erano socialisti “veri”? La Cox era una sostenitrice parlamentare degli Amici del Labour per la Palestina e il Medio Oriente, e aveva chiesto la revoca del blocco della Striscia di Gaza, oltre un boicottaggio commerciale di Israele, disinvestimenti e sanzioni. Era contro l’intervento in Siria, i bombardamenti e l’invio di truppe. L’assassinio? Una fava due, se non tre, piccioni. Se ricordo bene, Idem del governo norvegese attaccato con la strage del solito “folle” Brewick per gli stessi motivi. A quando qualcuno del M5S quando toccheranno interessi veri degli “altri” contro quelli nostri?
Il sospetto che il mondo sia “gestito e programmato” da una vera e propria oligarchia ristretta, oltre ad averla già delineata Marx a suo tempo nel Capitale come una strada obbligata del capitalismo occidentale, sta diventando realtà visiva, almeno per quelli che riescono a decodificare le grandi linee della soffocante struttura bancaria internazionale con sufficiente disincanto. Ormai anche in Europa tutti si rendono conto che siamo “gestiti e programmati” dalla troika internazionale, contro il popolo e i suoi referendum, cioè dalle banche e dai politici asserviti. Una vera gabbia. Forse qualcuno di questo tipo di Europa non ne vuole più sapere. Facile pensare invece che “debba assolutamente” rimanere tale, sempre e a qualunque costo.
La motivazione di fondo è pur sempre quella bancaria e fa da cornice. Il 4 e 5 settembre prossimi la Cina ospiterà il G20 nella città di Hangzhou. Questo summit marcherà la fine del vecchio ordine economico (Bretton Woods 1944) e la nascita di un nuovo ordine mondiale. Cioè la transizione tra il quadro monetario basato sul dollaro americano e il nuovo quadro monetario basato sul SDR (Special Drawing Rights, ovvero Diritti Speciali di Prelievo, DSP) del Fondo Monetario Internazionale. “Sono un particolare tipo di valuta il cui valore è ricavato da un paniere di valute internazionali (ci ricorda il Serpente Monetario Europeo), rispetto alle quali si calcola una sorta di comune denominatore e il cui risultato dà il valore dei DSP. (Wikipedia). Già oggi molte transazioni internazionali avvengono con questa valuta. Ciò implica un quadro monetario multilaterale e in parte l’eliminazione della corruzione finanziaria. Le valute del paniere sono il dollaro (42%), l’euro (37,5%), lo yen (9,3%) e la sterlina inglese (11,2%). Dal 1° ottobre ne farà parte anche lo yuan (o Renminbi) cinese al quale dovranno tutti cedere una percentuale. Ciò diminuirà la percentuale maggioritaria e il “peso” angloamericano a favore dei paesi dell’oriente. Tra l’altro, capita la lezione, i cinesi non vogliono che lo yuan diventi valuta di riserva, troppi rischi futuri unilaterali per la loro economia, e puntano su altro.
E’ un punto di non ritorno verso la costruzione di valute/riserva di scambio dalla quale il dollaro è assente o solo subordinato ad un mercato amico (Canada, Unione Europea/TTIP, Australia, e ritorno dell’America del Sud nell’alveo). Invece tutte le organizzazioni finanziarie cinesi sono connesse, integrate e funzionali al SDR, dall’AIIB, al Fondo per la nuova Strada della Seta (da cui l’importanza per il Mediterraneo di una Siria libera), alla Banca Cinese di Sviluppo, alla Nuova Banca di Sviluppo dei Brics (già funzionante paniere monetario tra il real, il rublo, la rupia indiana, lo yuan, e il rand sud africano), all’iniziativa Chiang Mai in Thailandia, (nucleo di un Fondo Monetario Asiatico (FMA)), la Borsa mondiale dell’oro di Shangai (oro quotato anche in yuan). Gli analisti prevedono quindi un rialzo enorme dell’oro e soprattutto una forte riduzione delle prerogative del dollaro, perché non ricoprirebbe più il ruolo di valuta di riserva e quindi l’impossibilità della privata banca centrale americana di stampare dollari superflui, perché moneta “controllata” dal FMI allargato alla Cina. Comunque questo sarà un problema futuro, per il momento il quadro delle operazioni strategiche mondiali non può cambiare. Il Brexit è un lato di questo esagono irregolare di valute e quindi di strategie economiche finanziarie indispensabili agli Stati Uniti. Così come la preminenza indispensabile del TTIP per agganciarci e sottometterci agli Stati Uniti, per quanto riguarda economia e commercio, ed essere utilizzati come “massa economica” docile contro le forze nascenti in oriente e in genere contro il multilateralismo dei Brics.
D’altra parte negli Stati Uniti i vari Soros e Rothschild (le 8 banche più importanti del mondo) non vedono l’ora di inserirsi nel SDR, diversificandosi, prima che la nuova immensa bolla del dollaro arrivi, oltre che partecipare ad una nuova oligarchia bancaria mondiale, così ripulitisi dalla valuta dollaro estremamente “pericolosa” avvelenata e inconsistente. Oligarchia sempre più ridotta e decisiva, che già oggi appare dirigere le “rivoluzioni arancioni” o “primaverili” appropriandosi, perché poi indebitandoli, degli stati deboli. La nuova enorme bolla finanziaria negli USA dipende, per ritardarne l’effetto, sempre più disperatamente dall’afflusso di denaro dall’estero, soprattutto europeo e asiatico. Una specie di sanguisuga con drenaggio mondiale di risorse da inghiottire in un pozzo ormai senza fine. Bolla che gli Usa potrebbero in parte scaricare nel SDR, a condizione di essere capace di manovrarlo.
Si capisce anche che una Gran Bretagna agganciata ai trattati dell’Unione rappresenterebbe una forza maggiore insieme all’euro (franco-tedesco) all’interno del nuovo sistema, sommando di fatto percentuale euro a quella sterlina, con la conseguenza di un “peso” superiore al dollaro nel SDR, ma proni politicamente (Nato) ed economicamente agli Usa. Si capisce anche il grande attacco mediatico-economico alla Russia, terzo incomodo ma vera potenza europea, spinta nelle braccia dell’Oriente da una Unione per conto terzi che a sua volta si indebolisce ancora di più, euro compreso.
Si capisce allora tutti i timori “terroristici” che i mass media, (anche in Italia), ormai padronali anche in tutto il mondo, fanno incombere sul Brexit, e anche la contraddizione di un Soros (The Sun) favorevole all’uscita, poiché questo farebbe accelerare la debolezza della sterlina all’interno del paniere SDR e la schiaccerebbe sempre più sul dollaro. Impedendo altresì un investimento forte e una presenza della Gran Bretagna, che lo sta comunque facendo poiché impero e lungimiranza obbligano, nelle ex-colonie asiatiche e nei vari Fondi che vi si creano.
E’ lo scenario “nascosto” del Brexit, non adatto al popolo, ma sicuramente discusso dalla massoneria economico-politica del Bildeberg. Altrimenti di che volete che parlino? Solo di come abbattere i referendum popolari?

domenica 19 giugno 2016

Ecco perché ho accettato la proposta di Raggi

di Paolo Berdini da ilmanifesto

Urbanistica. C'è una maturazione politica e culturale, sono arrivate due proposte di lavoro coraggiose. La candidata romana con me e Chiara Appendino con Guido Montanari hanno scelto di ricostruire il profilo della legalità mettendo in soffitta la cultura delle deroghe e privilegiando il diritto sociale alla città e ai beni comuni

Roma è una città fallita. Ai 13,5 miliardi certificati dal Commissario governativo ne vanno aggiunti due degli anni del sindaco Marino e un numero finora imprecisato che proviene dall’accensione di titoli derivati. Roma supera dunque i parametri di legge che regolano l’indebitamento degli enti locali e se il Governo volesse – e non è detto che non giocherà questa carta – potrebbe sciogliere il governo municipale. Dei candidati sindaci che si sono presentati al primo turno solo Raggi e Fassina hanno posto con chiarezza la questione proponendo l’apertura della rinegoziazione del debito. Silenzio da tutti gli altri, compreso quello di Giachetti.
La causa strutturale del debito sta nell’anarchia urbanistica. Negli ultimi 20 anni si è costruito dappertutto al di fuori di ogni regola sicuri che la mano pubblica avrebbe portato i servizi indispensabili. L’ultimo scandalo riguarda ad esempio un intero quartiere nato in aperta campagna a tre chilometri dall’ultima periferia, Pian Saccoccia, a cui il comune deve garantire trasporti e raccolta dei rifiuti. A fronte di pochissimi che hanno intascato una rendita immobiliare enorme, la collettività accumula debito mentre Atac e Ama sono sull’orlo del fallimento.
Il manifesto ha denunciato sistematicamente in questi anni gli effetti dell’urbanistica derogatoria e il risultato di questo prezioso lavoro sta nel volume di recente pubblicazione Viaggio in Italia che raccoglie i ragionamenti collettivi provocati da una intuizione di Piero Bevilacqua e curato con Ilaria Agostini. Il quadro che emerge è la crisi irreversibile delle città, come noto amministrate in larga parte dal «centro sinistra». È dunque evidente che sussiste ancora una difficoltà culturale nella sinistra a fare i conti con gli errori del recente passato, quando sono stati sacrificati gli interessi dei cittadini per privilegiare quelli economici e finanziari dominanti. L’effetto di questa scelta di campo è resa evidente dal voto del 5 giugno scorso: in tutte le periferie urbane la sinistra non intercetta più il malessere delle famiglie impoverite da una crisi senza fine e dalla cancellazione del welfare. Questa parte di società ha invece scelto di premiare a Torino e Roma il movimento 5stelle e dobbiamo chiederci i motivi di fondo di questo orientamento.
I gruppi parlamentari 5stelle hanno contrastato con forza lo «Sbocca Italia» imposto per decreto dal governo Renzi che ripropone l’ennesima e sempre più accentuata stagione derogatoria così come si sono battuti contro quella che viene vergognosamente chiamata la legge contro il consumo di suolo e che contiene invece altri meccanismi che lo incentivano. In buona sostanza, quella complessa galassia piena di contraddizioni lucidamente sollevate da Alberto Asor Rosa su queste pagine, si è però saldamente impadronita della cultura urbana che era il vanto della sinistra.
Da questa maturazione politica e culturale sono arrivate due proposte di lavoro coraggiose. Virginia Raggi con me e Chiara Appendino con un’altra figura di rilievo dell’urbanistica democratica, Guido Montanari, hanno scelto di ricostruire il profilo della legalità mettendo in soffitta la cultura delle deroghe e privilegiando invece il diritto sociale alla città e ai beni comuni. È lo stesso percorso scelto, come notava ieri Norma Rangeri, a Napoli da Luigi De Magistris sia nella sfida per l’acqua pubblica sia nel rispetto del piano urbanistico di Vezio De Lucia. È per questo motivo che ho ritenuto di accettare la proposta offertami da Virginia Raggi di guidare l’urbanistica di una città fallita a causa della mala urbanistica.

sabato 18 giugno 2016

Un cadavere al momento giusto

18 giugno 

di Leonardo Mazzei da sollevazione
 

Un pazzo o un provocatore manovrato? Chi ha davvero ucciso la deputata anti-Brexit?
Intanto gli europeisti festeggiano...

Vogliamo iniziare dicendoci subito la verità senza troppi preamboli? Bene, la verità che tutti possono vedere è che il fronte europeista è in festa. Il resto è solo ipocrisia. Come quella de la Repubblica: «Le borse - tristemente - reagiscono positivamente all'assassinio della deputata laburista inglese». Tristemente ma positivamente. Possiamo immaginarci la tristezza...

L'odioso omicidio della parlamentare laburista Jo Cox ha innescato un'ipocrisia altrettanto ripugnante. Il fronte europeista, ormai a corto di argomenti e sotto nei sondaggi, ha adesso un'arma in più, forse quella decisiva. E mentre finge di piangere la vittima dell'attentato, se potesse erigerebbe un monumento all'assassino, quel Thomas Mair che si dice sostenitore dei neonazisti americani della National Alliance. Un ambientino, quest'ultimo, che non è difficile immaginare quanto sia infiltrato dall'intelligence americana.

I "mercati", i famosi mercati finanziari, ormai l'unico luogo al quale i fanatici europeisti riconoscono il diritto di decidere, hanno effettivamente già salutato con entusiasmo l'uccisione della Cox. Citiamo ancora da Repubblica: «La reazione positiva (e triste) delle borse. L'uccisione della deputata laburista Jo Cox, segnalano gli operatori, ha stravolto le carte in tavola nel dibattito politico in vista del referendum del 23 giugno e, sui mercati finanziari, favorisce l'idea che i britannici siano meno inclini a votare l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea».


Vedremo tra sei giorni se le cose andranno davvero così. Certe operazioni di propaganda di solito hanno successo, ma non tutte le ciambelle riescono col buco. Ne sa qualcosa Mariano Rajoy, che nel 2004 finì battuto a sorpresa da Zapatero nelle elezioni spagnole per aver tentato di strumentalizzare in maniera troppo plateale gli attentati di Madrid, che tre giorni prima del voto avevano provocato 191 morti.

Ma torniamo all'assassinio di Birstall, il cui tempismo è davvero folgorante. I difensori della permanenza della Gran Bretagna nell'Unione Europea erano ormai in affanno, tutti i principali argomenti della campagna terroristica anti-Brexit (il crollo economico, la terza guerra mondiale, la fine della civiltà occidentale...) già utilizzati. Cosa inventarsi allora?

Noi non sappiamo chi ha deciso la fine di Jo Cox, ma di certo lorsignori non avrebbero saputo architettare qualcosa di meglio. Chi è poi Thomas Mair? Quel che sappiamo è che era in cura psichiatrica. Dunque, un pazzo. Magari un pazzo pilotato da altri.

Gli europeisti dovrebbero vergognarsi della loro propaganda. Hanno avuto mesi, mezzi, soldi, media, potere per convincere l'elettorato britannico a votare Remain. Non hanno avuto successo. Ed ora, da quegli avvoltoi senza scrupoli che sono, si sono gettati sul cadavere della Cox - uccisa magari dalle trame dei servizi di qualcuno di loro.

Chi scrive non ha la malattia del complottismo. Non si spiegano le cose del mondo vedendo ovunque complotti. Ma naturalmente i complotti esistono, ed in questo caso l'ipotesi di una smaccata operazione anti-Brexit appare più che lecita.

Prescindendo qui dalla cronaca - ad esempio, sembra che le parole «Britain First» messe dai media in bocca all'omicida non siano mai state in realtà pronunciate, visto che il testimone le ha recisamente smentite - quel che dovrebbe far riflettere sono tre cose: la tempistica, la scelta della vittima, la personalità dell'omicida.

Lo abbiamo già detto, la tempistica è semplicemente perfetta. Provocare uno choc ad una settimana dal voto - peraltro nel momento di massima difficoltà dei sostenitori del Remain - consente di strumentalizzare l'accaduto per tutta l'ultima fase della campagna elettorale. Anche la vittima è perfetta: donna, laburista e anti-Brexit, che si vuole di più? Ma perfetto è pure l'omicida: un signor nessuno, che proprio perché tale verrà presentato come l'effetto normale della campagna per il Leave.
Non siamo tra quelli che pensano che la CIA manovri al Qaeda e l'Isis, ma pilotare un pazzo isolato può essere assai facile e redditizio. E qui le cose sono troppo "perfette". 

Vedremo giovedì prossimo quanto peserà l'omicidio di ieri nelle urne. Nel frattempo avremo qualche giorno per vomitare. Sì vomitare, perché vomitevole è l'argomentare degli europeisti, il loro gioire attorno al corpo senza vita di una giovane donna, quel cadavere arrivato proprio al momento giusto per ridare fiato alle trombe della loro propaganda.

Una propaganda che si basa ormai su un unico fattore: la paura. Chissà se gli basterà. Noi ci auguriamo proprio di no. Viene sempre il momento in cui la verità si impone sulla paura. Non sappiamo come andrà il referendum del 23, ma prima o poi il mostro dell'Unione Europea verrà sconfitto, di questo siamo certi. 

mercoledì 15 giugno 2016

La sinistra e la memoria del pesce rosso

di Giorgio Cremaschi da facebook
 
LA SINISTRA CON LA MEMORIA DEL PESCE ROSSO PROVI A RICORDARE CHE IN BALLO PRIMA DI TUTTO C'È LA CONTRORIFORMA DELLA COSTITUZIONE DI RENZI E CHE OGNI VOTO DATO AI CANDIDATI DEL PD AI BALLOTTAGGI VERRÀ USATO PER SOSTENERLA. NON SI DEVE VOTARE PD
Man mano che si avvicinano i ballottaggi gli elettori della sinistra, che ancora esistono nonostante tutto, vengono chiamati ad ossequiare quel rito autodistruttivo che risponde allo slogan : sempre meno peggio il Pd chegli altri. I candidati di quel partito improvvisamente si riscoprono progressisti vecchio stampo e fieramente antifascisti, e mettono nel campo del fascismo alle porte qualsiasi avversario si trovino di fronte. La ministra Boschi si distingue da tempo in questa campagna.
In questo modo i candidati del PD tentano di far dimenticare che essi sostengono la controriforma della Costituzione targata Renzi e voluta da poteri economici come quello della Banca Morgan. Quella che ha scritto che bisogna sbarazzarsi delle Costituzioni antifasciste perche fanno da ostacolo alle politiche economiche liberiste. Quelle politiche che nei Comuni vogliono dire privatizzazioni, tagli sociali, aumento della povertà e del disagio. Politiche che i sindaci PD hanno assecondato o addirittura fatto proprie.
I candidati PD tentano di far dimenticare che la controriforma della Costituzione riduce il loro ruolo a quello di impiegati del governo che devono solo ubbidire a tutti gli ordini superiori, fino a quelli della Troika. E cercano anche di far dimenticare che lo Sblocca Italia e il Decreto Madia devastano l'ambiente e danno al governo il potere di decidere al posto di comuni e regioni, quando si tratti di inquinare o magari privatizzare l'acqua .
A parte gli scandali, e la degenerazione del potere di cui anche essi spesso fanno parte, i candidati sindaci PD tentano di fa dimenticare che il voto a loro sostiene Renzi e il suo progetto politico.
Essi contano sulla memoria da pesce rosso, cioè a brevissimo termine, di una certa sinistra che pure li ha contestati, ma che al momento buono sembra dimenticare tutte le proprie ragioni .
Non piace chi il PD ha di fronte? In alcuni casi è comprensibilissimo, anche se sfido chiunque a trovare differenze tra Sala e Parisi, neanche con il vecchio gioco della Settimana Enogmistica. Ma la questione di fondo è un'altra: chi dice no alla controriforma non può votare PD, si astenga se non gli piace nessuno, ma non dia voti a Renzi per interposta persona .

lunedì 13 giugno 2016

Brexit, e se fosse un'opportunità?


di Pierfranco Pellizzetti da Micromega
A una settimana dalla catastrofe paventata del Brexit è consentito a un fervente europeista dire “bye-bye Regno Unito”? Per ragioni del tutto opposte a quelle di demagoghi sfasciacarrozze quali il macchiettistico Farage e compagnia eurofobica.
Diciamolo francamente: l’Unione europea si trova a pochi centimetri dal baratro a causa di una vergognosa involuzione iniziata – grosso modo – nel settembre 2008. Ossia la crisi finanziaria che arrivava dall’Atlantico, affrontata con la tacita alleanza tra burocrati e banchieri e declinata nell’accantonamento totale di un prezioso patrimonio democratico-solidale, barattato con le scempiaggini delle ricette made in FMI (de-regolazioni/privatizzazioni) e le pratiche punitive e anti-popolari (austerity a senso unico, come decimazione del ceto medio).

Sicché, per proseguire nella follia di applicare il cosiddetto “modello Wall Street” (mentre il concreto muro di Wall Street crollava con un rimbombo pari a quello di Berlino nel 1989), questa Europa pensava bene di cancellare la sua componente democratico/new-dealista, per lasciare in campo solo nomenclature contrapposte alle strumentalizzazioni ottuse e irresponsabili degli incendiari, che cavalcano i disagi crescenti di popoli trattati come carne da macello. Cioè il calcolo follemente suicida di establishment che pensavano di tacitare una rabbia montante con un po’ di zucchero comunicazionale; poi tragicamente inciampati sulla propria inettitudine nel governare un fenomeno epocale, come le migrazioni di popoli in atto, con il repertorio di palliativi con cui sino ad ora hanno tenuto a bada i propri elettorati.

Stando così le cose, molto meglio uno choc che riporti alla realtà questi eurocrati asserragliati nei loro palazzi tra le nuvole. Per cui l’uscita inglese dalla compagine potrebbe persino svolgere una funzione benefica. Certo, viene meno un mercato di sessanta milioni di consumatori. E questa è probabilmente la più lancinante preoccupazione che affligge i finanzieri di Bruxelles. Per il resto i britannici in Europa sono sempre stati con un piede dentro e uno fuori. Un po’ per risibili e anacronistici rigurgiti imperiali, molto in quanto ormai da tempo quinta colonna degli Stati Uniti (che l’esperimento europeo hanno sempre guardato con sospetto).

Di fatto il Regno Unito gode di una posizione speciale, ulteriormente rinforzata dalle concessioni ottenute dal sensale David Cameron il febbraio scorso: limiti alla libera circolazione dei cittadini europei, sospensione per quattro anni all’accesso ai benefici dello stato sociale ai residenti non britannici, riconoscimento che il mercato unico è multi-valutario, rescissione di trattati che prevedano maggiori livelli di integrazione.

Insomma, una condizione più da pensionati schizzinosi che non da membri della stessa famiglia. Intanto l’Inghilterra fino ad oggi ha ricavato tutti i vantaggi di contiguità quale gate che gestisce il passaggio delle transazioni monetarie verso il più grande mercato mondiale, quale quello europeo; attrae big players continentali offrendo condizioni fiscali di favore. Come ci ha fatto chiaramente vedere la FIAT trasformata in FCA da Marchionne e traslocata da Torino a Londra.

Questo per dire che un possibile Brexit avrebbe effetti disastrosi per i secessionisti e magari persino impatti benefici per quanti rimangono. Ammesso che si colga l’opportunità per una revisione radicale del campo politico europeo. Partendo dalla considerazione che le originarie motivazioni federative (vedi Ventotene) si sono fatte sempre più stringenti: in un mondo in cui si impongono le dimensioni continentali e ormai gli antichi Stati-nazione pesano quanto un bruscolino. Ma che tali motivazioni perdono ogni capacità attrattiva se smarriscono, per un malinteso vassallaggio psicologico nei confronti di un paleo thatcherismo-blairismo, l’istanza democratica. Sarebbe auspicabile che gli inglesi, mentre tolgono il disturbo, si portassero via pure le paccottiglie ideologiche imposte dal duo ineffabile Thatcher-Blair.


sabato 11 giugno 2016

Il sinistrismo addomesticato dell’intellettuale illuminato

da militant-blog


E così anche Massimo Gramellini, che per un istante della nostra esistenza abbiamo dovuto anche sopportare come riferimento culturale di certa sinistra radical bohemien in tresca perenne con l’ecologismo d’accatto e la feticizzazione del “basso” contro “l’alto”, si smaschera per quello che è: un rimasticamento insignificante della cultura dominante. Il suo corsivo islamofobo di ieri mattina svela i tic tipici di certa sinistra, quella illuminata, che pretende di imporre culturalmente quello che il liberismo prescrive economicamente. Vittima del suo strale le nuove divise delle hostess Alitalia, espressione a suo dire della primitiva cultura araba di sottomissione della donna. Sono brutte, e per di più non si vede un filo di coscia. Davvero uno scandalo.  Il sillogismo non assume neanche le forme sottili del razzismo intellettualmente raffinato: chiama in causa direttamente i valori occidentali per definizione superiori a quelli musulmani. Ecco cosa succede a vendere all’estero, per di più a culture primitive, i nostri gioielli nazionali. Le nuove divise Alitalia fanno evidentemente schifo. In linea con la maggior parte delle altre compagnie però. Basta vedere come vanno conciate le schiave sorridenti dei voli low cost, per capire immediatamente la truffa del discorso dell’intellò torinese (egregiamente sbugiardato da Lorenzo Declich su Vice). Lui tutto questo lo sa benissimo: è perfettamente conscio che non esiste alcun collegamento tra la cultura di provenienza della proprietà multinazionale di Alitalia e i nuovi capi di vestiario. Stiamo parlando di un impostore culturale, non di uno sprovveduto. L’obiettivo è la polemica capace di solleticare gli istinti primordiali dell’odio per il diverso. Istinti ampiamente coltivati da tutti gli organi d’informazione massmediali e da tutte le forze politiche in parlamento. Gramellini assolve alla funzione tipica dell’intellettuale compatibile: quella di coprire a sinistra gli items ideologici dominanti, gli elementi posti a fondamenta della narrazione egemone. Le orribili calze verdi divengono così lo smascheramento addirittura dell’Europa saudita; la pelle coperta il segno tangibile della sottomissione della donna nella cultura musulmana. Poco importa che quelle mise sono state pensate ed elaborate da uno stilista milanese; poco importa che le divise precedenti fossero altrettanto brutte; ancor meno, che ogni proprietà multinazionale non ha alcun carattere tipico da conservare o anche solo da riconoscere che non siano strategie di marketing planetarie, che delle “culture locali” se ne fregano altamente. La chiusura è poi un vero e proprio fuoco d’artificio neocolonialista, di quelli che fanno impressione e si rimani stupiti col naso all’insù: [ecco] “cosa succede quando un bene italiano finisce nelle mani di una cultura che, quantomeno in materia di donne, si trova nelle condizioni più di prendere esempi che di imporne”. Quella stessa cultura a cui stiamo dando esempi a suon di bombe e di sconvolgimenti epocali, dovrebbe al contrario dimostrarsi prona alla nostra palese superiorità, quantomeno in materia di donne, si prodiga però di specificare il giornalista. La cultura occidentale che parla di emancipazione della donna è l’ultima delle provocazioni che siamo costretti a subire in questa nefasta epoca di sottomissione antropologica. Perlomeno, da oggi speriamo di esserci sbarazzati una volta per tutte dalla definizione di Gramellini come “uno di sinistra”.

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