martedì 30 aprile 2013

Dove li prendono quei dieci miliardi?

Questa è una domanda che non dovremmo mai porci perché è una trappola. Racchiudere l'economia dentro le mure domestiche del pater familias, facendo la trasposizione del bilancio dello stato in quello della serva, è un colossale inganno, e questo lo capisce anche chi economista non è. L'economia non è una scienza esatta, bensì un congegno che ci permette (dovrebbe permetterci) di fare in modo che la produzione e lo scambio delle merci creino le condizioni ottimali per soddisfare i bisogni di tutti. È un artificio dove non conta la partita doppia, conta sfamare la gente. È così da sempre, da sempre lo stato si regge sul deficit, e adesso vorrebbero farci credere che l'economia è quella scienza per cui se io ho cento non posso spendere più di cento, trascurando di dirci che in ogni caso di quel cento il 20% della popolazione si accaparra ottanta e il restante 80% il 20. Vivono di deficit gli Stati Uniti, vive di grande deficit il Giappone, che tuttalpiù adesso deve guardarsi dalle trappole della liquidità, abbiamo vissuto noi di deficit fino a 20 anni fa. Adesso ci dicono che non è più possibile, che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità. Alcuni apparentemente saggi ci dicono che la spesa pubblica è il forziere nelle mani di chi alimenta il suo potere con clientele e prebende. Ma qui sta il punto: non si può identificare la spesa pubblica con il parassitismo. Chi ha detto che la spesa pubblica deve per forze essere sinonimo di corruzione e spreco? La spesa pubblica può essere una buona spesa senza per questo diventare lo strumento di ricatto di una classe politica parassita e spendacciona.

Siamo arrivati al paradosso che le destra oggi ha assunto il monopolio sia delle politiche austeritarie che di quelle antiausteritarie. C'è una destra degli oligarchi, in piena sintonia con una sinistra socialdemocratica, che segue i diktat imposti  dall'alto e c'è una destra, spesso la trasmutazione transitoria di quella delle oligarchie, che cavalca il malcontento popolare e assume la paternità di politiche espansive e di deficit spending. Questo è il dato saliente della politica italiana ed europea in generale, il concetto di spesa e l'uso strumentale che se ne fa, non dove si prendono i soldi, i soldi sono un'entità astratta, non si prendono, si creano e si spendono. 
In Italia abbiamo un grosso problema: ci troviamo al punto di dover scegliere fra civiltà e sopravvivenza senza sapere che l'una non sussiste senza l'altra. Seppellire (politicamente) Berlusconi e la sua subcultura mediatica è un dovere di civiltà, ma se la civiltà diventa il paravento dell'inciviltà, e cioè l'alibi per fare un favore alla oligarchie, allora molta gente sarà propensa, seguendo la pancia, a scegliere la sopravvivenza a scapito della civiltà, e sfido chiunque a dargli torto. Tutti persino Grillo, e persino un giornale come il Fatto cadono nella trappola dei conti in ordine e della partita doppia, commettendo l'ingenuità di sfidare un governo mostruoso come quello Letta sul terreno della spesa, un terreno che ci sta inghiottendo nelle sue sabbie mobili. Alla fine si crea una gran confusione e le uniche forze che chiedono a gran voce un'inversione di rotta dell'economia e un Europa dei popoli e non delle banche, vengono messe all'angolo, schiacciate dall'illusione grilliana e dalla macchina da guerra di una destra dalla doppia faccia e in grado di adattarsi plasticamente agli umori del popolo.

Il fallimento del liberismo è sotto gli occhi di tutti, tanto che persino il FMI oggi raccomanda per l'Europa ricette che sono tutto l'opposto di quelle liberiste che ha imposto finora in America Latina, eppure quando una simile mostruosità, come quella del Fiscal Compact è avviata è difficile fermarla, ma se la sinistra vuole ritrovare un'identità, non può fare altro che segnare un discrimine netto e profondo con quelle politiche economiche che contraddicono la sua natura egualitaria e il suo senso di giustizia.

lunedì 29 aprile 2013

Intervento in aula dell'on Colletti (M5S)

L'intervento di Colletti è interesante per le reazioni immediatamente successive di alcuni deputati del Pd e del Pdl. 
C'è una forte puzza di regime e spero che il mio non sia un giudizio troppo prudente.
 

domenica 28 aprile 2013

Il Soft Power che terrà buoni i progressisti

di Paolo Mossetti da ComeDonChisciotte via Libernazione
 
Sbaglia, a mio avviso, chi dice che questo governo di compromesso è nato senza tener conto degli elettori. Ovvero del ‘pubblico da casa’.

La scelta dei ministri, di destra e di sinistra, o per meglio dire di destra mafiosa e di centro liberista, segue ancora una volta il ruffiano modello del cinema di Hollywood. La formula è semplice: mettere più’ donne nei ruoli ‘da maschio’, mettere uno ‘di colore’ nel ruolo del ‘buddy’, metteterci un’atleta, magari, una ‘superpartes’ – come la Bonino -, e il ‘pubblico’ non smetterà di protestare, ma forse protesterà di meno.

Avessero messo ai loro posti chi davvero da gli ordini, a quegli attori là, il ‘pubblico’ avrebbe reagito con maggior (e più’ stupida) indignazione.

Lo chiamano Soft Power.

E’ una lezione già messa in pratica, con successo, dai ‘conservatori compassionevoli’ negli USA e in Inghilterra: controbilanciare una politica de facto spietatamente classista con operazioni di restauro e rinnovo per imbonire gli stolti.

Bloomberg parla di diritti civili per le minoranze, di divieti di fumo, di riduzione delle porzioni nei fast food. La militarizzazione fino al midollo della città, la riduzione degli spazi di sperimentazione e ‘informalità’ e il soprattutto il suo impero personale da 25 miliardi di dollari vengono messi in secondo piano dalla magica fabbrica dei manipolatori professionali. Cameron si fa fotografare mentre stringe la mano al povero invalido e prende la metro come tutti i comuni mortali, e i nostri giornalisti più  conformisti – e dunque, ‘spendibili’ - abboccano e ‘retweettano’. E potremmo citare anche i casi emblematici della Clinton e di Obama, ma non è qui il tempo né lo spazio.

Nel nostro caso – di cui ci importa relativamente poco in verità, avendo già chiara la necessità di una politica di nuova autonomia e radicale opposizione – al potere avremo i tecnici di Aspen e delle lobby lettiane. Berlusconi non sbaglia un colpo ormai da mesi. Il PDL nei sondaggi è il primo partito. C’è la prospettiva di ritrovarci in una dimensione grottesca a cavallo tra i Settanta italiani e i fine Ottanta Inglesi – prima l’austerity, poi un governo conservatore, infine l’opposizione – o la sua pantomima – nelle mani di un liberista carismatico -Renzi come controfigura di Blair. Eppure – quando ci scommettiamo? – sul Venerdì  di Repubblica si parlerà dei figli della Idem e dell’infanzia del ‘primo ministro nero’.

Distrarre e tranquillizzare. Sono bravissimi, come sempre. 


Doppiezza del e nel PD

Tonino D'Orazio 

Nella coalizione e nella “sinistra” in genere. Lo spostamento a destra, ormai dichiarato, non può che portare all’implosione del partito, alla perdita degli iscritti e degli attivisti. E’ la storia delle scissioni. Del Psi della metà degli anni ’60 con il primo centro-sinistra (nacque lo Psiup, 5%) e dal 1992 in poi con la fuga direttamente a destra con Berlusconi. Stessa strada imboccata dal Pasok greco. In accordo con la destra greca è passato da 47% al 12% in due rapide elezioni. Molti dicono per “responsabilità” verso il paese, molti dicono per “irresponsabilità” verso i propri elettori. La stessa situazione italiana di oggi per il Pd, che in realtà è definito solo da Berlusconi come “sinistra” italiana. Termine topografico parlamentare dopo aver fatto il vuoto intorno a sé, non di idealità, o di programma se non fumoso. Per questo il Pd non può volere subito le elezioni, malgrado l’eventuale riforma della legge elettorale. A meno di truccare di nuovo le carte con premi ad personam. Tanto continuano ad avere la maggioranza dei 2/3 del Parlamento per poter modificare la Costituzione, con la benedizione del garante.
La prevedibile compromissione rappresenta sicuramente una indecenza per quegli elettori che avevano creduto che il Pd fosse alternativo al governo precedente, pur senza aver mai detto come in campagna elettorale, e avrebbe permesso probabilmente di respirare. Ora il re è nudo e purtroppo per esistere deve sempre più arroccarsi al canuto bi-presidente e alle poltrone di potere. Senza avere mai la sicurezza di quanto tempo ci potranno rimanere, visto il sicuro smarcamento, quando ci sarà il voto segreto, di parte del partito che vuole rimanere onesto verso i propri elettori. E qui non c’entrano i giovani e le donne, sono le facce della stessa medaglia. Non sono stati eletti dai cittadini ma designati dalle segreterie di partito. Parlamentari liberi per Costituzione e ricattati se non allineati. Ulteriore vulnus democratico, ma a chi importa?
E’ oggi un partito al governo ma sotto ricatto di Berlusconi, come quello di Monti, da fargli fare le porcate e da far cadere a piacimento al momento opportuno. Un partito dalla padella alla brace. Quello che forse voleva evitare Bersani, (continuerà ad opporsi a Berlusconi?) ma non i giovani che avanzano, Letta compreso. Un partito frammentato in protettorati di politici rampanti, e l’unico che ancora non ha pagato nulla è il vecchio D’Alema. Insomma mossa geniale di Berlusconi che si assicura il presente e il futuro sulle spoglie del Pd. E’ il V governo Berlusconi, con due mastini a proteggere i suoi interessi, Alfano al ministero dell’Interno e la tecno-poliziotta Cancellieri alla Giustizia. Magistratura, muovetevi se potete! In più a tenervi sotto controllo ci sono Napolitano e Mancino, il mediatore tra stato e mafia.
C'è stata troppa fretta nel rieleggere Napolitano. Sì c'è stata molta fretta. Tutto si è messo in moto, affinché nulla fosse mutato. Anche la rielezione di Napolitano va in questa medesima direzione. Due terzi degli italiani hanno detto no alla continuità del massacro sociale. Un terzo era del Pd. Conclusione? Abbiamo lo stesso governo con politiche obbligate di destra e lo stesso presidente di prima. Solo nel governo cambieranno un po’ di nomi, quelli del Pd, e torneranno in forza quelli disastrosi del Pdl. Il resto sono chiacchiere politichesi. Il tradimento è esplicito.
Forse la parola potrà sembrare pesante, ma come descrivere la dissociazione del Pd dalla sua campagna elettorale, sfociando nelle negate larghe intese, e il tradimento dal sentire comune di gran parte dei suoi elettori, soprattutto giovani che occupano le sedi del partito in tutta Italia? Sembra il detto popolare “passata la festa, gabbato il santo”.
Forse solo Epifani, Barca, Nencini e Vendola, possono convocare gli stati generali per un partito della sinistra democratica italiana, nel solco del socialismo o della soialdemocrazia europea. Un partito chiaro. Bisogna proprio, finalmente, che questo blob di partito attuale possa dividersi e una parte possa ritornare nei propri alvei politici, storici e trasparenti per quello che sono. Renderebbero il nostro un normale paese europeo e potrebbero avere, forse, meno compromissioni.
Non è bastato a Vendola firmare un impegno di «lealtà agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro paese» (vale a dire l'agenda Monti, Maastricht, Lisbona, Fiscal Compact, austerity, etc.), la ferocia della «destra proprietaria» (come l'ha recentemente definita Rossana Rossanda) che in Italia si combina con le cosche del centro-destra-sinistra e la Confindustria, sempre dolente e piangente, non lascia margini nemmeno a Sel e nemmeno alla scelta di opposizione.
Dopo l’impegno, a chi e a che cosa?
Ma se il Pd non si divide, la fine di Sel è preannunciata. Nessuno, in coalizione forzata dalla legge elettorale, può mettere il bastone tra le ruote del Pd e fare opposizione al governo. Non c’è due senza tre. Lo abbiamo visto con i comunisti e la sinistra radicale, fuori dal parlamento. Lo abbiamo visto con Italia dei Valori, fuori dal parlamento.
A destra non è la stessa cosa. Possono fare quello che vogliono, sia il Pdl che la Lega. Sono a geometria variabile. Così come gli ex democristiani. Un passettino a destra o uno a sinistra, sempre un passettino è, e sempre al centro sono. Con il potente aiuto della chiesa romana. Chissà quanta pressione abbia fatto la Cei, magari telefonando personalmente ad ogni parlamentare del Pd, per evitare che un laico come Rodotà potesse diventare presidente! Sempre se il Pd poteva permettersi di pensarlo.
 

sabato 27 aprile 2013

Che fare?

Il vecchio interrogativo leninista  da noia a ripeterlo ancora oggi, ma è  sempre valido. Siamo un po' tutti in una fase di rigetto della politica perché dai e dai come la psicologia ci insegna, quando ti danno una scossa elettrica ai testicoli sempre e comunque a prescindere da quello che fai, che tu faccia bene o male, che tu scelga  bianco o nero, alla fine ti viene la depressione, ma impedirsi  i pensare  non si  può  e alla fine si torna sempre al punto di partenza. Purtroppo per liberarsi di questa classe politica non basterebbe nemmeno il famoso  asteroide  che ha fatto fuori i dinosauri, tanto i marpioni  si salverebbero  in ogni  caso, lasciando noi sotto le macerie. Che ci voglia l'unità di forze  "progressiste" è  tanto scontato quanto difficile a farsi. Allora che deve fare un disgraziato a cui sta a cuore il bene comune e che vuole ancora essere  protagonista  della storia? Al momento non è dato sapere. Quello che si profila all'orizzonte sinistro  è  un partito socialdemocratico  che sorge dalle ceneri del Pd alleato di Vendola e una Syriza all'italiana fatta da rifondazione, Alba, movimenti vari e chissà  chi altro, tutti a contendersi l'osso con Grillo. Dall'altra parte abbiamo i cespugli  popolar - liberal - liberisti e cattolici, salvati anche questi dalla  combustione  del Pd e fondamentalmente il partito di Berlusconi, alleato  con casinisti  e montiani vari. 
Il dato saliente a mio avviso risiede in due fattori principali: il voto di protesta, che sia nichilista, malpancista o strategico, e la vecchia  e sempre valida composizione sociale, o per peggio  dire gli interessi di classe.  In altre parole  chi riesce  a fare quello che anche Grillo tenta di fare e cioè  un patto fra precari della società, piccola e media impresa  e il cosiddetto ceto medio riflessivo, riuscendo a saldare protesta  e interesse  di parte, magari con l'ausilio di una legge elettorale diversa, allora la spunterà. 
Non credo occorra aggiungere molto altro. 
È poco lo so, ma potrebbe essere  già abbastanza.



venerdì 26 aprile 2013

Non ci avrete mai


 Matteo Pucciarelli da Micromega

Un po' di carica per la coscienza esangue di un popolo illuso e raggirato dal tempo che fu. Potrebbe averla scritta uno qualunque di noi.
 
Mai, come volete voi. Mai, come siete voi. Mai, con la vostra parola che non conta più nulla. Mai, con le vostre promesse timide, scialbe e sempre disattese. Mai, col vostro conformismo. Mai, col vostro conformismo mascherato di anticonformismo.
Mai, con i vostri favori di nascosto e lunghi venti anni. Mai, con il vostro realismo odorante di servilismo. Mai, con il vostro politicismo, chiusi a trattare poltrone. Mai, con le vostre riforme al contrario. Mai, con la vostra pavidità. Mai, con il vostro somigliare a tutti gli altri. Mai, con le vostre ipocrisie. Mai, con la vostra coscienza un tanto al chilo. Mai, con i vostri valori volatili e a buon mercato.
Mai, con i vostri documenti, i vostri congressi, le vostre correnti. Mai, con il vostro pensiero debole. Mai, con la vostra responsabilità, con i vostri governi di salvezza per salvare voi stessi. Mai, con le vostre parole d’ordine svuotate di senso. Mai, con il vostro linguaggio. Mai, con la vostra disonestà intellettuale – e spesso non solo quella.
Mai, con la vostra perdita di memoria. Mai, con le vostre bandiere senza passione.
Mai, con la vostra drammatica mancanza di obiettivi, di veduta, di progresso, di società, di sogno.
Mai, con la vostra mancanza di rispetto. Mai, con la vostra mancanza di coraggio. Mai, con la vostra mancanza di ideali.
Basta così poco, oggi, per essere migliori di voi. Del vostro partito del centrosinistra della destra a cui non crede più nessuno. E a cui sono fiero di non aver mai creduto.

martedì 23 aprile 2013

Sua Castità

di Marco Travaglio da blitzquotidiano

“Complimenti al regista, e anche allo sceneggiatore. Ieri, giorno III dell’Era Napolitana, l’Inciucio Day si è aperto di prima mattina nel supercarcere dell’Ucciardone (e dove se no?) con un sacrificio votivo sull’altare della Casta: un bel falò pirotecnico, non di agnelli o montoni o vergini inviolate, ma di nastri e bobine che immortalavano le quattro telefonate fra il capo dello Stato Giorgio Napolitano e l’indagato per falsa testimonianza Nicola Mancino, implicato nella trattativa Stato-mafia. Con mirabile devozione e scelta di tempo, la Cassazione partecipava festosa all’incoronazione di Re Giorgio rendendo note le motivazioni della sacra pira: intercettare l’indagato Mancino senza prevedere che avrebbe chiamato il Quirinale per ricattarlo e senza rassegnarsi all’idea che la legge non è uguale per tutti fu, da parte dei giudici di Palermo, “un vulnus costituzionalmente rilevante”. Non contenti, i supremi cortigiani hanno disposto l’ennesimo rinvio della decisione sul trasloco dei processi a B. da Milano a Brescia, facendo slittare sine die il processo Ruby e allontanando così il giorno della sentenza, onde evitare che il noto puttaniere subisse un altro vulnus mentre s’appresta al trionfale ingresso nel governo di larghe intese. Illuminato e circonfuso da quel fuoco purificatore, il nuovo Re Sole si è recato in quel che resta del Parlamento per il tradizionale discorso della Corona. E lì ha abilmente scudisciato la Casta di cui fa parte dal 1953, raccogliendo applausi, standing ovation e ola dai frustati medesimi, ben consci che il gioco delle parti imponeva l’esercizio sadomaso per il bene supremo della sopravvivenza, all’ombra del Santo Patrono e Lord Protettore della banda larga. Copiose le lacrime sparse da Sua Castità, nella migliore tradizione del chiagni e fotti. All’incoronazione seguirà – come da cerimoniale della Real Casa – la grazia del Re, onde evitare che i sudditi scoprano l’ “orrore” (men che meno in “piazza”) di larghe intese con un condannato per frode fiscale, rivelazione di segreti ed eventualmente concussione e prostituzione minorile. Il quale saggiamente prorompe in un liberatorio “Meno male che Giorgio c’è”. Qualche irriducibile frequentatore di piazze o (Dio non voglia) della Rete avrebbe preferito vedere, al posto di Sua Castità, un uomo libero come Stefano Rodotà. Ingenui. Mai un moralista di tal fatta avrebbe potuto raggiungere lo scranno più alto di Montecitorio senza essere abbattuto a pallettoni dagli unici autorizzati rappresentanti della volontà popolare. Basti pensare che l’incauto giurista, nel 1991 quand’era presidente del Pds, osò financo apporre la sua prefazione a un libro, Milano degli scandali di Barbacetto e Veltri, che anticipava le indagini di Mani Pulite sulla corruzione trasversale Dc-Psi-Pds. Fu ipso facto deferito ai probiviri del partito su richiesta di alcuni protagonisti del libro, essendo venuto meno al dovere di omertà mafiosa verso i compagni che rubano. La procedura fu poi – per così dire – superata dagli eventi: i protagonisti del libro erano quasi tutti in galera e certi viri erano tutt’altro che probi. Ma il reprobo fu comunque punito come meritava: candidato del Pds a presidente della Camera, fu battuto da Napolitano, già protagonista di epiche battaglie contro la “questione morale” di Berlinguer e comprensibilmente leader dei miglioristi filo-craxiani, ribattezzati a Milano “piglioristi” per le mirabili arti prensili di alcuni di essi (il loro giornale, Il Moderno, era finanziato da Berlusconi, Ligresti, Gavio e altri gentiluomini). Pochi mesi dopo i magistrati di Napoli arrestavano per tangenti il manager Fininvest Maurizio Iapicca, sequestrandogli un quadernetto con la lista dei politici “vicini” al gruppo B.: tra questi campeggiava il nome di Giorgio Napolitano. Il che rende gli applausi, le standing ovation, le ola e i “meno male che Giorgio c’è” di ieri vieppiù meritati.”

‘Questi politici hanno perso la testa’, intervista a Stefano Rodotà

di Daniela Preziosi da soggettopoliticonuovo

«In questi giorni ho cercato di fare con discrezione, ma con decisione, quello che si doveva fare. A quelli che dicevano ‘Rodotà non si pronuncia?’, dico che le cose non si fanno in trenta secondi. E a giudicare dalle reazioni, mi pare di esserci riuscito». Il professor Stefano Rodotà, l’«altro» candidato alla presidenza della Repubblica, quello delle forze contrarie alle larghe intese, ha ascoltato Napolitano in tv.
Cosa pensa delle parole di Napolitano?
La prima osservazione è una conferma: l’irresponsabilità o l’interesse dei partiti hanno trascinato il presidente nella crisi che loro stessi hanno creato. Hanno messo il presidente con le spalle al muro: siamo incapaci, pensaci tu. Un passaggio di enorme gravità politica. La seconda: Napolitano è stato indotto a un discorso da presidente del consiglio. E poi c’è una terza. Sono scandalizzato: mentre Napolitano diceva dell’irresponsabilità dei partiti, quellli applaudivano invece di stare zitti e vergognarsi. Hanno perso la testa.

Piazza e parlamento non si possono contrapporre, ha detto.
Vanno riaperti i canali di comunicazione fra istituzioni e società, soprattutto dopo il governo Monti, con il parlamento ridotto a passacarte. Posso ricordare che nel pacchetto della Costituente dei beni comuni ho predisposto un testo per l’obbligo di presa in considerazione da parte del parlamento dell’iniziativa popolare. Basterebbe una modifica dei regolamenti parlamentari.

E nella crisi, cosa pensa del Pd?
Da tutta questa vicenda è uscito vittorioso Berlusconi, che sta imponendo le sue condizioni, e il Pd è andato a raccomandarsi al Colle, e poi ha dato di nuovo spettacolo.

Napolitano indica la strada delle larghe intese. Secondo lei è l’unica?
Non posso mettere fra parentesi il fatto che la larga intesa si fa con il responsabile dello sfascio e della regressione culturale e politica di questo paese. Si faranno interventi economici, si utilizzeranno i modestissimi documenti dei saggi, ma non potrà essere affrontata nessuna della questioni che possono restituire alla politica e al parlamento una qualità di interlocutore della società. Larghe intese? Il protagonista è Berlusconi.

Lei dice: resto un uomo di sinistra. Ora guarda a Vendola?
Sono contento, ma anche molto sorpreso, di questo senso di identificazione emerso nei miei confronti. Io ho una lunga storia personale nella sinistra, di lavoro teorico ma non solo: le forze politiche non hanno capito niente del referendum sull’acqua votato da 27 milioni di persone, e io ho invano cercato di far ricevere i promotori dal vertice del Pd. Ho letto microvolgarità su di me. Come: Rodotà non prende mai un autobus. Non ho preso l’autobus in questi giorni perché per me era imbarazzante. Sull’aereo si sono messi ad applaudire. Hanno riesumato Carraro per fargli dire che Rodotà sta nei salotti. L’unico salotto a cielo aperto in cui sono stato si chiama Pomigliano. Lì, alla manifestazione della Fiom, ho portato lo striscione con il mitico Ciro. Sarò alla manifestazione della Fiom del 18 maggio. Io non ho niente di carismatico. Semplicemente, testimonio che si può lavorare sulle cose: beni comuni, acqua, le discriminazioni. Certo, questa vicenda mi carica di responsabilità. Però, prima voglio vedere con chiarezza le cose. Proprio sul manifesto, appena nata Alba avvertivo di fare attenzione a mettere in piedi un soggettino pronto a sfasciarsi alla prima occasione. Quale cultura politica possiamo mettere in campo?

A proposito di futuro, cosa vede nel futuro del Pd?
In questo momento temo un vero rischio per la democrazia. Il Pd sembra inconsapevole del fatto che la sua frammentazione apre una grande questione democratica, un vuoto. Se viene meno un soggetto forte della sinistra e ci sarà un puzzle impazzito, avremo il confronto Berlusconi-Grillo. Una specie di livello finale.

Lei ha scritto sulla democrazia elettronica come il populismo del terzo millennio. Poi è diventato la bandiera dell’M5S, che professa la democrazia elettronica.
La democrazia elettronica e la tecnopolitica ha vari modi di manifestarsi. Ma certo che c’è una differenza fra chi ritiene che tutto si risolve nella rete e chi ritiene che la rete ha un ruolo crescente. Grillo ha operato in rete, ma quando è venuto il momnento elettorale ha riempito le piazze. Basta pensare a No bavaglio, Se non ora quando: qualcosa che prima era consentito soltanto alle grandi organizzazioni strutturate, partiti sindacati e Chiesa. Le piazze erano state svuotate dalla tv, la rete le ha ririempite. Oggi dobbiamo lavorare su questo. Non siamo al duello finale fra democrazia di rete e democrazia rappresentativa. Piuttosto, vedo un obbligo: nella Costituzione c’è un filo sottile fra referendum e iniziativa popolare che dev’essere rafforzato non come una via alternativa. Nel Trattato di Lisbona c’è un’apertura importante in questo senso. I sindacati europei stanno promuovendo un’iniziativa per chiedere alla Commissione di stabilire le regole sulla non privatizzabilità del servizio pubblico. Sa quante firme sono state raccolte finora? Un milione e 600mila in tutta Europa. È il momento di lavorare su questo. Faccio un’aggiunta personale: Rodotà non è stato inventato da Grillo. Il mio nome circola da mesi sulla rete. Insieme ad altri: la rete ha selezionato tutte persone di sinistra, ci metto con qualche fatica anche Emma Bonino, ma certamente anche Romano Prodi. Questo punto dovrebbe farci riflettere. Ci sono delle oscurità? Grillo e Casaleggio avranno fatto un complotto per tirare fuori solo nomi di sinistra per mettere in difficoltà la sinistra? Il fantasma della rete si aggira. E la politica sa fare solo tweet.

Che idea si è fatto si Grillo?
Posso dire le cose su cui sto riflettendo. La parlamentarizzazione del 5 stelle è ormai un dato di fatto. Quando l’altra sera Grillo ha parlato di golpe, ed io poi ho dichiarato di rispettare la legalità parlamentare e di essere contrario alle marce su Roma, alcuni del 5 stelle mi hanno detto che questo ha aiutato a evitare una bagarre. Io non so quale sarà il futuro del 5 stelle. Stanno in parlamento, vedremo come utilizzeranno lo strumento parlamentare. Hanno insistito perché si cominciasse a lavorare nelle istituzioni, non mi pare che siano andati in parlamento con la dinamite. Come si fa a dire che il Movimento 5 stelle è incostituzionale, quando anche su Repubblica con tanti abbiamo riflettuto sull’incostituzionalità del berlusconismo?

A proposito, Scalfari le ha detto che bisogna fare la politica con cuore, e anche con il cervello.
Non è una bella maniera, in molti mi hanno spesso rimproverato di aver messo sempre in campo troppi elementi di ragione. E però: la cultura illuminista, cara a Scalfari, ha rilanciato tre valori. Libertà, uguaglianza e fraternità. Perché la fraternità è stata la figlia minore della triade rivoluzionaria?


Fonte: Il Manifesto

 

domenica 21 aprile 2013

Ho sbagliato

di Tonino D'Orazio

Lo prevedevo, diciamo pure lo speravo, ma Napolitano non è andato via. Ho sbagliato, non è finita. Le altre spallate alla Costituzione arriveranno puntualmente. Il capo si arroccherà sulla poltrona fino alla morte, malgrado tutti. Forse ci costerà anche qualche funerale di “stato”, una mano sul cuore e l’altra altrove. Il peggiore presidente della storia della repubblica, replica. Contento lui che può continuare a pavoneggiarsi e sentenziare al limite del banale, per non utilizzare altri termini. Sempre che possa presentarsi ancora tranquillamente in pubblico senza essere fischiato dovunque vada. Contento Obama. Contenti i paesi oppressori e i tecnocrati europei. Contenti quelli del Pdl, di Monti e degli ex-fascisti che rientrano in gioco per la continuità e lo scempio del nostro paese. Grande esperienza, ci sono da 20 anni. Contenti i Pd meno elle, si sono ricompattati e possono finalmente inciuciare di nuovo, in grande riconciliazione, alla faccia dei loro iscritti. Contenti i Sel, si sono smarcati al momento giusto, quando serviva, giusto in tempo per iniziare una parabola discendente alla Di Pietro se i suoi eletti tenteranno ancora di intralciare il Pd. E’ successo ai comunisti, poi ai dipietristi e poi, se la legge elettorale rimarrà identica, o affine con il premio di coalizione, toccherà a loro. Come si può prevedere non c’è due senza tre.
Malgrado i teatrini che saranno capaci di fare con il prossimo governo di “larghe intese” sponsorizzato dal “nuovo” che avanza, Napolitano, c’è da sperare che non la facciano questa riforma elettorale. Visto che questa parola “riforma”, per almeno quindici anni, ha rappresentato solo una feroce diminuzione dei diritti di cittadinanza e di sgretolamento della Costituzione, soprattutto in tempi così bui per la repubblica, speriamo non la facciano. Viaggeremo verso un presidenzialismo fascistizzante. Al peggio sembra non esserci fine.
Tutti contenti, eccetto quelli che possono rappresentare una nuova speranza per il nostro paese e sicuramente per milioni di cittadini. Il “colpo di stato” che non c’è, in realtà, per quanto riguarda legalità e funzionamento istituzionale, c’è però nella riproposizione della continuità del disastro nazionale che i cittadini hanno fortemente rifiutato. Dando voti (due terzi del totale) comunque a due coalizioni che propugnavano il cambiamento, uno a parole come dimostra adesso il Pd, l’altro nuovo e radicale sulla moralizzazione come il M5S. Sta qui il “colpo di stato” contro la volontà popolare espressa elettoralmente. Ed è questa la colpa del garante Napolitano, di aver disprezzato gli elettori e riproposto il palazzo bunker gestito da altri paesi. Il Pd è andato sul deleterio e il “vecchio”, in un lento suicidio politico soprattutto di questi giorni, ma connaturato alla sua fluttuante e confusa linea. Anzi si può dire oggi che tatticamente hanno tentato di logorare il M5S cercando di lasciarlo con il cerino in mano. Il Pd potrà ricompattarsi sugli affari e sulle spartizioni di cosiddetto potere; hanno i loro santi scandalistici in continuazione, ed è quello che hanno scelto. Sono costretti a ricompattarsi. Ma quali dimissioni della segreteria. In Italia non si dimette mai nessuno, soprattutto se perdente. Nemmeno Renzi potrà urlare “al voto subito” dopo aver scassato (a nome di chi?) e rottamato il suo partito se non forse anche suicidatosi sulla sua leggerezza politica.
Forse l’intervento del ministro Barca, in un momento drammaticamente sbagliato, ha tentato di riportare il Pd sulla normalità europea di una sinistra, anche “socialdemocratica” piuttosto che socialista (ancora in dotazione al fantomatico Psi), alternativa alle destre, almeno elettoralmente, tentando di sgravarlo di dosso dall’ipoteca cattolica onnipresente e ricollocandolo nell’ambito della volontà popolare espressa elettoralmente. Purtroppo il laico vero e serio, come lo vuole la nostra Costituzione, non poteva che essere Stefano Rodotà.
Ancora un vulnus di reazione nella rielezione del canuto Napolitano. L'art. 84 della Costituzione recita: "L'ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica." Viene rieletto un presidente ancora in carica? Napolitano non si è mai dimesso, se la scadenza vera è quella del 15 maggio, la sua elezione é nulla. Va rifatta il 16 maggio. Il Presidente ancora in carica non può essere rieletto, doveva rassegnare le sue dimissioni per essere eleggibile. Ma tanto, per quel che vale la Costituzione in mano ai manipolatori! Pensare che ci giurerà di nuovo sopra. Sicuramente un po’ dei suoi “saggi” troveranno le più squisite disquisizioni giuridiche per rintuzzare questa ipotesi di annullamento.
Potevano eleggere il costituzionalista Rodotà? Ma la domanda del perché il Pd non ha voluto Rodotà, a rischio di sfasciarsi, rimane aperta. O la risposta “alla greca” (voluta dalla Troika) era già scritta. O il governo era già fatto mentre si scherzava bruciando definitivamente un po’ di nomi. Ovviamente quelli del Pd.
Forse su qualcosa ci divertiremo, soprattutto se le presidenze Rai e Copasir (servizi segreti) toccheranno al M5S. Ma è più che probabile che la Rai verrà rapidamente privatizzata, cioè regalata a Berlusconi, e che non sapremo mai nulla sulle stragi di stato, perché i documenti verranno secretati fino al tre mila visti i tempi di permanenza dei politici nelle istituzioni.


sabato 20 aprile 2013

#TuttiaRoma - Appello agli italiani

dal blog di Beppe Grillo
 

Ci sono momenti decisivi nella storia di una Nazione. Oggi, 20 aprile 2013, è uno di quelli. E' in atto un colpo di Stato. Pur di impedire un cambiamento sono disposti a tutto. Sono disperati. Quattro persone: Napolitano, Bersani, Berlusconi e Monti si sono incontrate in un salotto e hanno deciso di mantenere Napolitano al Quirinale, di nominare Amato presidente del Consiglio, di applicare come programma di Governo il documento dei dieci saggi di area pdl/pd che tra i suoi punti ha la mordacchia alla magistratura e il mantenimento del finanziamento pubblico ai partiti. Nel dopoguerra, anche nei momenti più oscuri della Repubblica, non c'è mai stata una contrapposizione così netta, così spudorata tra Palazzo e cittadini. Rodotà è la speranza di una nuova Italia, ma è sopra le parti, incorruttibile. Quindi pericoloso. Quindi non votabile. Il MoVimento 5 Stelle ha aperto gli occhi ormai anche ai ciechi sull'inciucio ventennale dei partiti. Il M5S da solo non può però cambiare il Paese. E' necessaria una mobilitazione popolare. Io sto andando a Roma in camper. Ho terminato la campagna elettorale in Friuli Venezia Giulia e sto arrivando. Sarò davanti a Montecitorio stasera. Rimarrò per tutto il tempo necessario. Dobbiamo essere milioni. Non lasciatemi solo o con quattro gatti. Di più non posso fare. Qui o si fa la democrazia o si muore come Paese.

Napolitano is not my president 1 e 2 (repost Giugno 2012)

Mi sembrava il caso di ripostarli (F.C.)

di Franco Cilli 
Lo voglio dire con estrema chiarezza: questo presidente non mi rappresenta. Costui non rappresenta direttamente tutti i cittadini, ma un'idea di società, figlia illegittima di una falsa concezione illuministica, che vede nel potere di oligarchie (illuminate) l'unica salvezza per il mondo,  e attraverso questa idea rappresenta una classe sociale e politica e determinati gruppi di potere, e per conto dei medesimi, lo stato.  Lasciare che il Pdl e la Lega facessero strame delle istituzioni, tacendo colpevolmente sui loro misfatti per falso ossequio ai valori della democrazia e tacciare poi di populismo (leggasi di eresia) chiunque, movimenti o singoli cittadini, osasse mettere in discussione la sacralità del pensiero unico, è indice della non neutralità della persona del presidente rispetto ai cittadini e alle loro forme di rappresentanza e di aggregazione sociale. Il che contraddice i principi basilari della stessa democrazia liberale. Adesso si pretende anche l'intangibilità nei riguardi di uno de poteri dello stato: la magistratura. E' troppo.
Presidente lei non mi rappresenta perché è l'espressione, in piena continuità con i regime  dei secoli passati, dell'Europa dei forti contro l'Europa dei popoli. E' la negazione anche in termini liberali dell'istituzione statale come delegata a rappresentare la sicurezza di tutti gli individui.
Noi cittadini, precari, disoccupati, depredati, spogliati dei diritti, non ci sentiamo al sicuro con uno come lei a rappresentarci. Per questo lei è virtualmente destituito. 

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Ex stalinista, craxiano, passato al migliorismo, alias liberismo dentro un ex partito comunista, politico di lunghissimo corso, garante della svolta neoliberale italiana per mano di una tecnocrazia fetente. Di chi stiamo parlando? Ovvio, del nostro beneamato presidente. Per fortuna non siamo negli Stati Uniti, sennò gli untuosi corazzieri di regime che fanno da muro a Napolitano, ci riempirebbero di retorica strappalacrime sul valore dell'istituzione che unisce tutto il popolo e ne rappresenta lo spirito eroico e, aggiungerei io, la superiorità morale su tutti gli altri popoli, a prescindere dalla persona che la rappresenta. Ricordo con disgusto il patriottismo di certi americani che alla domanda dell'intervistatore sul perché di tanta foga consumistica, rispondevano con orgoglio:  “spendiamo, perché ce lo ha chiesto il nostro presidente”. Nessuna domanda sull'irrazionalità di un sistema che ti tratta da pollo di allevamento, basta la parola del presidente. Mi viene la pelle d'oca quando nei telefilm americani assisto a scene di patriottismo del tipo “i nostri ragazzi” che vanno a combattere in Iraq per difendere la nostra libertà di pavidi scalda-poltrone. Come dicevo, noi non siamo ancora a quel punto. Ci stiamo arrivando? Ho l'impressione che certi americanofili lo desiderino assai, come desiderano assai un sistema elettorale all'americana, che è tanto più democratico quanto meno sono le persone che votano. Una finzione di democrazia per dare un contentino al popolo e tanto controllo da parte del governo e delle lobbies.

Il senso di colpa per un fantasmagorico crollo della civiltà dovuto allo scarso zelo nel difendere le isitutuzioni, si è impadronito di molti intellettuali italiani, compresi certi tizi che scrivono su un giornale che si definisce comunista, autoelettisi corazzieri. C'è il terrore, complice una cattiva assimilazione di testi classici, di un ritorno ad uno stato di natura prehobbesiano, che è costantemente in agguato e che incombe ad ogni parola di Grillo o a causa dello sfrenato attivismo di certi magistrati. Non si accorgono o fanno finta di non accorgersi, i corazzieri della repubblica presidenziale, che questo leviatano italico, nato da un patto di ferro fra stato e mafia per mano della politica, è l'artefice principale del disordine e dell'insicurezza in cui viviamo, oltre che del disastro imminente che si presenta alle nostre porte. Che patto potremmo aver fatto noi cittadini con questa classe politica e per quale sicurezza? Certo i regimi che si sono succeduti negli ultimi decenni hanno garantito a molti di noi un certo benessere, ma quello che abbiamo lo abbiamo pagato caro. Questa gente ci sparava addosso, con l'indifferenza colpevole di una "maggioranza silenziosa", mentre si spartiva il potere e saccheggiava il territorio. Vogliamo ricordare i governi Tambroni o prima ancora Portella della Ginestra, le stragi di stato e le centinaia di compagni morti ammazzati? E' sicurezza questa? 

Oggi il perno dell'equilibrio è ancora la politica, ma a differenza di ieri, non c'è niente per noi, nemmeno le briciole. Oggi la sicurezza è tutta per la classe politica in sé. A noi rimane solo l'incertezza è la miseria che avanza. 

Napolitano sei tutti noi, gridano ad alta voce i vari D'Alema, Bersani, Letta, Monti, politici e corazzieri servi con il terrore di rimanere disoccupati.

Per questo Napolitano is not my president. Napolitano è il presidente di questi signori della politica che amministra se stessa, è il garante massimo della loro sicurezza, non certo di chi lavora onestamente e si suda la pagnotta.

giovedì 18 aprile 2013

Elezioni italiane: il dato vero è l'avanzo primario. Dimostra che l'Italia può uscire dall'Euro

Di quest'articolo di Forbes non ho trovato versioni italiane, quindi mi sono fatto due palle per tradurlo. Ho saltato la prima parte dove spiega i risultati delle elezioni.
Il seguito spiega uno dei motivi per cui all'italia conviene uscire dall'euro e perché l'articolista vorrebbe una vittoria 5S alle prossime elezioni. (G.R.)


da forbes.com

...Tutti sappiamo che cos’è il deficit pubblico: quando il governo spende più di quanto ricava con le tasse. Per cui deve indebitarsi per coprire quanto spende.
Ma esistono due tipi di deficit: complessivo e primario.
Quello complessivo include gli interessi che vanno pagati sui deficit accumulati nel passato. Il primario non include questi interessi.

Ora, se siamo indebitati fino al collo, un modo per affrontare la situazione è dichiarare bancarotta. Gli stati non possono farlo ma possono dichiarare default. E’ accaduto circa 800 volte nella storia moderna. Però, se ci troviamo con un deficit primario, il default non aiuta, perché bisogna comunque andare a cercare soldi in prestito, visto che il governo sta ancora spendendo più di quanto incassa.
E trovare finanziamenti quando hai appena lasciato i tuoi creditori a bocca asciutta è un po’ difficile. In questo caso il governo è costretto ad aumentare le tasse oppure ridurre drasticamente le spese: ma è proprio quell’austerity per evitare la quale abbiamo dichiarato default. Non ha molto senso.

Se invece ci troviamo in attivo primario ma deficit complessivo, possiamo liberarci dal deficit rifiutando di pagare il debito pregresso. Non c’è bisogno di alzare le tasse o ridurre la spesa, anzi, siccome non si pagano più gli interessi, si potrebbe anche abbassare le tasse ed aumentare la spesa. E questa è la posizione in cui teoricamente si trova l’Italia.
Il bilancio primario italiano si aggira su un avanzo del 3% nel 2012 e del 4% nel 2013.

L’unica ragione per cui l’Italia pratica l’austerity è il pagamento degli interessi sul debito passato. Altrimenti si potrebbe praticare uno stimolo fiscale per rimuovere gran parte della sofferenza economica.

C’è una grande differenza con Grecia, Spagna Irlanda etc., che semplicemente non hanno questo spazio di manovra. E metà degli elettori hanno votato contro l’euro, a favore del ritorno alla Lira.
Chi pensa che l’europa debba andare verso un’unione ancora più stretta si trova in momento spaventoso. Se l’Italia lascia l’euro la questione è chiusa. Metà degli elettori sembra volerlo e l’Italia può permetterselo senza andare in depressione. Anzi, l’economia avrebbe probabilmente un boom lasciando l’eurozona.

Se, come me, pensate che l’euro sia stata una pessima idea, questa situazione è interessante, non spaventosa.
Purtroppo non credo che possa accadere immediatamente. Non essendo uscita una chiara vittoria dalle elezioni, ben presto si tornerà a votare, nel qual caso sarò favorevole ad una vittoria di Grillo, anche se chi appoggia l’UE pregherà perché ciò non accada.


Traduzione italiana di Giuseppe Rossi

sabato 13 aprile 2013

Italian white trash

Sono preoccupato per il diffondersi del fenomeno della conflittualità fra vecchi e nuovi cittadini, anche se almeno al momento, è ancora un fenomeno solo urlato e sporadicamente riproposto, specie quando il clima di tensione sale e i bersagli appaiono a occhio nudo. Sto parlando del luogo comune della discriminazione ai danni dei poveri natii italiani nei confronti di chi invece è immigrato o appartiene ad una delle comunità rom. Un fenomeno che ricorda quello dei cosiddetti white trash americani, i bianchi poveri,  che spinti da un propaganda reazionaria, addebitano all’emigrato latino o asiatico tutti i mali di questo mondo e tutte le colpe per la propria miserabile condizione. 
Non è infrequente sentire discorsi del tipo: “danno la casa popolare prima ai rom e agli immigrati e poi agli italiani”. Stessa cosa per gli asili nido. Giorni fa su Facebook una mia ”amica” ha postato un messaggio pieno di indignazione in merito ad una delibera adottata dal comune di Milano che stanzierebbe milioni per i rom. “Ma come? Qui ci sono italiani che muoiono di fame e si stanziano soldi per chi la svanga rubando o facendo traffici illeciti di ogni tipo?”. Anche nella trasmissione di Santoro di giovedì scorso, nel servizio su Civitanova Marche, incentrato sul tragico suicidio di tre anziani, portati al limite da condizioni economiche disperate, si udivano voci di popolo che denunciavano rabbiosamente discriminazioni a danno degli italiani poveri. Questa ideologia è frutto di una crisi che attraverso un transfert sociale genera le dovute compensazioni ad un senso di impotenza indotto e furbescamente strumentalizzato. La solita storia: si creano le condizioni, attraverso meccanismi economici che favoriscono l’arricchimento spropositato di una piccola parte della popolazione e l’impoverimento della gran massa delle persone e nel contempo si creano ad arte i capri espiatori, che guarda caso sono sempre i soliti: zingari ed immigrati. In questo modo il povero bianco italiano troverà con chi sfogarsi (se non sono meglio di uno zingaro, di chi sono meglio?) e avrà una guerra santa da combattere, mentre coloro che sono responsabili della sua condizione miserabile continueranno a fare i propri interessi, convincendolo che i soldi non ci sono e comunque non ci sono per tutti, che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, che quando si fanno debiti, come farebbe un buon padre di famiglia, questi vanno pagati, e via così con infamie e assurdità del genere. A chi giova questa guerra fra poveri è presto detto, giova ad una classe politica complice di una concezione dissennata della società e dell’economia, ma forse giova alla politica in senso generale. Chiunque, Grillo compreso può strumentalizzare la rabbia e la frustrazione a modo suo. Difficile frenare le reazioni istintive delle persone se i bisogni primari sono insoddisfatti. Secondo alcuni, per la verità la strategia dei potenti è proprio quella di mantenere la gran massa della popolazione sotto il ricatto della povertà e della precarietà allo scopo di impedirne un progresso civile, grave rischio per gli equilibri di potere consolidati,  causa l’insana propensione alla democrazia diretta e a un maggiore protagonismo delle masse, che il progresso e il benessere che ne consegue recano con sé. Prendersela con gli zingari è quanto di più facile ci possa essere, hanno tutte le stimmate giuste, ma è importante capire che prendersela con loro vuol dire creare le premesse per cui un giorno lo zingaro sarai tu e qualcun altro se la prenderà con te. Il problema centrale è la distribuzione delle risorse e un’economia sana che spenda per tutti senza lasciare nessuno indietro. Tutto il resto è solo fumo negli occhi e regresso verso un mondo di gente abbrutita e perennemente in guerra con i propri fantasmi.


venerdì 12 aprile 2013

La tentazione dell’inciucio: qualche dirigente Pd è ricattabile?




di Paolo Flores d’Arcais e Barbara Spinelli da Micromega

Cari parlamentari del Pd, M5S e Sel,

ci rivolgiamo oggi soprattutto ai parlamentari del Pd e di Sel, perchè c’è qualcosa che non riusciamo proprio a capire. Estromettere Berlusconi dalla vita politica e dal potere (compreso il suo monopolio sulla televisione commerciale) non solo sarebbe sacrosanto secondo tutti i canoni delle democrazie liberali occidentali, ma sarebbe anche un vantaggio non da poco per il centro-sinistra. Ora, se una misura a portata di mano, che corrisponde sia all’interesse generale e all’etica di una democrazia sia all’interesse egoistico e di bottega di una forza politica, viene da quest’ultima rifiutata e anzi tale forza politica si muove in direzione opposta (mantenere il Caimano nei gangli decisivi del potere e della politica), l’interrogativo è d’obbligo: perché tanta assurdità?

Il masochismo è infatti comprensibile e accettabile come una delle tante e varie inclinazioni sessuali (in fatto di sesso, tra adulti consenzienti, “di tutto e di più” è l’unica norma liberale), ma in campo politico è un controsenso, oltretutto enigmatico. Nessuna forza politica e nessun singolo politico vuole il proprio male, ama danneggiarsi. Talvolta lo fa, ma per stupidità. Nel caso che stiamo esaminando, però (la possibilità di estromettere B. dalla politica e dal potere), neppure la stupidità può essere una spiegazione, perché è talmente evidente, anche al più stupido del genere “homo sapiens”, che la soluzione prospettata sarebbe di enorme vantaggio per il centro-sinistra, e carica di rischi invece la scelta opposta, che la spiegazione di tanto pervicace “masochismo” va cercato altrove.

Dove? L’unica spiegazione logica che resti, visto che ogni interesse generale, ogni valutazione etica, ogni interesse di bottega spinge nel senso della “estromissione”, è che una parte del gruppo dirigente Pd+Sel sia ricattabile. Ovviamente dei contenuti e ingredienti di tale “ricattabilità” nulla possiamo sapere e neppure immaginare, ma se non ci viene data una spiegazione più plausibile, quella della “ricattabilità” (anche solo mentale) resta l’unica in campo. In un dialogo di oltre dieci anni fa su MicroMega, Giuliano Ferrara spiegava a un allibito Piercamillo Davigo che la prima dote di un politico deve consistere nell’essere ricattabile. “Non ricattabile, vorrà dire”, insiste Davigo. No, proprio ricattabile, replicò a quel punto Ferrara, perché un politico non ricattabile non è affidabile.

Pd e Sel hanno da guadagnare un Perù dalla estromissione di Berlusconi dalla politica e dal potere (del resto perfino la destra “presentabile” che si fa chiamare “centro” ha analogo interesse). L’Italia, la sua democrazia, la convivenza civile, la considerazione del nostro Paese in Europa e nel mondo (sia presso l’opinione pubblica che presso gli establishment), ne trarrebbero un impareggiabile giovamento, e del resto in nessuna democrazia liberale sarebbe mai stata tollerata la presenza in politica di chi assommasse il potere mediatico di un Murdoch a quello economico di un emiro.

Perciò, se il Pd e Sel non operano sollecitamente per dichiarare Berlusconi ineleggibile, se non scelgono un Presidente della Repubblica che – in quanto Custode della Costituzione repubblicana e dei suoi valori – rifiuterà di sottomettersi alle pressioni di Berlusconi, alle cui esigenze resterà indifferente, dovranno spiegare ai loro elettori perchè mai preferiscano un comportamento che è scellerato secondo i parametri di una democrazia liberale e al tempo stesso masochista fin quasi al suicidio per Pd e Sel medesimi.


La sostanza del Grillo

Che facciamo? C'è lo stallo, che si fa quando c'è uno stallo? Semplice si gioca un'altra partita. Non credo valga la pena di sprecare troppo parole: i grillini sono inaffidabili, anche se hanno ragione su molti punti, e su uno in particolare, l'irriformabilità di un sistema dove le varie componenti sono parti di un unica sostanza. 
Bersani biascica, non parla, allude, dice mezze frasi, lasciando il discorso in sospeso, esprime concetti generici e mai niente di specifico e di concreto. Perché Bersani è un così pessimo comunicatore? Perché la frase più graffiante che è stato in grado di dire è : “ ti conosco mascherina” riferendosi a Berlusconi? Colpa sicuramente di una forma mentis modellata dalle geometrie piatte della pianura padana e dalla nebbia appiccicosa che la avvolge, ma non solo. Persino un bambino saprebbe cantargliele ai berlusconiani, basterebbe evocare costantemente i Dell'Utri, i Mangano, i Previti, i soldi di provenienza dubbia, le leggi ad personam e infinite altre porcate e si potrebbero zittire per sempre, è solo una questione di modi e tempi nel pronunciare la battuta, ma i politici navigati queste cose dovrebbero conoscerle. Invece niente, mai niente, anzi addirittura spesso si fanno dare lezioni di morale dai pidiellini che di par loro non si fanno sfuggire un'occasione per suonargliele al Pd, fosse un Penati o qualche oscuro burocrate sorpreso con le mani in pasta. Perché tutto ciò? Semplice, perché cane non morde cane, o se preferite la metafora spinoziana, la sostanza ha mille attributi ma è sempre unitaria, ed è questa in poche parola l'essenza del pensiero grilliano, non si può fare accordi con un parte sapendo che tale parte non si può separare dal tutto. Il Pd non può fare opposizione al Pdl perché dovrebbe farla anche a se stesso e quindi non si può permettere di essere troppo incisivo nella sua azione, dovessero scoprirsi altarini e saltare puntelli fondamentali del sistema. Grillo ha ragione da vendere su questo, se non fosse che la politica è di per sé imperfetta e compromissoria, ed è per questo che la ragione anche se giusta come in questo caso, non funziona. 
Risolvere questo vecchio dilemma, è cosa difficile. Pare che la democrazia diretta l'abbiamo scoperta adesso, quando già Rousseau si è posto gli stessi nostri problemi duecento anni or sono, senza riuscire a venire fuori da un'aporia fondamentale, quello del non dover delegare le decisioni per non smentire il principio della “volontà generale”, senza poter evitare di doverlo fare in un contesto in cui le istituzioni risultano un elemento inaggirabile, per la necessità di un'azione rapida e l'impossibilità di mediare con ogni singola testa.

Vorrei avere un'idea più pratica per risolvere questo impasse, ma l'unica cosa che mi viene in mente è l'augurio che il Pd si scinda, nasca una sinistra in grado di governare e permetta a Grillo di fare un'opposizione seria. Augurio che presuppone una condizione ancora più utopistica della capacità dei grillini di governare.

Ultima spallata alla Costituzione

di Tonino D'Orazio

Il presidenzialismo, o, per meglio intorbidire le acque, il semi-presidenzialismo, sempre alla francese. Un presidente “semi”, la solita mediazione italiana affinché non sia mai qualcosa di chiaro.
Siamo già riusciti a fare sì che i due rami del parlamento si annullino e per far funzionare un esecutivo, il governo, ci debbano essere le peggiori amalgami ideali e politiche. La mercificazione degli interessi o lo stallo.
Che si possa far svolgere una funzione diversa al ramo Senato non è una cosa indecente, anzi, purché le funzioni siano chiare. Mettersi d’accordo su questo, però, mi sembra difficile, e tutti i fallimenti delle commissioni bicamerali sono presenti alla nostra memoria. Più facile trovare un presidente che comandi su tutti. I collegi elettorali? O a uno o all’altro.
Quello che rimane preoccupante è la fase finale del programma fascista della loggia massonica della P2 di Gelli ormai in atto e riuscito con un forte sgretolamento della Costituzione. Dopo aver impostato una cultura non partecipativa ma sempre più di vertice, di capi, gli unici che possono velocizzare le decisioni e abbiano potere di far funzionare le cose, i commissari, il necessario leader altrimenti non si “va avanti”, siamo arrivati ai tecnici, imposti dal presidente, che possono rimpiazzare gli esecutivi parlamentari. Siamo già di fatto in un ambiguo presidenzialismo, e la terminologia strombazzata “governo del presidente”, “governo di scopo” già non inquieta più nessuno.
Lo stesso sistema elettorale non fa che propugnare un leader, in un falso democratico e costituzionale clamoroso perché addirittura già designato elettoralmente capo dell’esecutivo, a cui il parlamento dovrà per forza affidare il governo.
Anzi il sistema parte già all’interno dei partiti i quali propugnano un capo, o un leader, o un segretario magari eletto in primarie “private”, perché di partito, che potrà, dovrà, diventare capo del governo. Notate che anche la parola “Presidente del Consiglio” sta scomparendo nella dizione quotidiana di alcuni giornali, sostituita da “capo del governo”. Tutto il potere a uno di triste memoria. E’ una nozione culturale proprietaria. Come il “capo dello stato” e non il presidente della repubblica. E’ la difficile posizione di Bersani. Ha vinto le sue primarie per governare il paese, e pur non avendo vinto le vere elezioni repubblicane, il parlamento non glielo vuol riconoscere e il presidente nicchia e ciurla perché in testa non ha altro che l’inciucio e il disastro (negato) della “continuità” prima di andare via.
In seguito a questo concetto gli stessi cittadini sono costretti a votare per uomini o donne decisi, o mediati, dal leader. La metà della nostra Costituzione può considerarsi espropriata, in nome di una efficienza che non ha funzionato.
Ormai i tempi sono maturi per inserire questo concetto di “capo” in Costituzione, e tutti i leader si adoperano a mettere fra le varie urgenze tutte le “riforme” possibili per sgretolarla definitivamente. In questo c’è anche un asse tra Pdl e Pd a definire la nostra Costituzione “obsoleta”, propugnando non solo la trasformazione degli aggiustamenti per un migliore funzionamento dello stato, pur necessario, ma anche sui valori e gli ideali in essa contenuti. Non dimentichiamo che i neofascisti, i banchieri e gli industriali, hanno governato il paese in questi ultimi vent’anni. Con il fiscal compact, che mette a disposizione di paesi terzi la nostra economia e autonomia, anche parlamentare, non hanno esitato minimamente ad inserirlo in Costituzione. La modifica è tale che sembra che nessun referendum possa ormai cancellarla, a meno di uscire dall’euro facendola così decadere di fatto. Anzi la “modifica della Costituzione”, senza entrare nei dettagli perché si vedrà dopo “cosa fare”, rientra in un eventuale patto di governo Pdl-Pd voluto dal piduista Berlusconi. Si può anche presupporre una cessione di autonomia del nostro paese, in parte, ma solo verso organismi europei federali e parlamentari con poteri effettivi di armonizzazione fra gli stati dell’Unione. Non verso plenipotenziari tecnocrati, gente che nessuno ha eletto. Grazie presidente garante! Si goda le sue tre o quattro pensioni, abbia la decenza di non percepire ulteriori emolumenti come senatore a vita e speri che la storia non scavi troppo nel suo settennato.
Se l’Europa di oggi è fondata solo sull’euro e sul massacro del sociale e dei lavoratori, essa non merita un interesso storico nella costruzione degli stati uniti d’Europa. L’euro poteva rappresentare una parte non indifferente, ma secondaria e non di preminenza assoluta. L’Europa oggi rappresenta per molti popoli, eccetto per i ricchi che comunque hanno trasferito tutti le loro ricchezze altrove, sempre più il nemico. Bel risultato! Non vale la pena costruire questo tipo di Europa che ci stanno somministrando forzosamente e si deve ritenere giusta l’ipotesi di uscire da questo sgorbio storico che dal trattato puramente mercantile di Lisbona ci ha fatto già perdere vent’anni e forse pure mezzo secolo. Bisogna ricominciare da tre, anche sulle macerie, se si hanno altri ideali. Bisogna ricominciare dal concetto di comunità, termine molto simile a solidarietà. Qualunque referendum tendente a farci uscire dalla gabbia costruita intorno a noi viene definito eversivo. Sono riusciti a non farlo fare alla Grecia, ma vedrete, non per molto. Per l’Italia proprio di questo eventuale referendum si è preoccupato l’altro giorno l’ambasciatore tedesco in Italia chiedendone ragione in un incontro specifico, (richiesto e con apprensione), ai capigruppo parlamentari del Movimento Cinque Stelle, che tra l’altro non lo hanno affatto rassicurato. Anzi hanno ribadito che verrà chiesto il parere al popolo perché è anche un problema di democrazia. E’ la dimostrazione che non tutto può essere delegato e quando questa rappresentanza non è condivisa si torni al popolo. A meno di considerarlo sempre scemo, impaurito e incapace.


mercoledì 10 aprile 2013

Madonna Bonino

Mi trovo in piena sintonia con Travaglio in merito al giudizio sulla Bonino. Ritengo che sia una di quelle persone la cui integrità morale e la cui dedizione alla causa non sia dissimile dallo zelo dei colonizzatori inglesi che massacravano i popoli ritenuti barbari autoconvincendosi di agire per il bene del progresso dell'umanità
 
di Marco Travaglio da notizie888.it
 

Quando ho scritto “Si fa presto a dire Bonino”, la sapevo apprezzata da molti italiani per le caratteristiche che illustravo nelle prime righe: donna, competente, onesta, impegnata per i diritti civili, umani e politici in tutto il mondo. Non la sospettavo, però, circondata di persone adoranti che la guardano con gli occhi che dovevano avere i pastorelli di Fatima davanti alla Madonna. A questi innamorati che non sentono ragioni, anzi preferiscono non conoscere o non ricordare le zone d’ombra (solo politiche, lo ripeto) della sua lunghissima carriera politica, non so che dire: al cuore non si comanda. Rispondo invece alle cortesi obiezioni del segretario radicale Mario Staderini, il quale – diversamente da me – la ritiene il presidente della Repubblica ideale. E, per nobilitarla e dipingerla come antropoligicamente estranea al berlusconismo, cita alcuni suoi imbarazzanti avversari (Ferrara, Gasparri, Libero ). Potrei rispondere che invece Mara Carfagna la vuole al Quirinale, ma preferisco concentrarmi sulla biografia della Bonino. Chi auspica un Presidente estraneo alla casta, tipo Zagrebelsky, Settis, Gabanelli, Caselli, Guariniello, Strada e altri, non può certo sostenere la Bonino, 8 volte parlamentare italiana e 3 volte europea. I suoi amici la raffigurano come un’outsider estranea all’establishment. Che però non è d’accordo: altrimenti la Bonino non sarebbe stata invitata a una riunione del gruppo Bilderberg, o almeno non ci sarebbe andata. Sulla sua vicinanza, “fra alti e bassi”, al Polo berlusconiano dal 1994 (quando fu eletta con Forza Italia fino al ’96, senza dire una parola contro le prime violenze alla Giustizia e alla Costituzione) al 2006, ci sono tonnellate di articoli di giornale, lanci di agenzia, esternazioni, vertici, incontri, tavoli, inseguimenti, corteggiamenti, ammuine. Il tutto mentre il Caimano ne combinava di tutti i colori, nel silenzio-assenso della Bonino (che ancora nel 2004 veniva proposta da Pannella per un posto di ministro; e nel 2005 dichiarava: “Con Berlusconi abbiamo iniziato un lavoro molto serio… apprezziamo ciò che sta facendo come premier, ma la posizione degli alleati è nota”: insomma cercava disperatamente l’alleanza con lui, che alla fine la scaricò per non inimicarsi “gli alleati” e il Vaticano). Poi la Emma passò armi e bagagli col centrosinistra e cambiò musica. Un po’ tardi, a mio modesto avviso. Ma neppure in seguito, sulle questioni cruciali del berlusconismo (leggi vergogna, rapporti con la mafia, corruzioni, attacchi ai magistrati e alla Costituzione, conflitti d’interessi, editti bulgari e postbulgari), risulta un solo monosillabo della Bonino. Forse perchè, pur con motivi molto diversi, sulla giustizia B&B hanno sempre convenuto: separazione delle carriere, abolizione dell’azione penale obbligatoria (altro che difesa della “Costituzione più bella del mondo”, caro Staderini), per non parlare dell’idea intimidatoria e pericolosa della responsabilità civile dei magistrati che non esiste in nessun’altra democrazia. La corrispondenza di amorosi sensi con B. si estende al No radicale all’arresto di Cosentino perchè “siamo contro l’immunità parlamentare, però esiste”. Al fastidio per i sindacati, definiti in blocco “barbari, oscurantisti e retrogradi” (Ansa, 22-1-2000). E alla lettura dell’inchiesta Mani Pulite come operazione politica filocomunista: per la Bonino le tangenti di Craxi furono solo “errori” e occorre “una rivisitazione seria di cosa è successo dal ’90 in poi: la mia analisi è che indubbiamente, soprattutto nel ’92, si è cercato di risolvere alcuni problemi politici per vie giudiziarie, un po’ orientate perchè poi se n’è salvato uno solo di partito” (Ansa, 19.11.99). Per non parlare dello scandalo delle frequenze negate per dieci anni a Europa7 per non disturbare Rete4 che le occupava abusivamente.
 
Da Il Fatto Quotidiano del 10/04/2013.

Ricostruzione: Barnard bacchetta Barca, non può ricostruire con l'euro. Insulta l'Aquila.

di Paolo Barnard da Abruzzoweb

Il ministro Fabrizio Barca ha dimostrato per l’ennesima volta ai cittadini dell’Aquila la genialità dell’intuizione dell’intellettuale americano Edward Herman, quando definì la nostra epoca storica come quella dove i Poteri hanno “reso plausibile l’inimmaginabile”.
Abbiamo un ministro integrato nel primo governo economicida della storia repubblicana che si presenta nella vostra città, al cospetto della giornata della memoria e del dolore, per dire cose che ci tengo a definire oscene.
Barca ha insultato non solo le 309 vittime del terremoto, ma ha anche preso per i fondelli i vostri concittadini.
Il ministro apre una parte cruciale dell’intervista ad AbruzzoWeb con queste parole: “Contemporaneamente fare un’operazione keynesiana di apertura di cantieri... Le pare che sia un problema per un governo intelligente?”.
Primo, il governo che Barca ha diligentemente servito non è un governo, ma una tecnocrazia democraticamente illegittima insediata dalla Troika europea che nessun italiano ha mai votato.
Secondo, si tratta di un governo che ha ampiamente dimostrato, attraverso tagli selvaggi a tutto ciò che è servizio pubblico e con una tassazione grottesca, di perseguire il disegno Eurocratico di distruzione delle economie del Sud Europa per il vantaggio esclusivo dei poteri Neomercantili tedeschi e della speculazione finanziaria.
Terzo, Barca sa perfettamente che nel contesto sopraccitato la sola menzione di una spesa di Stato di stampo keynesiana è nientemeno che blasfemia, per cui non sarà mai neppure presa in considerazione.
Ma il ministro insiste: “Lo Stato può fare quello che vuole, se no non è uno Stato”. Mi prendo la personale responsabilità di affermare che qui Barca pecca di crassa incompetenza, o più probabilmente di totale malafede.
Il costrutto dell’Eurozona è precisamente sinonimo di totale perdita di ogni sovranità statale, da quella monetaria (Trattato di Maastricht), a quella parlamentare (Trattato di Lisbona) a quella democratica (si veda l’insediamento di Mario Monti).
Barca, se ha letto i Trattati sovranazionali e vincolanti impostici dall’Eurozona, sa benissimo che il Fiscal Compact, da noi ratificato, obbliga Roma a sottoporre alla Commissione Europea ogni singola voce di spesa per approvazione, mancante la quale il nostro governo non può spendere neppure per i cancellini delle lavagne delle scuole.
Infine, un altro Trattato vincolante già approvato, l’Europact, sottopone le decisioni di spesa nazionale a procedure di infrazione da parte di un qualsiasi membro del Parlamento Europeo o della Commissione, o anche al veto di una singola nazione dell’Eurozona.
Ancora Barca ad AbruzzoWeb, dopo la domanda del cronista che chiedeva se l’Italia necessitasse di una moneta sovrana per intervenire efficacemente a favore dell’Aquila: “La moneta è sovrana. È l’Euro”, chiosa il ministro, volendo sottolineare le sue precedenti affermazioni sulla possibilità che questo governo possa facilmente ricostruire la vostra città.
L’Euro non è affatto sovrano per l’Italia, che non lo può emettere, e che lo deve sempre prendere in prestito dai mercati di capitali privati, dovendo poi tassare pesantemente gli italiani per recuperare ogni centesimo speso per loro da restituire ai tali creditori privati.
Impossibile per Roma sborsare fondi per l’Aquila denominati in euro. Semplicemente, anche se accadesse (fantasia), essi sarebbero poi ri-sottratti a voi cittadini attraverso un prelievo fiscale grottesco.
Il ministro inopportunamente conclude: “Su un’operazione come questa io scommetto la faccia, e dimostro al resto del mondo che certo che risistemo la mia Aquila”.
Caro Barca, lei la faccia l’ha già persa in uno show dove, a fronte di migliaia di aquilani provati da anni di dolore, lei ha saputo falsificare la realtà con inesattezze, ignoranza, e cinismo menzognero.

sabato 6 aprile 2013

Si fa presto a dire Bonino

di Marco Travaglio da Megachip


Molti italiani vorrebbero Emma Bonino al Quirinale. Perché è donna, perché è competente, perché è onesta e mai sfiorata da scandali, perché ha condotto battaglie spesso solitarie per i diritti civili e umani e politici in tutto il mondo, forse anche perché è sopravvissuta a Pannella e perfino a Capezzone. Insomma, un sacco di ottimi motivi, tutti veri e condivisibili. Ma della sua biografia, in questo paese dalla memoria corta, sfuggono alcuni passaggi politici che potrebbero indurre qualcuno, magari troppo giovane o troppo vecchio per ricordarli, a cambiare idea e a ripiegare su candidati più vicini al proprio modo di pensare. A costo di essere equivocati, come ormai accade sempre più spesso, complice il frullatore del web, li ricordiamo qui per completezza dell’informazione, convinti come siamo che di tutti i candidati alle cariche pubbliche si debba sapere tutto. “Conoscere per deliberare”, diceva Luigi Einaudi, cuneese come lei.
Nata 65 anni fa, la Bonino è stata parlamentare in Italia sette volte e in Europa tre volte, a partire dal lontano 1976. Da sempre radicale, si è poi candidata nel ’94 con Forza Italia fondata da Berlusconi, Dell’Utri, Previti & C., e col centrodestra berlusconiano è rimasta alleata, fra alti e bassi, fino alla rottura del 2006, quando è passata al centrosinistra. Ha ricoperto le più svariate cariche: deputata, senatrice, europarlamentare, commissario europeo, vicepresidente del Senato, ministro per gli Affari europei nel governo Prodi.
Ed è stata candidata a quasi tutto: presidente della Repubblica, presidente del Consiglio, presidente delle Camere, ministro degli Esteri e della Difesa, presidente della Regione Piemonte e della Regione Lazio, alto commissario Onu ai rifugiati, rappresentante Onu in Iraq, addirittura a leader del centrodestra (da Pannella, nel 2000).
Nel ’94, quando si candidò per la prima volta con B., partecipò con lui e la Parenti a un comizio a Palermo contro le indagini su mafia e politica. Poi, appena eletta, fu indicata dal Cavaliere assieme a Monti come commissario europeo. Il che non le impedì di seguitare l’attività politica in Italia, nelle varie reincarnazioni dei radicali: Lista Sgarbi-Pannella, Riformatori, Lista Pannella, Lista Bonino.
Nel ’99 B. la sponsorizzò per il Quirinale, anche se poi confluì su Ciampi. Ancora nel 2005, alla vigilia della rottura, la Bonino dichiarava di “apprezzare ciò che Berlusconi sta facendo come premier” (una legge ad personam dopo l’altra, dalla Gasparri alla Frattini, dal lodo Schifani al falso in bilancio, dalla Cirami alle rogatorie alla Cirielli) e cercava disperatamente un accordo con lui. Sfumato il quale, scoprì all’improvviso i vizi del Cavaliere e le virtù di quelli che fino al giorno prima lei chiamava “komunisti” e “cattocomunisti”.
Molte delle sue battaglie, referendarie e non, coincidono col programma berlusconiano: dalla deregulation del mercato del lavoro (con tanti saluti allo Statuto dei lavoratori, articolo 18 in primis) e contro le trattenute sindacali in busta paga. Per non parlare del via libera alle guerre camuffate da “missioni di pace” in ex Jugoslavia, Afghanistan e Iraq. E soprattutto della giustizia: separazione delle carriere, amnistia, abolizione dell’azione penale obbligatoria, responsabilità civile delle toghe e no all’arresto per molti parlamentari accusati di gravi reati: perfino Nicola Cosentino, imputato per associazione camorristica.
Alle meritorie campagne contro il finanziamento pubblico dei partiti, fa da contrappunto la contraddizione dei soldi pubblici sempre chiesti e incassati per Radio Radicale.
Nel 2010 poi la Bonino fece da sponda all’editto di B. contro Annozero : il voto radicale in Vigilanza fu decisivo per chiudere i talk e abolire l’informazione tv prima delle elezioni.
Con tutto il rispetto per la persona, di questi errori politici è forse il caso di tenere e chiedere conto.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 06 aprile 2013.

venerdì 5 aprile 2013

Niente comici e froci al Governo

dal blog di Beppe Grillo
 

Dialogo fra Dario Fo e Giuseppina Manin. Anticipazione del libro che uscirà tra qualche settimana. “NIENTE COMICI E FROCI AL GOVERNO”.
Il giorno 2 aprile 2013 arriva al Tribunale di Palermo una lettera di minaccia rivolta al PM Di Matteo tanto esplicita che la Questura si preoccupa subito di raddoppiare la scorta e le difese a protezione dei giudici del capoluogo di Sicilia cercando di bloccare i mafiosi che, con quell’avvisata, vogliono mettere l’accento sulla crisi politica e condizionarne gli esiti.
Ci risiamo con il clima di stragi o è soltanto una minaccia generica?

Ad ogni buon conto il 3 aprile 2013, su Il Fatto Quotidiano si può leggere proprio in prima pagina il testo di un messaggio intimidatorio spedito a firma di Cosa Nostra ai giudici antimafia di Palermo. L’avviso centrale inviato da un personaggio che si firma “un uomo d’onore della famiglia trapanese” è esattamente questo: “Niente comici e froci al governo”.
I commentatori più accorti dei comportamenti della criminalità mafiosa temono che si voglia ripristinare il clima del 1992 quando ebbe inizio una serie di stragi per tutta l’Italia da Roma a Firenze fino a Milano. E soprattutto i criminali misero a segno il massacro di Falcone e della sua scorta e qualche tempo appresso fecero saltare in aria una macchina con un enorme carico di tritolo che uccise Paolo Borsellino e gli uomini che lo accompagnavano.
Anche allora, quelle stragi ebbero inizio proprio durante il crollo della Prima Repubblica “sotto i colpi della crisi finanziaria, di Mani Pulite e della Lega Nord”.
Come oggi, la popolazione viveva in una situazione di vuoto di potere che allarmò la criminalità organizzata di Cosa Nostra. Marco Travaglio sottolinea che la malavita rischiava di perdere il controllo del sistema e quindi reagì con inaudita violenza, “con un mix di stragi e trattative che miravano a ‘destabilizzare per stabilizzare’ secondo l’ormai risaputo sistema della strategia della tensione”.
GIUSEPPINA: Ma con chi ce l’ha Cosa Nostra quando minaccia “guai a voi se eleggete froci e comici al governo?”.
DARIO: Beh, il comico evidentemente è Grillo, non certo Berlusconi, che ha un altro rapporto, ben diverso, con la criminalità organizzata della Sicilia. Un rapporto molto più affettuoso grazie all’intercessione dell’amico fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, che giustamente si può vantare per le sue relazioni davvero pericolose con la mafia testimoniate da una condanna a 7 anni ribadita nell’ultimo processo.
GIUSEPPINA: Ho capito, ma l’altro veto, diciamo così, contro gli omosessuali a cui accenna la missiva minatoria a chi si rivolge? A Vendola forse?
DARIO: Ma no, per carità! E’ un personaggio siciliano naturalmente, rappresentante del Partito Democratico, si chiama Rosario Crocetta, che ha assunto il ruolo di Presidente della Regione Sicilia e che, oltretutto, in compagnia e grazie alle sollecitazioni dei consiglieri eletti fra i Cinque Stelle sta ottenendo un successo mai raggiunto da nessun altra amministrazione nella storia d’Italia.
GIUSEPPINA: Evidentemente quel successo è qualcosa che irrita terribilmente Cosa Nostra, soprattutto perché è di esempio nefasto verso la popolazione, che così può rendersi conto che anche in una regione manovrata dalla criminalità più potente d’Europa, se si posseggono le volontà e gli adeguati progetti si può addirittura gestire la vita di un’isola così vasta e difficile.
DARIO: Sì sì, certo è straordinario che il successo elettorale dei grillini abbia addirittura mosso l’attenzione della mafia. A parte il segnale deleterio di fondo che esprime: con un po’ di cinismo questa attenzione si può anche leggere come una manifestazione di stima.
GIUSEPPINA: Già, lo stesso compiacimento che sicuramente prova un agnello vedendosi ammirato da un branco di lupi che lo osservano con la bava alla bocca... Nonostante tutto quello che è successo, continuano a considerarlo un despota.
DARIO: Beh, speriamo che Beppe non si monti la testa. D’altra parte ad attenzioni del genere lui c’è abbastanza abituato. Basta leggere i commenti di quasi tutti i giornali della penisola ogni volta che esprime un giudizio o dichiara il proprio programma.
GIUSEPPINA: E’ vero, il complimento più comune è sempre quello di essere un despota, un tiranno, il capo supremo di una confraternita di semplici che della politica sanno solo per sentito dire.
DARIO: Poi, soprattutto ci sono i maître à penser che tracciano elogi davvero magniloquenti sull’intelligenza e sulla cultura dei due associati Casaleggio e Grillo da produrre subito un attacco di dissenteria spernacchiosa aritmica.
GIUSEPPINA: Dobbiamo però ammettere che Grillo ha fatto l’impossibile per far levitare un interesse addirittura morboso verso il suo personaggio e il movimento tutto. Quel rifiutare la presenza delle televisioni nazionali durante i suoi comizi, il nascondersi durante le visite delle troupe della RAI e di Mediaset, il negare la partecipazione ai talk show ai suoi seguaci e, soprattutto, gli insulti elargiti in una smoderata sequenza alla volta di giornalisti, uomini politici, commentatori e opinionisti vari di gran fama...
DARIO: Adesso poi che anche la mafia si interessa a lui, chi può più arrestare la sua popolarità? Sarebbe esaltante vederlo protetto da truppe armate dello Stato arrivare sistemato dentro un carro armato dal quale spunta solo la sua testa coperta da un casco guerresco.
GIUSEPPINA: Ci manca solo che il Papa in persona da San Pietro mandi un saluto affettuoso al caro fratello Beppe il genovese.
DARIO: No, meglio ancora, sarebbe di maggior valore se Papa Francesco lo paragonasse al Santo di Assisi dicendo: “Non io son degno di portare quel nome, ma Beppe, solo lui, il nostro giullare più amato. Anzi, mi rivolgo a voi miei fedeli per indicarvelo come l’unico degno di salire al Colle del Quirinale per assumere l’incarico di Presidente della Repubblica del nostro paese!
GIUSEPPINA: Beh mi pare che qui si stia un po’ esagerando...
DARIO: E allora eleggiamolo almeno Presidente del Consiglio, è il minimo che possiamo accettare.
A proposito di mafia: fra tutti i giornali usciti in Italia in questi giorni le minacce di morte ai giudici, agli omosessuali nonché ai comici – leggi Grillo – sono state riportate solo da tre giornali: il Fatto Quotidiano, il Corriere e La Repubblica in testa. Per quanto riguarda invece i telegiornali ben pochi hanno dato la notizia e sempre accennandola a malapena. Siamo arrivati proprio alla barbarie informativa più smaccata.
Infatti nessun’autorità di Stato e di governo pronuncia un monosillabo per dare solidarietà e sostegno ai magistrati nel mirino, “non parliamo ai froci e ai comici”. Come commenta giustamente Travaglio: “Immaginate se la lettera [mafiosa] dicesse ‘non vogliamo al governo il PD’ o ‘Monti’ o ‘Berlusconi’, sarebbe il titolo di apertura di tutti i giornali e tg”. Ma nel nostro caso la regola è il silenzio.
GIUSEPPINA: In compenso quasi tutti i giornali hanno riportato la notizia che il PG della Cassazione Gianfranco Ciani ha appena promosso un’azione disciplinare contro Di Matteo - proprio il giudice che ha ricevuto la minaccia di morte da Cosa Nostra - e la Ministra della Giustizia Paola Severino ha inviato al Procuratore Generale un elogio per l’azione prodotta, per altre ragioni ma legate all’insabbiamento della trattativa Stato-mafia.
DARIO: Ad ogni modo fa impressione il tempismo con cui ci si getta contro personaggi caduti sotto le attenzioni della mafia. Ha quasi il sapore di un biglietto di condoglianze in anticipo. Se succedesse il disastro se la caverebbero tutti a tempo debito con una bella corona di fiori di Stato e Amen.

Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...