di Franco Cilli
“Ci
vuole una nuova narrazione”. In questo piccolo blog è un refrain
ripetuto con paziente attesa da sempre, in modo quasi ossessivo, prima
ancora che una frase del genere la pronunciasse Nichi Vendola.
Certo che ci vuole una nuova
narrazione. Qualcuno crede davvero che bastino i tatticismi di D'Alema
per battere Berlusconi? Il voto è anche il frutto di una sorta di
istinto animale, non si può scegliere di ignorare la pancia, almeno
quanto certe belle donne non possono scegliere di ignorare le rughe del
proprio viso.
La scelta è spesso una accordo
fra l'animo razionale e l'istinto animale, anche se alle volte in alcuni
prevale il primo e in altri il secondo, ma per fare massa
dobbiamo confidare su entrambi.
Il problema più che Berlusconi è
il PD. Non sono scemi quelli del PD, sanno benissimo che Vendola è
l'uomo giusto per battere Berlusconi, ma sanno anche che se lo
candidassero dovrebbero implicitamente ammettere il fallimento
dell'intera classe dirigente del partito. Per loro è in gioco una
questione di sopravvivenza. Meglio una rendita certa, lasciando intatti
equilibri consolidati, sorretti da ferree logiche spartitorie, che
tentare di salvare il paese dalla deriva con avventurose acrobazie,
rischiando il suicidio politico.
Non sia mai che un dirigente locale si arrabbi e faccia saltare il tavolo. Meglio candidare un perdente come Pionati a Milano che irritare Bersani e con lui D'Alema, meglio lasciare un 60% dei voti in Veneto a Zaia, per favorire il pupazzo della nomenclatura, che candidare una come Laura Puppato, che avrebbe avuto qualche chance di rivalsa in futuro. Meglio perdere la Puglia, piuttosto che il vizio degli accordi tattici con “i moderati”, un esercizio che tiene vivo il gioco degli equilibrismi e delle poltrone.
L'ho detto, è questione di sopravvivenza di un ceto politico, ma non solo. I vari Marino, Serracchiani, Scalfarotto e compagnia hanno buona volontà e probabilmente sono brave persone, ma dovrebbero sapere che il ceto sociale che ancora costituisce lo zoccolo duro del PD è un ceto variegato, composto per buona parte da una grossa fetta della borghesia emiliana, umbra e toscana e questi ceti vanno tenuti buoni. Guai a smantellare il sistema politico-clientelare piddino in quelle regioni, vero collante che tiene insieme ceti medio bassi e borghesia produttiva, significherebbe aggredire i gangli vitali di un sistema di potere e di consensi che rappresenta l'unica cassaforte di voti di una certa consistenza del PD. Ci vuole poco per quella borghesia a trovare nuovi e più disinvolti referenti politici, così come è successo a Parma o a Lucca. Oltretutto il partito democratico non esprime solo interessi di partito, bensì interessi di ceto politico in senso lato. Troppa la contiguità con certi personaggi, troppi gli interessi comuni, troppi gli accordi sottobanco in ossequio al tatticismo e alla vecchia scuola del realismo politico, sinonimo di doppiezza e comodo alibi per ogni genere di porcata. E poi ci sono i cattolici, inopinatamente imbarcati nel carrozzone del nuovo partito dei democratici, e poi e poi e poi...Se davvero le persone di buona volontà vogliono il rinnovamento del ceto politico dirigente del Partito Democratico devono fare i conti con questa realtà, con la consapevolezza che il sistema reticolare che costituisce la spina dorsale dell'ex PCI si tiene insieme anche grazie alla capacità di soddisfare una clientela che è tradizionalmente legata al loro apparato, magari anche per storia e vocazione, ma che oggi non è disposta a rinunciare alle proprie rendite di posizione, e con il fatto che non c'è nessuna netta delimitazione fra loro e gli altri.
Non sia mai che un dirigente locale si arrabbi e faccia saltare il tavolo. Meglio candidare un perdente come Pionati a Milano che irritare Bersani e con lui D'Alema, meglio lasciare un 60% dei voti in Veneto a Zaia, per favorire il pupazzo della nomenclatura, che candidare una come Laura Puppato, che avrebbe avuto qualche chance di rivalsa in futuro. Meglio perdere la Puglia, piuttosto che il vizio degli accordi tattici con “i moderati”, un esercizio che tiene vivo il gioco degli equilibrismi e delle poltrone.
L'ho detto, è questione di sopravvivenza di un ceto politico, ma non solo. I vari Marino, Serracchiani, Scalfarotto e compagnia hanno buona volontà e probabilmente sono brave persone, ma dovrebbero sapere che il ceto sociale che ancora costituisce lo zoccolo duro del PD è un ceto variegato, composto per buona parte da una grossa fetta della borghesia emiliana, umbra e toscana e questi ceti vanno tenuti buoni. Guai a smantellare il sistema politico-clientelare piddino in quelle regioni, vero collante che tiene insieme ceti medio bassi e borghesia produttiva, significherebbe aggredire i gangli vitali di un sistema di potere e di consensi che rappresenta l'unica cassaforte di voti di una certa consistenza del PD. Ci vuole poco per quella borghesia a trovare nuovi e più disinvolti referenti politici, così come è successo a Parma o a Lucca. Oltretutto il partito democratico non esprime solo interessi di partito, bensì interessi di ceto politico in senso lato. Troppa la contiguità con certi personaggi, troppi gli interessi comuni, troppi gli accordi sottobanco in ossequio al tatticismo e alla vecchia scuola del realismo politico, sinonimo di doppiezza e comodo alibi per ogni genere di porcata. E poi ci sono i cattolici, inopinatamente imbarcati nel carrozzone del nuovo partito dei democratici, e poi e poi e poi...Se davvero le persone di buona volontà vogliono il rinnovamento del ceto politico dirigente del Partito Democratico devono fare i conti con questa realtà, con la consapevolezza che il sistema reticolare che costituisce la spina dorsale dell'ex PCI si tiene insieme anche grazie alla capacità di soddisfare una clientela che è tradizionalmente legata al loro apparato, magari anche per storia e vocazione, ma che oggi non è disposta a rinunciare alle proprie rendite di posizione, e con il fatto che non c'è nessuna netta delimitazione fra loro e gli altri.
C'è da augurarsi che si verifichi
una deflagrazione interna a questo partito imbelle e paralizzato dalle
sue logiche interne, e che la deriva delle sue parti crei nuove
aggregazioni e possibilmente uno straccio di partito socialdemocratico,
in grado perlomeno di farsi garante di un sistema di regole condiviso,
oltre che portatore delle istanze di quel che rimane dell'idea di stato
sociale. Potrebbe già bastare. Non si pretende certo che si affrontino i
nodi del capitalismo, ma almeno di non affidare la gestione dello stato
ad incappucciati e mafiosi.
Guardiamo l'altro fronte, quello
della sinistra di Di Pietro e dei movimenti. Fortunatamente si sono
fatti dei notevoli passi avanti. Da parte della sinistra si è passati
dalle scomuniche a Di Pietro e all'accusa di qualunquismo di Grillo,
all'ammissione della necessità di un dialogo con queste forze,
consapevoli del fatto che costituiscono ormai la parte maggioritaria di
un fronte sociale che si muove su posizioni critiche rispetto
all'esistente e che la sinistra ha ormai perso ogni capacità di
attrazione e persino un lessico con cui comporre nuove narrazioni. Si è
dovuto fare i conti con una concezione apparentemente regressiva di
stampo legalista espresso dal movimento Viola, da Grillo e da Di Pietro,
per cercare punti di convergenza con tali forze perché la parola
sinistra potesse avere ancora diritto di asilo, per quanto ormai
relegata nel museo delle cere del nominalismo novecentesco.
Si profila una coalizione fra Di
Pietro, Vendola, sinistra e forse Grillo, con l'intento dichiarato di
rimorchiare il PD. A me sta bene e credo di non essere il solo. Non mi
faccio illusioni, ma credo che alternative non esistano. Di sicuro è
impensabile che io dia il voto ad una coalizione dove c'è Casini. Al
massimo dell'emergenza potrei addirittura accettare Fini ma mai Casini,
non fosse altro che per la sua devozione alla tonache vaticane e agli
interessi di suo suocero. Credo che molti la pensino come me. Vogliamo
tutti tirare un respiro di sollievo e svegliarci un giorno senza l'amara
consapevolezza di essere governati da una cricca di mafiosi, para
nazisti dementi mascherati di verde e delinquenti comuni, con un
piazzista a capo. Tuttavia non penso che ci sia ancora qualcuno che
crede ancora alla favola del voto utile. Il PD si può scordare il mio
voto e quello di milioni di altre persone se si allea coi cosiddetti
“moderati”. Alle ultime elezioni l'ho votato per totale mancanza di
alternativa, ma non era un'apertura di credito era solo una scommessa
fatta con la pistola puntata alla testa. Adesso basta.
Se vincerà di nuovo Berlusconi sarà solo ed esclusivamente colpa loro, dei Bersani dei D'Alema e compagnia cantando