mercoledì 10 dicembre 2014

I liceali nel cuore

di Tonino D’Orazio
  
Lo sciopero sociale del 14 novembre scorso, che sicuramente alcuni hanno già dimenticato, ha qualcosa di irreale e meraviglioso nello stesso tempo. Intanto mi riferisco a quello abruzzese di Pescara. Vi ho partecipato perché ritengo che solo loro possano rinnovare e mobilitare l’Italia vera. Insieme alla Fiom che mantiene il concetto di lotta di classe. Tutti senza bandiere. Quella manifestazione mi è tornata in mente guardando quella dei liceali greci dell’altro giorno a Atene, che pure una sponda politica unificante ce l’hanno.

Gli slogan, i manifestini a poco costo appiccicati alle porte pubbliche, un servizio d’ordine giovanile estremamente efficace, una compostezza da tranquillizzare anche la polizia in assetto di guerra, una banda musicale nel corteo; ragazzi del servizio d’ordine che arrivavano, veloci, in bicicletta, per spegnere immediatamente qualche bengala di troppo, … Il lancio dei libri davanti alle istituzioni pubbliche ma immediatamente recuperati sul rimbrotto dei capiclasse presenti e attenti. I libri costano e servono per studiare.

Avvengono incontri affettuosi tra istituti di città diverse, anche tra quelli di Chieti e Pescara, e chi sa delle alimentate politiche di rivalità tra questi due capoluoghi capisce che avviene un fatto normale e straordinario nel contempo. Si saldano amicizie vere e per il futuro.

Alcuni licei hanno mandato in gita scolastica la classe dei “grandi”, il quinto anno. Non importa, il tutto è stato gestito da quelli di terzo liceo. Il nuovo gap culturale avanza anche all’interno della struttura. Ma anche evidentemente con gli universitari, generazione che diventa man mano più apatica e rassegnata. Sembrano spenti dai loro problemi personali di identità di fronte a una regressione storica e inarrestabile degli atenei, sempre più costosi, con molto vecchiume, in rotta finanziaria e senza prospettive. Come per loro. Forse pensano, cultura dominante, che il “fai da te” sia l’unica soluzione nel futuro magari con la spintarella degli amici di papà, come tutti. E’ comunque un po’ l’adattamento, alla meno peggio, al disastro in atto, anche culturale.

Forse i liceali intravvedono meglio il loro avvenire avanzare verso un quasar sociale, un attuale buco nero che li inghiottirà nella disoccupazione, nella povertà, nella miseria e probabilmente nell’emigrazione. Tutti i sintomi ci sono. E anche l’esempio dei fratelli e delle sorelle maggiori. Sono consci, spiano i manifesti, che lo stato sociale, appena ne avranno bisogno in modo più evidente, sarà scomparso e tutto a pagamento. Sono consci della lotta contro i danni ambientali e i beni comuni, unica loro salvezza di vita, salute e benessere. Protestano per la fatiscenza, se non la pericolosità, dei locali in cui vivono gran parte della loro vita diurna.

E uno si domanda, ma i genitori, i nonni, dove sono?

Forse non arrivano ancora, dai loro slogans, a una vera lotta. Sono sì radicali, ma rischiano di diventare sterili e inefficaci. La lotta ideologica è una determinazione essenziale della lotta di classe, senza di essa non c’è teoria, e senza teoria e sviluppo della stessa non c’è organizzazione pratica. Abbiamo di fronte l’esempio lampante di come i ricchi conducono la loro lotta di classe ideologica, insieme alla pistola bancaria, contro i poveri e, ironia, in gran parte proprio con i soldi di questi ultimi. È anche lotta contro l’ignoranza, poiché si propone nel contempo il superamento dell’influenza borghese che li sta massacrando e di creare la base necessaria di conoscenze per rendere effettivamente possibile organizzare la lotta su un piano di realismo critico-pratico. Ma con chi, oggi, se comunque la stragrande maggioranza dei partiti, anche decotti, è tutta assuefatta all’ideologia vincente del neoliberismo, che poi, con un po’ di memoria, tanto neo non è ? Vittoria espressa nel concetto, accettato, del “non c’è alternativa” di thacheriana memoria.

Andranno a votare (appunto non importa per quale partito) per eleggere il Parlamento, dove si approvano le “riforme”. Quelle stesse riforme del lavoro, delle pensioni, della scala mobile, del welfare, dell'istruzione, che da trent’anni in qua hanno fatto da sponda agli interessi del grande capitale, hanno spinto 80% della popolazione senza prospettive e i ricchi a diventare sempre più ricchi contro i poveri. Se non andranno a votare è matematicamente e democraticamente la stessa cosa. E’ vero che la Cgil e il tessuto profondamente democratico hanno vinto alle regionali dell’Emilia Romagna astenendosi da scegliere sempre la stessa cosa, ma non è stato sufficiente contro l’ipocrisia e la continuità ideologica e politica dei “vincitori”. Ci vuole l’alternativa, programmatica ma soprattutto ideologica. Le parole non devono fare paura visto che vengono utilizzate, ma negate, dagli altri.

Chi ha l’obbligo storico, morale (di responsabilità) di dar loro una sponda politica continua a gingillarsi da troppo tempo per essere oggi credibile, aspettando ancora chissà quale godot.

Ripeto, ma i genitori e i nonni di questi ragazzi e ragazze, dove sono?

Nessun commento:

Posta un commento

Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...