di Giuseppe Masala da contropiano
L’arresto in Senegal del militante
panafricano Kemi Seba (nella foto), di nazionalità francese, reo di aver
bruciato, durante una manifestazione, alcune banconote di franchi CFA,
ha riaperto il dibattito su questa moneta considerata da molti lo
strumento principale con il quale la Francia (ma ora tutti i paesi della
zona euro) esercitano il neo colonialismo nell’Africa francofona.
Il Franco CFA nasce nel 1945 con gli
accordi di Bretton Wood; infatti all’epoca si chiamava Franco delle
Colonie Francesi Africane. Successivamente nel 1958 cambia nome e
diventa Franco della Comunità Francese dell’Africa.
Fino a qui tutto normale se non per
due piccoli particolari. 1) il Franco CFA è una moneta ancorata ad un
cambio fisso, prima con il Franco Francese e ora con l’Euro. 2) La piena
convertibilitá del Franco CFA è garantita dal Ministero del Tesoro
francese, che però chiede il deposito, preso un conto del ministero, del
65% delle riserve estere dei paesi aderenti all’unione monetaria.
Dietro queste due tecnicalità si
nasconde il diavolo del colonialismo. Infatti il cambio fisso azzera il
rischio di cambio per gli investimenti delle multinazionali occidentali
nel paesi dell’Unione monetaria. Non basta, il cambio fisso (per giunta
garantito dal Ministero del Tesoro francese) favorisce l’accumulo nei
forzieri delle banche occidentali di immensi tesori frutto della
corruzione dei governanti locali (spesso dittatorelli amici dei nostri
governi).
Come se non bastasse, tutto questo
avviene a scapito dell’economia reale locale, soffocata dalla rigidità
del cambio con una moneta fortissima come l’Euro.
Il secondo punto probabilmente è
anche peggio del primo. Quale nazione sovrana depositerebbe, a garanzia
della convertibilitá della propria moneta, ben il 65% delle proprie
riserve estere presso il ministero del Tesoro di uno stato estero per
giunta quello del paese ex coloniale? Nessun paese sovrano farebbe mai
una cosa del genere, che consegna le chiavi dello sviluppo (o del
sottosviluppo) ad una nazione straniera.
Pensiamo basti questo per chiarire
come il colonialismo sia ancora un fenomeno reale e pervasivo che tarpa
le ali di una qualsiasi opportunità di sviluppo dei paesi africani. Con
buona pace di tanti soloni che parlano senza sapere di cambi e monete, e
che credono che agli africani sia data una grande opportunità nel
venire in Europa (spesso a vendere asciugamani e accendini nelle nostre
piazze) grazie alla possibilità di inviare nei loro paesi, a tasso di
cambio fisso, rimesse che consentono alle loro famiglie in Africa di
campare con pochi euro.
Grazie a questo sistema le nostre
multinazionali hanno invece l’opportunità, a rischio di cambio pari a
zero, di depredare le immense riserve di materie prime dell’Africa
Occidentale: uranio, metalli rari, oro, petrolio, gas ma anche legname
pregiato e derrate alimentari.
Bell’affare per noi, non certamente per gli africani che ci vendono il “coccobello” sulle nostre spiagge.
Non basta di certo la carità di
alcune ONG per sanare questa forma di neocolonialismo monetario, che
azzera le possibilità di sviluppo dei paesi dell’Africa francofona.
venerdì 1 settembre 2017
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