Tonino D’Orazio, 17 maggio 2017.
Il copione è sempre uguale. Il pretesto è per entrare a casa d’altri con l’approvazione ipocrita
di chi ancora crede al diritto internazionale. Assad utilizza (o ha
utilizzato) i forni crematori, come Hitler. “Le armi di distruzione di
massa”, questa volta, quella chimica, non ha funzionato. Non esistono e
sono troppi a dirlo per ricominciare la pallonata. Ma Assad come Hitler
può funzionare. Basta pubblicare una foto di uno strano palazzo e
certificare l’esistenza di un alto forno, da lì a certificare che sia
crematorio, la parola stessa è tabù, il passo è semplice e ad effetto
sicuro. In sei anni di guerra non se ne erano mai accorti.
Da più di
un mese gli statunitensi, i soliti inglesi in filigrana e gli
israeliani, stanno ammassando truppe e armi alla frontiera
giordano-siriana. Le foto dai satelliti sono disponibili su vari siti
internazionali e non sono fake, cioè disinformazione. Vi sono
statunitensi con una brigata intera (4.000 uomini) con vari corpi
armati, e bombardieri strategici B1B. I britannici con intere unità di
carri armati Challenger e di elicotteri di attacco al suolo Cobra e
Apache.
In più vi sono: un esercito eteroclite di “ribelli”, con
olandesi, sauditi, giordani, bahreiniti e sei multinazionali di
mercenari provenienti da orizzonti diversi. Cosa ci farebbero tutti
sulla frontiera giordano-siriana? Alcune forze sono già penetrate nella
base siriana di Tenef, nel sud della provincia di Derâa, a ridosso della
frontiera.
La stessa cosa sta facendo la Turchia, con Erdogan
alla frontiera nord. E’ iniziato lo spiegamento di carri armati,
artiglieria, fanteria, forze speciali, esperti e militari sauditi, nella
provincia di Idlib, cioè nel territorio siriano stesso.
E’ davanti a
tutti lo smacco dell’occidente guerrafondaio con gli accordi di
pacificazione ottenuti dal terzetto Russia-Iran-Turchia a Astana,
capitale del Kazakistan (3/4 maggio), con la creazione di quattro “zone
di sicurezza”, Idlib, Dar’a, Homs e Ghouta periferia est di Damasco,
facendo saltare i nervi della “nostra coalizione”. Tanto è che se si
parla di pace, anche se minima, i nostri mass media sono costretti a
tacere. E’ un po’ come una “no fly zone”, proibita agli aerei della
coalizione e anche a quelli russi e iraniani e mantenuta “in pace”,
invece che dai caschi blu poco affidabili, soprattutto dai
correligionari pasdaran iraniani. Ovviamente l’accordo viene rifiutato
dagli israeliani che in risposta hanno bombardato la capitale della
Siria Damasco. Non sappiamo questa volta quanti bambini sono morti, non
sempre è utile sapere. La scusa criminale è sempre la stessa: difendere
la propria sicurezza ammazzando gli altri a casa loro, preventivamente.
Non si sa mai. E quindi “non osserveranno l’accordo e continueranno i
raids aerei contro qualsiasi attività che possibilmente possa minacciare
il suo territorio”, cioè quello rubato a Palestinesi, libanesi e
siriani (Golan).
Stranamente una zona, Idlib, a nord, quasi
occupata dai turchi con il loro esercito già in loco da mesi, “garanti”
degli accordi e, se funziona, vi potrà rispedire (scusate il termine
volgare), con gran dispetto dei curdi ivi autoctoni, migliaia di
profughi siriani oggi in Turchia bloccati nei campi con i nostri soldi.
L’altra zona è quella a sud, Dar’a, sulla frontiera giordana, anche lì
per permettere a migliaia di profughi di rientrare.
Ma allora lo spiegamento militare pesante?
Trump non accetta compromessi? Il presidente sanguigno che minaccia
tutti per ribadire la supremazia coloniale statunitense si adegua agli
accordi di Astana? Improbabile ufficialmente, è troppo sotto attacco,
anzi sobillato, dalla stampa di casa per “l’amicizia” con Putin e la
Russia, e dall’establishment conservatore, armatore e guerrafondaio.
Sembra abbia rivelato documenti top secret sull’Isis. Vuoi vedere che
sta smantellando l’aiuto “segreto” dato da Obama-Clinton, insieme a
Arabia Saudita, Unione Europea e Israele ai terroristi dell’Isis, di cui
tutti sono ormai al corrente? Nel frattempo i media ci istigano
all’attenzione sulla Corea del Nord, ai rischi di guerra nucleare, che
questo paese, con un missile che raggiunge, forse e non sempre, 600 Km e
che forse potrebbe portare una “bomba atomica” di vecchio tipo, cioè un
petardo, “minaccia” la sicurezza degli Usa (!) a più di 10.000 km di
distanza, quella del Sud elegge un presidente democratico “progressista”
filo cinese. 38% degli americani non sanno dove si trova la Corea del
Nord.(NYT)
Si è, per esempio, mai visto un presidente Usa che abbia
mai potuto fare quello che voleva o quello che aveva promesso? In
genere, se testardi, muoiono o si adeguano alle potenti lobby. Questo,
nel bene o nel male, non sembra “costruito” per adeguarsi, ma ce lo
costringeranno. Quante speranze aveva suscitato la vittoria di Obama sia
nei democratici che nei conservatori europei e alla fine è stato il
presidente, Nobel per la pace, che ha innescato più guerre, conflitti e
genocidi nel mondo degli altri presidenti americani ?
Certamente
ritirarsi sconfitti dalla Siria e non aver potuto rubare il loro
petrolio, (l’unico rimasto “libero” e “possibile” insieme al Venezuela)
ma in realtà, se guardiamo oltre il naso, non aver potuto interrompere
gli enormi investimenti euroasiatici delle nuove “vie della seta”,
strutture commerciali ed economiche di immenso sviluppo ed investimenti a
medio termine che li caccerebbe dal grande continente delle “terre
emerse” popolato da più di 5 miliardi di individui (forse meglio
consumatori), pone gli Usa in una ulteriore perdita di monopolio
mondiale. Loro sono convinti di essere padroni del mondo. Ne fanno una
filosofia sociale e culturale di ultima istanza e convinzione che
trasuda sempre, per esempio, da qualsiasi loro film visto che sono
sempre loro a “salvare” il mondo, facendo dimenticare le 32 guerre per
la loro “democrazia” in cui sono implicati oggi. E possono fare, quasi,
tutto quello che vogliono e possono giustificarlo anche dopo. Hanno una
filarmonica mass mediatica per convincere tutti, o altro. Troisi: ”fanno
le guerre per fare i film e avere sempre ragione”.
La Siria è un
crocevia vero di sbocco nel Mediterraneo, (se si prende la briga di
individuarne i tracciati), e il trio Iran-Russia-Turchia sono al centro
del futuro sviluppo mondiale est-ovest proveniente da Cina e India. Noi
saremmo collegati via mare con Suez e l’Adriatico, il Pireo (Grecia) è
già cinese e poi Mestre/Trieste. Un “deposito” in prefase di acquisto
sembra Gioia Tauro, ma sul Tirreno. Via terra sarà complicato, ma alla
fine saremo collegati, dall’ex Jugoslavia, via la pianura padana verso
Francia, (Marsiglia), Spagna (Barcellona/Madrid) e Portogallo
(Porto/Lisbona), dall’Atlantico al Mar di Cina. Del G7, solo l’Italia
(con Gentiloni) è stata invitata al progetto e alla riunione operativa
dell’inizio di maggio a Pechino per la firma dei primi accordi.
In
Asia Minore vengono tagliati fuori la penisola arabica, gli Emirati e
Israele. L’Africa dell’est, con i cinesi in pieno impianto, (hanno
comperato da anni centinaia di migliaia di ettari di terra da rendere
coltivabile in Somalia), viaggia a parte e sono previsti solo
collegamenti via mare, nel Pacifico e oceano Indiano, (Kenia, Mombasa).
Queste grandi vie, di commercio, di energia, di cultura sono già
presenti in vari spezzoni e in vari paesi e le rotte potrebbero essere
completate abbastanza rapidamente, malgrado la grandiosità delle opere,
sia ferroviarie che stradali. Rimane la turbolenza politica in molti
paesi sulla tratta, ma intanto vi sono a disposizione, dalla nuova Banca
Mondiale di Investimento dei Brics, una enorme quantità di dollari
(anche se assegni a vuoto color verde, di cui la Cina si sta liberando
un po’ alla volta) e alcuni progetti potrebbero essere completati entro
il 2021. La Gran Bretagna, non invitata perché in guerra in quasi tutta
l’area da secoli, ha comunque chiesto di partecipare. Imperativo salvare
il peso della City.
Solo la Siria potrebbe bloccare la
colonizzazione commerciale, e lo sviluppo preponderante della Cina verso
il Mediterraneo, ma anche viceversa. A pensarci bene la presenza
americana nell’area diventa per loro un salvagente, finché potrà durare.
Tra l’altro, su quella via ci sono quasi tutte le grandi
infrastrutture, distrutte democraticamente, da ricostruire. Vi assicuro
che non penso al palazzinaro Trump.
mercoledì 17 maggio 2017
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