di
Andre Vltchek (da New
Eastern Outlook)
traduzione
di Domenico D'Amico
Con
l'Occidente e il suo fascismo non si può venire a patti, si può
solo combattere
Malgrado
le terribili avversità che il popolo del Venezuela deve affrontare,
malgrado le sanzioni e le intimidazioni provenienti dall'estero, il
presidente Nicolás Maduro ha ottenuto un secondo mandato di sei
anni.
Due
settimane fa, presso l'ambasciata venezuelana a Nairobi, Kenya, dove
mi stavo rivolgendo a svariati leader dell'opposizione di sinistra
est-africana, un incaricato d'affari, Jose Avila Torres, ha
dichiarato: “Il popolo del Venezuela sta vivendo una situazione
simile a quella del popolo siriano”.
Ed
è vero. Le due nazioni, Venezuela e Siria, sono separate da
un'enorme distanza geografica, ma condividono lo stesso destino, la
stessa determinazione e lo stesso coraggio.
Durante
la Guerra Civile Spagnola, i combattenti antifascisti cechi,
volontari nelle Brigate Internazionali, dicevano spesso: “A Madrid
noi combattiamo per Praga”. Madrid cadde nelle mani dei fascisti di
Franco nell'ottobre del 1939. Praga era stata occupata dalle truppe
tedesche vari mesi prima, nel marzo del 1939. Fu la cecità e la
codardia dei leader europei, insieme all'appoggio dato alle orde
assassine fasciste da popolazioni di ogni angolo del continente, che
condusse a una delle più grandi tragedie dell'epoca moderna – una
tragedia che ebbe fine solo il 9 maggio 1945, quando le truppe
sovietiche liberarono Praga, sconfiggendo la Germania nazista e di
fatto salvando il mondo.
Più
di settant'anni dopo, il mondo deve affrontare un'altra calamità.
L'Occidente, mentalmente incapace di porre termine pacificamente al
suo plurisecolare e omicida dominio sul pianeta – un dominio che ha
già consumato centinaia di milioni di vite umane – mostra i denti,
avventandosi da ogni parte, provocando e inimicandosi o perfino
attaccando direttamente paesi come la Corea del Nord (RPDC), la Cina,
l'Iran, la Siria e il Venezuela.
Quello
in corso non viene chiamato fascismo o nazismo, ma è precisamente
quello che chiaramente è, dato che tale barbaro dominio è basato su
un profondo disprezzo per le vite dei non europei, su fanatici dogmi
di estrema destra maleodoranti di eccezionalismo, e sullo sfrenato
desiderio di controllare il mondo.
Molti
dei paesi che si sono rifiutati di piegarsi dinanzi alla forza bruta
dell'Occidente, negli ultimi tempi sono stati letteralmente rasi al
suolo, come l'Afghanistan, la Libia e l'Iraq. Nel caso di molti
altri, i governi sono stati rovesciati con interventi diretti e
indiretti, o con la frode, come è successo nel paese più potente
dell'America Latina, il Brasile. Innumerevoli rivoluzioni “colorate”
o “degli ombrelli”, insieme a svariate “primavere”, sono
state sponsorizzate da Washington, Londra e altre capitali
occidentali.
Ma
il mondo si sta risvegliando, in maniera lenta ma irreversibile, e la
lotta per la sopravvivenza della razza umana è già cominciata.
Venezuela
e Siria, senza dubbio, si trovano sulla prima linea di questa
battaglia. Contro ogni aspettativa, feriti ma eroicamente ancora in
piedi, resistono contro forze superiori in maniera schiacciante, e si
rifiutano di cedere.
“Qui
nessuno si arrende!” gridava Hugo Chavez, coi capelli già radi per
la chemioterapia, mentre moriva per un tumore che molti, in America
Latina, ritengono gli sia stato procurato dagli Stati Uniti. Il suo
pugno era serrato, e una fitta pioggia gli inondava il volto. È così
che moriva uno dei più grandi rivoluzionari dei nostri tempi. Ma la
sua rivoluzione è sopravvissuta, e continua!
*
Del
fatto che molti dei miei lettori sono occidentali, me ne rendo conto
benissimo. In qualche modo, in particolare in Europa, ho
l'impressione di non essere più in grado di spiegare cosa voglia
dire essere rivoluzionari. Di recente ho parlato a un folto pubblico
di insegnanti “progressisti”, in Scandinavia. Ho cercato di
infiammare il loro animo, di spiegargli quali crimini mostruosi
l'Occidente abbia perpetrato in tutto il mondo, per secoli.
Ho
provato, e fallito. Quando si sono riaccese le luci, centinaia di
sguardi mi hanno trafitto. Certo, c'è stato un applauso, e molti si
sono alzati nel falso cliché della standing ovation. Ma
sapevo che i nostri erano mondi separati.
Poi
sono arrivate domande superficiali e prefabbricate sui diritti umani
in Cina, a proposito del “regime di Assad”, ma nessuna sulle
responsabilità collettive dei popoli dell'Occidente.
Per
comprendere quel che sta succedendo in Siria e Venezuela bisogna
uscire dalla forma mentis occidentale. E questo non lo possono
fare menti egoistiche che pensano solo alla sessualità e agli
orientamenti sessuali e all'interesse personale.
In
Siria e Venezuela quello che sta accadendo è qualcosa di essenziale,
qualcosa di molto basilare e umano. Si tratta di orgoglio, si tratta
della propria terra madre, dell'amore per la giustizia e del sogno di
un migliore sistema globale. Non è poca cosa, anzi, è qualcosa di
enorme, qualcosa per cui si può lottare e perfino morire.
In
entrambi questi luoghi l'Occidente ha fatto male i conti, così come
ha fatto in altri “casi” quali Cuba, Russia, Cina, Iran, RPDC.
“Patria
no se vende!” l'hanno ripetuto per decenni a Cuba - “La
patria non è in vendita!”
Il
profitto non è tutto. Il vantaggio personale non è tutto. Egoismo e
personalità microscopiche gonfiate come palloni non sono tutto.
Giustizia e dignità sono superiori. Gli ideali umani sono superiori.
Per alcuni è così. Lo è davvero, fidatevi – non importa come
possa sembrare irreale in Occidente.
La
Siria sanguina, ma si rifiuta di arrendersi al terrorismo scatenato
dall'Occidente e dai suoi alleati. Aleppo è stata trasformata in una
Stalingrado dei nostri giorni. Pagando un alto prezzo, la città ha
resistito a tutti gli assalti, è riuscita a invertire il corso della
guerra, e come conseguenza ha salvato il paese.
Il
Venezuela, come Cuba nei primi anni 90, si è trovato solo,
abbandonato, disprezzato e demonizzato. Ma non è caduto in
ginocchio.
In
Europa e in Nord America le analisi su ciò che accade da quelle
parti vengono condotte “logicamente” e “razionalmente”.
Oppure no?
Lo
sanno i popoli occidentali cosa vuol dire essere colonizzati? Lo
sanno cos'è l'”opposizione venezuelana”?
Conoscono
l'entità del terrore scatenato per secoli dall'Occidente contro
tutta l'America Latina, da posti come la Repubblica Dominicana e
l'Honduras, giù giù fino a Cile ed Argentina?
No,
non ne sanno niente, o quantomeno ne sanno ben poco, come quei
tedeschi che vivevano a un passo dai campi di sterminio, e che dopo
la guerra dicevano di non aver mai avuto la minima idea di cosa fosse
quel fumo che veniva su dai camini.
È
improbabile ci sia, in Centro o Sud America, un solo paese il cui
governo non sia stato almeno una volta rovesciato dal Nord, questo
ogni volta che il governo decideva di operare a beneficio del suo
popolo.
E
il Brasile, l'anno scorso, è diventato l'ultima edizione degli
incubi, delle campagne di disinformazione, “fake news” e golpe –
dispiegati coi complimenti del Nord, per mezzo delle élite locali.
*
Cercate
di capire, non serve davvero a nulla di continuare a discutere con le
“opposizioni” in paesi come il Venezuela, Cuba o Bolivia. Quello
che c'era da dire è stato detto.
Quella
che è in corso non è materia da centro studi, ma una guerra;
un'autentica e brutale guerra civile.
Io
conosco le “opposizioni” dei paesi sudamericani, e conosco le
loro élite. Certo, conosco molti dei miei compagni, i rivoluzionari,
è naturale, ma anche le élite mi sono familiari.
A
scopo illustrativo, permettetemi di rievocare una conversazione che
ebbi una volta in Bolivia col figlio di un potente senatore di
destra, per di più ras dei media. Leggermente brillo, non faceva che
ripetermi:
“Presto
cacceremo a calci in culo quell'indio di merda [il presidente Evo
Morales] (…) Credi che ce ne freghi qualcosa dei soldi? Ne abbiamo
a vagoni! Non importa se perdiamo milioni di dollari, e nemmeno
decine di milioni! Diffonderemo insicurezza, incertezza, paura,
indebitamento, e se dobbiamo farlo, anche la fame... Li faremo
sanguinare a morte, quegli indios!”
Tutto
ciò potrebbe suonare “irrazionale”, perfino contrario al loro
vangelo capitalista. Ma a loro non interessa la razionalità, solo il
potere. E comunque i loro mandanti del Nord compenseranno le
eventuali perdite.
Non
c'è modo di negoziare, di discutere con questo genere di persone.
Sono traditori, ladri e assassini.
Per
anni, per decenni hanno utilizzato la stessa strategia, scommettere
sul cuore tenero e i sentimenti umanitari dei loro avversari sociali.
Hanno trascinato i governi progressisti in dibattiti interminabili e
vani, per poi usare i loro media (e quelli occidentali) per
infangarli. Se questo non funzionava, sabotavano la loro stessa
economia, creando deficit di bilancio, come in Cile prima del golpe
di Pinochet nel 1973. Se anche questo non funzionava, passavano al
terrorismo – puro e semplice e spietato. E alla fine, l'ultima
risorsa – l'intervento diretto dell'Occidente. I loro scopi non
hanno niente a che fare con la “democrazia” o il “libero
mercato”. Essi sono al servizio dei loro padroni occidentali e dei
loro stessi interessi feudali.
Negoziare
con loro significa essere sconfitti in partenza. Significa giocare
con le loro regole. Perché alle loro spalle c'è l'intera propaganda
occidentale, insieme al sistema finanziario e militare.
L'unico
maniera per sopravvivere è diventare più duri, stringere i denti e
combattere. Come ha fatto Cuba per decenni e, sì, come fa ora il
Venezuela. È un approccio per nulla “gradevole”, e nemmeno
“pulito”, ma è l'unico che faccia andare avanti, l'unico modo
che rivoluzione e progresso hanno di sopravvivere.
Prima
che Dilma venisse destituita da un branco di quaquaraquà
filo-occidentali, in un mio scritto (censurato da Counterpunch,
ma pubblicato su varie piattaforme e in svariate traduzioni) avevo
suggerito che inviasse i carri armati nelle strade di Brasilia.
Affermavo che questo era il suo dovere, nel nome del popolo
brasiliano, che aveva votato per lei e che molti benefici aveva
ottenuto dal governo PT (Partido dos Trabalhadores).
Lei
non l'ha fatto, e sono quasi sicuro che adesso se ne sta pentendo. Il
suo popolo viene di nuovo derubato, e sta soffrendo. E l'intero Sud
America, come risultato, è nel caos!
*
Corruzione?
Malgoverno? Per decenni, per secoli i popoli dell'America Latina sono
stati dominati e derubati da una banda di corrotti, che utilizzavano
il loro continente come una vacca da mungere, e intanto sguazzavano
nel lusso osceno delle aristocrazie occidentali. E tutto questo,
naturalmente, nel nome della “democrazia”, una farsa totale.
Il
Venezuela è ancora qui – il popolo si muove a sostegno del governo
– soffrendo terribilmente, mezzo affamato, ma comunque si muove.
Questo perché per molte di quelle persone gli interessi personali
sono secondari. Quello che conta è il loro paese, l'ideologia
socialista e la grande patria sudamericana. Patria grande.
È
impossibile da spiegare. Non è razionale, è intuitivo, profondo,
fondamentale e umano.
Coloro
che non possiedono l'ideologia o la capacità di impegnarsi, non
potranno capire. E che lo facciano o meno, francamente, chi se ne
frega.
C'è
da sperare che presto sia il Brasile sia il Messico – le due
nazioni più popolose dell'America Latina – eleggano governi di
sinistra. In tal modo, le cose cambieranno, e in meglio, per il
Venezuela.
Fino
ad allora, Caracas dovrà fare affidamento sui vicini (seppur
lontani) amici e compagni, la Cina, l'Iran e la Russia, così come
sulla sua bellissima e coraggiosa sorella – Cuba.
Evo
Morales ha di recente preavvisato che l'Occidente sta organizzando un
golpe in Venezuela. Il governo di Maduro deve reggere ancora per
qualche mese. Prima del ritorno [a sinistra] del Brasile, prima
dell'avvento del Messico.
Sarà
una lotta dura, forse anche sanguinosa. Ma la Storia non si fa con i
compromessi e le capitolazioni. Non si può negoziare col fascismo.
La Francia ci ha provato, prima della Seconda Guerra Mondiale, e
tutti conosciamo i risultati.
Con
l'Occidente e il suo fascismo non si può venire a patti, si può
solo combattere.
Quando
si difende il proprio paese, le cose non possono mai essere pulite e
ordinate. Nessuno è un santo. La santità porta alla sconfitta. I
santi arrivano dopo, quando si è ottenuta la vittoria e la nazione
se li può permettere.
Il
Venezuela e la Siria devono essere sostenuti, con tutti i mezzi.
Questi splendidi popoli ora stanno sanguinando, combattendo in nome
di tutto l'oppresso mondo non-occidentale. A Caracas e a Damasco il
popolo lotta, combatte e muore per l'Honduras e l'Iran, per
l'Afghanistan e l'Africa Occidentale.
I
loro nemici si possono fermare solo con la forza.
*
Durante
il dibattito in Scandinavia, un gusano [castigliano per
“verme”, i.e. Controrivoluzionario, neofascista – ndt] siriano,
che vive in Occidente e diffama, ben compensato, il presidente Assad,
contestava me, il “regime” siriano e l'Iran. Ho detto che mi
rifiutavo di discutere con lui, perché anche se avessimo passato due
ore a gridarci in faccia pubblicamente, non avremmo mai trovato un
terreno comune [di discussione]. Sono quelli come lui che hanno
iniziato la guerra, e guerra dovrebbero avere. Gli ho detto che
sicuramente viene ben pagato per il suo lavoro, e che l'unico modo di
sistemare la questione, per noi, sarebbe stato “fuori”, per
strada.
Venezuela
e Siria non possono cadere. Troppo alta è la posta in gioco.
Entrambi i paesi sono adesso in lotta contro qualcosa di smisurato e
sinistro – stanno combattendo contro l'intero imperialismo
occidentale. Non si tratta di una qualche “opposizione”, o
addirittura di elementi traditori all'interno delle loro società. È
in gioco qualcosa di più grande. Si tratta del futuro, si tratta
della sopravvivenza dell'umanità.
In
tutto il mondo, miliardi di persone hanno seguito da vicino le
elezioni nella Repubblica Bolivariana. E il popolo ha votato. E il
presidente Maduro ha vinto. Di nuovo. Con tanto di ferite e
cicatrici, ma ha vinto. Ancora una volta, il socialismo ha sconfitto
il fascismo. E lunga vita al Venezuela, dannazione!
Andre
Vltchek è filosofo, romanziere, filmmaker e giornalista
investigativo. È uno dei creatori di Vtlchek's
World in Word and Images, autore del romanzo rivoluzionario
Aurora
e di molti altri volumi. Scrive in particolare per la rivista online
New Eastern Outlook.
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