lunedì 23 luglio 2018

Le Pillole economiche di Tonino D'Orazio

Tonino D’Orazio, 23 luglio 2018.

Gli Stati uniti vogliono “dividere” la Francia e la Germania sulle questioni commerciali, cita AFP (Agence France Presse). E’ il commento del ministro francese di Economia e Finanze, Bruno Le Maire, che si considera ormai essere in un contesto di “guerra commerciale” iniziata e quindi chiama l’Unione a “fare blocco”. “Perché ciò che vogliono i nostri partner (Ancora? Anche in guerra?) o i nostri avversari (però !) è dividerci”. “Se ci sarà un altro aumento dei dazi la nostra reazione dovrà essere forte e unitaria per fare capire che l’Unione è una potenza forte e sovrana e che reagiremo collettivamente”. “Non possiamo capire che tra alleati, tra i due popoli, sia dichiarata una guerra commerciale …”. Si può credere minimamente a una reazione forte e collettiva dell’Unione? Il problema? La Germania. La Merkel ha appena dichiarato essere pronta a rispondere a una proposta settoriale fatta ai costruttori tedeschi, e trattare direttamente con Washington per il suo settore macchine.
Insomma se la “guerra commerciale” è iniziata, possiamo dire che è iniziata anche la disunione europea e la sua ulteriore disgregazione. L’Unione è basata su banche, finanza, commercio drogato (Ceta, Ttip ..) o servilmente in deroga, allora, se gli “affari” vanno male, cosa sperare? Un probabile ognuno per sé? Diventa chiaro che la Germania non ha alcuna visione europeista (e la Francia solo a parole perché potrebbe rimanere sola) e che l’Unione rimane uno strumento di dominio pacifico e commerciale del vecchio continente, finché serve. Quindi, nessun avvenire per questo vasto campo di rovina, sociale e umana, che molti continuano a invocare con “più Europa”. A Lisbona abbiamo sbagliato strada e amici e siamo finiti in un cul-de-sac. Non è più sufficiente negarlo.

La Cina detiene il 72% del “debito” del Kenia. I Cinesi colonizzano l’Africa economicamente “senza vergogna”. Ve lo dice, offeso, il Fondo Monetario Internazionale (FMI). A febbraio, appena Moody’s (Agenzia di rating americana), ha degradato il Kenia, il FMI ha rifiutato un prestito di 1,5 miliardi di dollari (1,3 di euro) per non aver rispettato i tagli degli obiettivi budgetari previsti. Per “il prestito” rimane solo la Cina che, in fondo, ricatta come gli altri. Tutto avviene sullo sfondo di scandali di corruzione generalizzata dei membri governativi locali accusati (quotidiano keniano Nation), di aver sottratto milioni di euro dalle casse pubbliche. La corruzione endemica e generalizzata agli alti vertici politici e istituzionali riduce sempre più la capacità di sviluppo del continente africano. Diciamo che i “coloni” cambiano ma le cause permangono. Diventa normale allora il “giro politico” di visite di questi giorni del presidente cinese Xi Jinping in vari paesi africani, soprattutto quelli in polemica con il FMI, per firmare accordi bilaterali.
Il prezzo del petrolio potrebbe salire anche fino a 150$/barile entro il 2020, così come già successo nella crisi del 2008, e, scrive l’agenzia Blomberg, raggiungere i 100$ già nel 2019. La richiesta eccessiva sul mercato del petrolio e la riduzione delle spese d’investimento producono un mixing esplosivo. La quantità di produttori di petrolio importanti è sceso del 30% in rapporto all’anno 2000. Bisogna aggiungere che soltanto la popolazione asiatica aumenterà progressivamente di più di un miliardo di individui nei prossimi 20 anni, con uno stimolo al consumo (benzina, kerosene, gas, plastica …), impressionante. Chiaramente, se l’offerta delle disponibilità di petrolio diminuirà, (crisi venezuelana, embargo iraniano, accordo OPEP per riduzione, malgrado l’aumento di produzione in giugno dell’Arabia Saudita e la riapertura dei terminali petroliferi libici …), vi sarà un rialzo traumatico dei prezzi per parecchie economie, se non tutte, e sicuramente in Europa. Il prezzo del petrolio, visto l’impatto che avrà nelle strategie di dominio del mondo, sotto l’impatto della de mondializzazione americana, per cui diventa “volatile” il prezzo del prodotto energetico base mondiale, vedono già affrontarsi tre grandi potenze: Cina, Stati uniti e Russia.
Accordo commerciale UE-Giappone di libero scambio. Ci risiamo e forse non ha niente di storico. Diciamo politico per innervosire Trump. Sarebbe un libero-scambio interessante se parlassimo di merci giapponesi prodotte in Giappone. In questo caso i costi giapponesi sono quasi identici ai costi europei. Purtroppo molti prodotti giapponesi, come i nostri, sono fabbricati … in Cina. Sembra quindi solo un modo di aggirare le barriere doganali e mantenere ideologicamente il concetto di “mondializzazione”. Contro un’America e un Trump “demondializzanti”. Da considerare che i due blocchi economici, UE e Giappone, rappresentano il 30% del PIL mondiale. Il Giappone cancellerà i dazi su 94% delle merci in provenienza dall’UE, compresi i prodotti alimentari (formaggi, vini e suini). La UE cancellerà il 99% su quelle importate dal Giappone, soprattutto le auto e l’elettronica. Il tutto inizierà fra 6 e 8 anni, (!! Finita l’eventuale presidenza Trump?). In verità l’applicazione dovrebbe valere nel 2024 per il Giappone e il 2026 per la UE. Dov’è il trucco e perché dare due anni di vantaggio al Giappone conoscendo il loro patriottismo economico? L’accordo sarà ratificato l’anno prossimo a marzo, dopo l’uscita della Gran Bretagna e a condizione del voto europeo all’unanimità, Italia compresa. Mah!
Trump, su Twitter, si è appena scandalizzato della multa di 4 miliardi di dollari, inflitta dalla UE per abuso di potere, alla società monopolistica americana Google. “Ve l’avevo detto! L’Unione Europea ha appena imposto una multa di 5 miliardi a uno dei nostri gruppi più formidabili, Google. Stanno proprio approfittando di noi, ma non durerà ancora molto!”. Visto che siamo in “guerra” sarebbe interessante fare una cronologia e un conteggio delle multe inflitte ai produttori europei dai tribunali americani in tanti anni sin dal dopoguerra. Ovviamente non a contrastare, ma a ammorbidire la situazione generale, il tycon mandiamo il nostro massimo rappresentante Junkers. Non si parla di reciprocità perché bisogna capire che Trump non si rivolge agli europei ma al suo popolo sovranista americano, un po’ alla Salvini. E’ in campagna elettorale e i sondaggi sono in ascesa. Attacca addirittura la sua Fed (Banca Centrale) perché con l’aumento dei tassi di interesse rende il dollaro “troppo forte” e quindi le merci americane meno competitive.
Giovedì 19, “Bruxelles ha chiamato i paesi dell’Unione a intensificare la loro preparazione a tutti gli scenari possibili per il Brexit, compreso quello di una rottura brutale con Londra, sempre più paventata di fronte alle incessanti turbolenze politiche che rendono fragile il governo britannico e la stessa leadership della May” (Agenzia AFP). Brexit duro? Così come propugnato e consigliato da Trump per i propri interessi? Ho qualche dubbio, primo perché non conviene a nessuno, secondo perché le lobby internazionali sono pronte ad influenzarlo a proprio favore, terzo, in caso di elezioni anticipate (solo se la May fosse in minoranza nella Camera dei Comuni), il problema ritornerebbe ai due schieramenti principali, visto che in ognuno ci sono i deputati pro e quelli contro. Solo Salvini non ha capito (col suo sovranismo del “ognuno a casa sua”), che in Gran Bretagna vi sono 350.000 lavoratori comunitari italiani che rischiano, in maggioranza giovani, tra cui molti, questa volta, partiti dal nord del paese.

Nessun commento:

Posta un commento

Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...