martedì 27 maggio 2008

Lettera a Rossana Rossanda

Cara Rossana Rossanda,


In effetti hai ragione quando dici di dare un nome a ciò che dovrebbe essere necessariamente superato del novecento e non limitarsi a ripetere un ritornello che è diventato una specie di riflesso pavloviano. Appena si accenna a questioni come “comunismo”, “operaismo”, “lotta di classe” e quant’altro, la reazione di molti, perlomeno quelli che amano definirsi non fanatici e di indole pragmatica è un riflesso condizionato: ”roba del novecento”, ossia roba vecchia, superata, stantia e perfino odiosa. Non si tratta però di idee o di valori, si tratta di reminiscenze negative, si tratta del come e del perché. Il fatto è che “novecento ha assunto un significato molto più esteso di quanto la parola possa indicare. L’alone semantico che lo circonda è una foglia di fico dietro la quale si nascondono tutte le idiosincrasie personali, ma anche le frustrazioni più profonde. Per me novecento era l’obbligo del dover comprimere qualsiasi fenomeno sociale e naturale, malattie mentali comprese, dentro la dialettica capitale/lavoro; era l’ansia e la paranoia di poter fare e persino di  poter pensare qualcosa che ti rendesse un servo inconsapevole del capitale. Novecento è stato il timore di venire etichettato come “destro”, da qualche compagno tosto, solo perché mostravi delle titubanze sulle grandi strategie per arrivare alla presa del potere. Novecento erano gli sbadigli all’ascolto delle inutili, assurde ed incomprensibili  ”analisi della fase”. Dalle tue parti di sicuro no, ma dalle mie parti si respirava questa aria.
Novecento ha finito per assimilare a sé ogni forma di radicalismo ideologico e di utopia, che oggi scompaiono come ombre una volta accesa la luce.  
Tutto questo “novecento” a me appare come la fase culminante di una “teologia della liberazione” che grazie a dio ha dovuto affrontare anch’essa una inevitabile riforma e un processo di secolarizzazione.
Roba passata, certo, ma col tempo certi ricordi si tramutano in risentimento, che  a sua volta è causa di rigetto. Come si suol dire, alla fine si butta il bambino con l’acqua sporca.
Il comunismo. Prima comunismo era il tutto, racchiudeva conoscenza, verità e dovere, oggi è solo una aspirazione intima, questo è quanto, ed è giusto così. Un tempo la parola compagno trasmetteva un senso di fratellanza, di identità e di investitura della storia, oggi compagno significa: vedo il mondo in una certa maniera e ne immagino una altro possibile anche se non certo, e chiamo  compagno chiunque sia disposto a discutere con me sul che fare per cambiare le cose.
Oggi è finita l’idea secondo la quale chi capiva ed aveva preso coscienza era investito di una missione. È finita ogni forma di escatologia. È finita l’idea stessa di avanguardia, di composizione, ricomposizione, di costituzione, di organizzazione ed anche di partito di classe. Tutti ingoiati nella discarica delle sostanze metafisiche. Tu hai ragione da vendere quando poni la domanda: quali erano gli schemi e le idee che andavano allora, ma oggi non più?” Il fatto è che ancora oggi io penso che essere liberi e uguali sia giusto, e l’idea  liberista che “l’ineguaglianza aguzzi l’ingegno” sia una balla colossale, ma è difficile superare  l’aporia che vede la richiesta di una politica radicale, dura e pura, e contemporaneamente la richiesta di una politica “responsabile”. Personalmente credo sia ancora attuale porsi problema del superamento del modo di produzione capitalistico, avverto ancora la necessità di un senso che trascenda la quotidianità, ma non voglio abdicare al buon senso. Qualsiasi discorso fumoso e qualsiasi obiettivo troppo di là da venire non mi persuade. La verità è che al punto in cui siamo nessuno sa indicare un’alternativa credibile al capitalismo e nemmeno al liberismo che ne è l’espressione attuale.   
Se mi permetti  vorrei indicare, fra parentesi, un altro elemento di connotazione del Novecento, che a me sembra molto importante: il post-modernismo ed altre bizzarrie di pensiero di tal genere. Rammento il tempo buttato a cercare di decifrare l’indecifrabile, il dolore e la frustrazione nella lettura degli scritti dei vari Deleuze, Guattari, Lacan, Baudrillard, Lyotard, più di recente Badiou. Come molti, mi sentivo uno sciocco perché non capivo. Un bel giorno ho aperto gli occhi e ho capito che tutti noi avevamo scambiato la letteratura per l’interpretazione della realtà, credendo al contempo che la lettura di quei personaggi ci avrebbe fornito non solo una lettura della realtà stessa, ma anche  gli strumenti per modificarla. Ho compreso che l'indagine in campo politico-sociale e la prassi che ne consegue richiedono anch’essi un procedimento scientifico fatto di analisi di dati, di ipotesi da verificare, di sudore sul campo, di capacità di valutare gli errori e di operare delle rettifiche. Finalmente mi sono liberato di un macigno, ho realizzato che non era il fatto del non capire, semplicemente quelle cose non significavano nulla. In definitiva la letteratura, buona o cattiva che sia, la devi prendere per quella che è, e forse nemmeno chi la scrive pretende che abbia un qualche significato. Quanti compagni credono ancora che questo sia il secolo Deleuziano? Quanti ancora si arrovellano per tentare di decriptare il significato che si cela dietro gli scritti di Lacan, pensando che ogni parola del maestro nasconda una grande verità, inesprimibile con i codici di un linguaggio ordinario e banale? Il buon Recalcati ne sa qualcosa. Pazzi. Quella roba, a prescindere dalla statura morale di chi l’ha scritta, non serve assolutamente a niente: è solo il canto del cigno dello gnosticismo, di un sistema di pensiero che pretende che la conoscenza si celi nelle parole e quindi nel puro pensiero.
Concedimi in conclusione di fare una piccola simulazione: un programma politico molto sui generis, il mio. Primo punto: la pace. Ritiro incondizionato da Iraq ed Afganistan. Secondo punto: il lavoro. Reddito minimo garantito, flessibilità nella sicurezza, flexicurity per essere più cosmopoliti. Terzo Punto: spinta all’innovazione tecnologica ed alla ricerca scientifica, meritocrazia nelle pubbliche amministrazioni, negli ospedali e nelle università: via primari e professori incapaci, messi lì grazie alle tessere di partito. Quarto punto: recidere sul serio i legami fra mafia e politica, procedere a processi veloci e confische, liberare i 2/3 del territorio italiano dal potere delle mafie. Quinto punto: l’immigrazione. Accoglienza dignitosa, quella che si deve agli esseri umani, a chiunque venga nel nostro paese per lavorare e per cercarsi una vita decente, in ossequio alla carta dei diritti fondamentali dell’uomo e, sempre in ossequio a quella stessa carta, rispetto da parte di tutti, immigrati compresi, dei diritti delle donne e degli omosessuali in primis. Sesto punto: l’ecologia. Grosso impulso allo sviluppo delle energie alternative, risparmio energetico, no al nucleare, raccolta differenziata al 100% in tutta la nazione, incremento dell’agricoltura biologica, produzione centrata sui bisogni locali.
Alzi la mano chi a sinistra non è d’accordo con questo programma.  
Qual è il corollario di tutto questo discorso? Credo si possa racchiudere in una conversazione di questo tenore:
Secondo te che farebbero un  Bertinotti o un Ferrero se divenissero presidenti del Consiglio?”
“Boh! Farebbero quello che farebbe chiunque, credo, chiunque abbia buon senso”
“Del tipo?”
“Del tipo un socialdemocratico svedese calato nella realtà italiana, ad esempio”
“Senza alcuna differenza?”
“No, forse una differenza ci sarebbe, il socialdemocratico farebbe cose più di sinistra”.
Ecco, questa conversazione esemplifica secondo me lo stato dei fatti. Facciamo un partito con chiunque ci voglia stare, un partito del 30-40%, tanto alla fine questo cercheremo di fare, e realizziamo quel programma o qualcosa che ci somigli, voglio vedere chi alla fine si lamenterà. “Tropo facile, chiunque potrebbe realizzare un programma del genere, e poi fare il partito vorrebbe dire negare il problema principale, ovverosia il problema della rappresentanza: partito vuol dire una forma di rappresentanza che è il problema, non la soluzione, è la fonte dell'alienazione e della distanza dei cittadini dalla politica, è una mistificazione insomma. E poi che ne è del superamento del capitalismo, dei movimenti, di un diverso modo di pensare la rappresentanza stessa, il legame col territorio, la municipalità, la moltitudine, il diverso mondo possibile, la globalizzazione? Come si pensa in definitiva di recuperare il senso di un agire collettivo ed il consenso della gente, non su cose di sinistra in generale, ma sui bisogni concreti, se non agendo sul territorio, in quella dimensione cioè dove il rapporto diretto coi problemi si interseca con le soggettività politiche e la trasformazione del reale?
Bei discorsi, ma non risolvono niente, non risolvono la necessità di mandare avanti una macchina statale pena la disgregazione di qualsiasi forma di convivenza civile. Non risolvono i problemi del razzismo, dell'immigrazione, della pace. Inoltre, se chiunque può realizzare un programma del genere, perchè non noi? Non vedo poi perché si debba vedere la presenza del movimento in antitesi ad una politica isituzionale. Il successo del movimento dipende dalla forza delle sue argomentazioni e delle sue azioni e nessuno vuole mettergli i bastoni fra le ruote. Il valore del movimento e la sua missione risiedono nella sua natura extraistituzionale e nella sua dimensione globale, la missione delle istituzioni sta nell’amministrare la polis meglio che può. Insomma, ad ognuno il suo mestiere. Al punto in cui siamo, io do la precedenza alla salvezza della polis dai barbari, ma questo non mi impedirà domani stesso di partecipare ad iniziative del movimento, se lo riterrò opportuno. 
In conclusione, che vantaggio c’è nel lasciare le cose così come stanno, consegnando il paese alle destre? Dobbiamo unirci e affrontare seriamente il problema di una transizione italiana, troppo a lungo messo da parte per non apparire liberali o troppo poco di sinistra.
Ho chiesto come molti al Manifesto di cominciare a porsi il problema di ricompattare un'umanità dispersa. Costituire un'associazione mi sembrava un buona idea, un modo per fare e progettare nel concreto, in attesa di qualcosa di più impegnativo.
Rimane un unico vero problema: perchè la gente dovrebbe darci il suo consenso?
Credo si debba cominciare da qui.
Con ammirazione
Franco Cilli

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