sabato 13 novembre 2010

Manganellatori democratici

 
di Franco Cilli 

Qualche poliziotto si ricorda del Capitano Margherito? Un poliziotto entrato in servizio nel '75 al 2° celere di Padova e che fu l'unico a denunciarne i metodi violenti, pagando un prezzo altissimo per il suo coraggio. Solo per aver detto una frase del tipo: "il nostro è un mestiere violento, ma non vogliamo più mettere a ferro e fuoco le città, ma inserirci nella realtà che ci circonda", fu accusato di “attività sediziosa”. Qualche poliziotto conosce per caso Franco Fedeli, il fondatore della rivista “Polizia e democrazia”? Un signore che pensava di potere coniugare efficienza e partecipazione democratica dei poliziotti alla vita sociale e politica, interpretando il ruolo del poliziotto come servizio per la collettività. Certo allora io e molti altri pensavamo che non potesse esistere una “riforma della polizia”, poiché uno strumento repressione a tutela degli interessi delle classi dominati, per riformato che fosse non poteva negare la sua natura intrinsecamente violenta e repressiva, ergo i poliziotti erano dei nemici. Oggi le cose sono cambiate, oggi il problema legalità si coniuga con il problema della tenuta di un tessuto democratico fortemente minacciato dagli stretti legami fra politica e criminalità mafiosa. Oggi è doveroso fare dei distinguo fra quei servitori dello stato che rischiano la vita ogni giorno e coloro che invece si comportano da teppisti. La violenza, lo sappiamo bene è insita nel ruolo stesso dell'istituzione polizia: solo loro è il monopolio della violenza, solo loro possono portare armi, solo loro sono autorizzati a usare la violenza contro i cittadini considerati riottosi e pericolosi per l'ordina pubblico. Vero, è inutile negarselo, non esiste un diritto che possa essere scolpito per sempre nella scorza dura della storia. Poliziotti e militari sono necessariamente attori di un conflitto che vede una parte della società violare i confini precostituiti del diritto per allargare i diritti e un'altra parte deputata a difendere l'esistente.
Eppure mi chiedo se i poliziotti debbano per forza continuare a fare tout court i difensori dell'ordine costituito in maniera totalmente acritica, e a tempo perso i mazzieri di regimi da operetta, con dittatorelli inceronati, insensibili a qualsiasi istanza di cambiamento e di “progresso civile”, come quello italiano. Dobbiamo per forza assistere alle “macellerie messicane”, agli studenti brutalmente malmenati, alle cariche della polizia contro gli operai di Pomigliano D'Arco, alle botte ai pastori sardi e per ultimo alla violenta repressione di cittadini che manifestavano la loro solidarietà con i lavoratori extracomunitari di Brescia accampati su una gru?
Esiste un spazio autonomo all'interno della polizia dove metter in discussione il loro ruolo di biechi strumenti di repressione? Esiste la possibilità di snidare quei boli infetti dove si annida la retorica machista e razzista, unita all'esibizione muscolare e all'ostentazione di simboli e pseudo culture fasciste dentro la polizia? Esiste l'idea di una Polizia Democratica? Me lo chiedo, ma non so dare una risposta.
Perlomeno adesso i poliziotti si sono stufasti di fare da autisti e accompagnatori delle escort di Berlusconi, è già qualcosa.

 

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