giovedì 14 agosto 2014

Il Manifesto. Uno spettro si aggira per l'Italia



Ogni tanto mi guardo indietro e ripenso a quando compravo "il Manifesto" e mi chiedo perché ho smesso di comprarlo. La risposta non è semplice, ma credo che abbia molto a che vedere con la frustrazione. Tutta la gioventù passata dietro l'illusione della rivoluzione e a credersi meglio dei tuoi compagni del gruppuscolo affianco, accusato delle peggiori nefandezze e delle peggiori infrazioni alla teologia ufficiale, santificata dal messia di turno o da una personale esegesi dei libri sacri. Alla fine capisci che tutti sti gruppuscoli altro non sono che la proiezione pubblica della frantumazione del tuo cervello e allora la frustrazione si impadronisce di te e quando a distanza di anni ci ripensi devi dare la colpa a qualcuno come il Manifesto che magari non c'entra nulla. Insomma orfano del tuo gruppo vorresti continuare a essere comunista, ma non capisci più come fare e a quale santo votarti. Poi quando è venuto il tempo dei vari Deleuze, Guattarì, Foucalt, Lacan e compagnia, una liberazione. Grazie Manifesto per avergli dato così tanto spazio. Via i vecchi arnesi arrugginiti del marxismo alla Pcml e finalmente il cuore si apre ad un linguaggio tanto più assurdo e incomprensibile, quanto portatore di verità, se solo si riuscisse a capire qual'è il cifrario giusto per decodificarlo. Ma l'entusiasmo dura poco, perché quando parli con la gente la mercato o con gli emarginati di ogni colore e nazionalità, capisci che con Deleuze non ci fai una mazza. Ecco questo è il momento che la frustrazione ti porta ad un gesto estremo, liberatorio, mandi a quel paese il Manifesto padre che ti ha creato o se preferite il Manifesto madre, ti emancipi e prendi il volo senza sapere dove andare, ma rinfrancato dall'assenza di concetti inutili.

Oggi mi trovo a domandarmi se il Manifesto farà prima o poi qualcosa di utile (il Fatto promuove campagne da centinai di migliaia di firme e almeno serve a qualcosa), ma quando ti imbatti in tipa velenosa e urticante come Ida Dominijanni, che ancora da retta a tipi come Massimo Recalcati, capisci perché hai lasciato il Manifesto e quasi rimpiangi Valentino Parlato e Rossana Rossanda. Essere “un giornale, un giornale, un giornale” non necessariamente è un merito, forse è solo un limite, anche cognitivo, e se poi non indichi una strada e ti perdi dietro gli ondeggiamenti di SEL, allora che ti seguo a fare?

Scusa Manifesto, in fondo siete delle brave persone e vi sono anche affezionato, ma perché da quando non vi compro più mi sento meno frustrato?

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