E’ finita l’Expo. Meno male. Mondo irreale di cartapesta. Con numero
falso dei visitatori. Con debiti da pagare, noi. Con scontro feroce di appalti
per le aree del dopo, un risiko normale di malaffare per continuare. Ci sarà di
nuovo da stupirsi e da divertirsi.
Poi c’è un mondo reale, quello vero del globo con un surplus o un
assenza feroce di cibo.
Intanto anche noi, cosa mangiamo? I nostri iper/super mercati sono
pieni di strani prodotti: pomodori e fragole senza stagioni e senza sapore,
prodotti inverno e estate da serre surriscaldate, a colpi di fungicidi e
concimi chimici; frutti vari che viaggiano acerbi attraverso il mondo per
arrivare quasi maturi; piatti preparati e costruiti con misto di carni varie e
surrogati, grassi, zucchero, lattosio, sale;
pizze guarnite con “formaggi analoghi” che non contengono una goccia di
latte. Bombe calorifere, cibi polisaturati che certificano milioni di obesi,
quasi tutti tra il 40° e il 65° parallelo nord del globo.
I consumatori non si ribellano, sono stati convinti dalle
multinazionali del cibo che non c’è alternativa e che comunque non bastano i
cibi freschi per nutrire tutta l’umanità. In questo modo costa così poco
nutrire i poveri, i lavoratori e le loro famiglie. Tanto, con quello che
guadagnano! I consumatori diventano anche loro un prodotto da plasmare e
addestrare, come i polli di allevamento industriale.
Quindi si intensificano gli allevamenti e l’agricoltura, l’uso di
pesticidi (sempre meno efficaci e sempre più potenti), di farine animali, di
olio di palma (accertato cancerogeno), degli OGM (Organismi Geneticamente
Modificati).
Eppure anche il nutrimento a basso costo immediato comporta spese
sociali decuplicate in sanità e in distruzione ambientale. Si pensi
all’inquinamento irreversibile delle nappe freatiche, alla distruzione delle
biodiversità (nel 1910 si mangiavano 95 tipi di vegetali, oggi poco più di 20),
compresa quella animale ovviamente. Si pensi al depauperamento dei terreni
coltivati intensivamente, alla deforestazione (ogni anno, in Brasile scompare
un area boschiva pari alla superficie della Svizzera). In sanità, con malattie
sempre più diffuse come diabete, colesterolo, ipertensione e quella che si
preannuncia secolare, le allergie.
I grandi complessi agroalimentari, per proporre prodotti a basso
prezzo schiacciano i salari precarizzando milioni di lavoratori, oltre a schiavizzare,
legalmente o meno, immigrati e stagionali, in tutto il mondo; a sottopagare le
commesse e i rivenditori-produttori primari; a sfruttare per un numero di ore
imprecisato ma inumano i trasportatori. In tutto il mondo. L’agroalimentare è
un avanposto della “deregulation” del diritto e della dignità del lavoro. I
super e gli iper mercati, regno del lavoro precario e dei bassi salari, per
effetto di scala, propongono il cibo a prezzi che sfidano ogni concorrenza,
captano in Italia 2/3 delle spese alimentari delle famiglie e provocano la
scomparsa progressiva dei piccoli commerci di prossimità.
L’industria alimentare non tiene più conto dei ritmi della natura di
prossimità. Troviamo prodotti agricoli in ogni stagione, standard, stranieri, uniformi
e “dopati”; gli animali sono diventati “materie prime” e i semi OGM invadono i
nostri campi e impediranno, più o meno alla lunga, una possibile coltivazione
biologica, cioè naturale, normale.
OGM, dove si gioca con la natura viva per aumentare i profitti, se ne
invade il patrimonio genetico che poi, tra l’altro, diventa impossibile da
“controllare”. Si rischia una irreversibile catastrofe ecologica mondiale; in
fondo si limita anche all’agricoltura mondiale e al cibo un concetto di
libertà. Sembra un nucleare biologico che prima o poi produrrà la sua
Tchernobyl. Una specie di distribuzione gratuita di semi di “cooperazione”, intanto
nei paesi poveri e “affamati”, un po’ come spargere, come con le guerre
attuali, uranio impoverito sul pianeta. Basta che renda. Distribuzione pagata
dal FMI e dal Fondo per lo Sviluppo della Banca Mondiale per “aiutarli” a
vincere la fame. Come se gli americani regalassero qualcosa senza aspettarne un
sostanzioso ritorno.
In quanto ai nostri campi vengono già utilizzati al 35% per produrre
mangimi e foraggi per gli animali, senza contare gli alpeggi, sempre più estesi
a causa di una storica diminuzione di utilizzo agricolo nella fascia più bassa,
altrimenti si raggiungerebbe il 76%.
Per non parlare di una percentuale importante di coltivazione di soia,
mais e canna da zucchero che i paesi dell’emisfero nord hanno spostato al sud per produrre
biocarburanti.
Bisogna aggiungere al disastro alimentare autoctono che, finita
(quasi) la crisi americana dei sub prime del 2007, che ha coinvolto
criminalmente il mondo intero, la
speculazione finanziaria si è riversata sull’acqua e sugli alimenti facendo
raddoppiare in pochi anni il prezzo del cibo, da noi, ma soprattutto nei paesi
già poveri, mietendo ulteriori morti per fame. Con varie sommosse in Africa e
Estremo Oriente (ve ne furono 37) tra il 2007 e il 2008. Sono state represse e
non è successo più nulla. La morsa “coloniale” è ancora e sempre più forte.
Come per l’acqua anche per il cibo si preannuncia una vera e propria
“guerra” ad accaparrarseli. L’Arabia Saudita ha acquistato e sta sfruttando
circa 500.000 ettari di terra coltivabile in Etiopia per la coltivazione del
riso, alimentazione base. Ma non per gli etiopi, ultimi tra i paesi alla fame, ma
per il proprio popolo. Ma anche altre multinazionali si impiantano nei paesi
più poveri per “appropriazioni” che chiamano “investimenti”.
L’altro cibo pregiato è il pesce. Le flotte da pesca dei paesi
industrializzati, in modo sistematico, stanno razziando tutti i mari del globo,
impoverendoli tutti, soprattutto quelli africani, ma anche gli oceani indiani e
nord atlantico (dove è quasi scomparsa l’aringa e presto anche i salmoni). Le
navi pescano 2,5 volte il necessario, accelerano la scomparsa di varie specie
(interrompendo tra l’altro la catena alimentare in mare con vari disastri
genetici, si pensi per esempio all’iper sviluppo delle aragoste che hanno
invaso e colonizzato tutto il mar Baltico), e inquinano in modo irreversibile,
non solo loro però, gli oceani.
Ma lo spreco va oltre. Se la nave industriale da pesca (di stazza e di
struttura) esce per le aringhe tutti gli altri pesci presi nella rete vengono
scartati e muoiono sui ponti o nei macchinari di selezione e vengono ributtati
in mare, morti. Su tre pesci pescati, in genere, due vengono ributtati in mare.
Altro dettaglio (dati Fisheries Center Columbia University), “sono quelli che
non hanno bisogno di pesce, gli abitanti dei paesi ricchi, che consumano l’80%
della pesca mondiale”.
La regolamentazione delle quote europee di accesso alla pesca,
distribuite ai “piccoli” sono state ricomperate dai grandi magnati. I semplici
pescatori vicino a noi, a Km zero, come i contadini per l’agricoltura, pagano
di nuovo pegno. Quando i pescherecci europei hanno problemi, delocalizzano, si
iscrivono e battono bandiera di paesi accomodanti. Non si ferma il “progresso”
del libero mercato.
Sullo spreco del cibo, regolamentato ora per legge in Francia, con
qualche rimorso di coscienza, anche in Italia si comincia a ragionare, ma hanno
iniziato a ragionare di solidarietà, come sempre, i piccoli commercianti, i
panettieri che regalano il non venduto. I poveri per i poveri. Qualche ristorante
ti dà la vaschetta per non sprecare e portare via il troppo, ma spesso è considerato
“resti”, e sono per gli animali di casa, anche quelli nutriti a scatolette 5
stelle culinarie. Intendiamoci, se hai degli animali in casa non c’è dubbio che
vadano curati, ma come animali, non a scapito dell’uomo. Nello spot
pubblicitario televisivo successivo ci sono i bambini, spesso africani, che
muoio di fame. Mentre stiamo a pranzo.
I dati che seguono sono della FAO e del Consiglio dell’Europa per il
2015. Nel mondo circa il 15% della popolazione è sottoalimentata (800 milioni),
2 miliardi di individui sono malnutriti, 6 milioni muoiono di fame ogni anno.
1,5 miliardi di tonnellate di cibo, nel mondo, sono buttati ogni anno, (di cui
¼ non consumato), cioè 1/3 della produzione mondiale destinata al nutrimento
umano. In Europa si sprecano 90 milioni di tonnellate ogni anno. Prima è la
Gran Bretagna (180kg/persona/anno) seconda è l’Italia (150kg/persona/anno).
Diventa poi rivoluzionario, intanto almeno culturalmente, puntare ad
accedere a un cibo di qualità. C’è la tendenza, ma è numericamente ancora
insignificante, all’utilizzo di prodotti biologici o a Km zero. Ammessa una
vera fiducia verso quei prodotti. Comunque costano di più e i poveri dovranno
accontentarsi di sorbirsi l’agro-business, con tutto ciò che comporta per un
futuro di cibo puramente chimico o “assemblato” che apprendisti stregoni ci
propineranno. Siamo già pronti con gli “integratori” alimentari vari che
utilizziamo spesso, più che per la salute, a volte come pasticche concentrate e
sostitutive del pranzo o di vitamine naturali.
Se pensiamo che gli hamburger dei McDonald, disincarnati, vuotati del
sangue, privati del colore, asettizzati, standardizzati, quasi finti in mezzo a
salse varie, sono per molti simbolo della modernità, bambini al seguito, invece
che delle ambiguità del cibo. Vengono utilizzati polli allevati a milioni in
spazi ristretti e con mangimi semi artificiali, armonizzati, gonfiati di
antibiotici. In più esiste una discriminante ingiusta, nel senso che ci sono
animali “che contano”, quelli simpatici o di compagnia, e quelli che “non
contano”, i banali; con una ulteriore distinzione anche umana tra i carnivori e
i necrofagi. Mondo di cui facciamo parte.
Certamente il movimento internazionale lanciato dall’Italia, “Slow
Food” (ristorazione lenta e di qualità contro il “Fast Food”, ristorazione
rapida, correndo) alla fine degli anni ’80 (quando ancora contavamo qualcosa)
ha avuto e ha tuttora una vera espansione in tutto il mondo. Tendenza
apprezzata che va sotto il nome di “dieta mediterranea”. Movimento con un
approccio alla gastronomia fondata su valori culturali e ecologici, che propone
un nuovo legame tra il piacere di mangiare, l’origine degli alimenti
(denominazioni DOC) e il rispetto della vita e del lavoro rurale (aumento
esponenziale degli agriturismo).
Magari c’era anche questo all’Expo, insieme ad altri paesi, ma a
livello di clienti e di affari hanno vinto McDonald e multinazionali. Il buono
era troppo caro. Per questo, a parte la diatriba sulla falsità del rendiconto,
finanziario e partecipativo, reale delle entrate e delle spese, l’Expo non ha
avuto niente da insegnare al mondo. Questa era la sinfonia dell’Expo milanese.
E’ stata la vittoria dell’ipocrisia e la
vittoria dell’agro-business. Una
occasione di vetrina mondiale mancata.
forse ho interpretato male il titolo del blog... non dovrebbe essere un blog razionalista questo?
RispondiEliminaDovrebbe. Noi l'impegno ce lo mettiamo...
RispondiEliminala demonizzazione degli OGM e dell'olio di palma non mi sembra molto razionale. sicuramente non ha basi scientifiche.
EliminaSu questo preferirei che rispondesse l'autore dell'articolo, ma in linea di massima sono d'accordo con te, io distinguo gli OGM come oggetto di ricerca scientifico, sui quali non ho alcuna prevenzione e il loro uso potenziale come strumento di condizionamento del mercato. Inoltre va valutato l'impatto degli OGM su determinate economie di paesi cosiddetti in via di sviluppo e la politica "proprietaria" di certi gruppi multinazionali con l'impatto che produce sulle economie locali. Dibattito aperto.
RispondiEliminaE' evidente che al di la della stima reciproca che regna fra i vari autori di questo piccolo blog, ci possono essere visioni divergenti su alcune questioni di carattere scientifico.
Bell'articolo. Per quanto riguarda gli OGM, mi pare evidente che il discorso sulle multinazionali e il controllo che esercitano sulla produzione di cibo sia quello di maggiore importanza e peso per il nostro destino. Naturalmente, nella mia profonda ignoranza sospetto che la ricerca scientifica se la finanzino le stesse multinazionali che sono anche capaci di disegnare tabelle e curve statistiche. Troppo banale?
RispondiElimina