giovedì 21 gennaio 2016

Crescono paesi ribelli all’euro

di Tonino D’Orazio


Volenti o nolenti, difensori interessati o meno, crescono i paesi europei “ribelli” all’utilizzo dell’euro, passando per Schengen.
L’accanimento disumano verso la Grecia, da parte dei “forti”, deve aver insinuato qualche preoccupazione nei governi e nelle popolazioni di alcuni paesi europei della cosiddetta Unione. Consideriamola una vittoria postuma di Syriza, un virus democratico, come aveva previsto Varoufakis.
In fila?
La Croazia, anche se entrata nella cosiddetta Unione il 1° luglio 2013, continua ad utilizzare la sua moneta,(la Kuna croata) in parallelo all’euro, moneta che i cittadini rifiutano. Hanno capito che è l’unico modo di sfuggire alle grinfie della troika e della Bce. Non solo. Il governo cancella i debiti bancari dei cittadini più de muniti e perennemente in rosso; circa 60.000. Operazione proibita dalla troika, o dalla BCE che è la stessa cosa, per cui accentua la disubbidienza, sottraendosi alla schiavitù delle corporazioni bancarie.
Ricordiamo che i paesi con monete sovrane che appartengono all'Unione Europea sono i seguenti: Bulgaria (dove il progetto dell'entrata nell'euro è stato congelato), Croazia, Danimarca (che rifiutò l’euro con referendum sin dall’inizio), Polonia (con lo sloty ha un Pil invidiabile), Regno Unito (rimasto con la sua sterlina), Repubblica Ceca, Romania (l’adozione dell’euro è rimandata a fra dieci anni), Svezia (referendum negativo sull’adozione dell’euro) e Ungheria. Quest’ultimo ha preso la decisione di cacciare l’FMI, l’Unione Europea e la BCE fuori dai propri confini, ha ripreso il controllo della Banca di Stato, e sta vivendo uno sviluppo ed una crescita che hanno pochi rivali in Europa, come tutti i paesi che hanno rifiutato l’euro. Il livello economico generale è nettamente superiore a quello dei Paesi che fanno parte della zona euro e la disoccupazione è a una sola cifra. Per alcuni non significa ancora nulla.
Polonia. Il nuovo governo polacco di Beata Szydlo, di destra, si accinge a deliberare il reddito di cittadinanza per tutte le famiglie che hanno più di un figlio e mette in cantiere la rinazionalizzazione del settore bancario. Rifiuta di entrare nella zona euro. Il nuovo parlamento approva la tassazione dei profitti delle multinazionali e delle banche commerciali, le cui sedi legali spesso si trovano fuori dalle frontiere polacche riuscendo ad eludere l’imposizione fiscale nazionale. Indovinate chi protesta? Il centrosinistra sconfitto, la Merkel e il socialista tedesco Schulz! Tanto che la premier polacca ha fatto convocare l’ambasciatore tedesco a Varsavia per protestare contro l’attacco mediatico, quasi razzista, dei mass media tedeschi contro il suo popolo. Un ricordo secolare di prepotenza e predominio riacceso.
Una Spagna, che non ha ancora un governo, anche perché le campagne elettorali dei socialisti e Podemos sono state contro l’austerity della troika di Bruxelles, e vogliono che i popolari di destra di Rajoy, che non hanno i numeri per governare malgrado il bonus elettorale, vadano via. Un sasso per l’UE, anche se non parlano di uscire dall’euro, ma all’interno vi sono forti spinte autonomistiche sotto minaccia poco velata di Bruxelles.
 In Portogallo il Partito socialista ha formato un’alleanza diciamo con il suo antico nemico: i comunisti. Alleanza contro le politiche di austerità e rilancio del sociale per combattere l’ideologia fallimentare neoliberista che li ha portati a una nuova enorme emigrazione, alla fame e alla disoccupazione. Tre paesi particolari, “forti” perché non hanno bisogno di cappio, di aiuti finanziari esterni, come invece fu della Grecia, quindi meno ricattabili nell’immediato.
In più. Secondo l’alcolizzato (è un gossip provato) Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, il collasso dell’area Schengen, la zona di libera circolazione dei cittadini, ma soprattutto delle merci, “distruggerebbe il mercato unico e l’euro”. Affinché non cambi nulla ha sicuramente interesse a “riformarlo” lui l’accordo per salvare Schengen, sempre più in crisi di fronte alla pressione migratoria e alle autodifese nazionalistiche dalle prepotenze e dagli interessi tedeschi. Dopo la stretta sui controlli alle frontiere interne di Svezia e Danimarca il rischio epidemia si fa più reale. Oltre la Polonia, anche l’Austria si è unita ai Paesi europei che hanno reintrodotto i controlli alle frontiere. Lo ha annunciato anche il governo di Lubiana, (Slovenia) dopo che il cancelliere austriaco, Faymann, ha ordinato di rafforzare i controlli ai confini austriaci, con una sospensione temporanea di Schengen. Dopo ovviamente l’Ungheria e, a seguirli, gli ex paesi ancora cosiddetti dell’est, con in testa la Romania. La stessa Francia, sotto pressione dalla Le Pen e dagli attentati di Parigi, inizia ad avere dubbi e rafforza comunque i controlli alle frontiere. L'attuale esecutivo inglese si sta impegnando ad imporre un giro di vite all'immigrazione (anche europea, magari pretendendo una ottima ma improbabile conoscenza della lingua inglese) e ai controlli ma si avvia ad un referendum sulla sua uscita dalla UE. Risultato che farebbe esplodere l’Unione stessa con tutte le ripercussioni possibili sulla zona euro, malgrado la libertà della sterlina, e lascerebbe tutti, scusate il termine, in mutande, o come il re nudo. Sarebbe l'epilogo della terza guerra mondiale, quella economica, scatenata dalla Germania, e immaginiamo appena quanti cocci resteranno.
Voce solitaria è senza dubbio il patetico Alfano con il suo “noi, non bloccheremo Schengen”, ammesso che nella tempesta potremmo contare qualcosa, con tutta la nostra economia ormai in mano ad altri.
In quanto a tempesta più disastrosa si preannuncia al mondo quella di una nuova e enorme crisi finanziaria da cosiddetta “bolla” bancaria. La preannuncia proprio la Lagarde del FMI. Da crederci. Dopo la precedente crisi nessuno a osato imporre regole alle banche, che hanno continuato a “giocare” da una borsa all’altra sulla pelle di popoli e stati.
In quanto al nostro falso revanchisme anti Europa renziano di questo mese, la verità la dice l’amico Partito Popolare Europeo per bocca del suo presidente, il tedesco Manfred Webe, intervenendo addirittura alla plenaria di Strasburgo: “Renzi sta mettendo a repentaglio la credibilità dell’Europa a vantaggio del populismo”, cioè traduci scambio campagna elettorale contro austerity. Si ricomincia sicuramente dalle tre carte. Renzi è ancora troppo ubbidiente nei fatti per mandarlo già via, non ha completato il mandato, e tanto un nuovo coniglio dal cappello si trova sempre. Si avvicinano importanti elezioni amministrative in Italia. Il primo vero test per Renzi e il suo partito gerarchico, e passare per difensore dell'Italia dopo aver svenduto tutto alla troika e alla Bce, a seguire le “nostre” banche in tempesta programmata (nostre perché ci sono i nostri soldi e risparmi), potrà anche sembrare geniale. Dipenderà dalle sirene, dai tromboni e dalle gran casse mediatiche, già tutte in movimento. Dovremo avere molta pazienza e cultura critica nei prossimi mesi. E ne vedremo di pollai in tutti i showroom televisivi! Già! Anche pensare diventa quasi la nuova forma fisica della resistenza.

 

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