Viaggio
ad Aleppo – Parte Prima: la Verità Nascosta Dietro la Propaganda
NATO
di
Vanessa
Beeley (da
MintPress
News)
20
settembre 2016
Traduzione
per Doppiocieco di Domenico
D'Amico
Il
popolo siriano soffre a causa dei “ribelli moderati” e delle
“forze di opposizione” appoggiate dagli Stati Uniti, dai membri
della NATO e dai loro alleati tra gli stati del Golfo, nonché da
Israele. Eppure la sua sofferenza viene quasi del tutto ignorata dai
mass media, a meno che non favorisca l'agenda imposta dal
Dipartimento di Stato.
Attraversando Khanaser, al-Safira, e la città industriale di Sheikh Najjar, lungo il percorso per Aleppo. (Foto di Vanessa Beeley) |
Aleppo,
Siria – Per quelli la cui percezione delle condizioni di questa nazione dilaniata dalla guerra è incanalata dalla
visione dei grandi media, Aleppo è diventata sinonimo di distruzione e di “violenza di stato”.
I
mezzi di comunicazione schierati con la NATO mantengono un controllo
stretto sull'informazione proveniente da questa città assediata,
assicurandosi che qualunque cosa trapeli sia preconfezionata per
adattarsi alle esigenze del Dipartimento di Stato e delle richieste
di un cambio di regime. La macchina della propaganda sforna storie
già sentite di armi chimiche, assedio, gente alla fame e civili
obbiettivo di bombardamenti, tutto ciò attribuito al governo siriano
e al suo esercito, con scarse variazioni sul tema.
Lo
scopo di questo servizio fotografico e del mio viaggio ad Aleppo del
14 agosto era di scoprire in prima persona, da giornalista
occidentale, la verità dietro la narrazione dominante di Stati Uniti
e NATO riguardo la Siria.
Aleppo
Est e Aleppo Ovest
Un soldato siriano sventola la bandiera nazionale dopo la cacciata dei ribelli dei ribelli dall'Accademia Militare di Aleppo, il 5 settembre 2016. |
La
maggior parte dei media occidentali mancano di sottolineare il
“racconto di due città” messo in scena tra la Aleppo
occidentale e quella orientale. La parte est è occupata da una
serie di formazioni sostenute dagli Stati Uniti, dalla NATO e dai
suoi alleati nel Golfo (come l'Arabia Saudita), e da Israele. I
civili che vivono nella parte ovest di Aleppo, sotto il controllo del
governo, attribuiscono a questi gruppi l'etichetta generale di
“terroristi”, spesso senza riferirsi a uno di essi in
particolare.
Nell'area
occidentale di Aleppo controllata dal governo vivono più di un
milione e mezzo di civili, inclusi 600.000
persone che sono fuggite dalla parte est nel 2012. Tra la gente
(da 200.000 a 220.000) che vive nelle aree orientali della città
occupate dai terroristi, ci sono 50.000 o più membri (familiari
compresi) delle cosiddette fazioni “ribelli”, questo secondo la
Aleppo Medical Association.
Nella
maggior parte dei media occidentali, si accenna a malapena a questa
divisione, creata dall'incursione di formazioni armate insurrezionali
(o, come i grandi media e il governo statunitense li definiscono,
“ribelli moderati”) che ha spinto masse di civili fuori dalle
zone orientali della città, verso la sicurezza della parte
occidentale sotto il controllo del governo.
Ribelli
Moderati
I
media occidentali si inebriano nel perpetuare la narrazione delle
“coraggiose
forze d'opposizione” “bombardate”
dagli attacchi aerei siriani e russi. Quello che mancano di citare è
che le 22
brigate (finora identificate) che operano ad Aleppo e dintorni
sono costituite da combattenti
terroristi finanziati dal Dipartimento di Stato USA.
Harakat
al-Nour al-Zenki è una di queste brigate. Di recente è venuto alla
luce un video in cui i suoi membri maltrattano
e decapitano un bambino, Abdullah Issa, proveniente da un campo
di rifugiati palestinesi nella parte nord di Aleppo.
Esistono
anche diverse filiazioni del Free Syrian Army, gruppo appartenente
all'opposizione “moderata”, finanziato e armato dagli Stati
Uniti, addestrato
dalla CIA, e che ora si affida al Fronte Nusra (Jabhat al-Nusra),
braccio armato di al-Qaida in Siria, per consolidare le proprie
capacità in armi e logistica.
Al
Fronte Nusra appartiene fino
all'80% dei terroristi attivi ad Aleppo est. (Questa formazione
ha lanciato recentemente una campagna
di re-styling, cambiando il proprio nome in Fronte per la
Conquista di Sham, o Jabhat Fatah al-Sham, tentando esplicitamente di
distanziarsi da al-Qaida. Tuttavia non c'è stato nessun cambiamento,
né nella sua gerarchia di comando né nella sua ideologia
autoritaria ed estremista, pertanto questo articolo continuerà a
riferirsi a questa formazione come Fronte Nusra).
Armi
Chimiche
L'uso
di armi chimiche contro i civili di Aleppo ovest da parte di gruppi
terroristi, in particolare il Fronte Nusra, per i media occidentali è
un concetto intollerabile. Al suo posto, i media selezionano
reportage fittizi provenienti da gruppi di “attivisti” e
“cittadini giornalisti” che sostengono di lavorare dentro Aleppo.
Come nel caso di un reportage di Al-Jazeera del 7 settembre
sull'esercito
siriano che lancia attacchi chimici contro i civili, questo
genere di informazione viene diffusa con zelo allarmante da
giornalisti che stanno a Washington, Londra o altrove, che hanno
limitate possibilità di verificarle o valutare cosa stia realmente
accadendo sul campo, prima di pubblicarle. Il fatto che il Fronte
Nusra si sia impadronito nel 2012 dell'unica
fabbrica chimica di Aleppo viene cacciato sotto il tappeto delle
verità sconvenienti. E mentre i grandi media ignorano la notizia, ex
ispettori delle Nazioni Unite ed esperti di missilistica del MIT
hanno confermato anch'essi che il Fronte Nusra possiedono ingenti
risorse nel campo delle armi chimiche.
Attivisti
e Cittadini Giornalisti
Gli
opinionisti lontani dalla Siria si affidano a “gruppi di attivisti”
e “cittadini giornalisti” che sono invariabilmente insediati
nelle aree occupate da gruppi quali il Fronte Nusra, Ashrar al-Sham,
brigate assortite del Free Syrian Army, e perfino il Daesh (un
acronimo arabo che denomina la formazione terrorista conosciuta in
Occidente come ISIS o ISIL). Sia che si tratti di singoli attivisti,
sia si tratti di gruppi come i White
Helmets o l'Aleppo
Media Center, è arduo definirli indipendenti od obbiettivi, dato
che sono noti i finanziamenti che ricevono dagli Stati Uniti, dai
membri della NATO e da istituzioni statali come l'USAID – tutte
entità che hanno il loro interesse nel progetto di “cambio di
regime” in Siria. Le “prove” che queste fonti divulgano si
discostano raramente dalla versione ufficiale statunitense e
avvalorano la propaganda che fa da motrice al treno delle menzogne
interventiste.
Un'indagine
tutt'altro che complicata sulle origini dell'Aleppo Media Center
mostra che esso è finanziato dal Ministero degli Esteri francese, lo
stesso che acclama come rivoluzionari i mercenari armati dalla NATO e
dai sauditi. L'Aleppo Media Center fa parte della Syrian
Expatriate Organization, e riceve inoltre “sostegno” dal
Syrian
Media Incubator, una creazione di Canal France International,
“l'agenzia mediatica di cooperazione del Ministero degli Esteri
francese,” come ha
detto il Ministro degli Esteri francese nel gennaio del 2014:
“Nell'aprile del 2014, CFI aprirà un media center [un'agenzia multimediale], il Syrian Media Incubator, nella città turca di Gaziantep, a 60 chilometri dal confine siriano, a nord di Aleppo. Questo spazio di lavoro collettivo mira a provvedere di sostegno e strumenti moderni di telecomunicazione i giornalisti siriani che siano decisi a continuare a diffondere notizie dal loro paese, qualsiasi sia il costo.”
È
difficile considerare la Francia un attore imparziale in questa
partita neocoloniale. Nel giugno del 2015 il Ministro degli Esteri di
questo paese, Laurent Fabius, è stato portato in tribunale da un
gruppo di querelanti siriani che lo hanno accusato
di aver attizzato il conflitto siriano nel 2012.
La
querela citava svariati eventi in cui era percepibile, da parte di
Fabius, un atteggiamento laudatorio nei confronti del Fronte Nusra,
ad esempio quando disse
a Le Monde che quel gruppo “stava facendo un buon lavoro”. Le
famiglie in lutto sottolineavano il suo rifiuto di catalogare il
Fronte Nusra come organizzazione terroristica nel 2012, e
consideravano le sue iniziativa volte a condonare le azioni di quel
gruppo come uno dei contributi più importanti al prolungamento della
guerra contro la Siria e la sua popolazione.
È
dovere di ogni giornalista mettere in dubbio l'imparzialità dei
reportage provenienti da organizzazioni che dichiarano di essere
indipendenti. I reporter occidentali sono piuttosto rapidi nello
scartare come “pro-Assad” qualsiasi notizia che vada contro il
loro canovaccio prestabilito.
Dopo
che il 17 agosto l'Aleppo Media Center ha pubblicato il
video di Omran Daqneesh, l'immagine del ragazzo siriano coperto
di sangue e polvere è stata diffusa globalmente senza che nessuno si
ponesse interrogativi su alcune
lampanti anomalie riguardo all'evento. Il Guardian,
Al-Jazeera,
l'Associated
Press e i suoi numerosissimi abbonati, il Los
Angeles Times, il Telegraph,
la CNN
e Time
sono solo alcuni dei grandi media che hanno ripreso e diffuso il
video senza il minimo ripensamento.
Una
ricerca su Google per “Fox
News e Aleppo Media Center” porta a un numero stupefacente di
risultati. In breve, Fox News si affida un'organizzazione finanziata
dal Ministero degli Esteri francese che produce propaganda
utilizzando “attivisti” pro-NATO istallati ad Aleppo. Un
giornalismo davvero “equo ed equilibrato”!
L'Assedio
e la Catastrofe Umanitaria
Informando
il mondo occidentale che il responsabile dell'assedio di Aleppo sia
il governo siriano del Presidente Bashar Assad, i media occidentali
vendono al loro pubblico la guerra umanitaria. “I ribelli siriani
si uniscono per spezzare l'assedio di Assad contro Aleppo,” così
titola
il Guardian del 6 agosto.
Quest'articolo
in particolare elogia l'utilizzo di attentatori suicidi nella cattura
da parte dei “ribelli” dell'accademia militare siriana ad Aleppo
sud. L'area viene descritta come “il cuore di Aleppo,” ma si
tratta diu una definizione parecchio ingannevole, che suggerisce che
che i “ribelli” siano penetrati in profondità in un'Aleppo
occidentale in mano al governo. Si tratta di una falsità che si
trasforma in verità nella mente di un pubblico che si affida a media
“rispettabili” per ottenere informazioni sul conflitto siriano.
Questi
articoli spesso non fanno cenno dei corridoi
umanitari
istituiti dallo stato siriano e dalla Russia, o le offerte di
amnistia fatte alla “opposizione armata” che combatte ad Aleppo.
Quando ne parlano, tuttavia, è solo di passaggio, o con una
prospettiva negativa che finiscono per minare i tentativi concreti di
riconciliazione
messi in atto dallo stato siriano.
Il ministero di riconciliazione nazionale è diretto dal dott.
Ali Haider,
che fa parte della autentica, non violenta opposizione siriana, Il
Partito
Socialista della
Nazione Siriana
[SSNP].
“Il Comando Generale dell'Esercito e delle Forze Armate ha continuato a inviare messaggi di testo per esortare i militanti nella parte orientale di Aleppo a deporre le armi per trovare un accordo riguardo il loro status legale, e sollecitare i cittadini a partecipare alla riconciliazione nazionale e ed espellere i militanti stranieri dal loro territorio.”
I
media mancano anche di riferire che gli Stati Uniti e l'Unione
Europea stanno imponendo alla Siria devastanti sanzioni economiche,
nel mentre che distribuiscono migliaia di armi e milioni di dollari
ai 360.000
mercenari
stranieri che violano i diritti umani per tutta la Siria.
Aleppo
è sotto assedio, è vero, ma si tratta di un assedio imposto
dai gruppi della “opposizione moderata”
ai danni dei civili di Aleppo ovest e di quelli che vivono sotto
un'occupazione terroristica nell'est della città. I convogli
umanitari diretti ad Aleppo ovest sono costretti sono costretti a
passare attraverso zone ad alto rischio occupate dal Fronte Nusra e
da altri innumerevoli gruppi terroristici operanti in zona.
Nell'agosto
del 2015 ho condiviso sul mio blog un resoconto
di un abitante di Aleppo.
Eccone un cenno:
“Non provo altro che rabbia, a vedere questi teppisti, questi criminali dall'altra parte della città che versano migliaia di litri di acqua fresca e pulita dentro un fiume infetto e contaminato, sotto il naso dei siriani assetati che loro dichiarano di voler liberare. Sono loro i terroristi, sono loro i mostri di questa storia e sono loro che commettono ogni giorno crimini in massa contro i cittadini di Aleppo, ma di questo i media occidentali non ne parlano mai. Forse che non siamo siriani? Forse che la nostra sofferenza non significa nulla, forse che la nostra storia non conta nulla? Questa è Aleppo, la vera Aleppo, non la favola dei media occidentali, ma l'incubo perenne, diurno e notturno, di una vita sotto un'occupazione terrorista.”
Come
dice il dott.
Bashar Al-Jaafari, rappresentante permanente della Siria presso
le Nazioni Unite, rivolto al Concilio di Sicurezza in gennaio: “Il
vero assedio è quello ai danni di 23 milioni di siriani, inflitto
loro dalle sanzioni di Stati Uniti, Regno Unito e Unione Europea.”
Insieme
ai bombardamenti effettuati dalla
coalizione a guida statunitense, che hanno colpito centrali
elettriche e altre infrastrutture essenziali, queste sanzioni hanno
massacrato il settore sanitario e quello educativo. Se i siriani sono
alla fame o non possono ricevere un trattamento per traumi gravi o
malattie croniche, è perché la NATO fa loro la guerra, facilitando
l'ingresso di mercenari che vengono pagati per assassinare e far
scappare i siriani dalle loro case, e impedendo a forniture ed
equipaggiamenti di arrivare a scuole e ospedali.
Ovviamente
ci vorrebbe un articolo a sé per ognuno di questi argomenti. Il mio
viaggio ad Aleppo dovette essere leggermente abbreviato per via
dell'incremento degli scontri tra l'esercito siriano e i vari gruppi
di “ribelli moderati” e di mercenari capitanati dal Fronte Nusra.
Sono stata comunque in grado di spigolare alcune preziose notizie e
dichiarazioni che hanno dato un bel contributo allo sbugiardamento
della narrazione dei media allineati con la NATO.
Un
abitante di Aleppo mi ha detto:
“Quasi tutto quello che hanno addossato al governo o all'esercito negli ultimi cinque anni è stato commesso dai terroristi e dalla NATO. Sono loro che bersagliano le infrastrutture, gli ospedali, i bambini e le donne. Sono loro che stuprano le donne. Sono loro che usano le armi chimiche, il cloro, il gas mostarda.”
Ometto
il suo nome per la sua sicurezza – un problema comune in una città
che è stata sotto l'assedio in continua evoluzione di media e
terroristi sin da quando l'intervento NATO ha preso piede in Siria
quasi sei anni fa.
L'assedio
dell'informazione è stato imposto ad Aleppo dai maggiori media
americani ed europei, insieme ad altri finanziati dagli stati del
Golfo o dalla Turchia che si affidano largamente ad al-Qaida come
fonte di notizie. Tutto ciò ha assicurato che pochissime notizie
veritiere riuscissero a filtrare dalla cappa di propaganda imposta a
una città che sin dall'inizio della sporca guerra in Siria ha
resistito a tutti i tentativi di coinvolgerla nell'insurrezione
armata.
E
questa è una guerra sporca che ha avuto una lunga incubazione, prima
che si scatenasse nel dicembre del 2011, come provano i messaggi del
Dipartimento
di Stato diffusi da WikiLeaks, che mostrano come i piani per
destabilizzare la Siria e rovesciarne il governo erano in
elaborazione sin dal 2006.
Ciò
di cui spesso non si scrive è la punizione inflitta alla popolazione
civile di Aleppo dalle numerose formazioni terroristiche armate,
finanziate e perfino addestrate dagli Stati Uniti, dai membri della
NATO e dai loro alleati tra gli stati del Golfo, nonché da Israele.
I media più importanti, invece, si arrampicano sugli specchi per
diffamare una volta di più l'esercito siriano e il governo Assad,
utilizzando ogni mezzo a loro disposizione, compresa la diffusione di
reportage in seguito confutati
e screditati.
Andando
da Homs ad Aleppo
La
strada da Damasco a Sheikh Maqsoud, la zona di Aleppo controllata dai
curdi. (Immagine fornita da Vanessa Beeley)
|
Viaggiando
in compagnia di un'altra giornalista indipendente, Eva Bartlett, un
traduttore e un tassista, sono arrivata ad Aleppo il 14 agosto,
seguendo la Castello Road, che alcuni grandi media hanno preso a
chiamare “Strada della Morte.” Per arrivare fin lì ci è stato
fornito un nulla osta di sicurezza che ci permetteva di percorrere
strade che, dalla città occidentale di Homs in là, serpeggiano
attraverso zone mai abbastanza lontane dalla traiettoria di vari
gruppi terroristici, incluso il Daesh, e dove bisogna mettere in
conto il rischio di venire sequestrati. Una volta ad Aleppo,
l'ingresso in zone militari potrebbe non essere approvato senza la
protezione e la scorta dell'esercito siriano.
A
Homs sono stata testimone di una scena ormai familiare in tutta la
Siria: edifici deturpati e devastati da anni di attacchi
terroristici. Mi è stato detto che la strada che stavamo percorrendo
era nota una volta come 60a Strada, ma ormai aveva preso un nuovo
nome, Strada della Morte (Shara al-Moot), visto che era stata
sottoposta ad attacchi terroristici da nord, sud, est e ovest. Sono
stati attacchi portati per mezzo di cecchini, mortai e attacchi
suicidi, non sembra ci fossero limiti ai modi di ammazzare i siriani
di Homs.
Andando
a nord sulla strada da Homs a Hama, siamo arrivati a un grosso posto
di controllo dell'esercito siriano, un incrocio di strade brulicante
di gente. In attesa dell'inevitabile controllo di sicurezza, ho avuto
l'opportunità di sporgermi dal finestrino e osservare. Fare foto,
comunque, ai posti di controllo è vietato.
Questi
posti di blocco dell'esercito siriano sono diffusi in tutto il paese.
La loro funzione principale e quella di controllare i mezzi di
trasporto alla ricerca di armi o di militanti estremisti del tipo
Daesh o Fronte Nusra, che potrebbero tentare di passare da un
governatorato all'altro senza farsi scoprire. Auto e altri tipi di
veicoli sono stati utilizzati per attentati suicidi in molte zone, in
particolare nel quartiere al-Zahra'a di Homs, che è stato colpito
molte volte, provocando morti e feriti.
Un
flusso continuo di pullman e camion carichi di bestiame arrivava a
questo posto di controllo dalla direzione di Hama e Homs. Molti dei
pullman portavano famiglie aggrappate ai loro ultimi averi,
probabilmente rifugiati, e i furgoni erano sormontati da scatoloni e
bagagli di ogni genere.
Ricevemmo
un cenno di saluto da alcuni soldati di passaggio, soldati che
nonostante la durezza degli scontri ad Aleppo e dintorni non hanno
mai mostrato se non cortesia e rispetto – una cosa che ho
verificato durante tutto il mio viaggio di quattro settimane in
Siria. Uno di questi soldati stava seduto a gambe incrociate in cima
a un tank posizionato su un portacarri parcheggiato al crocevia, e
sorrideva nel calore già soffocante del mattino, quasi invitasse i
suoi compagni a unirsi a lui.
L'equipaggiamento
dell'esercito siriano era palesemente usurato dal combattimento. Le
armi recavano i segni della guerra e non venivano sostituite da
tempo. Mentre le immagini pubbliche dei combattenti del Daesh di
solito li mostrano con armi ed equipaggiamenti che sembrano appena
spacchettati, molti soldati dell'esercito siriano indossavano stivali
e uniformi consunti e pieni di strappi.
Un frame tratto da un video diffuso dall'ISIS, che mostra l'esecuzione del pilota giordano Moaz-al-Kasasbeh, avvenuta nel 2015. Dietro di lui sono visibili militanti dell'ISIS bene equipaggiati. |
L'esercito
siriano [SAA] risente degli effetti delle sanzioni messe in atto
dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea, ma non ne risentono le varie
formazioni terroristiche sostenute da Stati Uniti, NATO, i loro
alkleati tra gli stati del Golfo e Israele. La linea di rifornimenti
per queste ultime rimane salda e intatta, grazie ai servizi di
trasporto offerti dalla Turchia attraverso il confine-colabrodo con
la Siria.
Le
sanzioni statunitensi ed europee sono efficaci nell'impedire l'arrivo
di rifornimenti in Siria attraverso vie legali, e noi siamo stati
testimoni molte volte degli effetti negativi di tutto questo su
infrastrutture civili essenziali, così come sull'equipaggiamento e
personale militare.
In
ogni caso, le vie di rifornimento illegali rimangono intatte, e
rendono permanente il conflitto, armando ed equipaggiando le svariate
formazioni di “ribelli moderati” e “forze di opposizione.”
Che siano l'Arabia Saudita, la Giordania, la Turchia o gli Emirati
Arabi Uniti a sostenere il Daesh con armi
che passano per i Balcani, oppure gli Stati Uniti che attraverso
la Turchia riforniscono di armi il mutevole cast dei “ribelli
moderati”, il rubinetto che rifornisce di logistica e armamenti la
“opposizione armata” non si chiude mai.
In
aprile, ad esempio, IHS Jane [rivista specializzata in analisi su
questioni militari, di sicurezza e di intelligence] ha pubblicato un
articolo contenente la lista di carico di una spedizione di armi
effettuata nel dicembre 2015 da parte degli Stati Uniti per i
“ribelli siriani” attraverso il confine Siria-Turchia. L'articolo
riporta:
“Il carico descritto nel documento includeva fucili Ak-47, mitragliatrici ad uso generalizzato PKM [1], mitragliatrici pesanti DshK, lanciarazzi RPG-7 e sistemi anti-tank filoguidato 9K11M Faktoria [in realtà 9M111M Faktoriya – ndt]. Il Faktoria è una versione migliorata del 9K111 Fagot [probabilmente il 9M111 Fagot – ndt], da cui si differenzia principalmente per la presenza di una doppia testata che permette di penetrare le corazze reattive dei carri armati.”
Bisogna
sottolineare che questo particolare carico di armi per i “ribelli
moderati” è stato consegnato durante un accordo
di cessate il fuoco
operante in molti governatorati siriani.
Questo
servizio video della Deutsche
Welle
del 2014 spiega come funziona il traffico di armi dalla Turchia alla
Siria, un meccanismo operante tutt'oggi. Come viene illustrato
nell'introduzione del servizio:
“Ogni giorno, camion carichi di cibo, vestiario e altri rifornimenti attraversa il confine tra Turchia e Siria. Non è chiaro chi siano i destinatari. I trasportatori ritengono che il grosso del carico vada alla milizia dello “Stato Islamico” [cioè l'ISIS – ndt]. Attraverso il confine passano di contrabbando anche petrolio, armi e personale militare, e volontari curdi hanno cominciato a pattugliare la zona, nel tentativo di ostacolare questi rifornimenti.”
È
difficile fare distinzioni tra le varie fazioni delle milizia armate.
Ho chiesto varie volte chiarimenti su quale gruppo armato avesse
compiuto uno specifico attacco, ma mi è stato risposto che per la
maggior parte dei siriani la differenza non esiste. Dal punto di
vista dei civili, queste formazioni sono composte da criminali,
mercenari e terroristi, e le sigle non contano.
Gli
Stati Uniti hanno volto tutto questo a loro vantaggio, utilizzando la
“mescolanza” dei gruppi “ribelli” come scusa per ostacolare
gli sforzi di Russia e Siria di colpire formazioni ufficialmente
definite terroristiche,
quali il Daesh e il Fronte Nusra, per l'eventualità che operativi
statunitensi ci si trovino in mezzo. Messa così, gli operativi
statunitensi all'interno delle formazioni da loro appoggiate
diventano a tutti gli effetti “scudi umani” dei gruppi
terroristici, tipo il Daesh, contro cui apparentemente gli USA
sarebbero in guerra.
In
una conferenza stampa del 28 aprile, John Kirby, uno dei portavoce
deel Dipartimento di Stato, riferiva:
“Siamo consapevoli che si tratta di una situazione molto fluida e dinamica, che ci sono – che c'è una mescolanza tra le formazioni. Un po' la cosa è voluta, perché vogliono stare vicini gli uni agli altri, un po' è casuale. Ed è per questo che gli attacchi diretti ad Aleppo e dintorni diventano una questione più problematica, perché è molto difficile distinguere geograficamente questi gruppi l'uno dall'altro, in modo da – e poi essere abbastanza precisi da colpire solo il gruppo che si ha nel mirino.”
Nel
nostro tragitto verso Aleppo, abbiamo visto soldati siriani a bordo
di ogni sorta di veicolo – sgangherati carri bestiame col retro
spalancato, vecchi autobus, rimorchi multicolori – ma il grado di
rispetto e ammirazione con cui erano guardati dai civili era
palpabile.
Soldati siriani che vanno in guerra sulla strada per Aleppo. (Foto di Vanessa Beeley |
Dopo
il posto di controllo tra Homs e Hama c'è un tratto di strada
famigerato per i bandirti che spingono fuori strada auto e pullman,
sequestrandone i passeggeri. A dispetto della sua pericolosità, quel
tratto è pittoresco, fiancheggiato da campi di mais, filari di ulivi
e girasoli. I primi animali domestici che vedevamo – polli, pecore
e mucche – punteggiavano il panorama verdeggiante.
Mentre
stavamo passando per la città di al-Salamiyah, ci venne detto che
quelli del Daesh erano accampati a circa dieci chilometri a est della
strada. Scrutando il deserto, che pareva stendersi senza limite fino
all'orizzonte, sembrava difficile che questi gruppi di terroristi
potessero vederci.
Continuando
sulla strada per Aleppo siamo arrivati in un'area dove il Daesh si
era fatto più vicino, e ci hanno detto che era solo a due chilometri
di distanza. Ci sorpassavano camion che andavano da Homs ad Aleppo
coi rifornimenti per i soldati dell'SAA, e ho pensato che fossero un
rincalzo per la campagna contro l'insediamento terrorista di
al-Ramouseh, un sobborgo sudorientale di Aleppo.
Sullo
sfondo del deserto spiccavano macabri memento della guerra scatenata
contro la Siria, camion carbonizzati e auto capovolte che si
disfacevano lentamente nella calura feroce. Visione apocalittica di
un paese lacerato da un altro intervento NATO, una guerra sporca
inflitta a una nazione sovrana, con l'obbiettivo del “cambio di
regime” senza badare al costo devastante accollato al popolo
siriano.
Un veicolo capovolto, investito dal cocente sole del deserto, sulla strada per Aleppo. (Foto di Vanessa Beeley) |
Arrivati
più vicini alla periferia di Aleppo, è apparso chiaro che
l'esercito siriano, per motivi di sicurezza, aveva chiuso il normale
tragitto a ovest. Dovemmo deviare verso l'est della città attraverso
Khanaser, una cittadina del distretto di al-Safira, e infine per il
centro industriale di Sheikh Najjar, finché il tragitto non ci ha
riportato verso l'ingresso settentrionale di Aleppo ovest, passando
per il quartiere Sheikh Maqsoud, controllato dai curdi.
Abbiamo
aggirato qualcuna delle zone di Aleppo a più alta densità
terroristica, fosse questa dovuta, tra molti altri, al Daesh, il
Fronte Nusra, Ahrar al-Sham o Harakat al-Nour al-Zenki. Questa mappa
mostra in modo chiaro le aree controllate dalle varie formazioni di
insorti. Il nero rappresenta le zone controllate dal Daesh; il verde
quelle dei “ribelli moderati”; il giallo quelle controllate dai
curdi; il rosso, le zone sotto il controllo dell'SAA; il verde oliva,
le aree contese. È una mappa in continuo cambiamento, dato
l'avanzamento dell'esercito siriano, particolarmente ad al-Ramouseh.
A
questo punto diventa più evidente la presenza degli “argini
anti-cecchino”, cumuli di sabbia e macerie posti sui due lati della
strada, a volte sormontati da pezzi d'automobile e rottami vari, o
bidoni, a fare da schermo per proteggere i viaggiatori dal fuoco dei
cecchini.
Prima
di raggiungere Castello Road siamo arrivati a un incrocio a T, e
l'autista del taxi, dopo un attimo di confusione, voltò esitante a
destra.
Dopo
qualche secondo, un altro veicolo ci sgommò appresso, con i soldati
dell'SSA che ci gridavano di girare a sinistra. Andare a destra ci
avrebbe portato direttamente nella zona controllata dal Daesh, ci
avvertirono.
Poco
prima di fare il nostro ingresso ad Aleppo, non lontano dalla zona
industriale nordoccidentale di al-Layramoun, abbiamo passato un posto
di controllo dove i soldati insistettero perché mantenessimo una
distanza di sicurezza dagli altri veicoli. Il pericolo di colpi di
mortaio da parte dei terroristi era alto, ci hanno spiegato, e una
certa distanza tra i veicoli avrebbe ridotto il numero di vittime,
nel caso uno di essi venisse colpito.
Il punto in cui abbiamo svoltato a destra invece che a sinistra, prima che l'esercito ci facesse tornare verso un'area più sicura. (Foto di Vanessa Beeley) |
A
seguito di scontri accaniti, in luglio le forze dell'esercito siriano
avevano
riconquistato al-Layramoun al Fronte Nusra e alla 16a divisione
del Free Syrian Army. Si tratta di un'area di importanza strategica,
dato che confina con la Castello Road, che è stata l'arteria
principale, direttamente dalla Turchia, per rifornimenti e armi
destinati ai terroristi. Di conseguenza, quando l'SSA ha ripreso il
controllo di quella zona, ha tagliato fuori i gruppi terroristici
dalla linea di rifornimenti turca.
Negli
spazi che fiancheggiavano il nostro percorso c'erano dozzine di
bombole di gas inesplose, i proiettili sparati dai cosiddetti
“cannoni infernali”, riempiti di esplosivo, frammenti di vetro e
metallo, chiodi e perfino sostanze chimiche. Quelli che non hanno
colpito il bersaglio sono sparsi per tutta la campagna. Si tratta dei
missili artigianali che piovono ogni giorno sulle aree dell'Aleppo
occidentale controllate dal governo siriano, provenienti dai vari
gruppi di insorti che occupano la parte est.
Le
ultime cifre fornite dalla Aleppo Medical Association stimano in un
milione e mezzo il numero di civili presenti nella parte ovest di
Aleppo sotto il controllo del governo. Tra 200.000 e 220.000 – un
quarto delle quali è costituito dai terroristi e dalle loro famiglie
– sono le persone che vivono nella parte orientale della città
controllata dalle svariate fazioni di insorti fiancheggiate dagli
Stati Uniti, la NATO e i loro alleati, Arabia Saudita e Israele
compresi.
In
ogni caso, secondo On
the Ground News, un canale mediatico noto per nutrire simpatie
per le forze “ribelli”, non ci sarebbero più civili ad Aleppo
est.
L'Ex
Prigione Centrale di Aleppo
Siamo
passati per l'ex Prigione Centrale di Aleppo, dove la coalizione
Ahrar al-Sham, il Daesh e altri loro affiliati sostennero un assedio
prolungato, tenendo intrappolati all'interno i soldati dell'SSA
dall'aprile del 2013 al maggio del 2014. Secondo un articolo
rivelatore di Al-Akhbar, scritto dopo la liberazione della
prigione da parte di forze SSA che attaccavano dall'esterno, per
l'assedio c'erano due motivazioni portanti:
“I militanti volevano conseguire due obbiettivi secondari: reclutare alcuni prigionieri dopo averli 'liberati', e avvantaggiarsi della posizione strategica del complesso. Questo in aggiunta all'obbiettivo principale, quello di liberare dozzine di detenuti islamisti, la maggioranza dei quali (per la precisione 61) appartengono a Jund al-Sham.”
Questo
è un altro fatto mai menzionato dai media, impegnati a pestare i
tamburi di guerra allineati e coperti col Dipartimento di Stato per
perpetuare l'agenda dei vari “Assad se ne deve andare,” “No fly
zone” e “Intervento di terra.” Per tutta la Siria i cosiddetti
“ribelli moderati” hanno liberato dei carcerati – stupratori
condannati, assassini e altri criminali incalliti – allo scopo di
rimpolpare i ranghi della loro armata di terroristi.
L'Arrivo
ad Aleppo
Siamo
entrati ad Aleppo attraverso lo Sheikh Maqsoud, un quartiere
controllato dai curdi che ha subito duri attacchi da parte delle
bande di terroristi che lo circondano, inclusi il Free Syrian Army e
il Fronte Nusra. La devastazione del quartiere era sconvolgente, come
lo è stata in ogni cittadina, città o villaggio che sia stata
colpita dai “cannoni infernali” dei terroristi sostenuti dalla
NATO, e da tutta una varietà di razzi, proiettili esplosivi e
missili lanciati da dispositivi in parte rudimentali, in parte più
sofisticati, forniti
dagli Stati Uniti.
Eppure
queste armi da lancio, bombole
di gas, scaldabagni e qualsiasi altro contenitore disponibile che
venga stipato di esplosivi e materiali mirati allo smembramento di
corpi umani, raramente meritano attenzione o addirittura cenno da
parte dei maggiori mezzi di informazione. L'anonimo siriano, il cui
racconto ho pubblicato
sul mio blog, riferisco anche questo:
“I terroristi usano mortai, proiettili esplosivi, bombe fatte con bombole di gas da cucina e scaldabagni, riempiti di esplosivo e chiodi e pezzi di metallo, per quelli che chiamano “cannoni infernali”. (Fate una ricerca su Google o su YouTube. Una bombola di gas, fatta di acciaio, che pesa circa 25 chili. Immaginatela lanciata da un cannone contro dei civili, immaginatela piena di esplosivo!”
Il
dott.
Mohammed Jassim, medico volontario, ha detto di recente
all'agenzia RT:
“Il febbraio e l'aprile del 2016 sono stati i periodi peggiori per Sheikh Maqsoud, ci sono stati migliaia di attacchi, con tantissimi tipi di munizioni, e secondo i miei calcoli abbiamo avuto circa 800 tra morti e feriti tra i civili, e il quartiere è stato semidistrutto.”
Il
20 aprile, il Colonnello statunitense Steve Warren, portavoce della
Operation Inherente Resolve, la campagna degli USA contro il Daesh in
Iraq e Siria, ha aggiornato i giornalisti presenti al Pentagono in
videoconferenza da Bagdad. Ha ammesso che, in quel momento, “Aleppo
è principalmente in mano ad al-Nusra.”
Quando
siamo entrati a Sheikh Maqsoud c'era tensione nell'aria. L'area è
controllata dai curdi, ma ci è stato detto di non fare fotografie in
vicinanza dei posti di controllo gestiti da loro.
I
Bambini Come Armi da Guerra
Tra
gli attacchi dei terroristi e i quotidiani massacri di civili siriani
da parte dei “ribelli moderati” sostenuti dall'Occidente, i
bambini feriti e mutilati che ne risultano sono quasi del tutto
invisibili agli occhi dei principali media. Questi media, tuttavia,
rilanciano storie come quella di Omran Daqneesh – storie che
servono a sostenere e diffondere il
punto di vista della NATO, a dispetto dalle fonti sospette da cui
provengono.
Se
i media occidentali sono davvero preoccupati per i bambini vittime
della guerra, dov'era la loro indignazione a luglio, quando Harakat
al-Nour al-Zenki, un gruppo terrorista sostenuto dagli Stati Uniti,
ha decapitato un palestinese
di dodici anni, di nome Abdullah Issa [2]?
Come
mai il Dipartimento di Stato ha
avuto tanta difficoltà a condannare senza se e senza ma questo
orrendo crimine ai danni di una bambino, mentre un altro evento del
genere è stato immediatamente descritto dal medesimo Dipartimento di
Stato come “il
vero volto di ciò che sta accadendo in Siria”?
Il
Guardian cita John Kirby, portavoce del Dipartimento di Stato:
“Quel
ragazzino non ha mai vissuto un momento nella vita che non fosse
guerra, distruzione, povertà nel suo stesso paese.”
Secondo
il Guardian, Kirby continua suggerendo che “il caso di Omran
dovrebbe essere di sprone ai tentativi per una larga cessazione delle
ostilità.” Non si avverte alcun bisogno di fare un'indagine prima
di lanciare quest'immagine nel meccanismo propagandistico designato
per far risuonare le corde del cuore.
La
brutale decapitazione di Abdullah non ha suscitato richiami alla
cessazione delle ostilità da parte dell'Harakat al-Nour al-Zenki o
un impegno da parte del Dipartimento di Stato a smettere di armare e
fiancheggiare i suoi assassini “moderati.”
Il
video della brutale decapitazione di Abdullah ha portato gli Stati
Uniti a meditare “una
pausa nell'assistenza” ai suoi assassini; il video di Omran,
coperto di polvere e sangue, ha suscitato una schiera di chiamate
alle armi, inclusa una “no-fly zone”, interventi militari,
maggiori restrizioni agli aiuti umanitari e ancora più sanzioni.
È
importante sapere da dove nasce la storia di Omran Daqneesh. È stata
lanciata dal succitato Aleppo Media Center e dal “fotogiornalista”
Mahmoud
Raslan (il nome talvolta viene scritto Rslan), che è stato
identificato come il militante presente nella foto qui di seguito,
presa tra i membri dell'Harakat al-Nour al-Zenki che hanno decapitato
Abdullah Issa.
La
storia di Omran Daqneesh proviene da due fonti fortemente discutibili
– e nel caso di Raslan, possibilmente criminali – eppure è stata
ritenuta credibile e degna di una diffusione di massa dai media
occidentali.
In
un commento
per teleSUR del 31 agosto, Tim Anderson, docente e scrittore
australiano, sottolineava le differenze nel trattamento riservato dai
media a Omran e Abdullah:
“Le immagini del piccolo Omran, diffuse da gruppi che sostengono i jihadisti, ha ottenuto vastissima attenzione da parte dei media occidentali, che hanno fiancheggiato le bande fondamentaliste per più di cinque anni di feroce guerra terroristica. Dall'altro lato, il video dell'omicidio del piccolo Abdallah è stato per lo più ignorato, o respinto dichiarando che il ragazzo in realtà aveva 18 anni, oppure era una spia per la milizia palestinese pro-siriana Liwa al-Quds.”
Quel
che è più inquietante nel paragone tra queste due storie, è il
cinico abuso e l'uso dei bambini come armi che viene praticato dalla
macchina mediatica allineata alla NATO. Si tratta dell'uso
premeditato di un bambino come strumento psicologico per promuovere e
legittimare la guerra, mentre la tortura e l'esecuzione a sangue
freddo di un altro bambino viene minimizzata per proteggere gli
agenti degli Stati Uniti che perpetuano quella medesima guerra.
Aleppo
Inoltratici
nei sobborghi di Aleppo, i danni sembravano meno gravi. Una patina di
normalità attenuava il terrore che questa città affronta ogni
giorno quando viene attaccata dai gruppi di insorti accampati ai suoi
confini, i confini di un rifugio dall'estremismo salafita e dalla
minaccia della pulizia etnica, particolarmente temuta dalle minoranze
religiose presenti nella Aleppo occidentale sotto controllo
governativo.
Un mercato in piena attività ad Aleppo ovest. (Foto di Vanessa Beeley) |
Il
dott.
Nabil Antaki è uno dei 4.160 medici che operano ad Aleppo ovest,
quasi del tutto ignorati dai media allineati con la NATO. Egli
afferma che le minoranze, come quelle dei musulmani sciti e dei
cristiani, inorridivano all'idea che l'SSA venisse scacciato dai vari
gruppi terroristici di cui sopra, perché questo avrebbe portato a
una situazione simile a quella di Mosul
in Iraq, dove queste comunità rischiano il massacro.
Queste
minoranze, secondo il dott. Antaki, hanno approntato piani di
emergenza per abbandonare la città, nel tentativo di proteggersi
dalle orde terroristiche, nel caso che queste riescano a sfondare le
difese dell'esercito siriano.
Aleppo ovest al crepuscolo. (Foto di Vanessa Beeley) |
Lasciamo Sheikh Maqsoud per i sobborghi di Aleppo ovest. (Foto di Vanessa Beeley) |
Una
Visita a Bani Zaid
I resti di una barricata per cecchini dei “ribelli moderati” a Bani Zaid. (Foto di Vanessa Beeley) |
Bani
Zaid, una cittadina nella parte settentrionale della provincia di
Aleppo, è stata liberata dall'SSA a luglio, appena qualche settimana
prima del nostro arrivo ad Aleppo. Prima della liberazione, l'abitato
veniva usato come base di lancio per i letali missili dei “cannoni
infernali” verso le aree residenziali di Aleppo ovest, per cui si è
trattato di un evento abbondantemente
celebrato dal popolo siriano.
Le
informazioni sulla liberazione erano incomplete, ma ci dissero che
una volta che l'SSA aveva preso d'assedio la zona le salve
d'artiglieria e i bombardamenti aerei sono durati per una settimana.
Ci
hanno anche riferito che a Bani Zaid erano dislocati molti
combattenti del Fronte Nusra e della 16a divisione del Free Syrian
Army. L'SSA ha scavato gallerie che giungevano fino a pochi metri
dalle posizioni dei combattenti, ingaggiando poi un violento
combattimento ravvicinato coi terroristi, durato cinque giorni, fino
al completamento della liberazione, con conseguente resa o fuga dei
militanti.
Al
nostro passaggio, le operazioni di sminamento a Bani Zaid erano
ancora in corso, perciò non siamo stati in grado di allontanarci
delle vie principali o entrare negli edifici o nelle postazioni di
cecchini, fatte di fusti di metallo, che appaiono a intervalli lungo
le strade. La maggior parte dei “cannoni infernali” dei
terroristi è stata distrutta dall'SSA e dai suoi alleati, una volta
liberata l'area.
Un riparo antiaereo, oppure nido di cecchini, creato dai terroristi a Bani Zaid. (Foto di Vanessa Beeley) |
Lungo le strade principali di Bani Zaid. (Foto di Vanessa Beeley) |
Abbiamo
incontrato qualche soldato dell'SSA e qualche volontario civile che
preferivano accamparsi all'interno della città liberata per tenere
d'occhio le case e le strade spopolate.
Ihab ha tre figli, che combattono tutti nell'esercito siriano. (Foto di Vanessa Beeley) |
Ihab,
membro di un gruppo di volontari siriani chiamati National Defense
Forces, ha tre figli, che combattono tutti nell'SAA. Uno dei suoi
fratelli è già stato ucciso mentre combatteva l'invasione (su
mandato NATO) della Siria.
Uno
dei suoi tre figli stava combattendo dall'interno dell'accademia
militare dell'SSA vicino a al-Ramouseh, mentre un altro faceva lo
stesso all'esterno.
Al-Ramouseh
è una delle zone di Aleppo contese più aspramente. La liberazione
di quest'area da parte dell'SSA comporterebbe l'apertura di un altro
corridoio verso Damasco dall'Aleppo meridionale, per qualche tempo
sotto il controllo di diverse fazioni di “ribelli moderati”.
Ahmed,
un altro volontario civile, ha scelto di insediarsi in una casa
bombardata da dove può proteggere Bani Zaid dalle incursioni
terroristiche. È vissuto in queste condizioni sin dalla liberazione
perché, ci dice, “è mio dovere proteggere il mio paese.”
Ha
reso l'ambiente il più confortevole possibile e ottiene un minimo di
sostentamento vendendo sigarette ai soldati.
Nel
corso di questo breve giro per Bani Zaid abbiamo anche visto i resti
dell'edificio che veniva utilizzato dalla 16a divisione del Free
Syrian Army, sostenuto ed equipaggiato dagli Stati Uniti. La
formazione era comandata dai fratelli Yousef e Khaled Hayani. Khaled
è stato ucciso dagli attacchi aerei; Yousef è sopravvissuto.
Ahmed vive in una casa bombardata, per proteggere Bani Zaid dalle incursioni dei terroristi. (Foto di Vanessa Beeley) |
La
16a divisione è stata responsabile di parecchi degli attacchi
missilistici verso le aree residenziali di Aleppo controllate dal
governo siriano e verso lo Sheikh Maqsoud controllato dai curdi.
Questi massacri e attacchi brutali vengono di regola ignorati dai
media schierati con la NATO, e anche dalla rete di ONG finanziate
dall'Occidente, che dominano la pubblica opinione con reportage
falsificati e resoconti infondati sempre in sincronia cogli
obbiettivi dei membri della NATO in Siria, incluso il “cambio di
regime.”
Fine Prima Parte
Nella
seconda parte del reportage, Vanessa Beeley racconta dei singoli
individui e gruppi che lavorano davvero per il bene dei cittadini
siriani e del loro paese.
note
del traduttore
[1]
La mitragliatrice PKM è un'arma di produzione russa, ma
probabilmente qui viene usata una descrizione generica, dato che
varianti di questo modello vengono prodotte (tra gli altri) da
Polonia, Romania e Ungheria. Del resto, anche la prima voce della
lista (Ak-47) può riferirsi a una delle innumerevoli varianti di un
modello ormai fuori produzione da decenni (per quel che riguarda la
fabbrica di Kalashnikov): potrebbe essere cinese quanto albanese, ma
le varianti statunitensi sono anch'esse parecchie. Analogo discorso
per la Dshk. i lanciarazzi ecc.
[2]
La differenza sarebbe che il giovane palestinese era un combattente,
e quindi non vale come “vittima”. Vedi più oltre il commento di
Tim Anderson.
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