di Diego Fusaro da lospiffero
L’opera di demonizzazione preventiva è sempre la stessa. La si
ritrova, ugualmente modulata, su tutti i quotidiani e in tutte le
trasmissioni televisive, di destra come di sinistra. In quanto
totalitario, il sistema della manipolazione organizzata e dell’industria
culturale occupa integralmente la destra, il centro e la sinistra. Il
messaggio dev’essere uno solo, indiscutibile.
Armi chimiche, armi di distruzione di massa, violazione dei diritti
umani: con queste accuse, la Siria è oggi presentata mediaticamente come
l’inferno in terra; per questa via, si prepara ideologicamente
l’opinione pubblica alla necessità del bombardamento, naturalmente in
nome dei diritti umani e della democrazia (la solita foglia di fico per
occultare la natura imperialistica delle aggressioni statunitensi).
Alla demonizzazione preventiva come preambolo del “bombardamento etico”
siamo abituati fin dall’inizio di questa “quarta guerra mondiale” (cfr.
C. Preve, La quarta guerra mondiale, All’insegna del Veltro,
Parma 2008). Successiva ai due conflitti mondiali e alla “guerra
fredda”, la presente guerra mondiale si è aperta nel 1989 ed è di ordine
geopolitico e culturale: è condotta dalla “monarchia universale” – uso
quest’espressione, che è di Kant, per etichettare la forza uscita
vincitrice dalla guerra fredda – contro the rest of the world, contro tutti i popoli e le nazioni che non siano disposti a sottomettersi al suo dominio.
Iraq 1991, Jugoslavia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2004, Libia 2011:
queste le principali fasi della nuova guerra mondiale come folle
progetto di sottomissione dell’intero pianeta alla potenza militare,
culturale ed economica della monarchia universale.
La Siria è il prossimo obiettivo. L’apparato dell’industria culturale
si è già mobilitato, diffamando in ogni modo lo Stato siriano, in modo
da porre in essere, a livello di opinione pubblica, le condizioni per il
necessario bombardamento umanitario. Il presidente statunitense Obama
non perde occasione per presentare la Siria come il luogo del terrorismo
e delle armi di distruzione di massa, in modo che l’opinione pubblica
occidentale sia pronta al bombardamento del nemico.
La provincia italiana – colonia della monarchia universale – ripete urbi et orbi
il messaggio ideologico promosso dall’impero. È uno spettacolo
vergognoso, la prova lampante (se ancora ve ne fosse bisogno) della
subalternità culturale, oltre che geopolitica, dell’Italia e dell’Europa
alla potenza mondiale che delegittima come terrorista la benemerita
resistenza dei popoli e degli Stati che non si piegano al suo barbaro
dominio.
Il primo passo da compiere, per legittimare l’invasione imperialistica camuffata da interventismo umanitario, resta la reductio ad Hitlerum di chi è a capo degli Stati da invadere, non a caso detti rogue States, “Stati canaglia” (in una totale delegittimazione a priori
della loro stessa esistenza): da Saddam Hussein a Gheddafi, da Chavez
ad Ahmadinejad, la carnevalata è sempre la stessa. Vengono ridotti a
nuovo Hitler e a nuovo nazismo tutte le forze che non si pieghino al nomos dell’economia di cui è alfiere la monarchia universale.
Del resto, l’invenzione mediatica di sempre nuovi Hitler sanguinari si
rivela immancabilmente funzionale all’attivazione del “modello
Hiroshima”, ossia del bombardamento legittimato come male necessario.
Dove c’è un Hitler, lì deve esserci anche una nuova Hiroshima.
L’ideologia della pax romana costituisce una costante
del corso storico. Ogni impero qualifica come pace la propria guerra e
delegittima come terrorismo e barbarie quella dei resistenti. Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant: il vecchio adagio di Tacito non è mai stato tanto attuale.
La reductio ad Hitlerum si accompagna pressoché sempre
all’impiego ideologico del concetto di umanità come titolo volto a
giustificare – come già sapeva Carl Schmitt (cfr. Il concetto del politico)
– l’ampliamento imperialistico. La guerra che si autoproclama
umanitaria serve non solo a glorificare se stessa, ma anche a
delegittimare il nemico, a cui è negata in principio la qualità stessa
di uomo. Contro un nemico ridotto a Hitler e a essere non umano, il
conflitto può allora essere spinto fino al massimo grado di disumanità,
in una completa neutralizzazione di ogni dispositivo inibitorio di una
violenza chiamata a esercitarsi in forma illimitata. Vale la pena di
leggere il profetico passo di Schmitt: «Un imperialismo fondato su basi
economiche cercherà naturalmente di creare una situazione mondiale nella
quale esso possa impiegare apertamente, nella misura che gli è
necessaria, i suoi strumenti economici di potere, come restrizione dei
crediti, blocco delle materie prime, svalutazione della valuta straniera
e così via. Esso considererà come violenza extraeconomica il tentativo
di un popolo o di un altro gruppo umano di sottrarsi agli effetti di
questi metodi “pacifici”».
È questa l’essenza dell’odierna “quarta guerra mondiale”, puntualmente
dichiarata contro i popoli che aspirano a sottrarsi all’imperialismo
statunitense (e subito dichiarati terroristi, assassini, nemici dei
diritti umani, “Stati canaglia”, ecc.).
In coerenza con la destoricizzazione tipica del nostro presente, l’epoca che si colloca sotto lo slogan dell’end of history,
la dimensione storica viene sostituita, a livello di prestazione
simbolica, ora dallo scontro religioso tra il Bene e il Male
(identificati rispettivamente con l’Occidente a morfologia capitalistica
e con le aree del pianeta che ancora resistono), ora dal canovaccio
della commedia che, sempre uguale, viene impiegato per dare conto di
quanto accade sullo scacchiere geopolitico: il popolo compattamente
unito contro il dittatore sanguinario (Assad in Siria), il silenzio
colpevole dell’Occidente, i dissidenti “buoni”, cui è riservato il
diritto di parola, e, dulcis in fundo,
l’intervento armato delle forze occidentali che donano la libertà al
popolo e abbattono il dittatore mostrando con orgoglio al mondo intero
il suo cadavere (Saddam Hussein, Gheddafi, ecc.).
Seguendo
penosamente l’ideologia dominante, la sinistra italiana continua a
rivelare, anche in questo, una subalternità culturale che farebbe ridere
se non facesse piangere: da “L’Unità” a “Repubblica” l’allineamento con
l’ideologia dominante è totale (ed è, per inciso, un’ulteriore prova a
favore della tesi circa l’ormai avvenuta estinzione della dicotomia tra
una destra e una sinistra perfettamente interscambiabili, composte da
nietzscheani “ultimi uomini”). La parabola che porta dall’immenso
Antonio Gramsci a Massimo D’Alema è sotto gli occhi di tutti e si
commenta da sé.
Secondo questa patetica commedia, tutti i mali della società vengono
imputati al feroce dittatore di turno (sempre identificato dal circo
mediatico con il nuovo Hitler: da Saddam a Gheddafi, da Ahmadinejad a
Chávez), che ancora non si è piegato alle sacre leggi di Monsieur le Capital;
e, con movimento simmetrico, il popolo viene mediaticamente unificato
come una sola forza che lotta per la propria libertà, ossia per la
propria integrazione nel sistema della mondializzazione capitalistica.
Come se in Siria o a Cuba vi fossero solo dissidenti in attesa del
bombardamento umanitario dell’Occidente! Come se la libertà coincidesse
con la reificazione planetaria e con la violenza economica di marca
capitalistica! Tra i molteplici esempi possibili, basti qui ricordare
quello della blogger cubana Yoani Sánchez, ipocritamente
presentata dal circo mediatico come se fosse l’unica voce autentica
della Cuba castrista, la sola sostenitrice dell’unica libertà possibile
(quella della società di mercato) dell’intera isola cubana!
L’aggressione imperialistica della monarchia universale può
trionfalmente essere salutata come forma di interventismo umanitario,
come gloriosa liberazione degli oppressi, essi stessi presentati come
animati da un’unica passione politica: l’ingresso nel regime della
produzione capitalistica e la sottomissione incondizionata alla
monarchia universale.
La Siria, come si diceva, è uno dei prossimi obiettivi militari della
monarchia universale. È, al momento, uno dei pochi Stati che ancora
resistono alla loro annessione imperialistica all’ordine statunitense. E
questo del tutto a prescindere dalla politica interna siriana, con
tutti i suoi limiti lampanti, che nessuno si sogna di negare o anche
solo di ridimensionare.
Con
buona pace di Norberto Bobbio e di quanti, dopo di lui, si ostinano a
legittimate le guerre “umanitarie” occidentali, la sola guerra legittima
resta, oggi, quella di resistenza contro la barbarie imperialistica.
Per questo, con buona pace del virtuoso coro politicamente corretto,
addomesticato e gravido di ideologia, senza esitazioni occorre essere
solidali con lo Stato siriano e con la sua eroica resistenza all’ormai
prossima aggressione imperialistica.
La Siria, come Cuba e l’Iran, è uno Stato che resiste e che, così
facendo, insegna anche a noi Occidentali che è possibile opporsi
all’ordine globale che si pretende destinale e necessario. Diventa,
allora, possibile sostenere degli Stati resistenti quanto Fenoglio, nel Partigiano Johnny, asseriva a proposito dei partigiani (anch’essi eroi della resistenza, come oggi i rogue States): “ecco l’importante: che ne restasse sempre uno”.
lunedì 26 agosto 2013
Siria, la demonizzazione preventiva
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