venerdì 27 settembre 2013

Criminalità globalizzata

di Tonino D’Orazio
 

Le organizzazioni fuori legge sono sempre esistite, ma oggi, l’abbandono delle sovranità nazionali, la girandola di enormi capitali in libero movimento hanno attirato intorno a sé varie forme di pura delinquenza. Oligarchie russe, mafie albanesi, siciliane e calabresi, triade cinese, yakuza giapponese, pirati, prostituzione (ad alto e costoso livello le escort), trafficanti di stupefacenti e droghe, di armi, di diamanti, di legno, di opere d’arte, di materiale radioattivo, di sigarette, di medicinali, di esseri umani e dei loro “pezzi di ricambio”, di animali. Compreso il traffico dei capitali che godono di una extra-territorialità “legale” in paradisi fiscali e non, ma non meno micidiale della malavita organizzata. La legalità, l’ordine pubblico, intere popolazioni e settori dell’economia, province, regioni, stati passono sotto il dominio del denaro sporco, della corruzione se non della “guerra”. (Attentati vari). Spesso sono gli Stati stessi, tramite dittatori, governi corrotti, accordi insulsi, a permettere alla delinquenza, alle lobbie o anche a gruppi paramilitari, di scorazzare in attività illecite.
Vale la pena elencare una serie di organizzazioni a vario titolo criminali, intendendo con questa parola anche la morte morale o indotta, e il genocidio sociale. Tutte sono fautori di morte “violenta”. Si potrebbero scrivere interi libri su ogni paragrafo, ma ne sono già stati scritti tanti.
Iniziamo con “Big Pharma”. Un manipolo di case farmaceutiche si dividono il lucroso mercato mondiale per arricchire i propri azionisti. Si muore al Sud del mondo per carenza di medicine, o perché spesso troppo care, e si soffre al Nord per iper consumo, se non per gli effetti secondari. Nessuno riesce a controllarle e il loro terreno favorito è la corruzione a livello generale e atomizzato in migliaia di rivoli. Pensiamo alla GlaxoSmithKline italiana (2003) quando furono incolpati di corruzione circa 2.900 medici di base, 37 impiegati e 35 medici della ditta stessa, 80 procacciatori. (Chissà cosa sarà successo, da allora, in questi ultimi dieci anni!). Stessa cosa in vari paesi d’Europa. Negli Stati Uniti è bastato controllare i contributi alle campagne elettorali dei parlamentari, democratici o repubblicani, per scovare la filiera lobbistica. Abbiamo visto com’è finita la riforma della sanità di Obama. Pensiamo anche alla “guerra” in corso tra la triade (Stati Uniti, Europa, Giappone: 88% del consumo mondiale di medicine) e i paesi poveri e emergenti, sin dagli anni ’90 e oggi acutizzata, per la produzione di medicinali generici e a basso costo. Per non parlare di medicinali che spesso non servono a nulla (vaccini vari) ma acquistati ad ogni terrore mediatico debitamente rilanciato o di medicinali estremamente rari e quindi costosissimi (quelli vitali) e le uniche lucrose ricerche afferenti. Inutile aggiungere i vari scandali di questi ultimi anni tra cui le protesi mammellari (500.000 donne nel mondo) di una ditta francese che utilizzava gel adulterato o le valvole cardiache artificiali difettose del San Raffaele di Milano. Oppure addirittura l’inserimento di virus Hiv o cancerogeni in vaccini somministrati in Africa su milioni di persone, oserei dire cavie, appena denunciati. Ci sarebbe molto altro da dire.
In Colombia, (ma non solo) la ricchezza di alcune famiglie ha il colore del sangue. Intanto lo Stato non ha mai negato, se non ultimamente, che i paramilitari erano figli suoi ed erano armati da settori politici, padronali e finanziari per soffocare l’opposizione. I morti accertati sono, tra il 1988 e il 2003, 14.476, tra cui ovviamente molti rappresentanti delle forze sociali. Parimenti l’accumulo della ricchezza di dette famiglie sono il risultato di spoliazioni varie (interi territori agricoli fatti abbandonare da guerriglie varie e ricomperate in centesimi) e di narcotraffico con produzione di cocaina indispensabile al consumo mondiale, ma soprattutto degli Stati Uniti. I narcotrafficanti agiscono ancora oggi come “bravi allevatori” armati per difendere i loro diritti. Il flusso di denaro prodotto e posseduto rappresenta più del Pil totale dello stato colombiano stesso (e di tanti paesi poveri) e scorazza in attività finanziarie illecite nel mondo intero, Italia compresa. Quanti i morti complessivi?
La prostituzione. Anche se le persone che si prostituiscono non fanno tutte parte della rete mafiosa, una grande maggioranza ne è comunque vittima. Migliaia di donne provengono dai paesi dell’est, ormai democratici, altre dai paesi africani, asiatici e sud americani, spinte a vendere il loro corpo, ma spesso a subire soprusi morali e fisici insopportabili. Nell’era della mondializzazione anche la tratta delle donne si globalizza. Ovviamente, essendo un business meno pericoloso che la vendita delle droghe e non essendoci nessun quadro giuridico per combatterlo, è un settore in forte espansione accoppiato a una miseria complessiva in aumento dappertutto.
Il furto e la refurtiva delle opere d’arti. Il valore accertato varia tra 3 e 4,5 miliardi di euro, subito dopo il traffico di armi e quello delle droghe. Non vi sono morti, ma viene derubata la storia e la cultura di un popolo affinché qualche ricco epulone possa “godere” e possedere queste opere in modo nascosto e solitario. In realtà, a ben guardare, causano perdite irreparabili al patrimonio soprattutto delle nazioni del Sud, poiché il traffico delle opere si sviluppa verso i paesi nei quali vi sono i più grandi e ricchi mercati artistici. Le stesse convenzioni internazionali per il recupero di questi beni hanno pochissima efficacia. Sta alla propria popolazione proteggersi. L’esempio più lampante avvenne durante l’occupazione americana dell’Iraq, quando i cittadini riuscirono, sotto i ciechi bombardamenti a “tappeto”, a salvare le opere del famoso museo di Bagdad. Quei selvaggi non trafugarono le opere e i reperti, come ci diede ad intendere la stampa occidentale, ma li riportarono nel museo appena finiti i bombardamenti salvandoli il più possibile. Comunque, dal 1991, sono state trafugate più di 4.000 oggetti. Centomila tombe sono state saccheggiate in Perù, rubate 16.000 icone nelle chiese di Cipro …
Ovviamente il commercio delle armi. Intanto ci sono gli armamenti pesanti. Qui entrano in gioco direttamente gli stati, i governi democratici, le dittature, la produzione industriale. Sono anche armi pesanti ma convenzionali, carri armati, cannoni, obici, elicotteri, bombe e aerei. Nota la vicenda italiana dell’acquisto obbligatorio degli F-35. Navi e sommergibili da guerra, anche a propulsione atomica. Vi sono interi arsenali scomparsi, dopo le ultime “piccole” guerre umanitarie, come quelli della Bosnia o quelli libici (ritrovate in parte nella guerra civile del Mali). Poi ci sono le armi leggere vendute soprattutto nei paesi poveri, dove vi sono guerre etniche e religiose, con genocidi e massacri. Tra loro vi sono micidiali mine antiuomo che scoppiano anche anni dopo, pallottole all’uranio impoverito (in modo che la morte possa arrivare anche tempo dopo tramite cancri vari), gas asfissianti di ogni tipo (tutti i paesi ne posseggono tonnellate, anche se i cattivi sono sempre gli stessi).
C’è poco da dire sulle varie piste mondiali di produzione e di distribuzione delle varie droghe, naturali o artificiali. Gli itinerari dei narcotrafficanti si sono differenziati in questi ultimi anni. Gran parte dei profitti non arricchiscono certamente i coltivatori, e le enormi ricchezze prodotte, “ripulite”, riciclate, rimangono nei paesi occidentali e vengono reinvestiti in mille modi, compreso acqua e cibo. Se non per esempio pagando il 5% allo Stato italiano per farselo ripulire invece di pagare il 30/40% a vari trafficanti di denaro o alle banche. Il denaro ed il mercato sono già un crimine in sé ma cosa dire di milioni di morti e milioni di umani ridotti a larve. Di morti e poveri incastrati tra le guerre dei narcotrafficanti stessi. 

Non ci sono solo la Colombia, il Perù, la Bolivia, l’Afganistan (in un paese in ginocchio dalla nostra umanitaria occupazione, gli allevatori sono diventati agricoltori di papavero, e i “capi” possono finanziare cospicuamente i talebani), quasi tutti i paesi asiatici, anche l’Africa dell’Ovest è diventata area preminente per il traffico della cocaina. Con la coscienza tranquilla i governi occidentali insorgono contro i trafficanti di droga dell’America latina e chiedono fermezza a questi governi contro gli agricoltori, spesso minatori disoccupati e cacciati dalle miniere dalle imposizioni del Fondo Monetario Internazionale. Stessa cosa in Bolivia, dopo la distruzione delle loro coltivazioni di piante di coca, non viene proposto loro nessuna coltivazione di sostituzione. Ricominciano un po’ più in là. A volte qualche arresto eclatante permette di coprire tanti scandali finanziari e bancari, se non direttamente delle istituzioni. Il mortale flusso di denaro sporco influenza complessivamente la finanziarizzazione dell’intero pianeta. Una “mondializzazione felice”, grazie a “meno Stato” e meno controlli reali. 
Già dagli anni ’90 gli esempi di Panama, del Nicaragua o dell’Afganistan mostravano che l’enorme denaro raccolto giocava un ruolo essenziale nei conflitti e nelle crisi regionali, intrecciandosi con gli interessi finanziari e politici locali.
Il traffico dei clandestini. Possiamo definirlo schiavitù moderna. I flussi sono: dall’America latina verso Europa e Nord America; dall’Africa Sahariana verso l’Europa e i paesi arabi del golfo; dai paesi dell’est (Asia e Europa) verso l’America del Nord, l’Europa Ovest e i paesi arabi del golfo; dall’Asia del Sud verso l’Europa e i paesi arabi del golfo. Insomma Europa sempre. Il Canale di Sicilia è la tomba di migliaia di persone, fisica, sociale e morale. Le statistiche mondiali (approssimative ovviamente) indicano una percentuale del 76% di donne e ragazze “esportate” e 24% di uomini. (ONUDC 2012). Il traffico è estremamente lucrativo, soprattutto quello del commercio degli organi umani. Quest’ultimo ancora poco conosciuto, ma in scambi medico-scientifici, anche clandestini, sempre più efficaci. Mors tua, vita mea.
Ci sono traffici immensi e fantasmi alle nostre società. Sono i diamanti, per i quali da alcuni secoli muoiono migliaia di persone, sia per scavarli che per le guerre civili scatenate dagli avidi e amorali “colonizzatori”. Basta pensare al Katanga e alla sua storia di sangue che coinvolge a tutt’oggi i paesi limitrofi. La stessa cosa vale per altri minerali come l’oro, il rame (Cile e Perù), i materiali radioattivi, i legni pregiati come l’ebano africano o il teck della Malesia. Certamente c’è anche il commercio trasparente, ci serve pure un alibi.
E poi ci sono i peggiori, se si può dire, in assoluto. Gli agglomerati bancari. In questa fase di “capitalismo della menzogna”, di fallimenti fraudolenti (Enron, WorldCom, Qwest, Tyco, Lucent, Xerox, varie banche europee e italiane, ecc…) questi rovinano decine di migliaia di salariati, di azionari e di pensionati. Non sono purtroppo poche eccezioni in una globalizzazione dove regna sovrana l’impunità, non solo, ma anche l’obbligo di rifinanziarli con il denaro pubblico. Le banche sono diventate la vera rappresentazione della sacralità moderna e la disperazione di una società che si vorrebbe più giusta. Infatti sono diventate gli strozzini legali e transnazionali di tutti i paesi del mondo, riducendo in miseria milioni di famiglie e accaparrandosi tutta la ricchezza prodotta da tutti, e tutti i fondi destinati alla convivenza sociale dei paesi stessi. Sono gli organizzatori dei cosiddetti “krachs”, cioè di fallimenti pilotati dopo aver spolpato completamente l’impresa. E’ un giochetto che sta funzionando bene, ai massimi livelli e ad altissimo rendimento, cioè miliardi di dollari. Ovunque i dirigenti hanno saccheggiato la loro impresa utilizzando falsi contro-poteri di controllo. Dietro di loro il deserto, cioè il disastro umanitario sotto tutti i punti di vista. Non c’è lotta efficace contro questo tipo di mafia e di banditismo legale. Anzi c’è la protezione culturalmente vincente del libero mercato. Cioè, seppur vogliamo aprire gli occhi, della morte sociale, del genocidio sociale, di un crimine contro l’umanità.

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