Sto ricevendo decine di messaggi pubblici e privati su Yoani Sánchez, la sua (presunta) rottura del contratto con La Stampa (quello su Internazionale è già fermo da un anno). Tali messaggi sono causati dall’outing del suo traduttore Gordiano Lupi che ora si sente libero di dirne peste e corna e raccontare quello che in tanti denunciavano da anni: l’avidità maniacale e le balle sulla persecuzione che subirebbe all’Avana.
Alcuni mi fanno i complimenti, ma io non ho fatto nulla né penso che Gordiano dica cose nuove o particolarmente significative. Fa piacere però la memoria lunga di alcuni e il fatto che citino a distanza di anni il mio lavoro. Nello specifico però c’è poco da gioire o pavoneggiarsi. Notizia sarebbe stata se fosse stata La Stampa a rompere il contratto, riconoscendo finalmente in Yoani non un’informatrice credibile, quale è stata fatta passare per anni, ma quel che è: un fenomeno mediatico costruito a tavolino, tanto perfetto da essere incredibile a chiunque avesse una lettura raffinata delle cose.
Anche adesso che Gordiano Lupi arriva a chiedersi se Yoani sia davvero un’agente della CIA o non sia invece al soldo del perfido Fidel (bum!), resta quella sensazione di vuoto pneumatico e di stereotipo ritrito su tutta la storia e sull’informazione anti-latinoamericana proposta dal mainstream.
Quella dei grandi media sull’America latina è una commedia dell’arte per la quale i buoni hanno perfino delle determinate caratteristiche fisiognomiche (come Yoani o Capriles in Venezuela) tali da renderli politicamente spendibili, mentre uno con la faccia di Nicolás Maduro dovrebbe tornare a fare l’autista d’autobus.
È un giornalismo classista ove non razzista ma soprattutto è un giornalismo che manca al proprio ABC, quello di verificare i fatti. Il problema non è infatti mai stato se ci piace o meno la rivoluzione cubana ma se si siano preoccupati di verificare in qualche modo la credibilità di Yoani e cosa stesse davvero apportando sulla comprensione di quell’esperienza. A chi scrive non scandalizza se Yoani abbia guadagnato molti soldi in un paese dove un cardiochirurgo guadagna pochi Euro al mese. A chi scrive scandalizza che ai media abbiano fatto passare per informazione la propaganda anti-castrista aderendo al fine di questa (convincere) ma abdicando al proprio fine (informare).
Quella del mainstream sull’America latina è una grande opera dei pupi che da oltre un anno sta rendendo per esempio impossibile la vita ad un uomo anziano come Pepe Mujíca, presidente di un paese che non interessa a nessuno come l’Uruguay, ma importunato quotidianamente da ogni giornale e televisione del mondo, che vendono la sua bella immagine ma dicono ben poco su cosa sta facendo quell’esperienza di governo (nel bene o nel male) sulla sponda orientale del grande fiume. Pauperismo, marihuana e poco più. Un messaggio reso innocuo se decurtato del resto. È un reality show che rappresenta i presunti studenti venezuelani come buoni e oscura quelli cileni come cattivi (salvo far gallerie di foto per la bella Camila Vallejo). È uno spettacolo dove i contadini e i minatori scompaiono in un continente popolato innanzitutto da contadini e minatori. È sicariato mediatico dove si può stigmatizzare Cristina Fernández per shopping compulsivi inventati di sana pianta e dove se George Bush dice che tutti gli indigeni latinoamericani, dai mapuche agli zapatisti, sono terroristi allora, per i nostri media, gli indigeni latinoamericani andranno trattati come alleati di Al Qaeda.
Non credo che il progetto Yoani sarà particolarmente danneggiato dall’ex-abrupto di Gordiano Lupi né che il mainstream possa fare ammenda o comportarsi più seriamente in futuro. Frequenterà pessima gente (come Aznar nella foto), guadagnerà bene, farà notizia di quando in quando, magari comunicando via Internet da Cuba che a Cuba Internet non funziona. Continuerà a godere di ottima stampa e a fare pessima informazione. Resta per tutti noi la necessità di studiare per capire, senza delegare nessuno, tantomeno Yoani Sánchez.
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