Un lucido Sapir collega chiaramente l’euro all’attuale crisi politica europea.
La moneta unica ha privato i governi europei degli strumenti per agire
in nome del benessere dei propri cittadini, violando anche il tacito
patto, alla base delle democrazie, “no taxation without representation”.
In questo modo, i governi appaiono deboli e incapaci di difendere i
cittadini, che si rifugiano in sotto-comunità che sembrano meglio
garantirli ma che finiscono per mettere tutti contro tutti. Questa
strada porta dritta verso la guerra civile.
Di Jacques Sapir, da vocidall'estero 1 agosto 2016
La questione della compatibilità tra l’euro e la democrazia si pone
oggi con una rilevanza molto particolare. Questa moneta ha imposto alla
Francia di cedere la propria sovranità monetaria ad un’istituzione non
eletta, la Banca Centrale Europea. Essa impone ora alla Francia di
cedere alla Commissione Europea, altra istituzione non eletta, interi
settori della politica fiscale e di bilancio. Cosa resta allora del
patto politico fondamentale che vuole che il potere di tassare un popolo
venga ceduto solo in cambio del controllo sovrano dei rappresentanti
del popolo sul bilancio del paese in questione?
Questo processo era già iniziato nel periodo precedente (dal 1993 al
1999) con l’istituzione di uno status di indipendenza della Banca di
Francia. Ma questo status aveva senso solo nell’ottica dell’imminente
implementazione dell’euro. Constatiamo, tuttavia, che questo primo
abbandono della sovranità fu decisivo.
La perdita delle caratteristiche democratiche creata dall’euro ha
conseguenze drammatiche per il nostro paese. Questa perdita provoca una
erosione inevitabile del patto repubblicano e rischia, a causa delle sue
conseguenze, di condurci alla guerra civile.
L’euro prima dell’euro
L’indipendenza della Banca di Francia, introdotta dopo il trattato di
Maastricht, è stato un passo decisivo per la perdita della sovranità
monetaria. Tuttavia, l’indipendenza delle banche centrali è in realtà
parte del processo messo in opera. Tuttavia, quello che implica il primo
abbandono della sovranità è ancora più importante dell’abbandono
stesso. Una volta che viene lasciata ad altri la scelta della politica
monetaria, si deve ammettere che questi ‘altri’ determineranno con le
loro azioni le regole di bilancio che è necessario seguire. Privato
della sua libertà di variare i parametri della politica monetaria, il
governo perde uno dei principali strumenti di politica economica. Ma
esso perde anche, in parte, il controllo delle sue risorse fiscali,
perché queste sono strettamente correlate al livello dell’attività
economica, e al tasso di inflazione. Infatti, le risorse fiscali sono
grandezze nominali (e non grandezze reali). Più alto è il tasso di
inflazione, maggiori saranno le risorse fiscali. Si noti, infine, che
parte del deficit pubblico è un “debito” simile a quello che gli agenti
privati emettono per avviare un’attività produttiva. Quindi si pone la
questione del suo acquisto, in tutto o in parte, da parte della Banca
centrale. Ma questo è vietato dall’euro.
Le consequenze politiche dell’euro
Non si può più regolare la politica monetaria secondo i bisogni
dell’economia, il governo deve piegarsi a norme rigorose in materia di
bilancio e fiscali. Se un’entità esterna stabilisce ora la politica
monetaria, alla fine questa stessa potrà impostare le regole di bilancio
e fiscali. Questo è quello che il nuovo trattato, o trattato di
stabilità, coordinamento e governance, adottato nel settembre 2012, ha
istituzionalizzato. Se il processo di bilancio sfugge al il controllo
del governo, lo stesso vale per il processo fiscale. Tuttavia, il
fondamento di TUTTE le democrazie risiede nel fatto che i rappresentanti
del popolo, il Parlamento, deve avere – lui solo – l’ultima parola sul
bilancio e sul fisco. Siamo quindi tornati alla situazione precedente al
1789. Il collegamento tra il cittadino e il contribuente è stato
interrotto.
L’euro e la crisi politica
Ecco la causa della crisi democratica. Si manifesta prima come una
forte astensione durante varie elezioni. Poi si manifesta anche con una
repulsione verso diverse comunità e l’ascesa del “comunitarismo”. Oppure
questa ascesa del comunitarismo prende ormai una piega tragica con gli
attacchi di “jihadisti” sul territorio nazionale. Da questo punto di
vista, la situazione è stata aggravata dal lassismo e dalla complicità
dello stato e di alcuni dei suoi eletti al clientelismo [1] con i
rappresentanti di questa ideologia.
Si deve imperativamente porre fine a queste pratiche. La politica
dell’abbandono della politica da parte dei politici non può che condurre
il paese alla tirannia o alla guerra civile. Ma questo richiede di
ridare ai politici le capacità di agire con tutti gli strumenti
necessari.
I francesi si sentono ormai sempre meno cittadini – e soprattutto
perché dovremmo smetterla di macchiare questa parola in maniera
totalmente inappropriata – essi si ritirano verso quello che sembra
fornire protezione: le comunità religiose, le comunità di origine… In
tal modo si precipitano nella guerra civile. Questa è la critica più
radicale che possiamo fare all’euro: quella di strappare in maniera
decisiva il tessuto sociale e di mettere, letteralmente, i francesi, gli
uni contro gli altri. Nella logica dell’euro non c’è altro che quello
che descrive Hobbes: la guerra di tutti contro tutti.
Se consideriamo tutti gli aspetti, economici, sociali, fiscali, ma
anche politici, l’euro ha avuto, per quasi 17 anni ormai, un ruolo
estremamente negativo. Privando i governi dei mezzi per agire, esso
accredita l’idea della loro impotenza. Non abbiamo finito di pagarne il
prezzo.
[1] Vedere Pina C., Silence Coupable, Paris, Kero, 2016.
giovedì 11 agosto 2016
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RispondiEliminaCome disse qualcuno "è la semplicità che è difficile a farsi"
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