lunedì 3 novembre 2014

La Leopolda e la piazza rossa

di Tonino D'Orazio
 
A parte il nome suggestivamente boccaccesco, quasi un bel sinonimo del sesso femminile, la Leopolda rappresenta l’antagonista vera dello scontro con la Cgil e il popolo di piazza San Giovanni. La spaccatura tra una sinistra vera e una subdola di facciata. Popolo questa volta particolarmente numeroso ma soprattutto composto anche di molti azionisti della ditta PD&C. E’ un po’ come se l’amministratore delegato snobbasse i propri azionisti tra l’altro derubandoli. Nella norma: succede così anche alle imprese quotate in borsa.
La protervia dell’amministratore delegato con tracce di comportamento da piccolo bulletto, e vi parla uno che nella sua vita ne ha sempre rintracciato facilmente, nella scuola, le caratteristiche comportamentali e, in genere. il codazzo di ragazzine ammirate che si trascinano dietro, è pari a quella di Tronchetti Provera che con il 3% del capitale e alcuni “amici” stranieri ha gestito, affossato e svenduto il colosso Telecom. L’analogia con Renzi, la sua ditta e i suoi amici della troika sembra eccezionale se non fatale.
Ma torniamo all’antagonismo tra la Leopolda e la piazza, con la sua demonizzazione da parte di Renzie, il giorno prima della manifestazione, a reti unificate e da tutti i cosiddetti giornalisti milionari e sedicenti “professionisti” di sinistra. Anche loro contro la piazza rossa, sottilmente. La7 e l’ex penta-stellato Mentana, non ha osato più fare la diretta. Le minacce sono nell’aria e Rainews24 passa la diretta e le interviste dalla piazza al circo (parola azzeccata per cordata di amici) della Leopolda, in modo “equilibrato”. La minaccia di Renzi ai suoi? “Chi è nella piazza è contro di me, del governo e del PD”. Che sono tutte la stessa cosa. Quando si dice bulletto.
La partecipazione così numerosa sancisce una nuova spaccatura tra la sinistra vera rappresentata dal mondo del lavoro in carne ed ossa e la Leopolda che ormai rifiuta di chiamarsi di sinistra, che vira a destra, e che forse non ne pretende più i voti perché spera di rubarli all’amico dell’accordo segreto del Nazzareno. Ecco perché non “ha paura che si crei qualcosa a sinistra”, anzi sembra auspicarlo.
Ma a questo punto, anche se pezzi di Sel (e M5S) migrano in tempo verso lidi che pensano più sicuri perché il capo ha detto come farà una legge elettorale da asso piglia tutto, cos’aspetta la sinistra vera e pur visibilmente esistente in questo paese ad unificarsi. Si potrebbe dire: se non ora, quando? Chi si ritiene di sinistra organizzi la sinistra, non è più tempo di moine se si vuol dare continuità politica a questa piazza rossa. Già Cofferati sbagliò una volta, scappando dalle sue responsabilità e dalle speranze suscitate e riportò tutti, o quasi, a credere che i DS (e poi la ditta PD) erano ancora di sinistra, mentre il verme dell’ambiguità era già nella mela, evidenziato nel cambio continuo del nome.
Cos’aspetta la sinistra a riprendersi l’Emilia Romagna prima che se la prende prossimamente, come Genova tra poco, il Movimento 5 Stelle o una destra incarognita?
La piazza sta dimostrando che il pifferaio è nudo e che il continuo gioco delle tre carte, o il cerino acceso in mano alle regioni e agli enti locali, è scoperto. Ma anche che la sinistra ha bisogno di rappresentanza vera, politica, visto che i lavoratori, i disoccupati, i precari, i pensionati ci credono e sono presenti. Pensate, anche quelli iscritti all’Ugl e dissidenti cisl e uil. Ricordando che i lavoratori sono uguali dappertutto con le loro difficoltà e sofferenze, non dovute al fato o alla disgrazia ma a politiche vere contro di loro, in questa guerra di inizio secolo come per analogia lo era quella dell’inizio del secolo scorso. Ci misero tempo, ma anche allora riuscirono ad individuare nel partito socialista (vero), un partito loro, lo strumento di riscatto. Ci volle un Mussolini e il fascismo per farli desistere con la forza. Oggi ci sono i democrats che, insieme alla destra (e quasi non stupisce nessuno), li sta affossando, un po’ alla volta. Non è finita e non se ne vede ancora il fondo.
Dispiace che non vi siano bandiere del Movimento 5 Stelle (mentre vi erano molte “falce e martello”), reso mediaticamente silenzioso, ma unica vera opposizione in Parlamento, piaccia o no. Tra l’altro pur sensibili al mondo del lavoro, anche perché è un movimento di giovani e in stragrande maggioranza, come da statistica, di precari e nomadi senza futuro. Chi minimizza non capisce che questa è la loro vera forza. Su argomenti e obiettivi precisi come il lavoro nessuno dovrebbe essere contro di loro. Se la storia della sinistra ci ha insegnato la forza dell’unità sugli obiettivi, così come la cerca giustamente la Cgil a tutti i costi anche davanti al diniego continuo di Cisl e Uil, qualcosa oltre alla demonizzazione, si dovrà pur fare.
Allora il sindacato riacquisti una funzione prettamente più politica, con la sua autonomia di rappresentanza, prima che, oltre l’erba, anche la terra gli venga tolta sotto i piedi. Per esempio, prossima tappa, l’abolizione non frontale dello sciopero, vecchio arnese che fa perdere lavoro e competitività al paese (Squinzi dixit). La Cisl e la Uil penso si siano accorti che il sindacato istituzionale verrà bocciato tramite l’assenza di commesse sociali (Caaf, Patronati, formazione), già preannunciati, (ideologicamente con il “ne faremo a meno”) con l’impossibilità di salvare i mobili, anche se sono pronti a minacciare a chiacchiere e firmare di nuovo tutto e in bianco.
Lo scontro di Renzi contro i sindacati sono, e saranno sempre più, di bombardamento culturale sul vecchio da rottamare e su responsabilità da addebitare loro, anche se alcune ci sono (non che sia la panacea ma l’ultimo vero sciopero generale è avvenuto 28 anni fa), pur sapendo che le leggi le hanno fatte i partiti, in particolare la sua ditta in modo subdolo, a danno dei diritti del genere umano chiamato lavoratori e famiglia, usurpandone la rappresentatività.
Ma l’attore non ha paura della parte, ormai gioca a tutto spiano, con un codazzo servile, il ruolo mediatico del Capitan Fracassa davanti ad un pubblico sempre affascinato dalla commedia dell’arte, dalle menzogne, dalle chiacchiere, dalle frasi spot tipicamente commerciali, dalle prevaricazioni e finalmente sempre illuso e disilluso nelle speranze.
Nella pianificazione generale dell’abbattimento del welfare e dei diritti sociali, a medio e lungo termine, non dobbiamo dimenticare che i padroni avranno le mani libere solo dopo l’abolizione, o l’indebolimento in un modo o l’altro, delle organizzazioni sindacali. E’ un obiettivo tipico delle destre estreme dette fasciste ma anche delle nuove destre “democratiche” che sono la loro medesima controfigura “accettabile”. Ma che ci sia sempre meno democrazia e partecipazione e sempre più leaderismo e oligarchie di potere e strapotere, éra Napolitano/Berlusconi e a seguire, dovrebbe essere capito, assodato e rifiutato da tempo.
I lavoratori non possono aspettare ancora per molto che qualcuno li rappresenti politicamente nelle sedi istituzionali. Il sindacato, zoccolo duro della Costituzione e della democrazia può aspettare ancora il suo deterioramento e lo sgretolamento continuo al quale è sottoposto? Può ancora inseguire chi li piglia a pesci in faccia? Quale è il suo grado di autonomia e di rappresentanza oggi se non ha più né sostegno né controparte politica?
E se dopo la manifestazione non succede nulla, e se dopo lo sciopero generale non succede nulla, quale sarà il grado di attesa e per che cosa? Basta un Landini per dire “Da qui andremo anche allo sciopero generale, se serve, e anche oltre lo sciopero generale”? Che vuol dire?
La Cgil dovrà pur decidere se la manifestazione, lo sciopero generale (che minacciato e puntualmente eluso) sono solo simboli rimasti e considerati rituali, come l’art.18, anche dall’opinione pubblica come vecchi arnesi sindacali del secolo scorso, oppure come difenderli da un attacco così violento della destra, ditta PD&C. compresa, o almeno come difendere i propri delegati sul posto di lavoro, diventati senza protezione e sicuramente tra i primi prossimi licenziati. Cosa fare dello sgretolamento della sua naturale base organizzata e dei propri iscritti, costretti a ridiventare semi-clandestini. Come difendere l’Inps, strumento di reale welfare che rappresenta i tanti cittadini-lavoratori “azionisti” che vi hanno versato soldi e vita che servono a tutti e che non hanno nulla da dire, commissariata da una politica vorace, con un governo che di volta in volta vi fa la cresta per mantenere le sue promesse da tre carte. Si ricominci intanto dalla solidarietà e dal mutuo soccorso, ma da una attenzione vera anche sui propri soldi.
Non esiste autonomia senza profondo impegno politico della propria rappresentanza. Non si vive al di fuori delle istituzioni repubblicane in grande e autonoma solitudine. Per altri significa istituzionalizzazione, per la Cgil è impossibile, per la sua natura e la sua storia. Ma adesso che le cose sono più chiare perché esiste una sinistra sociale di piazza e di popolo e una loggia oligarchica e salottiera di destra dall’altra, non si può rimanere fermi. Non ce ne possiamo fare una ragione e, come dice la Camusso, Renzi e i suoi adepti, non possono “stare sereni”.

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