di Tonino D'Orazio
A
parte il nome suggestivamente boccaccesco, quasi un bel sinonimo del
sesso femminile, la Leopolda rappresenta l’antagonista vera dello
scontro con la Cgil e il popolo di piazza San Giovanni. La spaccatura
tra una sinistra vera e una subdola di facciata. Popolo questa volta
particolarmente numeroso ma soprattutto composto anche di molti
azionisti della ditta PD&C. E’ un po’ come se
l’amministratore delegato snobbasse i propri azionisti tra l’altro
derubandoli. Nella norma: succede così anche alle imprese quotate in
borsa.
La
protervia dell’amministratore delegato con tracce di comportamento
da piccolo bulletto, e vi parla uno che nella sua vita ne ha sempre
rintracciato facilmente, nella scuola, le caratteristiche
comportamentali e, in genere. il codazzo di ragazzine ammirate che si
trascinano dietro, è pari a quella di Tronchetti Provera che con il
3% del capitale e alcuni “amici” stranieri ha gestito, affossato
e svenduto il colosso Telecom. L’analogia con Renzi, la sua ditta e
i suoi amici della troika sembra eccezionale se non fatale.
Ma
torniamo all’antagonismo tra la Leopolda e la piazza, con la sua
demonizzazione da parte di Renzie, il giorno prima della
manifestazione, a reti unificate e da tutti i cosiddetti giornalisti
milionari e sedicenti “professionisti” di sinistra. Anche loro
contro la piazza rossa, sottilmente. La7 e l’ex penta-stellato
Mentana, non ha osato più fare la diretta. Le minacce sono nell’aria
e Rainews24 passa la diretta e le interviste dalla piazza al circo
(parola azzeccata per cordata di amici) della Leopolda, in modo
“equilibrato”. La minaccia di Renzi ai suoi? “Chi è nella
piazza è contro di me, del governo e del PD”. Che sono tutte la
stessa cosa. Quando si dice bulletto.
La
partecipazione così numerosa sancisce una nuova spaccatura tra la
sinistra vera rappresentata dal mondo del lavoro in carne ed ossa e
la Leopolda che ormai rifiuta di chiamarsi di sinistra, che vira a
destra, e che forse non ne pretende più i voti perché spera di
rubarli all’amico dell’accordo segreto del Nazzareno. Ecco perché
non “ha paura che si crei qualcosa a sinistra”, anzi sembra
auspicarlo.
Ma
a questo punto, anche se pezzi di Sel (e M5S) migrano in tempo verso
lidi che pensano più sicuri perché il capo ha detto come farà una
legge elettorale da asso piglia tutto, cos’aspetta la sinistra vera
e pur visibilmente esistente in questo paese ad unificarsi. Si
potrebbe dire: se non ora, quando? Chi si ritiene di sinistra
organizzi la sinistra, non è più tempo di moine se si vuol dare
continuità politica a questa piazza rossa. Già Cofferati sbagliò
una volta, scappando dalle sue responsabilità e dalle speranze
suscitate e riportò tutti, o quasi, a credere che i DS (e poi la
ditta PD) erano ancora di sinistra, mentre il verme dell’ambiguità
era già nella mela, evidenziato nel cambio continuo del nome.
Cos’aspetta
la sinistra a riprendersi l’Emilia Romagna prima che se la prende
prossimamente, come Genova tra poco, il Movimento 5 Stelle o una
destra incarognita?
La
piazza sta dimostrando che il pifferaio è nudo e che il continuo
gioco delle tre carte, o il cerino acceso in mano alle regioni e agli
enti locali, è scoperto. Ma anche che la sinistra ha bisogno di
rappresentanza vera, politica, visto che i lavoratori, i disoccupati,
i precari, i pensionati ci credono e sono presenti. Pensate, anche
quelli iscritti all’Ugl e dissidenti cisl e uil. Ricordando che i
lavoratori sono uguali dappertutto con le loro difficoltà e
sofferenze, non dovute al fato o alla disgrazia ma a politiche vere
contro di loro, in questa guerra di inizio secolo come per analogia
lo era quella dell’inizio del secolo scorso. Ci misero tempo, ma
anche allora riuscirono ad individuare nel partito socialista (vero),
un partito loro, lo strumento di riscatto. Ci volle un Mussolini e il
fascismo per farli desistere con la forza. Oggi ci sono i democrats
che, insieme alla destra (e quasi non stupisce nessuno), li sta
affossando, un po’ alla volta. Non è finita e non se ne vede
ancora il fondo.
Dispiace
che non vi siano bandiere del Movimento 5 Stelle (mentre vi erano
molte “falce e martello”), reso mediaticamente silenzioso, ma
unica vera opposizione in Parlamento, piaccia o no. Tra l’altro pur
sensibili al mondo del lavoro, anche perché è un movimento di
giovani e in stragrande maggioranza, come da statistica, di precari e
nomadi senza futuro. Chi minimizza non capisce che questa è la loro
vera forza. Su argomenti e obiettivi precisi come il lavoro nessuno
dovrebbe essere contro di loro. Se la storia della sinistra ci ha
insegnato la forza dell’unità sugli obiettivi, così come la cerca
giustamente la Cgil a tutti i costi anche davanti al diniego continuo
di Cisl e Uil, qualcosa oltre alla demonizzazione, si dovrà pur
fare.
Allora
il sindacato riacquisti una funzione prettamente più politica, con
la sua autonomia di rappresentanza, prima che, oltre l’erba, anche
la terra gli venga tolta sotto i piedi. Per esempio, prossima tappa,
l’abolizione non frontale dello sciopero, vecchio arnese che fa
perdere lavoro e competitività al paese (Squinzi dixit). La Cisl e
la Uil penso si siano accorti che il sindacato istituzionale verrà
bocciato tramite l’assenza di commesse sociali (Caaf, Patronati,
formazione), già preannunciati, (ideologicamente con il “ne faremo
a meno”) con l’impossibilità di salvare i mobili, anche se sono
pronti a minacciare a chiacchiere e firmare di nuovo tutto e in
bianco.
Lo
scontro di Renzi contro i sindacati sono, e saranno sempre più, di
bombardamento culturale sul vecchio da rottamare e su responsabilità
da addebitare loro, anche se alcune ci sono (non che sia la panacea
ma l’ultimo vero sciopero generale è avvenuto 28 anni fa), pur
sapendo che le leggi le hanno fatte i partiti, in particolare la sua
ditta in modo subdolo, a danno dei diritti del genere umano chiamato
lavoratori e famiglia, usurpandone la rappresentatività.
Ma
l’attore non ha paura della parte, ormai gioca a tutto spiano, con
un codazzo servile, il ruolo mediatico del Capitan Fracassa davanti
ad un pubblico sempre affascinato dalla commedia dell’arte, dalle
menzogne, dalle chiacchiere, dalle frasi spot tipicamente
commerciali, dalle prevaricazioni e finalmente sempre illuso e
disilluso nelle speranze.
Nella
pianificazione generale dell’abbattimento del welfare e dei diritti
sociali, a medio e lungo termine, non dobbiamo dimenticare che i
padroni avranno le mani libere solo dopo l’abolizione, o
l’indebolimento in un modo o l’altro, delle organizzazioni
sindacali. E’ un obiettivo tipico delle destre estreme dette
fasciste ma anche delle nuove destre “democratiche” che sono la
loro medesima controfigura “accettabile”. Ma che ci sia sempre
meno democrazia e partecipazione e sempre più leaderismo e
oligarchie di potere e strapotere, éra Napolitano/Berlusconi e a
seguire, dovrebbe essere capito, assodato e rifiutato da tempo.
I
lavoratori non possono aspettare ancora per molto che qualcuno li
rappresenti politicamente nelle sedi istituzionali. Il sindacato,
zoccolo duro della Costituzione e della democrazia può aspettare
ancora il suo deterioramento e lo sgretolamento continuo al quale è
sottoposto? Può ancora inseguire chi li piglia a pesci in faccia?
Quale è il suo grado di autonomia e di rappresentanza oggi se non ha
più né sostegno né controparte politica?
E
se dopo la manifestazione non succede nulla, e se dopo lo sciopero
generale non succede nulla, quale sarà il grado di attesa e per che
cosa? Basta un Landini per dire “Da qui andremo anche allo sciopero
generale, se serve, e anche oltre lo sciopero generale”? Che vuol
dire?
La
Cgil dovrà pur decidere se la manifestazione, lo sciopero generale
(che minacciato e puntualmente eluso) sono solo simboli rimasti e
considerati rituali, come l’art.18, anche dall’opinione pubblica
come vecchi arnesi sindacali del secolo scorso, oppure come
difenderli da un attacco così violento della destra, ditta PD&C.
compresa, o almeno come difendere i propri delegati sul posto di
lavoro, diventati senza protezione e sicuramente tra i primi prossimi
licenziati. Cosa fare dello sgretolamento della sua naturale base
organizzata e dei propri iscritti, costretti a ridiventare
semi-clandestini. Come difendere l’Inps, strumento di reale welfare
che rappresenta i tanti cittadini-lavoratori “azionisti” che vi
hanno versato soldi e vita che servono a tutti e che non hanno nulla
da dire, commissariata da una politica vorace, con un governo che di
volta in volta vi fa la cresta per mantenere le sue promesse da tre
carte. Si ricominci intanto dalla solidarietà e dal mutuo soccorso,
ma da una attenzione vera anche sui propri soldi.
Non
esiste autonomia senza profondo impegno politico della propria
rappresentanza. Non si vive al di fuori delle istituzioni
repubblicane in grande e autonoma solitudine. Per altri significa
istituzionalizzazione, per la Cgil è impossibile, per la sua natura
e la sua storia. Ma adesso che le cose sono più chiare perché
esiste una sinistra sociale di piazza e di popolo e una loggia
oligarchica e salottiera di destra dall’altra, non si può rimanere
fermi. Non ce ne possiamo fare una ragione e, come dice la Camusso,
Renzi e i suoi adepti, non possono “stare sereni”.
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