di Alberto Asor Rosa da Il Manifesto via Giornalismo Partecipativo
Sottoscrivo appieno
Un fiume di fango corre per l’Italia. Le sue acque sono alimentate soprattutto dal corpaccio immenso e immensamente ramificato dal centrodestra; ma il suo corso è talmente possente e impetuoso che, come suole, ha rotto gli argini e invaso i territori circostanti, quelli del centrosinistra, dai quali, a loro volta, provengono al fiume principale rivoli, ruscelli, scarichi obbrobriosi e maleodoranti (Bologna, Firenze, Abruzzo, Roma, Napoli….). Altro che Tangentopoli! Quello era – o sembrava – un fenomeno circostanziato e dunque particolare di corruzione di una frazione del ceto politico, fronteggiato da un forte schieramento delle forze politiche e della società civile. Oggi il fenomeno tende a generalizzarsi, abbatte i confini fra società politica e società civile, non incontra ostacoli altrettanto significativi di allora, si configura dunque come un carattere speciale, peculiare, della società nazionale italiana in questa fase storica.
La corruzione, a dir la verità, è sempre stata un connotato molto peculiare del modo d’essere nazionale italiano. Un paese dalle strutture politiche e civili estremamente fragili e dall’arrendevole senso etico-politico non poteva non coltivare la corruzione come un indispensabile e incostituibile strumento di sopravvivenza. La dominante cattolica ha fatto il resto: nulla è impossibile o illecito in un paese in cui qualsiasi colpa, qualsiasi peccato, purché confessati a chi di dovere, diventano redimibili (lo spiega benissimo non un qualsiasi miscredente arrabbiato ma Alessandro Manzoni ne I promessi sposi, nei quali, beninteso, contrappone la sua ricetta, fatta, oltre che di fede in Dio, di rigore e di osservanza dei principi, più protestante, a dir la verità, che cattolica, ma tant’è). In certi momenti speciali la corruzione esplode (perché la corruzione esplode, esplode sempre; bisogna vedere quel che succede poi). Ricordate Pirandello, le pagine impressionanti de I vecchi e i giovani, che a distanza più o meno d’un secolo sembrano scritte esattamente per il nostro oggi? «Dai cieli d’Italia in questi giorni piove fango, ecco, e a palle di fango si gioca; e il fango s’appiastra da per tutto, su le facce pallide e violente sia degli assaliti sia degli assalitori… Diluvia il fango; e pare che tutte le cloache della città si siano scaricate e che la nuova vita nazionale della terza Roma debba affogare in questa torbida fetida alluvione di melma, su cui svolazzano stridendo, neri uccellacci, il sospetto e la calunnia» (Pirandello dimostra fra l’altro che, per disegno e deprecazione della corruzione d’impronta democratica, in certe condizioni storiche si poteva anche diventare fascisti). Poi, scaricata provvisoriamente l’incontenibile soppurazione, l’infezione lenta e inesorabile riprende.
Perché Lui è popolare
Di nuovo oggi c’è che, forse per la prima volta nella nostra storia, si sono verificate una mirabile saldatura e una prodigiosa coerenza tra le forme, lo spirito e l’etica del potere e le forme, lo spirito e l’etica della società circostante. Anzi, alla domanda che spesso ci è stata burbanzosamente rivolta, com’è possibile che quest’Uomo riscuota tanto consenso, considerando la gravità e il numero delle colpe di cui viene accusato, forse una risposta sul piano storico comincia a delinearsi. Quest’Uomo è così popolare non nonostante le sue colpe ma in virtù di quelle. Una parte non piccola del popolo lo ama perché Lui lo interpreta, ne lusinga tutte le tentazioni di corruttibilità e di un radicato, anzi congenito indifferentismo morale, gli spiega che le leggi esistono per essere aggirate, contraddette, ignorate, nega oltraggiosamente il potere della giustizia, attacca i magistrati, fa capire che se ne potrebbe senza difficoltà fare a meno, mostra con l’esempio lampante della propria vita e del proprio cursus honorum che bisogna sempre e senza eccezioni farsi gli affari propri, evidenzia coram populo e senza alcuna vergogna che esistono una coerenza rigorosa e un’inarrestabile osmosi fra vizi privati e pubbliche nefandezze. Insomma, a capo corrotto nazione infetta, e, ovviamente, viceversa. Tutte queste cose, poi, in un paese come l’Italia, dove esistono tre fra le più potenti organizzazioni criminali al mondo (camorra, ‘ndrangheta, mafia) – le quali a loro volta, com’è ovvio, traggono alimento anch’esse sia da quel diffuso bisogno di sopravvivenza sia dalla risposta corrotta intorno dominante – piacciono almeno a una parte abbastanza consistente dei cittadini da garantirgli una sicura maggioranza in Parlamento: quella maggioranza che a sua volta assicura che l’impunità continui e anzi si rafforzi, in un perfetto circolo vizioso che effettivamente ha pochi eguali al mondo, e che proprio perciò qualcuno altrove potrebbe essere tentato d’imitare.
Il ceto politico corrotto
E intorno? Intorno, a cerchi concentrici s’allarga la serie variegata delle risposte. La corruzione, come sistema di potere e forma di vita, stinge solo poco a poco, molto lentamente. Nei cerchi più vicini, sebbene formalmente non suoi, l’esempio e l’insegnamento dell’Uomo hanno attecchito e continuano a essere ben presenti. Voglio precisare una cosa: è della politica che parlo, non delle stravaganti esibizioni da parte di qualche transessuale brasiliano (fango, certo, sempre fango, ma della specie più miserabile e bassa). Da questo punto di vista è corrotta in nuce ogni politica che agisca sulla base d’interessi personali o di gruppo: è corruzione, nel suo senso più alto e significativo, l’autoreferenzialità spinta della politica, il suo preoccuparsi pressoché esclusivamente della preservazione e perpetuazione del ceto politico (di destra o di sinistra, non importa), che la rappresenta e gestisce. Questo è il varco, apparentemente innocuo, da cui penetra ogni ulteriore nefandezza, bisognerebbe tenerne più conto.
Da questo punto di vista (continuo il ragionamento), si salva davvero poco oggi in Italia. Dopo la recente, peraltro prevedibilissima, virata dell’astuto Tonino, il quadro si è ulteriormente semplificato. La galassia della sinistra radicale si sforza più o meno di sopravvivere indenne sul filo dell’onda fangosa che tutto travolge: anche lei, in fondo, pensa soprattutto a non sparire. Si riorganizza unitariamente, magari con ambiziosi programmi di rinnovamento, solo là dove viene spinta a calcinculo fuori dalla rappresentanza che conta: altrove s’adatta o collude.
Ma c’è chi resiste
E allora? In questa sommaria ricostruzione storica sarebbe sbagliato – e ingiusto – non rammentare che alcune istituzioni costruite nei decenni precedenti resistono. Resiste la magistratura. Resistono le forze dell’ordine: polizia, carabinieri, guardia di finanza. Basta pensarci un momento: se non ci fossero né l’una né le altre, saremmo in piena dittatura sudamericana. Resiste una parte del sindacato. Resistono, come ho avuto modo di dire più volte, meritandomene in cambio sberleffi e dileggio, la scuola. E resistono milioni di italiani, che stanno fuori di ogni sistema della corruzione e ragionano e operano sulla base di principi e valori e non d’interessi e affermazioni personali, ma non sono politicamente rappresentati, oppure, se lo sono o credono di esserlo, avvertono con disagio crescente di esserlo in forma imperfetta e sempre più compromissoria.
In Italia le grandi crisi, anche quelle indotte da un eccesso intollerabile di corruzione, sono sempre state affrontate e risolte dall’esterno. Anche la prima Tangentopoli è stata affrontata e risolta dall’esterno, anche se era un esterno che veniva dall’interno, la magistratura italiana: la politica già allora non ci sarebbe mai riuscita da sé. Oggi al contrario è la magistratura che da sola non può farcela, perché il sistema della corruzione è troppo coeso e potente, va dall’alto in basso e dal basso in alto, senza smagliatura alcuna (le dimissioni in questo paese non esistono più neanche di fronte all’evidenza più disgustosa: infatti, se una sola fosse data o una sola accettata, tutto il castello di carte verrebbe giù d’un colpo solo). Siccome è lecito dubitare che le armate anglo-americane siano in procinto di scendere nella penisola per aiutare i resistenti indigeni a restituire al paese libertà, verità, onestà e giustizia, l’ipotesi più probabile è che i cerchi meno compromessi con il sistema della corruzione si mettano d’accordo fra loro per salvare il salvabile, affidandone il compito a uno di questi uomini slavati e impenetrabili, privi di ogni carattere ma passabilmente astuti, abituati da una vita a danzare sul filo, e che precisamente il sistema della corruzione ha consentito salissero così in alto nonostante la loro mediocrità così palese.
Si cercherà cioè di affrontare il male maggiore con il male minore, in attesa che il giro ricominci. Desolante. Ma anche molto, molto italiano.
Perché Lui è popolare
Di nuovo oggi c’è che, forse per la prima volta nella nostra storia, si sono verificate una mirabile saldatura e una prodigiosa coerenza tra le forme, lo spirito e l’etica del potere e le forme, lo spirito e l’etica della società circostante. Anzi, alla domanda che spesso ci è stata burbanzosamente rivolta, com’è possibile che quest’Uomo riscuota tanto consenso, considerando la gravità e il numero delle colpe di cui viene accusato, forse una risposta sul piano storico comincia a delinearsi. Quest’Uomo è così popolare non nonostante le sue colpe ma in virtù di quelle. Una parte non piccola del popolo lo ama perché Lui lo interpreta, ne lusinga tutte le tentazioni di corruttibilità e di un radicato, anzi congenito indifferentismo morale, gli spiega che le leggi esistono per essere aggirate, contraddette, ignorate, nega oltraggiosamente il potere della giustizia, attacca i magistrati, fa capire che se ne potrebbe senza difficoltà fare a meno, mostra con l’esempio lampante della propria vita e del proprio cursus honorum che bisogna sempre e senza eccezioni farsi gli affari propri, evidenzia coram populo e senza alcuna vergogna che esistono una coerenza rigorosa e un’inarrestabile osmosi fra vizi privati e pubbliche nefandezze. Insomma, a capo corrotto nazione infetta, e, ovviamente, viceversa. Tutte queste cose, poi, in un paese come l’Italia, dove esistono tre fra le più potenti organizzazioni criminali al mondo (camorra, ‘ndrangheta, mafia) – le quali a loro volta, com’è ovvio, traggono alimento anch’esse sia da quel diffuso bisogno di sopravvivenza sia dalla risposta corrotta intorno dominante – piacciono almeno a una parte abbastanza consistente dei cittadini da garantirgli una sicura maggioranza in Parlamento: quella maggioranza che a sua volta assicura che l’impunità continui e anzi si rafforzi, in un perfetto circolo vizioso che effettivamente ha pochi eguali al mondo, e che proprio perciò qualcuno altrove potrebbe essere tentato d’imitare.
Il ceto politico corrotto
E intorno? Intorno, a cerchi concentrici s’allarga la serie variegata delle risposte. La corruzione, come sistema di potere e forma di vita, stinge solo poco a poco, molto lentamente. Nei cerchi più vicini, sebbene formalmente non suoi, l’esempio e l’insegnamento dell’Uomo hanno attecchito e continuano a essere ben presenti. Voglio precisare una cosa: è della politica che parlo, non delle stravaganti esibizioni da parte di qualche transessuale brasiliano (fango, certo, sempre fango, ma della specie più miserabile e bassa). Da questo punto di vista è corrotta in nuce ogni politica che agisca sulla base d’interessi personali o di gruppo: è corruzione, nel suo senso più alto e significativo, l’autoreferenzialità spinta della politica, il suo preoccuparsi pressoché esclusivamente della preservazione e perpetuazione del ceto politico (di destra o di sinistra, non importa), che la rappresenta e gestisce. Questo è il varco, apparentemente innocuo, da cui penetra ogni ulteriore nefandezza, bisognerebbe tenerne più conto.
Da questo punto di vista (continuo il ragionamento), si salva davvero poco oggi in Italia. Dopo la recente, peraltro prevedibilissima, virata dell’astuto Tonino, il quadro si è ulteriormente semplificato. La galassia della sinistra radicale si sforza più o meno di sopravvivere indenne sul filo dell’onda fangosa che tutto travolge: anche lei, in fondo, pensa soprattutto a non sparire. Si riorganizza unitariamente, magari con ambiziosi programmi di rinnovamento, solo là dove viene spinta a calcinculo fuori dalla rappresentanza che conta: altrove s’adatta o collude.
Ma c’è chi resiste
E allora? In questa sommaria ricostruzione storica sarebbe sbagliato – e ingiusto – non rammentare che alcune istituzioni costruite nei decenni precedenti resistono. Resiste la magistratura. Resistono le forze dell’ordine: polizia, carabinieri, guardia di finanza. Basta pensarci un momento: se non ci fossero né l’una né le altre, saremmo in piena dittatura sudamericana. Resiste una parte del sindacato. Resistono, come ho avuto modo di dire più volte, meritandomene in cambio sberleffi e dileggio, la scuola. E resistono milioni di italiani, che stanno fuori di ogni sistema della corruzione e ragionano e operano sulla base di principi e valori e non d’interessi e affermazioni personali, ma non sono politicamente rappresentati, oppure, se lo sono o credono di esserlo, avvertono con disagio crescente di esserlo in forma imperfetta e sempre più compromissoria.
In Italia le grandi crisi, anche quelle indotte da un eccesso intollerabile di corruzione, sono sempre state affrontate e risolte dall’esterno. Anche la prima Tangentopoli è stata affrontata e risolta dall’esterno, anche se era un esterno che veniva dall’interno, la magistratura italiana: la politica già allora non ci sarebbe mai riuscita da sé. Oggi al contrario è la magistratura che da sola non può farcela, perché il sistema della corruzione è troppo coeso e potente, va dall’alto in basso e dal basso in alto, senza smagliatura alcuna (le dimissioni in questo paese non esistono più neanche di fronte all’evidenza più disgustosa: infatti, se una sola fosse data o una sola accettata, tutto il castello di carte verrebbe giù d’un colpo solo). Siccome è lecito dubitare che le armate anglo-americane siano in procinto di scendere nella penisola per aiutare i resistenti indigeni a restituire al paese libertà, verità, onestà e giustizia, l’ipotesi più probabile è che i cerchi meno compromessi con il sistema della corruzione si mettano d’accordo fra loro per salvare il salvabile, affidandone il compito a uno di questi uomini slavati e impenetrabili, privi di ogni carattere ma passabilmente astuti, abituati da una vita a danzare sul filo, e che precisamente il sistema della corruzione ha consentito salissero così in alto nonostante la loro mediocrità così palese.
Si cercherà cioè di affrontare il male maggiore con il male minore, in attesa che il giro ricominci. Desolante. Ma anche molto, molto italiano.
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