mercoledì 10 febbraio 2010

Avatar e The Hurt Locker: Ecce Homo Yankee

Come tutti sanno, o dovrebbero sapere, Kathryn Bigelow e James Cameron una volta erano marito e moglie (dal 1989 al 1991, ma a giudicare da The Abyss, che è dell'89, Cameron il divorzio se lo aspettava sin dall'inizio), e quest'anno si contenderanno l'Oscar con le loro ultime creazioni, The Hurt Locker e Avatar.
L'accostamento tra questi due film non è dovuto solo alle circostanze, ma a qualcosa di più essenziale.
Bigelow ci descrive ormai da decenni una figura piuttosto sofisticata di “vero uomo”. Tipi che possono buttarsi da un aereo senza paracadute, fare spallucce davanti alla morte, ma anche manifestare lacrime di fragilità. Cameron non è da meno (anche se può capitare che il “vero uomo” in questione sia Sigourney Weaver): addirittura, in personaggi come John Connor, il dubbio e la fragilità interiori assumono un tono da Getsemani.
E sono due veri, anzi verissimi uomini anche i protagonisti di Avatar e The Hurt Locker. Eppure non si direbbero, come dire, molto produttivi.
In Avatar, Sully in effetti è quello che organizza e scatena l'attacco dei nativi contro gli sfruttatori terrestri, ma tutte le sue azioni si rivelerebbero vane, se non fosse per l'intervento diretto della Gaia locale. È questo che distingue Avatar dagli altri film di indiani, vietcong e soldati blu vari. L'unione tra i nativi e la terra non è una concezione religiosa, o culturale, è un dato di fatto. Cameron non da' molto peso a questa differenza esiziale, che porta a far sembrare i nativi di Avatar particolarmente stupidi. A Sully basta manipolare i punti deboli delle loro credenze per riconquistarne la fiducia (se non l'obbedienza). I Na'vi sono talmente integrati nell'ecosistema da essere totalmente incapaci di fronte all'imprevisto, solo l'intervento di un terrestre li può salvare, o almeno metterli nelle condizioni di essere salvati dalla loro Gaia, perché a lasciarli fare...
Il protagonista di The Hurt Locker, dal nome evocativo di William James, disinnesca IED e autobombe in Iraq: palle d'acciaio, sbruffone, temerario fino all'incoscienza eccetera eccetera. Quello che fa lo fa per il gusto di farlo, niente di più. Certo, per lui il cameratismo conta, ma in secondo piano. James, in effetti, non percepisce la guerra, e sembra non dare nemmeno gran peso agli iracheni. Il termine sprezzante hadji viene usato sì, ma in modo spassionato. L'unico momento in cui James sembra avere un interesse al di fuori delle bombe è quando crede che il bambino iracheno che gli vendeva i dvd taroccati sia morto. Ma la sua azione risulta priva di risultati, e alla fine anche di senso (il bambino non è morto).
Sully e James, quindi, risultano protagonisti di un'azione che li vede fondamentalmente fallire, ed entrambi, posti di fronte all'alternativa tra due mondi, tra due esistenze, scelgono di abbandonare quella “normale”, la loro vita nativa, per immergersi totalmente in quella vibratile, iperreale, tridimensionale, che può dar loro un mondo “altro” (Pandora, Iraq).
E per l'ennesima volta l'Io diviso dell'uomo occidentale proietta la sua aspirazione di purezza e di integralità sulle vittime del suo imperialismo (culturale e non). Come facciano giornalisti come quelli del Manifesto a definire The Hurt Locker un film “contro la guerra”, resta al di là della mia comprensione. Qui non abbiamo una giustificazione della guerra, come nei film razzisti alla Chuck Norris, ma a un'esaltazione della guerra quale esperienza spirituale (come avveniva anche in Terrence Malick).
Quanto ad Avatar, certo, Pandora è una vera meraviglia, e mi cascano le braccia a sentire i soliti pietosi luoghi comuni alla Roberto Faenza. Tuttavia, diamine, l'ennesimo yankee che soccorre il buon selvaggio! E dai, un ultimo sforzo, Jim!

Domenico D'Amico

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