giovedì 25 settembre 2014

Partiti e sindacati

di Tonino D'Orazio 
 
Sono parole forti o è una concreta strategia alla quale stiamo assistendo e in un certo modo partecipando?
Il nostro ideale repubblicano deriva interamente dalla nozione di volontà generale, anche se questa è una nozione assai complessa. Poiché in realtà si tratta di preferire la volontà del popolo a una volontà singola. Certamente pensare non che una cosa sia giusta perché il popolo la vuole, ma che a certe condizioni il volere del popolo ha maggiori probabilità di qualsiasi altro volere di essere conforme alla giustizia sociale e politica. O perlomeno a diminuire errori politici complessivi. Eppure se una sola passione collettiva (per esempio la guerra) afferra tutto un paese, il paese intero è unanime nel delitto.
L’altro elemento che sembra meno evidente in questa fase “democratica” è che il popolo possa esprimere il suo volere rispetto ai problemi della vita pubblica e non fare soltanto una scelta di persone. Questa è una esigenza compressa ormai da partiti diventati autoritari per impedirlo e che decidono in modo viscido a nome loro. Sembra che la volontà generale non abbia alcuna relazione con le loro scelte. Quant’anche spesso pilotate. In realtà un Renzie comanda con il voto di meno di 20 cittadini su cento italiani. Ne va anche strumentalmente molto fiero, come i re “unti dal Signore”. Eppure la realtà sta rincorrendo le sue fughe in avanti, e a parte qualche ulteriore piroetta non può stare sereno.
In linea di principio il partito (o il sindacato) è uno strumento al servizio di una certa concezione del bene pubblico. E’ uno strumento per “fabbricare” una passione collettiva tale da diventare maggioranza ed avere aspirazioni egemoniche. Sono sempre legati agli interessi di una categoria sociale e esercita passione presso i propri iscritti se vi rimane. Viene combattuto da partiti avversari con passioni diverse se non inconsciamente simili, nella difficoltà di cosa ritenere buono per bene pubblico o bene privato. Spesso facendo coincidere il bene pubblico e quegli interessi. Finché risultino formalmente evidenti, altrimenti vengono mascherati perfino contro l’ovvietà. Questo è un virus mortale per i partiti poiché non tutti possono rappresentare tutti, a meno di definire uno stato sociale, con tutte le sue pulsioni, “pacificato” e non suscettibile di tensioni o capovolgimenti. Situazione dove tutti cedono sovranità al più “forte” che si è impossessato di tutti gli strumenti offerti, volenti o nolenti, dalla “democrazia”.
La pressione collettiva viene esercitata sul grande pubblico attraverso la propaganda. Lo scopo confessato dalla propaganda è di persuadere, non di comunicare. Tutti i partiti fanno propaganda e nessuno può negare il loro obiettivo di educare il pubblico, e lavorare per “formare” il giudizio del popolo in passione utilizzabile. Pensate alla presa culturale dei partiti per l’indottrinamento della e nella scuola. Oppure in questi mesi l’indottrinamento televisivo, anche se a volte ridicolo, di “quanti bei vantaggi” abbiamo ottenuto dall’Europa, sapendo quanto quest’ultima sia stata un po’ maltrattata in queste ultime elezioni. Ma se continuano sanno che saremo educati allo scopo, almeno la parte utile o più debole critica-mente della popolazione.
In linea di principio il partito è uno strumento al servizio di una certa concezione del bene pubblico, almeno così si può interpretare nella storia e nella nostra Costituzione, anche se non hanno mai voluto essere “regolamentati” da leggi chiare sul loro funzionamento e sui loro limiti riguardo alla preminenza del popolo, unico vero arbitro. Ciò è vero anche per quelli che sono legati agli interessi di una categoria sociale, come le organizzazioni sindacali che organizzano milioni di persone, poiché si tratta sempre di una certa concezione del bene pubblico in virtù della quale vi sarebbe coincidenza tra il bene pubblico e quegli interessi. Anche se questa concezione in verità risulta estremamente vaga quando poi si scontra con la predominanza degli interessi più “forti”. Tra l’altro una concezione del bene pubblico non è cosa facile da pensare e perseguire, soprattutto se la società di riferimento viene opportunamente aiutata a frazionarsi e deflagrare. Un partito però pone come assioma di rappresentare il bene pubblico e di tutti. Ciò non è mai esistito, è solo appropriazione del potere. Poi si vedrà. E non si è visto altro, da un po’ di anni, che accozzaglie innaturali di idee messe in comune in grandi “coalizioni” e aggregazioni come collanti per il potere. Il risultato è feroce per il bene pubblico e per il popolo (o no?).
Tra l’altro alcune espressioni in merito al partito sono chiare. Nessuno parlerebbe più oggi col termine un po’ guerriero del “militante”. Nessuno può utilizzare il termine di rappresentanza di una parte della società se non strumentalmente. Anzi voler rappresentare tutti, pur significando di non rappresentare nessuno, lo possono fare insieme e in accordo due parti anche in profondo contrasto ideale e rappresentativo fra loro, con un tira e molla risultato deleterio per i più deboli. Partito “liquido” (drammaticamente come l’acqua che occupa gli spazi vuoti e si adatta a qualsiasi contenitore), cioè non più strutturato con posizioni condivise da circoli o dalla partecipazione continua. Vi sono oggi solo riunioni di organismi dirigenti, eletti ogni tot anni, con segreterie plenipotenziarie, anzi segretari autoritari (leader populisti), alle quali le maggioranze sono costrette poi a delegare tutte le decisioni. Spesso in ritardo culturale e politico in rapporto alle linee congressuali condivise , in un quadro politico reale in sviluppo troppo rapido. Quindi non esiste una linea di partito o di sindacato. E’ come una macchina nuova appena uscita dalla concessionaria; vale meno della metà. Tutto da rifare anche durante i congressi stessi. Quello della Cgil per esempio, pur con un “progetto” per il lavoro, è avvenuto in un passaggio di consegne tra due governi e due premier non eletti, ma estremamente decisionisti. Non se ne fa nulla.
Il problema di fondo è che ormai i partiti liquidi, ma con un solo capo, si sono impadroniti dello Stato, della Carta Costituzionale e di tutte le leve del potere, andando avanti nella dissacrazione degli stessi, nella manipolazione della rappresentanza popolare e nel consolidamento della loro illegalità (povera Corte Costituzionale!). A questo livello questi partiti sono un bene o un male? Sono autoriformabili o non meritano il titolo, pur interessante e democratico, di partito, essendo diventati tutt’altro?
Finalmente anche la Camusso e la Cgil, ma forse non tutta, in un intervista decreta che questo “governo sceglie misure di destra, la sua unica logica è attaccare i sindacati”. Intanto l’aver capito tardi, da almeno due congressi che la logica capitalistica di questo secolo è quella di abolire i sindacati, rendendoli pressoché inutili (“Se ne può fare a meno” esplicitato) perché malgrado la lotta blanda di questi ultimi due decenni e l’accettazione di un concetto di flessibilità del lavoro ormai con grande evidenza diventato tallone di Achille con la precarizzazione, rimane ancora uno zoccolo duro della difesa dei diritti. E’ troppo per un neocapitalismo e una concezione americana, cioè accordi fabbrica per fabbrica, convivere con l’esistenza di un sindacato confederale dei lavoratori, ma forse anche con quello padronale. E’ tardi per dire che “l’Europa è contro un mercato del lavoro duale, [dopo aver rincorso le straordinarie cavolate di Ichino per anni, visti i risultati. Ndr.] e che in Europa è il contratto a tempo indeterminato ad essere considerato lo standard”.
Però se la Cgil non rappresenta più il mondo complessivo reale del lavoro può essere oggi attaccata frontalmente dalle forze di destra e quelle che fanno finta di essere di sinistra. Insieme l’hanno, e continuano, sgretolata. Non riesce realisticamente a minacciare più niente e nessuno, i suoi strumenti storici sono spuntati. Sono rimasti spesso proclami. Pensare che chi ha aiutato a spuntarglieli possano essere stati anche Cisl e Uil, con la trappola dell’unità a tutti i costi, non è peccato. E’ il compimento di un altro capitolo della P2. Il virus dell’indebolimento covava da dopo Cofferati e forse già con lui. Ma soprattutto da quando la “sinistra” politica del paese, non più sponda dei lavoratori, è diventata collaterale alla destra e alla sua ideologia.

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