di Tonino D'Orazio
Sono
parole forti o è una concreta strategia alla quale stiamo assistendo
e in un certo modo partecipando?
Il
nostro ideale repubblicano deriva interamente dalla nozione di
volontà generale, anche se questa è una nozione assai complessa.
Poiché in realtà si tratta di preferire la volontà del popolo a
una volontà singola. Certamente pensare non che una cosa sia giusta
perché il popolo la vuole, ma che a certe condizioni il volere del
popolo ha maggiori probabilità di qualsiasi altro volere di essere
conforme alla giustizia sociale e politica. O perlomeno a diminuire
errori politici complessivi. Eppure se una sola passione collettiva
(per esempio la guerra) afferra tutto un paese, il paese intero è
unanime nel delitto.
L’altro
elemento che sembra meno evidente in questa fase “democratica” è
che il popolo possa esprimere il suo volere rispetto ai problemi
della vita pubblica e non fare soltanto una scelta di persone. Questa
è una esigenza compressa ormai da partiti diventati autoritari per
impedirlo e che decidono in modo viscido a nome loro. Sembra che la
volontà generale non abbia alcuna relazione con le loro scelte.
Quant’anche spesso pilotate. In realtà un Renzie comanda con il
voto di meno di 20 cittadini su cento italiani. Ne va anche
strumentalmente molto fiero, come i re “unti dal Signore”. Eppure
la realtà sta rincorrendo le sue fughe in avanti, e a parte qualche
ulteriore piroetta non può stare sereno.
In
linea di principio il partito (o il sindacato) è uno strumento al
servizio di una certa concezione del bene pubblico. E’ uno
strumento per “fabbricare” una passione collettiva tale da
diventare maggioranza ed avere aspirazioni egemoniche. Sono sempre
legati agli interessi di una categoria sociale e esercita passione
presso i propri iscritti se vi rimane. Viene combattuto da partiti
avversari con passioni diverse se non inconsciamente simili, nella
difficoltà di cosa ritenere buono per bene pubblico o bene privato.
Spesso facendo coincidere il bene pubblico e quegli interessi. Finché
risultino formalmente evidenti, altrimenti vengono mascherati perfino
contro l’ovvietà. Questo è un virus mortale per i partiti poiché
non tutti possono rappresentare tutti, a meno di definire uno stato
sociale, con tutte le sue pulsioni, “pacificato” e non
suscettibile di tensioni o capovolgimenti. Situazione dove tutti
cedono sovranità al più “forte” che si è impossessato di tutti
gli strumenti offerti, volenti o nolenti, dalla “democrazia”.
La
pressione collettiva viene esercitata sul grande pubblico attraverso
la propaganda. Lo scopo confessato dalla propaganda è di persuadere,
non di comunicare. Tutti i partiti fanno propaganda e nessuno può
negare il loro obiettivo di educare il pubblico, e lavorare per
“formare” il giudizio del popolo in passione utilizzabile.
Pensate alla presa culturale dei partiti per l’indottrinamento
della e nella scuola. Oppure in questi mesi l’indottrinamento
televisivo, anche se a volte ridicolo, di “quanti bei vantaggi”
abbiamo ottenuto dall’Europa, sapendo quanto quest’ultima sia
stata un po’ maltrattata in queste ultime elezioni. Ma se
continuano sanno che saremo educati allo scopo, almeno la parte utile
o più debole critica-mente della popolazione.
In
linea di principio il partito è uno strumento al servizio di una
certa concezione del bene pubblico, almeno così si può interpretare
nella storia e nella nostra Costituzione, anche se non hanno mai
voluto essere “regolamentati” da leggi chiare sul loro
funzionamento e sui loro limiti riguardo alla preminenza del popolo,
unico vero arbitro. Ciò è vero anche per quelli che sono legati
agli interessi di una categoria sociale, come le organizzazioni
sindacali che organizzano milioni di persone, poiché si tratta
sempre di una certa concezione del bene pubblico in virtù della
quale vi sarebbe coincidenza tra il bene pubblico e quegli interessi.
Anche se questa concezione in verità risulta estremamente vaga
quando poi si scontra con la predominanza degli interessi più
“forti”. Tra l’altro una concezione del bene pubblico non è
cosa facile da pensare e perseguire, soprattutto se la società di
riferimento viene opportunamente aiutata a frazionarsi e deflagrare.
Un partito però pone come assioma di rappresentare il bene pubblico
e di tutti. Ciò non è mai esistito, è solo appropriazione del
potere. Poi si vedrà. E non si è visto altro, da un po’ di anni,
che accozzaglie innaturali di idee messe in comune in grandi
“coalizioni” e aggregazioni come collanti per il potere. Il
risultato è feroce per il bene pubblico e per il popolo (o no?).
Tra
l’altro alcune espressioni in merito al partito sono chiare.
Nessuno parlerebbe più oggi col termine un po’ guerriero del
“militante”. Nessuno può utilizzare il termine di rappresentanza
di una parte della società se non strumentalmente. Anzi voler
rappresentare tutti, pur significando di non rappresentare nessuno,
lo possono fare insieme e in accordo due parti anche in profondo
contrasto ideale e rappresentativo fra loro, con un tira e molla
risultato deleterio per i più deboli. Partito “liquido”
(drammaticamente come l’acqua che occupa gli spazi vuoti e si
adatta a qualsiasi contenitore), cioè non più strutturato con
posizioni condivise da circoli o dalla partecipazione continua. Vi
sono oggi solo riunioni di organismi dirigenti, eletti ogni tot anni,
con segreterie plenipotenziarie, anzi segretari autoritari (leader
populisti), alle quali le maggioranze sono costrette poi a delegare
tutte le decisioni. Spesso in ritardo culturale e politico in
rapporto alle linee congressuali condivise , in un quadro politico
reale in sviluppo troppo rapido. Quindi non esiste una linea di
partito o di sindacato. E’ come una macchina nuova appena uscita
dalla concessionaria; vale meno della metà. Tutto da rifare anche
durante i congressi stessi. Quello della Cgil per esempio, pur con un
“progetto” per il lavoro, è avvenuto in un passaggio di
consegne tra due governi e due premier non eletti, ma estremamente
decisionisti. Non se ne fa nulla.
Il
problema di fondo è che ormai i partiti liquidi, ma con un solo
capo, si sono impadroniti dello Stato, della Carta Costituzionale e
di tutte le leve del potere, andando avanti nella dissacrazione degli
stessi, nella manipolazione della rappresentanza popolare e nel
consolidamento della loro illegalità (povera Corte Costituzionale!).
A questo livello questi partiti sono un bene o un male? Sono
autoriformabili o non meritano il titolo, pur interessante e
democratico, di partito, essendo diventati tutt’altro?
Finalmente
anche la Camusso e la Cgil, ma forse non tutta, in un intervista
decreta che questo “governo
sceglie misure di destra, la sua unica logica è attaccare i
sindacati”. Intanto l’aver capito tardi, da almeno due congressi
che la logica capitalistica di questo secolo è quella di abolire i
sindacati, rendendoli pressoché inutili (“Se ne può fare a meno”
esplicitato) perché malgrado la lotta blanda di questi ultimi due
decenni e l’accettazione di un concetto di flessibilità del lavoro
ormai con grande evidenza diventato tallone di Achille con la
precarizzazione, rimane ancora uno zoccolo duro della difesa dei
diritti. E’ troppo per un neocapitalismo e una concezione
americana, cioè accordi fabbrica per fabbrica, convivere con
l’esistenza di un sindacato confederale dei lavoratori, ma forse
anche con quello padronale. E’ tardi per dire che “l’Europa è
contro un mercato del lavoro duale, [dopo aver rincorso le
straordinarie cavolate di Ichino per anni, visti i risultati. Ndr.] e
che in Europa è il contratto a tempo indeterminato ad essere
considerato lo standard”.
Però
se la Cgil non rappresenta più il mondo complessivo reale del lavoro
può essere oggi attaccata frontalmente dalle forze di destra e
quelle che fanno finta di essere di sinistra. Insieme l’hanno, e
continuano, sgretolata. Non riesce realisticamente a minacciare più
niente e nessuno, i suoi strumenti storici sono spuntati. Sono
rimasti spesso proclami. Pensare che chi ha aiutato a spuntarglieli
possano essere stati anche Cisl e Uil, con la trappola dell’unità
a tutti i costi, non è peccato. E’ il compimento di un altro
capitolo della P2. Il virus dell’indebolimento covava da dopo
Cofferati e forse già con lui. Ma soprattutto da quando la
“sinistra” politica del paese, non più sponda dei lavoratori, è
diventata collaterale alla destra e alla sua ideologia.
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