Francesco
Santoianni - Redazione
di Sibialiria
(da
cento
anni di guerre, via l'antidiplomatico)
Questo
articolo è stato redatto dalla Redazione del sito www.sibialiria.org
quale contributo istituendo Comitato
contro le celebrazioni della Prima guerra mondiale.
Incombe
il governativo Centenario
della Grande Guerra
che già si annuncia all’insegna della esaltazione del sacrificio
per la Patria, dell’onore di essere “Italiani brava gente”, al
richiamo alla compattezza nazionale contro i nemici interni ed
esterni, alla necessità di rafforzare il nostro apparato militare
contro le “forze ostili”… Temiamo quindi che la quantità
enorme di celebrazioni metterà in secondo piano un aspetto
fondamentale di quel conflitto e cioè l’irrompere di una
propaganda basata su menzogne che servirono a spingere verso la
guerra una opinione pubblica che , fino a quel momento, sembrava
riluttante. La più famosa di queste menzogne fu, certamente, la
sbalorditiva malvagità esternata dalle truppe tedesche in Belgio,
malvagità di cui le mani mozzate ai bambini rappresenta l’apice.
Se
Sibialiria
si sofferma su questa bufala, vecchia ormai di cento anni, non è
certo per velleità enciclopediche o per additare una recente
pubblicazione
che, incredibilmente, la riprende come vera. Da sempre le guerre sono
accompagnate o precedute da accuse al nemico di turno, presentato
come un mostro capace di qualsiasi crimine : ma è solo con la Prima
guerra mondiale – con l’irrompere dei quotidiani e delle
cartoline
a colori
– che la creazione di falsi di guerra diventa una vera e propria
industria che assolda grafici di talento, scrittori famosi,
giornalisti… Il primo prodotto di successo di questa industria è
stata, appunto, la leggenda dei bambini belgi con le mani mozzate
dai tedeschi. Una bufala, una menzogna, che ha avuto un impatto
emotivo enorme (il compianto giornalista Alessandro Curzi, ad
esempio, ricordava che suo padre, socialista e da sempre contrario
alla guerra, nel 1915 divenne
interventista,
quando apprese dai giornali questa notizia) e che ha contribuito in
modo determinante a far precipitare l’umanità in una guerra
costata milioni di morti.
E
dire che se c’era una nazione che, veramente, faceva mozzare le
mani ai bambini, questo era il Belgio.
Il
Rapporto Bryce
Tutti le campagne mediatiche per avere successo devono contenere almeno due elementi: una storytelling, – e cioè un episodio di grande impatto emotivo che suggerisce un corpus di credenze – e l’autorevolezza di chi questo episodio narra (che, solitamente dissuade il pubblico dal verificarne la veridicità). Ad esempio, la storytelling dei “neonati strappati alle incubatrici nel Kuwait dai soldati iracheni” raccontata da Nayirah – una infermiera del Kuwait – fu considerata da molti attendibile non già dalla dichiarazione di questa anonima infermiera (che poi si scoprì essere la figlia di Saud Nasir al-Sabah, ambasciatore del Kuwait negli USA, e istruita dall’agenzia di pubbliche relazioni Hill & Knowlton,) ma dalla circostanza che nessuno della Commissione senatoriale USA (davanti alla quale fu pronunciata) osò metterla in dubbio. Oggi, generalmente, la veridicità della notizia è garantita dalla televisione e dai suoi ineffabili corrispondenti di guerra che, in qualche caso, dopo aver diffuso evidentissimi falsi – ad esempio, le “Fosse comuni di Gheddafi” – quando questi falsi sono universalmente riconosciuti tali, per garantirsi una verginità, dichiarano di essere stati ingannati.
Cento
anni fa l’autorevolezza della notizia fu garantita dal ponderoso
Rapporto
Bryce,
(qui
è possibile leggere il documento in originale) – redatto, nel
dicembre 1914, dal Comitato
per indagare le voci sulle atrocità in Belgio
istituito dal primo ministro inglese Herbert Asquith e diretto dal
visconte Lord James Bryce – che riportante mostruose atrocità
commesse dai soldati tedeschi in Belgio (persone stuprate,
crocifisse, impalate, accecate… donne sgozzate e/o con mammelle
amputate… e, soprattutto, bambini con mani mozzate) divenne, in
poche settimane, un best seller.
Subito
tradotto in 30 lingue dal governo inglese, il Rapporto Bryce, (anche
grazie a veementi promotori come lo scrittore Arthur Conan Doyle, il
creatore di Sherlock Holmes) conobbe varie versioni. In Italia, ad
esempio, sia il Corriere
della sera
sia
Il
Messaggero
ne stamparono una edizione popolare arricchita con varie
illustrazioni. Da qui il libro di Achille De Marco Sangue
belga
che descriveva, con una fantasia davvero perversa, tutta una serie di
mutilazioni tra cui “bimbe mutilate dei piedi e obbligate a correre
sui moncherini per il passatempo spirituale della soldataglia
tedesca”. Curiosamente, questo episodio non era riportato nel
Rapporto
Bryce
– che il De Marco assicurava essere la fonte del suo libro – ma
fu comunque ampiamente ripreso dalle successive “edizioni popolari”
del Rapporto.
Innumerevoli
sono state poi le raffigurazioni
attestanti le atrocità riportate nel Rapporto. Soprattutto cartoline
illustrate
a colori; le più famose quelle commissionate dallo Stato maggiore
francese al disegnatore Francisque
Poulbot:
si stima che la serie
più famosa delle sue cartoline sia stata stampata in un milione di
copie.
L’attendibilità
del Rapporto
Bryce
Finita
la prima guerra mondiale, i documenti originali delle deposizioni dei
presunti testimoni belgi (tutti anonimi) che costituivano il Rapporto
Bryce
rimasero secretati. Non fu questa l’unica stranezza che insospettì
gli storici. Verosimilmente, c’era anche la curiosità di sapere
come avessero fatto i membri della commissione di indagine coordinata
da Bryce a gironzolare in un Belgio occupato dall’esercito tedesco
e a incontrare così tante persone disposte (se pur anonimamente) a
testimoniare. Fu per questo che alcuni ricercatori – tra cui Arthur
Ponsonby
e Fernand
van Langenhove
– ripercorsero le aree del Belgio (distretto di Liegi, Valle della
Meuse, Aarschot,, Mechelen, Louvain…) menzionate nel Rapporto come
teatro degli efferati crimini commessi dai tedeschi. Ma non trovarono
alcuna conferma di questi supposti episodi. Analogo risultato quando
indagarono su un famoso (cinque prime pagine sul Times)
evento riportato nel Rapporto Bryce: tredici bambini del villaggio di
Sempst violentati e poi finiti con le baionette. Poi passarono in
esame l’evento clou: i bambini con le mani mozzate. Da cosa era
nata questa leggenda? Sostanzialmente, da due rumors.
Nel primo, un anonimo sacerdote del distretto di Termonde, in una
predica, avrebbe raccontato di un bambino che lo aveva avvicinato per
chiedergli quale preghiera innalzare a Gesù per fargli crescere le
mani mozzate dai Tedeschi. Nel secondo, che sarebbe avvenuto in un
ospedale del nord del Belgio, una bambina di sei anni con le mani
mozzate avrebbe composto questa straziante preghiera (riportata nel
periodico Semaine
religieuse
di l’Ille-et-Vilaine):
“Signore
non ho più le mani. Un crudele soldato tedesco me le ha prese,
dicendo che i bambini belgi e francesi non hanno diritto ad avere le
mani; che questo diritto lo hanno solo i bambini dei tedeschi. E me
le ha tagliate. E mi ha fatto molto male. Ma il soldato rideva e
diceva che i bambini che non sono tedeschi non sanno soffrire. Da
quel giorno, Signore, la mamma è diventata pazza ed io sono sola. Il
babbo è stato portato via dai soldati tedeschi il primo giorno di
guerra. Non ha mai scritto. Certamente, lo avranno fucilato…”.
Le puntigliose ricerche di van Langenhove e di altri non trovarono
alcuna conferma di questi episodi. Analogo
risultato
ottenuto da Francesco Saverio Nitti, già ministro durante la guerra
e in seguito, presidente del Consiglio: “Abbiamo
sentito raccontare la storia dei piccoli infanti belgi ai quali gli
unni avevano mozzato le mani. Dopo la guerra, un ricco americano,
scosso dalla propaganda francese, inviò in Belgio un emissario per
provvedere al mantenimento dei bambini cui erano state tagliate le
povere manine. Non riuscì ad incontrarne nemmeno uno. Mister Lloyd
George e io stesso, quando ero capo del governo italiano, abbiamo
fatto eseguire delle minuziose ricerche per verificare la veridicità
di queste accuse, nelle quali, in certi casi, si specificavano nomi e
luoghi. Fu rilevato che tutti i casi oggetto delle nostre ricerche,
erano stati inventati.”
L’inattendibilità
del Rapporto
Bryce
non significa, certo, che non vi furono esecuzioni sommarie, o altri
crimini,
commessi dalle truppe di occupazione tedesche. Esecuzioni dettate
anche dalla psicosi
imperante tra le truppe tedesche che vedevano nelle numerose feritoie
che costellavano i muri delle case belghe (in realtà “fori in
muratura” destinati a fissare le impalcature per gli imbianchini
delle facciate) una postazione per cecchini. Psicosi, tra l’altro,
istituzionalizzata da autorevoli opinionisti tedeschi come il
professore universitario B. Händecke che sul quotidiano Nationale
Rundschau
spiegava
che la crudeltà belga era già iscritta nell’arte fiamminga.
Scudi umani! |
I falsi di guerra
La
leggenda dei bambini con le mani mozzate, oltre che per il suo enorme
impatto nell’opinione pubblica (In Italia, uno dei pochissimi
studiosi che ne denunciò la falsità fu Benedetto
Croce)
merita di essere analizzata perché si basa su un aspetto che
caratterizzerà fino ai nostri giorni i falsi di guerra: l’illogicità
del gesto.
L’occupazione
tedesca del Belgio era finalizzata
all’invasione della Francia, non certo all’attuazione di una
qualche pulizia etnica, per la quale, cioè, bisogna terrorizzare la
popolazione autoctona per costringerla a fuggire. Corollario di
questa strategia era l’esigenza per la Germania di garantirsi un
Belgio relativamente tranquillo dopo che – già nei primi giorni
dell’invasione – era stata neutralizzata gran parte della
resistenza. In questo contesto – come fece notare van Langenhove –
sarebbe stato del tutto illogico per la Germania non solo organizzare
(secondo il Financial
Times
veniva direttamente dal Kaiser la direttiva di torturare i bambini,
specificando – tra l’altro – quali torture dovessero essere
eseguite) ma anche permettere ufficialmente il compiersi di tali
gratuite atrocità contro la fascia più inerme della popolazione. In
altri termini “…(di fronte a queste atrocità)…cosa
altro avrebbero fatto gli abitanti dei paesini teatro di tali infamie
se non avventarsi, magari con qualche coltello da cucina, sul primo
tedesco che passava?” Se
questo si fosse verificato, la Germania si sarebbe trovata ad
affrontare una resistenza immensamente più feroce di quella che
caratterizzo l’invasione del Belgio, durante la guerra
franco-prussiana, nel 1870.
Nonostante
ciò, innumerevoli, illogiche, menzogne di guerra (basti pensare ai
cecchini di Assad che sparano sulle donne
incinte),
anche oggi, vengono prese per buone da gran parte dell’opinione
pubblica. Come è possibile? Tra gli studiosi che si occuparono di
questo fenomeno, un posto di rilievo spetta, certamente allo storico
Marc Bloch che, nel 1921, pubblicò Riflessioni
d’uno storico sulle false notizie della guerra
un testo
breve ma ancora oggi illuminante per capire su quali meccanismi i
creatori di falsi di guerra basino il loro agire. “Solo
grandi stati d’animo collettivi hanno il potere di trasformare in
leggenda una cattiva percezione.
– dichiara
Bloch
– Una
falsa notizia nasce sempre da rappresentazioni collettive che
preesistono alla sua nascita; la sua messa in moto ha luogo soltanto
perché le immaginazioni sono già preparate e in silenzioso
fermento.”
Una
menzogna di guerra, quindi , serve sostanzialmente a cementare tutto
un corpus
di credenze già imposte all’opinione pubblica e a trasformare in
paranoia
il diffuso senso di insicurezza. Paranoia che, quindi, impone di
fermare il nemico di turno prima che possa colpire anche l’inerme
consumatore della menzogna (oggi, solitamente, un telespettatore). E
bisogna agire subito, perché il nemico dispone, nel paese del
consumatore, di una quinta
colonna
(pacifisti,
disfattisti, comunità etnico-religiose…) o è dotato di
imperscrutabili
armi
capaci di seminare ovunque distruzione.
Agli
albori della Prima guerra mondiale la costruzione di un nemico capace
delle più turpi efferatezze, che, se non lo si fosse fermato in
tempo sarebbero dilagate dovunque, fu affidata in Italia (fino ai
primi mesi del 1915 alleata
dell’Impero austro-ungarico) ad una torma
di giornalisti
i quali furono letteralmente comprati
da emissari del governo francese o inglese e/o da gruppi industriali
interessati alle commesse militari. E così, in pochi mesi, fu
imbastita una gigantesca campagna mediatica – imperniata sullo
“stupro
del piccolo e pacifico Belgio”
– fatta propria da non pochi intellettuali
e accompagnata da innumerevoli manifestazioni, culminate nel Maggio
radioso,
che chiedevano l’entrata in guerra.
Ironia
della sorte, anche in quei giorni, “il Belgio”continuava
a mozzare le mani ai bambini.
Nel Congo, fino al 1909 proprietà privata di Leopoldo
II
re
del Belgio. Per costringere
le
popolazioni a raccogliere nelle foreste il Caucciù e consegnarlo
agli agenti della Société
Générale de Belgique.
Un abominio, accompagnato dallo sterminio – in 23 anni – di circa
9 milioni di congolesi, che aspetta ancora di essere ricordato in
qualche museo o Giornata della Memoria.
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