da militant-blog
Tra le molte derive linguistiche della sinistra rosa, ce n’è una
davvero significativa: quella di procedere per “scomunica rossobruna”
verso qualsiasi posizione politica dell’universo mondo che non coincida
pedissequamente con le proprie teorie post-moderne sull’uomo e il suo
destino. Tutto rientrerebbe nel distopico universo online in cui, in
genere, prendono vita, divampano e rapidamente muoiono le dispute
politiche del XXI secolo. Eppure in questo caso la questione ci sembra
leggermente più problematica. Da qualche tempo una fitta(?) schiera di
scienziati sociali, twittologi, facebookers, pinterestomani,
instagrammofoni, alle prese con lo smascheramento del complotto
neofascista mondiale, indaga sulla natura rossobruna di “certa
sinistra”.
Siccome la tesi, che condividiamo, è
che il “rossobrunismo” non sia altro che neofascismo mascherato, delle
due l’una: o i rossubruni sono in tutto e per tutto neofascisti, quindi
da combattere con ogni mezzo necessario (come ammette vigorosamente la
schiera di neofascistologi), oppure il rossobrunismo è solamente
un’accusa morale rivolta al “compagno che sbaglia” o che non è in linea
con le posizioni della suddetta sinistra. Propendiamo
nettamente per la prima ipotesi, ma a leggere certi dibattiti il dubbio è
più che legittimo. Visto che rossobruno e neofascista sono sinonimi,
dev’essere in corso un cortocircuito mentale di vaste proporzioni
nell’universo internettiano “di sinistra” (“universo” che ha però le
dimensioni di un satellite di un pianeta nano, in questo caso). Da
qualche tempo va di moda, anzi fa proprio fico nei circoli della
sinistra bohemian rhapsody, dare dei rossobruni alla Banda Bassotti. Rossobruni, cioè in pratica neofascisti. Alla Banda Bassotti.
Qui il delirium tremens.
Facciamo un bel respiro, contiamo fino cento, ecco..possiamo riprendere.
La Banda Bassotti, senza nulla togliere a una numerosa serie di
grandi gruppi musicali militanti, è un’esperienza unica nel suo genere
in Italia e in Europa. E’ l’esperienza di un collettivo di manovali,
operai, proletari della periferia romana, che da trent’anni – non tre
settimane, trent’anni – continuando ad essere manovali, è anche
il più famoso e importante gruppo musicale della scena militante,
antifascista e comunista in Italia. E’ una di quelle esperienze che
andrebbero salvaguardate, davanti a cui ci si dovrebbe inchinare, al
netto e a prescindere delle diverse posizioni politiche che si possono
avere, ovviamente. Fa parte di un mondo che non c’è più, scomparso da
tempo, quando la sinistra era capace di politicizzare certo proletariato
metropolitano, attirando a sé pezzi di società altrimenti destinati
alla rassegnazione esistenziale o alla delinquenza comune. Senza essere
dei “militanti politici” in senso stretto, sono presenti nelle lotte di
classe cittadine e internazionali dagli anni Ottanta. La loro musica ha
creato più immaginario anticapitalista che il resto del cosiddetto
“movimento” messo insieme in questi anni. Dare dei fascisti alla Banda
Bassotti non significa tanto equivocare un termine, quello di
rossobruno, possibile solo nel mondo artificiale della rete (perché dal
vivo, chissà come mai, tutti tornano a più miti consigli: quando un uomo
con la tastiera incontra un uomo con la cucchiara, in genere l’uomo con
la tastiera è un uomo morto). Significa promuovere un’idea di mondo per
cui tutto ciò che si contrappone all’esasperato particolarismo dei
nostri percorsi ultra-minoritari viene relegato a fascismo,
criptofascismo, rossobrunismo, autoritarismo, sovranismo, eccetera.
Peraltro, considerazione marginale ma non meno importante, internet ha
abolito il senso del rispetto. Bollare come neofascisti un collettivo di
operai dalla comode poltrone del commentatore online racchiude
egregiamente certo spirito dei tempi.
Ovviamente il discorso sul rossobrunismo può essere trasferito a
tutta un’altra serie di epiteti utilizzati come clave attraverso cui
randellare la sinistra comunista. Il più bello è “sovranismo”, con cui
bollare tutti coloro che parlano di “sovranità”, non si capisce come e
quando divenuto in questi ultimi anni sinonimo di fascismo(!!). E’ la
valanga post-moderna che ci travolge. La deriva attraverso cui
legittimare, scomunicando tutto il resto, una visione del mondo per cui
dileguate le ideologie, finita la Storia – quella con la S maisucola,
non ci resta che l’eterno presente con cui fare i conti, le nostre
piccole storie quotidiane, la ricerca di senso che parte dal proprio io
individuale e dalle nostre micro-comunità zoologiche. Un “potere” da
condizionare, limitare, controllare, frenare, arginare, ma mai da
conquistare. Un’ideologia che si serve solo di esperienze particolari e
mai di analisi generali (bollate tutte come “geopoliticismo”, altro
neologismo caro ai neofascistologi d’ogni latitudine che, ormai, mettono
nello stesso calderone geopolitica e antimperialismo, catalogando il
tutto come rossobrunismo, quindi neofascismo), frutto di un
cinquantennio di egemonia filosofica della cosiddetta italian theory che è un miscuglio sconsiderato di operaismo+foucaultismo+cassonettibruciati. Tutto avviene nella virtualità delle proprie second life online,
ovviamente. Perché la vita, così come la storia dell’uomo, è fatta di
rapporti di forze. Che invece sono materialissimi, e a volte fanno anche
male.
lunedì 10 settembre 2018
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Il racconto truccato del conflitto previdenziale
di Matteo Bortolon da Il Manifesto Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...
-
di Domenico D'Amico Repetita iuvant , ho pensato di fronte al libro di Michel Floquet ( Triste America , Neri Pozza 2016, pagg. 2...
-
di Franco Cilli Hanno ucciso il mio paese. Quando percorro la riviera adriatica in macchina o col treno posso vedere chiarament...
Nessun commento:
Posta un commento