di
Carlo Bertani (dal suo blog)
Che
l'Unione Europea fosse il più grande fallimento del continente già
lo sapevamo, senza che lei ci mettesse il becco per dimostrarlo:
sarebbe l'ora di finirla, dopo 150 anni di guerre per un pezzetto
d'Africa? No, pare di no: eppure, la Francia sta andando incontro al
maggior smacco della sua storia repubblicana, dalla Prima alla Quinta
Repubblica… invece lei fila dritto come un treno, senza accorgersi
che – nel Pianeta – non le è rimasto, come alleato, che un
oscuro generale di Tobruk. Un po' pochino per calcare la scena
internazionale? Veda lei, ma io non andrei tanto fiero d'esser
rimasto l'ultima Potenza Coloniale della Terra.
In
realtà, ci sono due (o più) vicende che s'incrociano, come sempre,
in questa storiaccia di politica estera: la stranezza (a dir poco) di
mantenere in vita il Franco Coloniale Africano (1) nel 2018 – cosa
che, più accorto, nemmeno il Regno Unito si sognò di fare dopo la
2GM, preferendo la via meno appariscente (e più attraente) del
Commonwealth – ed il fallimento della scelta nucleare francese,
sancito definitivamente dalle enormi perdite di Areva nella
costruzione della centrale finlandese di Olkiluoto (2).
Se
vogliamo calare anche l'asso di Bastoni, mettiamoci pure i due
spettacolari successi nell'esplorazione energetica dell'ENI nel
Mediterraneo orientale, più un altro giacimento a terra (3).
Miliardi di metri cubi di metano, che cambieranno la vita dell'Egitto
(ed anche qualcosa per l'Italia), ed ingrasseranno gli azionisti di
ENI ed il ministero del Tesoro, che detiene circa il 20% delle azioni
ENI. E, soprattutto, la Golden Share, l’azione “speciale” che
rende l’ENI un’azienda strategica, di Stato.
Crediamo
bene che lei sia incazzato, ma non pensi di poter fare un solo
boccone della Libia, poiché lo zio Sam potrebbe non essere d'accordo
che lei s'allarghi così tanto ed in fretta (4).
Parigi
ha sempre mal digerito la grande capacità di ENI d'accaparrarsi
giacimenti dove gli altri non trovavano nulla: è una questione di
superiore tecnologia, iniziata in anni lontanissimi da Enrico Mattei.
Oggi, ENI sta mostrando di cosa è capace e, ai francesi, tornano
alla mente anni lontani, l'epoca di Moro, quando a decidere gli
assetti mediterranei erano “summit” informali fra Roma, La
Valletta, Tripoli e Tunisi. Una ragnatela ben studiata da Moro e
prima da Mattei, guarda a caso entrambi uccisi in circostanze mai del
tutto chiarite.
Ma,
all'epoca, la Francia si trastullava con l'Uranio, combatteva dal
Ciad contro le milizie libiche – battaglia di Quaddi-doum, 1986 –
poiché in Ciad estraeva Uranio, come oggi macina le montagne in
Niger per lo stesso motivo. Solo che il tenore di Uranio puro nei
minerali è sempre più scarso, mentre dopo Fukushima le azioni del
nucleare sono drammaticamente calate.
Così,
la Francia dopo Fukushima decise d’intervenire nel “Great-game”
petrolifero, che aveva trascurato per molto tempo e Sarkozy ritenne
che l'avversario più “digeribile” fosse l'Italia. La Libia
crolla: sembra fatta.
Ma,
mentre gli americani s'accorgono che decenni di trattative,
conoscenze, scambi, consuetudini hanno scavato più profondamente di
quanto si creda nei rapporti italo-libici, la Francia (ribadiamo:
ultima potenza coloniale) medita di buttar quattro missili, prendersi
i pozzi petroliferi e finirla lì. Ma la via – sbarrata alle
truppe – è un'autostrada per i servizi italiani: la Tripolitania è
saldamente in mani italiane, mentre nel Fezzan (il Sud) le posizioni
sono più sfumate e all'Est le velleità egiziane si fanno sentire.
Ma,
all’Est, il grande alleato del Ministero dell’Energia Italiano –
ossia l’ENI – è l’Egitto, che guarda all’Est libico con
ingordigia perciò, l’alleato scelto da Macron, ossia l’uomo
forte di Bengasi, potrebbe domani trovarsi preso da due fuochi,
l’Egitto all’Est e le forze appoggiate dagli italiani all’Ovest.
Anzi, l’abortito attacco improvviso a Tripoli, pare più un segnale
di disperazione che di forza.
Le
ipotesi sono sempre molte nel Great Game dell’energia, come in
quello della finanza.
Ciò
che, invece, stride è che nel Terzo Millennio ci sia una nazione –
la Francia – che continua a trattare i cittadini di Benin, Burkina
Faso, Costa d'Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal, Togo,
Camerun, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Gabon,
Guinea Equatoriale, Ciad ed Isole Comore come dei sudditi la cui
moneta – il Franco Coloniale Africano – è convertibile in altre
monete solo passando attraverso Il Ministero del Tesoro francese, con
un cambio fisso con l’euro stabilito a circa 656, ossia 656 FCA per
un euro.
Come
avviene questa truffa? Semplice: il 50% delle riserve di cambio dei
Paesi della zona del Franco Coloniale Africano devono essere
depositate su un conto della Banca di Francia, a Parigi. Stop: lo
abbiamo deciso noi, ça va bien?
Ciò
significa che le esportazioni di questi Paesi sono gravate da una
“tassa di convertibilità” del 50%, che frutta alle finanze
francesi circa 10 miliardi di euro di depositi l’anno, i quali
gravitano nell’economia francese invece che in Africa (5). Si
ritiene che l’1,5% del debito francese sia pagato, ogni anno,
proprio con questi proventi: inoltre, per mancanza di liquidità
(trattenuta dalla Banca di Francia) queste nazioni sono obbligate a
contrarre, a loro volta, corrispondenti debiti con nazioni estere.
Mali,
Burkina Faso, Costa d'Avorio, Niger, Senegal, Togo…ma non sono
proprio gli Stati dai quali provengono i migranti che la Francia
rifiuta, per i quali erige le barricate a Ventimiglia e Bardonecchia?
Lo
crediamo bene: fin che abbiamo avuto la Lira, anche noi siamo stati
in grado di dirigere la nostra economia secondo gli interessi
nazionali – pur con una guerra persa alle spalle, meglio non
dimenticarlo – mentre da quando dobbiamo elemosinare i
“preziosissimi” euro dalla BCE, le cose non possono che andar
male. Una moneta a debito come l’euro è un non-sense economico,
politico, sociale: ha solo una reale validità sul piano finanziario,
poiché tutto ciò che serve ad accumulare capitali senza passare
attraverso il lavoro, per la finanza, è non solo valido, bensì
eccellente. Figuriamoci una moneta “coloniale”.
Con
questo non voglio sostenere che fosse giusto l’andazzo degli
sbarchi indiscriminati e delle permanenze “sotto” la Legge, come
è avvenuto per molti anni, ma voglio far notare che – sotto il
giogo di una falsa moneta – circa 200.000 italiani se ne vanno,
ogni anno che passa, dall’Italia: chi per cercare un vero lavoro,
chi per godersi (o sopravvivere) la pensione in Stati dove non viga
lo strozzinaggio della popolazione.
Così
come fuggono gli africani, costretti da un giogo coloniale ad
“affidare” metà del valore del loro lavoro ad una banca
straniera.
Pare
che Gheddafi avesse in mente di soppiantare il Franco Coloniale
Africano grazie alla grande quantità di preziosi (Oro, Argento,
diamanti) accumulata come garanzia per il “dinaro africano”.
Anche se ci sono precise informazioni in merito, come le mail fra la
Clinton e Sarkozy (6), non ho mai creduto fino in fondo a questa
teoria: Sarkozy mirava, in primis, a sottrarre le esportazioni
petrolifere della Libia verso l’Italia, giacché il nucleare stava
portando in rovina la Francia, la quale non aveva nemmeno provato ad
iniziare una vera politica sulle rinnovabili, come i Paesi del
centro-nord Europa, ma anche Italia e Spagna.
Perché
non mi convince? Perché Gheddafi era, sostanzialmente, un militare.
A
meno che, con l’età, la follia avesse fatto capolino nella sua
mente, non comprendo come si possa pensare di scrollarsi di dosso il
giogo coloniale fidando le proprie speranze su una Nazione che aveva
rinunciato alle armi chimiche/batteriologiche ed ai relativi vettori
(d’origine coreana), che lui stesso fece distruggere.
Fidando
solo sulla debole, per forza – visto che il petrolio libico faceva
gola a USA, Francia e GB – protezione italiana? La quale,
forzatamente, capitolò: la partecipazione del 2011 alla schifosa
guerra contro Gheddafi non deve essere percepita solo come uno
“sgarro” fatto all’alleato. Perché la Libia si condannò da
sola (vedi: Corea del Nord) quando si privò degli armamenti
strategici. Operando dietro le quinte, ma conoscendo a fondo il
Paese, l’Italia riuscì a mantenersi un “porta aperta” su
Tripoli, e solo Dio sa quanto sia importante, in diplomazia,
mantenere aperte certe porte!
Oggi,
invece, gli equilibri sono cambiati: l’ONU – leggi: USA – ha
imposto subito un cessate il fuoco, ed ha dichiarato che la
situazione libica sarà discussa in una conferenza che è programmata
per la fine di Novembre in Italia, riconosciuta da Washington come
partner primario per la questione libica.
Macron
è stato costretto a rimettere le pive nel sacco, perché anche la
sua strampalata idea di far svolgere elezioni in Libia nella prima
decade di Dicembre, ovviamente, decade.
Forse
la Francia non aveva capito che – per la guerra libica del 2011 –
era considerata, da Washington, appena un centimetro in più
dell’Italia: la diplomazia francese è più edotta allo sciovinismo
che al realismo politico, e lo scivolone di questi giorni lo
dimostra. E, questo, è un leitmotiv che a Parigi si sente aleggiare
dal 1919 in poi: salvo il breve periodo della liaison con i nazisti,
ben più pregnante e sentita di quella della (alleata) Italia.
Gli
americani hanno compreso che, se vuoi andar tranquillo in Libia –
senza schieramenti con Mosca, tanto meno con bande guerrigliere che
non si sa mai come va a finire – devi affidarti di più all’Italia
ed al suo Ministero (ombra) dell’Energia. Nei Paesi fonte primaria
di produzione petrolifera non si ammettono comportamenti che possano
distruggere le infrastrutture: l’Iraq insegna, velocemente si fa e
si chiude. La guerra per il confronto geopolitico si fa in Siria, in
Afghanistan o nello Yemen, non in Arabia Saudita, Libia, Nigeria,
Iran, ecc.
Dopo
tutto questo, però, a noi rimangono l’Euro ed i nostri migranti
che scappano all’estero, mentre l’Africa dovrà sempre fare i
conti con il suo vecchio Franco che sa di cose muffite, di fucili con
la baionetta innestata, del mito della “Légion”, dello
sconfinato “Honneur” dei giovani virgulti francesi che partivano
per l’Africa – al tempo della Rivoluzione, ma anche ai tempi di
Zola – per sanare un debito di gioco o per riscattare il casato
perduto.
E,
in questi infiniti giochi, sguazza la finanza, il great game
petrolifero e questa diplomazia dei balordi. Basta: parto per un
viaggio: vado a disintossicarmi nel Pianeta Verde (quello del film),
non so se tornerò…bye, bye!
PS
: Bonne chance monsieur Macron, à la proxième fois!
(5)
https://vociglobali.it/2018/04/16/leredita-piu-costosa-il-franco-africano-che-limita-la-liberta/
[6
settembre 2018]
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