di
Robert J. Burrowes (da Z
Net Italy)
Sviluppando
la tradizione disegnata da C. Writgh Mills nel suo classico del 1956
The
Power Elite[L’élite
del potere], il professor Peter Phillips inizia esaminando la
transizione dalle élite del potere dello stato-nazione descritte da
autori come Mills, all’élite transnazionale del potere
centralizzata sul controllo del capitale globale. Così, nel suo
studio appena pubblicato
Giants:
The Global Power Elite,
[Giganti:
l’élite del potere globale], Phillips, professore di sociologia
politica alla Sonoma State University, USA, identifica le diciassette
società di gestione di patrimoni maggiori del mondo, quali BlackRock
e J.P.Morgan Chase, ciascuna con più di un trilione di dollari di
capitali d’investimento in gestione, come i “Giganti” del
capitalismo mondiale. Le diciassette società gestiscono in totale
più di 41 trilioni di dollari USA in una rete di auto-investimenti
di capitali interconnessi che copre il globo.
Questi
41 trilioni di dollari rappresentano la ricchezza investito per
profitto da migliaia di milionari, miliardari e imprese. I
diciassette Giganti operano in quasi ogni paese del mondo e sono “le
istituzioni centrali del capitale finanziario che alimenta il sistema
economico globale”. Investono in qualsiasi cosa sia considerata
redditizia da “terre agricole sulle quali i coltivatori indigeni
sono sostituiti da investitori dell’élite del potere” ad
attività pubbliche (quali le reti elettriche e idriche).
Inoltre
Phillips identifica le reti più importanti dell’Élite del Potere
Globale e i singoli membri. Egli nomina 389 individui (un piccolo
numero dei quali è costituito da donne e un numero simbolico di essi
proviene da paesi diversi dagli Stati Uniti e dai paesi più ricchi
dell’Europa Occidentale) al centro delle reti non governative di
pianificazione delle politiche che gestiscono, agevolano e difendono
la continua concentrazione del capitale globale. L’Élite del
Potere Globale svolge due funzioni unificanti, egli sostiene: mettono
a disposizione giustificazioni ideologiche per i loro interessi
condivisi (promulgate attraverso i media industriali) e definiscono i
parametri d’azione per le organizzazioni governative transnazionali
e per i gli stati-nazione capitalisti.
Più
precisamente, Phillips identifica i 199 amministratori dei
diciassette Giganti finanziari globali e offre brevi biografie e
informazioni pubbliche del loro patrimonio netto. Questi individui
sono strettamente interconnessi attraverso numerose reti associative
tra cui il World Economic Forum, la International Monetary
Conference, affiliazioni universitarie, vari comitati politici,
circoli sociali e imprese culturali. Per un assaggio di alcuni di
questi circoli si veda questo resoconto di The
Links
a New York. Come osserva Phillips: “E’ certamente sicuro
concludere che tutti si conoscono l’un l’altro personalmente
oppure si conoscono nel contesto condiviso delle loro posizioni di
potere”.
I
Giganti, documenta Phillips, investono gli uni negli altri ma anche
in molte centinaia di società di gestione degli investimenti, molte
delle quali sono semi-Giganti. Il risultato sono decine di trilioni
di dollari coordinati in una singola vasta rete di capitali globali
controllati da un numero molto limitato di persone. “Il loro
obiettivo costante è trovare opportunità di investimenti sicuri
sufficienti a garantire un ritorno sul capitale che consenta una
crescita continua. Opportunità inadeguate di collocamento del
capitale conducono a pericolosi investimenti speculativi, acquisto di
beni pubblici e una permanente spesa per la guerra”.
Poiché
gli amministratori di queste diciassette società di gestione degli
investimenti rappresentano il nucleo centrale del capitale
internazionale “gli individui possono ritirarsi o morire, e altre
persone simili occuperanno il loro posto rendendo la struttura
complessiva una rete autoperpetuante di controllo globale dei
capitali. In quanto tali, queste 199 persone condividono un obiettivo
comune di massimo ritorno degli investimenti per sé e per i propri
clienti, e possono cercare di ottenere ritorni con ogni mezzo
necessario, legale o no …. Le soluzioni istituzionali e strutturali
all’interno dei sistemi di gestione del denaro del capitale globale
cercano incessantemente di ottenere il massimo ritorno dagli
investimenti e … le condizioni per le manipolazioni – legali o no
– sono sempre presenti.”
Come
alcuni ricercatori prima di lui, Phillips identifica l’importanza
di quelle istituzioni transnazionali che assolvono a una funzione
unificante. La Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, il
G20, il G7, l’Organizzazione
Mondiale del Commercio
(WTO), il World
Economic Forum
(WEF), la Commissione Trilaterale, il Gruppo
Bilderberg,
la Banca dei Regolamenti Internazionali, il Gruppo dei 30 (G30), il
Council
on Foreign Relations,
e la International Monetary Conference operano da meccanismi
istituzionali per la costruzione del consenso in seno alla classe
capitalista transnazionale e per la formulazione e l’attuazione
delle politiche dell’élite del potere. Queste istituzioni
internazionali servono gli interessi dei Giganti finanziari globali
appoggiando politiche e regole che cercano di proteggere il flusso
libero, non ostacolato del capitale e della raccolta di debito a
livello mondiale.
Ma
all’interno di questa rete di istituzioni transnazionali Phillips
identifica due organizzazioni importantissime della pianificazione
delle politiche dell’élite globale: il Gruppo
dei Trenta
(che ha 32 membri) e il comitato esecutivo ampliato della Commissione
Trilaterale
(che ha 55 membri). Queste società senza fini di lucro, che hanno
ciascuna personale di ricerca e supporto, formulano politiche d’élite
e diffondono istruzioni per la loro attuazione da parte di
istituzioni governative transnazionali come G7, G20, FMI, WTO e Banca
Mondiale. Le politiche d’élite sono anche attuate seguendo le
istruzioni del relativo rappresentante, compresi i governi, nel
contesto. Questi rappresentanti, poi, operano secondo le istruzioni
ricevute. Così, questi 85 membri (perché due si sovrappongono) del
Gruppo dei Trenta e della Commissione Trilaterale costituiscono un
gruppo centrale di agevolatori del capitalismo globale, assicurando
che “il capitale globale resti protetto, sicuro e crescente”.
Così,
anche se molte delle maggiori istituzioni internazionali sono
controllate da rappresentanti di stati-nazione e da banchieri
centrali (con un potere proporzionale esercitato da sostenitori
finanziari dominanti, quagli gli Stati Uniti e i paesi dell’Unione
Europea), Phillips è più interessato ai gruppi transnazionali di
politiche che sono non governativi perché tali organizzazioni
“contribuiscono a unire le élite di potere della TCC [Classe
Capitalista Transnazionale) come classe” e gli individui coinvolti
in queste organizzazioni agevolano il capitalismo mondiale. Operano
come élite politiche che perseguono la continua crescita del
capitale nel mondo.
Sviluppare
questa lista di 199 amministratori delle maggiori società del mondo
di gestione del denaro, sostiene Phillips, è un passo importante
verso la comprensione di come funziona oggi globalmente il
capitalismo. Questi amministratori dell’élite del potere globale
prendono le decisioni riguardanti l’investimento di trilioni di
dollari. Apparentemente in competizione, la ricchezza concentrata che
condividono impone loro di collaborare per il loro bene maggiore
identificando opportunità di investimento e soluzioni di
condivisione dei rischi e di operare collettivamente per soluzioni
politiche che creino vantaggi per il loro sistema di generazione di
profitto nel suo complesso.
La
loro priorità fondamentale consiste nel garantire un ritorno medio
dagli investimenti compreso tra il 3 e il 10 per cento, o anche più.
La natura dell’investimento è meno importante di ciò che produce:
continui ritorni che supportino la crescita nel mercato complessivo.
Dunque l’investimento di capitali nel tabacco, in armi belliche, in
sostanze chimiche tossiche, nell’inquinamento e in altri beni e
servizi socialmente distruttivi è giudicato unicamente in base al
rendimento. L’interesse per i costi sociali e ambientali
dell’investimento è inesistente. In altri termini, infliggere
morte e distruzione va bene, perché è redditizio.
Allora
qual è lo scopo dell’élite globale? In poche frasi Phillips lo
descrive così: l’élite è largamente unita a sostegno dell’impero
militare USA/NATO che persegue una guerra repressiva contro gruppi
avversari – tipicamente definiti “terroristi” – intorno al
mondo. Lo scopo reale della “guerra al terrore” è la difesa
della globalizzazione transnazionale, il flusso non ostacolato di
capitale finanziario in tutto il mondo, l’egemonia del dollaro e
l’accesso al petrolio; non ha nulla a che fare con la repressione
del terrorismo che genera, perpetua e finanzia per offrire copertura
al suo piano reale. E’ per questo che gli Stati Uniti hanno una
lunga storia di interventi militari e della CIA nel mondo
ufficialmente a difesa degli “interessi nazionali”.
Ricchezza
e potere
Un
punto interessante che emerge, per me, dalla lettura dalla ponderata
analisi di Phillips è che c’è una chiara distinzione tra gli
individui e le famiglie che possiedono ricchezza e gli individui che
possiedono (a volte in misura considerevole) meno ricchezza (che,
tuttavia, resta considerevole) ma che, grazie alla loro posizione e
ai loro collegamenti, esercitano una gran quantità di potere. Come
Phillips spiega questa distinzione “la sociologia delle élite è
più importante dei particolari individui d’élite e delle loro
famiglie”. Solo 199 individui decidono come saranno investiti più
di 40 trilioni di dollari. E questo è il punto centrale. Lasciatemi
approfondire brevemente.
Ci
sono nel mondo alcune famiglie realmente ricche, in particolare
comprendenti le famiglie Rotschild (Francia e Regno Unito),
Rockefeller (USA), Goldman-Sachs (USA), Warburg (Germania), Lehmann
(USA), Lazards (Francia), Kuhn Loebs (USA), Israel Moses Seifs
(Italy), Al-Saudi (Arabia Saudita), Walton (USA), Koch (USA), Mars
(USA), Cargill-MacMillan (USA) e Cox (USA). Tuttavia non tutte queste
famiglie perseguono apertamente il potere per piegare il mondo ai
loro desideri.
Analogamente
gli individui estremamente ricchi del mondo, quali Jeff Bezos (USA),
Bill Gates (USA), Warren Buffett (USA), Bernard Arnault (Francia),
Carlos Slim Helu (Messico) e Francoise Bettencourt Meyers (Francia)
non sono necessariamente collegati in modo tale da esercitare un
enorme potere. In realtà possono avere scarso interesse al potere in
quanto tale, nonostante il loro ovvio interesse per la ricchezza.
In
essenza alcuni individui e famiglie si accontentano di approfittare
semplicemente di come funzionano il capitalismo e i suoi strumenti
governativi e transnazionali ausiliari, mentre altri sono più
politicamente impegnati nella ricerca di manipolare grandi
istituzioni per ottenere risultati che non solo massimizzino il loro
profitto, e dunque la loro ricchezza, ma anche modellino il mondo
stesso.
Così,
se si scorre la lista dei 199 individui che Phillips identifica al
centro del capitale globale, essa non include nomi come Bezos, Gates,
Buffett, Koch, Walton o persino Rothschild, Rockefeller o Windsor (la
regina d’Inghilterra) nonostante la loro ricchezza ben nota e
straordinaria. Come digressione, molti di tali nomi non sono presenti
neppure nelle liste compilate da gruppi come Forbes
e Bloomberg,
ma la loro assenza da tali liste è dovuta a una ragione molto
diversa, considerati la propensione di molti individui e famiglie
realmente ricche di evitare certi tipi di pubblicità e il loro
potere di assicurarsi di evitarla.
Diversamente
dai nomi appena elencati, nell’analisi di Phillips nomi come
Laurence (Larry) Fink (presidente e amministratore delegato di
BlackRock), James (Jamie) Dimon (presidente e amministratore delegato
di JPMorgan Chase) e John McFarlane (presidente di Barclays Bank),
anche se non ricchi come quelli citati più sopra, esercitano molto
più potere grazie alle loro posizioni e collegamenti in seno alla
rete dell’élite globale di 199 individui.
Prevedibilmente
allora, osserva Phillips, questi tre individui hanno stili di vita e
orientamenti ideologici simili. Credono che il capitalismo sia un
bene per il mondo e anche se disuguaglianza e povertà sono problemi
importanti, credono che la crescita del capitale alle fine risolverà
tali problemi. Sono relativamente inespressivi riguardo ai temi
ambientali, ma riconoscono che le opportunità di investimento
possono mutare in risposta alle “modificazioni” del clima. Da
milionari sono proprietari di molte case. Hanno frequentato
università d’élite e hanno salito rapidamente i gradini della
finanza internazionale per arrivare al loro status attuale di giganti
dell’élite del potere globale. “Le istituzioni che amministrano
sono state dimostrate coinvolte in collusioni illegali con altri, ma
le sanzioni amministrative legali da parte dei governi sono
essenzialmente considerate come semplice parte dell’attività
affaristica”.
Infine,
come caratterizzerei questa descrizione, sono privi di un quadro
legale o morale che guidi le loro azioni, che sia in relazione agli
affari, agli altri esseri umani, alla guerra o all’ambiente e al
clima. Sono evidentemente tipici dell’élite.
Ogni
apparente interesse per le persone, come quello manifestato da Fink e
Dimon in reazione alla violenza razzista a Charlottesville, USA,
nell’agosto del 2017, è semplicemente inteso a promuovere
“stabilità” o, più precisamente un clima stabile (cioè
redditizio) per gli investimenti e i consumi.
L’assenza
di interesse per le persone e per i problemi che potrebbero
preoccupare molti di noi è evidente anche considerando l’ordine
del giorno delle riunioni dell’élite. Si consideri la
International Monetary Conference. Fondata nel 1956 è una riunione
privata annuale delle poche centinaia di banchieri al vertice nel
mondo. L’Associazione dei Banchieri Statunitensi (ABA) funge da
segreteria della conferenza. Ma, come segnala Phillips, “nulla
nell’ordine del giorno pare affrontare le conseguenze
socioeconomiche degli investimenti per stabilire gli impatti sulle
persone e sull’ambiente”. Una lettura casuale dell’agenda di
qualsiasi riunione dell’élite rivela che questo commento di
applica ugualmente a ogni forum dell’élite. Si veda, ad esempio,
l’agenda della recente riunione
del WEF a Davos.
Qualsiasi discorso di “preoccupazione” è retorica fuorviante.
Dunque,
nelle parole di Phillips, i 199 amministratori dei Giganti globale
sono “un insieme molto selezionato di persone. Si conoscono tutti
personalmente o sanno gli uni degli altri. Almeno 69 hanno
partecipato al World Economic Forum dove spesso sono membri di
comitati o tengono presentazioni pubbliche. Hanno prevalentemente
frequentato le stesse università e interagiscono in ambienti
dell’alta società nelle maggiori città del mondo. Sono tutti
ricchi e detengono un numero considerevole di azioni in uno o più
dei Giganti finanziari. Sono tutti profondamente dediti
all’importanza di mantenere la crescita del capitale nel mondo.
Alcuni sono sensibili a temi ambientali e di giustizia sociale, ma
sembrano incapaci di collegare tali temi alla concentrazione globale
del capitale”.
Naturalmente
l’élite globale non può gestire da sola il sistema mondiale.
L’élite ha bisogno di rappresentanti per svolgere molte delle
funzioni necessarie per controllare le società nazionali e le
persone al loro interno. “Gli interessi dell’Élite del Potere
Globale e della TCC sono pienamente riconosciuti dalle maggiori
istituzioni della società. Governi, servizi di spionaggio, decisori
della politica, università, forze di polizia, esercito e media
industriali operano tutti a sostegno dei loro interessi vitali”.
In
altri termini, per elaborare il punto di Phillips e ampliarlo un po’,
attraverso il loro potere economico i Giganti controllano tutti gli
strumenti mediante i quali sono attuate le loro politiche. Che si
tratti di governi, forze militari nazionali, “militari a contratto”
o mercenari (con almeno 200 miliardi di dollari spesi globalmente per
la sicurezza privata, l’industria impiega attualmente circa
quindici milioni di persone in tutto il mondo) usati sia in guerre
“all’estero” ma anche suscettibili di essere impiegati in
futuro nel controllo interno, o di agenzie chiave di “intelligence”,
di sistemi legali e di forze di polizia, di grandi organizzazioni non
governative o delle accademie, delle industrie dell’istruzione,
delle “pubbliche relazioni”, dei media industriali, delle
industrie mediche, psichiatriche e farmaceutiche, tutti gli strumenti
sono pienamente rispondenti al controllo dell’élite e sono
progettati per disinformare, ingannare, togliere potere, intimidire,
reprimere, imprigionare (in un carcere o in un manicomio), sfruttare
e/o uccidere (a seconda dell’elettorato) il resto di noi, come è
facilmente evidente.
Difesa
dell’élite del potere
Phillips
osserva che l’élite del potere si preoccupa continuamente della
ribellione “delle turbolente masse sfruttate” contro la sua
struttura di ricchezza concentrata. E’ per questo che l’impero
militare statunitense svolge da lungo tempo il ruolo di difensore del
capitalismo globale. In conseguenza gli Stati Uniti hanno più di 800
basi militari (alcuni studiosi suggeriscono 1.000) in 70 paesi e
territori. In confronto il Regno Unito, la Francia e la Russia hanno
circa 30 basi all’estero. Inoltre le forze militari statunitensi
sono oggi schierate nel 70 per cento delle nazioni del mondo con il
Comando delle Operazioni Speciali USA (SOCOM) che ha soldati in 147
paesi, un aumento dell’80 per cento dal 2010. Queste forze
conducono regolarmente attacchi antiterrorismo, tra cui assassinii
con i droni e incursioni di uccisione/cattura.
“L’impero
militare statunitense ha alle spalle centinaia di anni di
sfruttamento coloniale e continua ad appoggiare governi repressivi,
sfruttatori che collaborano con il programma imperiale del capitale
globale. Governi che accettano investimenti esterni di capitale, di
cui beneficia un piccolo segmento dell’élite del paese, lo fanno
sapendo che il capitale pretende un ritorno dagli investimenti che
comporta esaurire risorse e persone per guadagno economico. L’intero
sistema prosegue la concentrazione di ricchezza per le élite e
un’accresciuta disuguaglianza abietta per le masse…”
“Comprendere
la guerra permanente come una valvola economica di sfogo per il
surplus di capitale è una parte vitale della comprensione del
capitalismo oggi nel mondo. La guerra offre opportunità di
investimenti per i Giganti e le élite della TCC e un ritorno
garantito sul capitale. La guerra svolge anche una funzione
repressiva mantenendo le masse sofferenti dell’umanità impaurite e
obbedienti”.
Come
elabora Phillips: è per questo che la difesa del capitale globale è
il principale motivo per il quale oggi i paesi della NATO
rappresentano l’85 per cento della spesa militare mondiale; gli
Stati Uniti spendono per l’esercito più del resto del mondo messo
insieme.
In
essenza “l’Élite del Potere Globale usa la NATO e l’impero
militare statunitense per la sua sicurezza mondiale. Questo fa parte
di una strategia in espansione di dominio militare statunitense nel
mondo, mediante il quale l’impero militare USA/NATO, consigliato
dall’Atlantic
Council dell’élite
del potere, opera al servizio della Classe Industriale Transnazionale
per la protezione del capitale internazionale ovunque nel mondo.”
Questo
comporta “ulteriore impoverimento della metà in basso della
popolazione mondiale e un’incessante spirale al ribasso dei salari
per l’80 per cento del mondo. Il mondo sta affrontando una crisi
economica e la soluzione neoliberista consiste nello spendere meno
per i bisogni umani e più per la sicurezza. E’ un mondo di
istituzioni finanziarie finite fuori controllo in cui la risposta al
collasso economico consiste nello stampare più moneta attraverso
alleggerimenti quantitativi, inondazione della popolazione con
trilioni di nuovi dollari che producono inflazione. E’ un mondo di
guerra permanente, nella quale spendere per la distruzione richiede
altra spesa per ricostruire, un ciclo che avvantaggia i Giganti e le
reti globali del potere economico. E’ un mondo di uccisioni
mediante droni, assassinii extragiudiziali, morte e distruzione in
patria e all’estero.”
Dove
sta andando tutto questo?
Dunque
quali sono le implicazioni di questo stato di cose? Phillips risponde
in modo inequivocabile: “Questa concentrazione di ricchezza
protetta conduce a una crisi di umanità, nella quale la povertà, la
guerra, la fame, l’alienazione di massa, la propaganda mediatica e
la devastazione dell’ambiente stanno diventando una minaccia a
livello di specie. Ci rendiamo conto che il genere umano è a rischio
di possibile estinzione”.
Egli
prosegue affermando che l’Élite del Potere Globale è
probabilmente la sola entità “in grado di correggere questa
situazione senza grandi disordini, guerra e caos” ed elabora un
fine importante del suo libro: suscitare la consapevolezza
dell’importanza del cambiamento sistemico e della ridistribuzione
della ricchezza sia tra i lettori generali del libro, sia anche
presso l’élite “nella speranza che possa avviare il processo di
salvare l’umanità”. Il poscritto del libro è “Una lettera
all’Élite del Potere Globale”, cofirmata da Phillips e da 90
altri, che implora l’élite di agire in conformità.
“Non
è più a lungo accettabile per voi credere di poter gestire il
capitalismo in modo che si apra la via crescendo dalle grossolane
disuguaglianze che tutti oggi viviamo. L’ambiente non può
accettare altro inquinamento e sprechi e a un certo punto diventano
inevitabili dovunque agitazioni civili. L’umanità ha bisogno che
voi vi facciate avanti ad assicurare che ciò che è lasciato calare
dall’alto diventi un fiume di risorse che raggiunga ogni bambino,
ogni famiglia e tutti gli esseri umani. Vi sollecitiamo a usare il
vostro potere per operare i cambiamenti necessari per la
sopravvivenza dell’umanità”.
Ma
egli sottolinea anche che i movimenti sociali nonviolenti, usando la
Dichiarazione dei Diritti Umani come codice morale, possono
accelerare il processo di ridistribuzione della ricchezza esercitando
pressioni perché l’élite agisca.
Conclusione
Peter
Phillips ha scritto un libro importante. Per quelli di noi
interessati a comprendere il controllo del mondo da parte dell’élite
questo libro è un’aggiunta vitale alla propria libreria. E come
ogni buon libro, come vedrete dai miei commenti più sopra e di
seguito, ha sollevato per me ancora altre domande, pur
contemporaneamente rispondendo a molte.
Nel
leggere lo stimolante e schietto resoconto di Phillips riguardo al
comportamento dell’élite mi sono ricordato, ancora una volta, che
l’élite per potere globale è straordinariamente violenta e del
tutto folle: felice di uccidere persone in gran numero (attraverso la
fame o la violenza militare) e di distruggere la biosfera per
profitto, con zero senso del futuro oggi limitato dell’umanità. Si
veda ‘The
Global Elite is Insane Revisited’
e ‘Human
Extinction by 2026? A Last Ditch Strategy to Fight for Human
Survival’
con spiegazioni più dettagliate della violenza e della follia qui:
‘Why
Violence?’
and ‘Fearless
Psychology and Fearful Psychology: Principles and Practice’.
Per
questo motivo io non condivido la sua fiducia in appelli morali
all’élite, come articolati nella lettera del suo poscritto. Fare
un appello va bene, ma la storia non offre alcuna evidenza che
suggerisca che ci sarà una qualche reazione significativa. La morte
e la distruzione inflitte dalle élite sono notevolmente redditizie,
vecchie di secoli e continue. Ci vorranno campagne nonviolente
potenti, focalizzate strategicamente (o il collasso della società)
per forzare i cambiamenti necessari del comportamento delle élite.
Dunque io sottoscrivo pienamente il suo appello ai movimenti sociali
nonviolenti perché forzino l’azione dell’élite nel caso non
fossimo in grado di operare i necessari cambiamenti senza il suo
coinvolgimento. Se vedano‘A
Nonviolent Strategy to End Violence and Avert Human Extinction’
and Nonviolent
Campaign Strategy.
Incoraggerei
anche l’azione indipendente, in uno o più di numerosi modi, da
parte di quegli individui e comunità sufficientemente forti per
condurla. Ciò include far crescere individui forti facendo “My
promise to Children”,
partecipando a “The
Flame Tree Project to Save Life on Earth”
e
firmando l’impegno in rete di “The
People’s Charter to Create a Nonviolent World”.
Fondamentalmente
“Giants:
The Global Power Elite”
è
una chiamata all’azione. Il professor Peter Phillips è
profondamente consapevole della nostra emergenza – politicamente,
socialmente, economicamente, ambientalmente e climaticamente – e
del ruolo critico svolto dall’élite del potere globale nel
generare tale emergenza.
Se
non riusciamo a convincere l’élite del potere globale a reagire
sensatamente a tale emergenza, o non riusciamo in modo nonviolento a
costringerla a farlo, il tempo dell’umanità sulla terra è davvero
limitato.
Robert
J. Burrowes è impegnato da una vita a comprendere la violenza umana
e a porvi fine. Conduce estese ricerche dal 1966 in un tentativo di
comprendere perché gli esseri umani siano violenti ed è un
attivista nonviolento dal 1981. E’ autore di“Why
Violence?”.
Il
suo indirizzo email èflametree@riseup.net
e il
suo sito web è qui.
Da
Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
traduzione
di Giuseppe Volpe
Traduzione
© 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.
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