(da Il
Simplicissimus)
Scusate se oso farmi delle
domande, circostanza che viola una delle leggi fondamentali della
contemporaneità, ma questa faccenda del j’accuse di Bruxelles
contro l’Ungheria puzza da qualsiasi parte la si rigiri, nonostante
le certezze dei sempre indignati per partito preso. Lo posso fare
perché questo blog ha denunciato già nel 2013, attraverso la penna
di una intellettuale ungherese cosa stava accadendo a Budapest:
Ungheria,
prove tecniche di fascismo. Ma lo posso anche fare sulla base
delle antinomie e delle contraddizioni che emergono da questa
vicenda: come è possibile che a Bruxelles si condanni il regime di
Orban per le limitazioni alla libertà di espressione quando quasi
contemporaneamente si è approva una legge bavaglio nascondendola
dietro il pretesto di arginare le major della rete? E’ certamente
legittimo lamentarsi del fatto che l’Ufficio nazionale della
magistratura sia stato messo sotto l’influenza politica diretta del
governo, ma la dipendenza dei pubblici ministeri dal potere politico
è qualcosa di diffuso in tutto il continente, salvo – per fortuna
– che in Italia. Quanto agli attacchi del regime a questo o a quel
magistrato ricordiamoci il ventennio berlusconiano, ma anche le
polemiche in Francia sull’affaire Sarkozy. E per ciò che concerne
i muri che vengono opposti alle politiche immigratorie imposte dalla
Ue secondo criteri a dir poco grotteschi, esse sono ufficialmente
condivise anche da altri Paesi come l’Austria e la Polonia, senza
parlare del fatto che Bruxelles ha dato sei miliardi alla Turchia
perché facesse da muro per i migranti.
La cosa ancor meno
convincente è che tutto questo non è di ieri: la nuova costituzione
che permette le cose deprecate dall’Ue è in vigore dal 2013, senza
che la cosa abbia mai preoccupato più di tanto i maestrini di
Bruxelles. Questi hanno cominciato a preoccuparsi quando la Banca di
Ungheria è tornata sotto il controllo dello Stato e l’Fmi è stato
tacitato con il pagamento anticipato del debito, tutte cose possibili
grazie al fatto che l’Ungheria dispone ancora del Fiorino e non è
facilmente ricattabile come la Grecia e l’Italia. Ma si è passati
all’azione quando Orban ha cominciato ad attaccare direttamente
Soros e la sua Central European University che rappresenta il cuore
del progetto neo liberista globale: l’inatteso plebiscito ricevuto
da Orban in aprile dagli elettori, ha convinto il magnate a spostare
anche la sua famigerata Open Society da Bruxelles a Berlino.
Ora facciamo un apparente
salto logico di qualche giorno e vediamo cosa ha detto Orban nel suo
discorso a Strasburgo tenutosi prima della votazione: ha parlato di
“schiaffo in faccia all’Ungheria” che “ha preso le armi
contro il più grande esercito del mondo, l’esercito sovietico, e
ha versato il suo sangue per la libertà”. Certo un modo un po’
strano per sottolineare l’alleanza di ferro con la Germania di
Hitler, ma viste le vicende ucraine nelle quali il distacco dalla
Russia viene giustificato dagli occidentali (e Soros c’entra
parecchio anche in questo) con lo stesso argomento, il leader
ungherese ha pensato che in qualche modo tali parole arrivassero al
cuore di tenebra a quella sub cultura dell’Unione, mai esplicitata,
ma in qualche modo operante al fondo di tante vicende. La testa
neoliberista ci mette un attimo, come si è visto in Grecia, a
galleggiare su un’anima grifagna e tirannica che si nasconde
dietro un falso umanitarismo di comodo.
Del resto Viktor Orban nasce
come personaggio interamente immerso in quel mondo: Il leader
ungherese infatti è tutt’altro che un autoctono sarmatico, dal
punto di vista culturale intendo, ma è una scheggia impazzita
prodotta dal liberismo rampante degli anni ’90, l’ambiente con il
quale ha tutt’ora fortissimi legami. Nell’1989, grazie a una
borsa di studio della fondazione Soros, va a prendersi un master ad
Oxford e l’anno dopo viene magicamente eletto nel Parlamento di
Budapest; nel ’92 diviene leader di Fidesz, il partito conservatore
che è tutt’oggi la prima forza politica del Paese; nel ’98
ascende per la prima volta al governo e in piena vicenda balcanica fa
entrare l’Ungheria nella Nato; nel 2001 viene convocato da Bush e
accetta di partecipare alla guerra infinita in Afganistan, in maniera
così entusiasta da essere premiato da due organizzazioni parallele
della Nato, la New Atlantic initiative e l’American enterprise
institute. In seguito perde due elezioni consecutive vinte dai
socialisti e torna al potere nel 2010. Qui inizia una seconda vita
segnata dal rifiuto di entrare nell’euro, dalle rinazionalizzazioni
(in particolare quella della banca centrale) e l’instaurazione di
un regime autoritario con una legge elettorale liberticida e la
Costituzione del 2013 che addirittura occhieggia alla monarchia e fa
riferimento esplicito a vaste rivendicazioni territoriali.
Ora si dirà che questa
frattura rispetto alle linee liberiste di Bruxelles e dell’Fmi gli
dovrebbe aver alienato gli ambienti atlantisti e globalisti, anche se
le previsioni di disastro economico preannunciate dai soloni
economici non solo non si sono realizzate, ma l’Ungheria è uno dei
Paesi del continente in cui c’è stata una crescita effettiva e non
solo statistica. Però non è così: l’autoritarismo piace
istintivamente alle elites economico – finanziarie e ai loro
strumenti mediatici e militari: in realtà esse si sentono minacciate
proprio dalla democrazia al punto che non perdono occasione di
umiliarla, ridurla, disfarla nella noncuranza, salvo esportarne lo
scalpo spolpato come feticcio da utilizzare nelle guerre del caos.
Solo quando questo autoritarismo esce dai binari stabiliti e
funzionali all’egemonia, si sottrae alle logiche globaliste o alle
strategie messe a punto nei pensatoi dei ricchi, solo quando si
traduce, insomma, in eresia, allora comincia il j’accuse.
Nel caso specifico Orban ha
ecceduto in autonomia e sovranismo ed è per questo che la
Costituzione in vigore da 5 anni e preparata, discussa, osteggiata
nel totale silenzio, dai democratici ungheresi da 6, viene sanzionata
solo ora come contraria ai principi europei, perché nel frattempo si
è consumata una frattura ben più grave: il ritorno a logiche di
cittadinanza che sia pure malamente interpretate, sono del tutto
incompatibili con le visioni di una società diseguale e unicamente
basata sul profitto. La società neoliberista insomma dove lo stato è
solo un secondino dei poteri forti, dove non esiste una dimensione
collettiva vera e propria, ma solo pulsioni individuali, attorno alle
quali si addensa ciò che rimane dei diritti. Orban in fondo non è
altro che l’immagine dell’ Europa oligarchica vista in uno
specchio infranto, con destra e sinistra variamente invertite,
dimensioni alterate, ma dove tratti e tendenze sono perfettamente
riconoscibili.
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