martedì 20 dicembre 2011

Cosa ci auguriamo per il 2012

di Michael Hardt e Antonio Negri (da Adbusters)

(traduzione per doppiocieco di Domenico D'Amico)


Alcune delle lotte sociali più incoraggianti del 2011 hanno posto la democrazia in cima alla lista

Sebbene siano il prodotto di condizioni molto diverse, questi movimenti - dalle insurrezioni della Primavera Araba alle lotte sindacali nel Wisconsin, dalle proteste studentesche in Cile a quelle negli USA e in Europa, dai disordini del Regno Unito alle occupazioni degli indignados spagnoli e dei greci di Piazza Syntagma - condividono un'istanza negativa: Basta con le strutture del neoliberismo! Non si tratta solo di una protesta di tipo economico, ma è di già una protesta politica, diretta contro la falsificazione della rappresentanza. Né Mubarak, né Ben Ali, e nemmeno i banchieri di Wall Street, non i media di élite, e neanche presidenti, governatori, membri del parlamento o altri funzionari elettivi - nessuno di essi ci rappresenta. La forza straordinaria del rifiuto è molto importante, ovviamente, ma il calore di dimostrazioni e scontri non dovrebbe farci perdere di vista un elemento che va al di là di protesta e resistenza. Questi movimenti condividono anche l'aspirazione a un nuovo genere di democrazia, un'aspirazione a volte esitante e incerta, a volte dichiarata e potente. Gli sviluppi di questa aspirazione costituiscono la traccia che siamo più ansiosi di seguire nel corso del 2012.

Una fonte di antagonismo che tutti questi movimenti dovranno affrontare, perfino quelli che hanno rovesciato delle dittature, è l'insufficienza delle moderne costituzioni democratiche, particolarmente la loro gestione del lavoro, della proprietà e della rappresentanza. Innanzitutto, in queste costituzioni il lavoro salariato è la chiave di accesso al reddito e ai fondamentali diritti di cittadinanza, un collegamento che ha funzionato ben poco per quelli fuori dal regolare mercato del lavoro, inclusi i poveri, i disoccupati, le lavoratrici donne senza salario, gli immigrati e altri ancora. Ma oggi tutte le forme di impiego sono diventate ancor più precarie e insicure. Nella società capitalistica il lavoro continua a essere la fonte della ricchezza, naturalmente, ma sempre di più al di fuori della relazione col capitale e spesso al di fuori di uno stabile rapporto col reddito. Ne risulta che la nostra costituzione sociale continua a richiedere il lavoro salariato per l'acquisizione di diritti e partecipazione a una società in cui un tale lavoro è sempre meno disponibile.

La proprietà privata è il secondo fondamentale pilastro delle costituzioni democratiche, e oggi i movimenti sociali contestano non solo i regimi nazionali e globali di gestione neoliberista, ma anche le regole della proprietà nel loro insieme. La proprietà non solo perpetua divisioni sociali e gerarchie, ma genera anche alcuni dei vincoli più tenaci (spesso forme perverse di relazione) che condividiamo gli uni con gli altri e con le nostre società. Eppure, la produzione sociale ed economica contemporanea rivela sempre più un carattere comune, che sfida e oltrepassa i vincoli della proprietà. L'abilità del capitale di generare profitti sta declinando, dato che sta smarrendo la sua capacità di iniziativa imprenditoriale e il suo potere di amministrare la disciplina sociale e la cooperazione. All'opposto, il capitale accumula ricchezza sempre di più attraverso la rendita, molto spesso organizzata attraverso strumenti finanziari, attraverso i quali esso si appropria di un valore che viene prodotto socialmente, e in maniera relativamente indipendente dal potere dello stesso capitale. Ma ogni istanza dell'accumulazione privata riduce il potere e la produttività del bene comune. La proprietà privata diviene così ancora di più non solo un parassita ma anche un ostacolo per la produzione sociale e il suo welfare.

E infine, terzo pilastro delle costituzioni democratiche e, come abbiamo detto più sopra, oggetto di crescente antagonismo, è l'insieme dei sistemi di rappresentanza con la loro falsa pretesa di stabilire una gestione politica democratica. Mettere fine al potere della rappresentanza politica professionale è uno dei pochi slogan della tradizione socialista che possiamo condividere con tutto il cuore nella nostra situazione attuale. I politici di professione, insieme ai leader d'impresa e ai media di élite, svolgono solo la forma più debole di funzione rappresentativa. Il problema non è tanto che i politici siano corrotti (per quanto in molti casi anche questo sia vero), quanto piuttosto che la struttura costituzionale isola i meccanismi del potere decisionale politico dalle forze e dai desideri della moltitudine. Qualsiasi autentico processo di democratizzazione nelle nostre società deve per forza di cose attaccare la mancanza di rappresentanza e le false pretese di rappresentanza annidate nel cuore della costituzione.
Riconoscere la razionalità e la necessità di una ribellione incardinata lungo questi tre assi e molti altri ancora, alla base di molte lotte in corso, costituisce comunque solo il primo passo, il punto di partenza. Il fuoco dell'indignazione e la spontaneità della ribellione devono essere organizzati al fine di proseguire nel tempo e di concepire nuove forme di esistenza, formazioni sociali alternative.

I segreti di questo prossimo passo sono tanto rari quanto preziosi [1].

In campo economico è necessario scoprire nuove tecnologie sociali per una libera produzione in comune e per una ricchezza equamente distribuita. Come possono le nostre energie produttive e i nostri desideri venire impegnati e incrementati in un'economia non fondata sulla proprietà privata? Com'è possibile erogare a tutti un welfare e le risorse sociali di base in una struttura sociale che non sia regolata e dominata dalla proprietà statale? Dobbiamo concepire i rapporti di produzione e di scambio così come le strutture di un welfare sociale che siano consistenti e adeguate al bene comune. [that are composed of and adequate to the common]

Le sfide in campo politico sono altrettanto ardue. Alcuni dei più incoraggianti e innovativi eventi e rivolte dell'ultimo decennio hanno radicalizzato la pratica e il pensiero democratici, occupando e organizzando uno spazio, ad esempio una pubblica piazza, con assemblee e strutture aperte e partecipative, praticando queste nuove forme di democrazia per settimane o mesi. In effetti, l'organizzazione interna degli stessi movimenti è stata costantemente sottoposta a processi di democratizzazione, nello sforzo di creare strutture di rete a partecipazione orizzontale. [horizontal participatory network structures] Le ribellioni contro il sistema politico dominante, i suoi politici di professione e le sue illegittime strutture di rappresentanza non sono in tal modo dirette alla restaurazione di qualche immaginario sistema legittimo di rappresentanza del passato, ma piuttosto alla sperimentazione di nuove forme democratiche di espressione: democracia real ya. Come possiamo trasformare l'indignazione e la ribellione in un processo costituente duraturo? Come possono questi esperimenti democratici diventare potere costituente, che non renda democratici una pubblica piazza o un quartiere soltanto, ma riesca a ideare una società alternativa autenticamente democratica?

Per affrontare questi temi, noi, insieme a molti altri, abbiamo proposto alcuni possibili primi passi, quali l'istituzione di un reddito garantito, il diritto a una cittadinanza globale, e un processo di riappropriazione democratica del bene comune. Ma non ci illudiamo di possedere tutte le risposte. Ci sentiamo invece incoraggiati dal fatto di non essere gli unici a porsi queste domande. Siamo in fatti fiduciosi che coloro che sono insoddisfatti dalla vita offertagli dalla nostra società neoliberista contemporanea, indignati per le sue ingiustizie, in rivolta contro il suo potere di dominio e sfruttamento, e che agognano a un sistema di vita democratico e alternativo, basato sulla ricchezza comune che condividiamo - saranno costoro, ponendosi queste domane e perseguendo i loro desideri, che concepiranno nuove soluzioni che noi non riusciamo nemmeno a immaginare.
Ecco i nostri migliori auguri per il 2012.

Michael Hardt è un filosofo politico e teorico letterario statunitense. Antonio Negri è un filosofo marxista italiano. Alla fine degli anni 70 Negri venne accusato di essere il grande vecchio dietro il gruppo terroristico di sinistra Brigate Rosse. Negri emigrò in Francia dove insegnò, a Parigi, insieme a Jacques Derrida, Michel Foucault e Gilles Deleuze. Hardt e Negri hanno pubblicato quattro importanti lavori di critica alla globalizzazione e al tardo capitalismo: Labor of Dionysus: A Critique of the State-Form (1994) [Il Lavoro di Dioniso, per la Critica dello Stato Postmoderno - Manifestolibri, 2001], Empire (2000) [Impero – BUR 2003], Multitude (2004) [Moltitudine, Guerra e Democrazia nel Nuovo Ordine Imperiale – Rizzoli 2004] e Commonwealth (2009) [Comune, Oltre il Privato e il Pubblico – Rizzoli 2010]. Queste quattro opere sono state molto apprezzate dagli attivisti politici contemporanei. Empire, ad esempio, è stato salutato come "niente di meno che una riscrittura del Manifesto Comunista per i nostri tempi" dal filosofo lacaniano Slavoj Žižek.

Nota del traduttore
[1] The secrets to this next step are as rare as they are precious. Credo che questa espressione enfatica si debba interpretare nel senso che le strutture di nuova democrazia che l'autore auspica saranno il frutto di ideazioni estremamente significative e inedite (quindi “rare”) quanto fondamentali (quindi “preziose”).

Nessun commento:

Posta un commento

Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...