sabato 26 novembre 2011

Marco Revelli: Italia a rischio Weimar

di Marco Revelli da left
«Il pericolo è che da un lato il Pd si sdrai sulle posizioni del governo e che dall’altro una parte della  sinistra si sciolga in uno sterile neopopulismo anticapitalistico. Sarebbe una tragedia. Eppure il governo Monti è il male minore».
L’analisi è di Marco Revelli, storico e sociologo torinese, attento e partecipe osservatore dei  movimenti della politica e della società sotto il giogo berlusconiano. Qualche giorno fa il suo commento sul Manifesto dal titolo “Bacio il rospo”, in cui affermava senza mezzi termini di aver fatto il tifo per Monti, ha suscitato un vivace dibattito. Cosa accadrà alla sinistra da qui alla fine della legislatura? Il Governo dei tecnici sarà l’ultimo colpo fatale?
Professor Revelli cominciamo dal governo Monti: qual è il suo giudizio dopo la presentazione del programma? Continuo a sperare che la situazione non precipiti e sono convinto che questo Governo è una  condizione necessaria – non so se sufficiente – perché questo non avvenga. Non vedo altre alternative. E quando dico “altre alternative” non intendo quello che piacerebbe a me. Questo è importante perché invece molti commentatori fanno una sovrapposizine tra ciò che si vorrebbe e ciò che si può fare. Anch’io avrei preferito che se ne andasse Berlusconi, che si facesse una bella campagna elettorale da cui uscisse vincente il centrosinistra, o meglio ancora che la sinistra prendesse il 70 per cento. Mi sarebbe piaciuto tantissimo. Ma non sta nel piano di realtà.
Cosa vede dunque a sinistra? Vedo, e questo mi genera una rabbia profonda, una “sinistra sinistra” – quella radicale, che faceva capo a Rifondazione – che negli ultimi anni ha giocato a devastare se stessa con una serie impressionante di scissioni dimostrando stupidità politica perché questo significa mettersi fuori gioco in un momento di crisi profonda. Insomma, vedo pochissimo pensiero e molta riproposizione di schemi falliti, bandierine agitate per affermare la propria identità e non delle soluzioni. Per questo considero Monti il male minore. Non certo il bene.
Quando parla di piano della realtà, cosa significa? Che la politica come è stata fatta finora è fallita? Sicuramente sì. Dietro questa svolta c’è il fallimento della politica, intesa anche come dimensione, quella che i filosofi chiamano il Politico. Sette anni fa scrissi un libro dal titolo La politica perduta, ora ne vedo una conferma. Il fatto che il Parlamento abbia dovuto fare quello che eufemisticamente si chiama un passo indietro e che il Governo sia stato affidato a un gruppo di tecnici che, ripeto, è l’unica soluzione praticabile oggi, è il segno di questa sconfitta: il fallimento della forma partito e del partito come soggetto che ha come sede naturale il Parlamento all’interno del quale definire le scelte. Questo meccanismo è saltato, i partiti si sono rivelati contenitori vuoti e incapaci di generare in tempi utili una soluzione. Aggiungerei a nostra infamia nazionale che questo impresentabile governo Berlusconi è caduto prevalentemente per ragioni esogene. È vero che era cominciato a finire ben prima, il 14 dicembre, poi c’è stato il 13 febbraio con il movimento di “Se non ora quando”, le amministratve e il referendum: un lungo processo di secessione del Paese dai suoi governanti. Però è indubbio che il colpo di grazia gliel’ha dato lo spread.
Come vede il più grande partito d’opposizione, il Pd? Supposto che la squadra di tecnocrati guidata da Monti ci faccia guadagnare un po’ di tempo, questo dovrebbe essere considerato da tutta la sinistra una “grazia  ricevuta”. Potrebbe rappresentare una possibilità di riconfigurare il proprio cervello e la propria azione a livello delle sfide del tempo. Questo sarebbe auspicabile in primo luogo ponendosi in ascolto. Perché c’è un popolo di sinistra che ha parlato in tutti questi anni e che nessuno ha ascoltato, sono stati i 27 milioni di italiani che hanno votato al referendum per i beni comuni, oppure quelli che hanno lottato contro la Tav in Val di Susa, quelli che hanno votato per Pisapia e De Magistris, candidati non scelti dagli apparati. Se sapranno ascoltarlo, c’è qualche speranza. Io però sono un pessimista.
Perché? In particolare ho il terrore di due cose. Una è che il Pd si faccia influenzare verso l’alto, identificandosi con la politica di governo invece di utilizzare il tempo guadagnato per ridefinire una propria cultura. E poi temo che un pezzo di sinistra vada a finire nel populismo dei complotti, della congiura massonico, plutocratica, globale, eccetera. Se si confrontassero un’élite tecnocratica da una parte e un tumulto di populismi confusi e carichi di risentimento, dall’altra, sarebbe davvero Weimar.
Bersani alla Camera ha pronunciato un discorso in cui parlava dell’«orgoglio delle proprie idee». Bersani ha un compito improbo e ha davvero la mia simpatia. Deve tenere insieme tendenze anche centrifughe spaventose. Ma non giudicherei dai discorsi di maniera di questi giorni, invece monitorerei con molta attenzione quello che succederà a breve. Il rischio della decomposizione è grande: il Pdl senza più il magnete della leadership di Berlusconi potrebbe esplodere in molti frammenti centrifughi, perché è un agglomerato forte di interessi e di affari che tenderanno ad andare a giocare ognuno la propria  partita. Ma il rischio è anche simmetrico: nel Pd le identità che lo compongono non hanno un cemento solido e quindi è grande che il rischio che il vuoto che il Parlamento ha mostrato in questo anno diventi un dato permanente nel nostro sistema politico.
In questo contesto quanto pesa l’intervento della Chiesa? Nel vuoto della politica la Chiesa ha sempre fatto irruzione. Quanto più si fa rarefatta la sfera pubblica per assenza di soggetti credibili – i partiti in questo caso -, tanto più la Chiesa esce dal suo ruolo di magistero e assume una veste direttamente politica. Qui non si tratta del magistero morale ma del perseguimento dei propri interessi temporali: dall’Ici sul patrimonio immobiliare alla scuola privata, o alla bioetica. Su questo passeranno all’incasso.
Nel governo Monti sono stati nominati tre ministri donne in incarichi importanti. C’è qualcosa di nuovo? Vedo qualcosa di radicalmente nuovo rispetto al più immediato passato. Qui il merito e la competenza accedono ai posti di responsabilità, e devo dire che c’è stato un ruolo formidabile delle donne in questo ultimo anno. Inoltre, questo punto di vista femminile che privilegia per certi versi competenza e cura rispetto alla competitività e muscolarità della politica può essere un’uscita di sicurezza dal labirinto in cui ci siamo cacciati.

Nessun commento:

Posta un commento

Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...