mercoledì 18 gennaio 2012

Liberalizzazioni e liberismo

Liberalizzazione è un termine che mi insoppettisce, perché aldilà del merito dei provvedimenti, il termine sembra funzionare come cavallo di Troia  dell'ideologia liberista. E' sufficiente stabilire l'equazione: liberalizzazioni buone=liberismo buono, che detto e fatto ti ritrovi cornuto e contento. La trappola sta tutta qui, ma il pacchetto regalo delle liberalizzazioni non deve comprendere necessariamente  l'ideologia liberista in toto, con il massacro che ne consegue dei beni comuni e delle privatizzazioni del patrimonio pubblico, oltre che di risorse strategiche come la telefonia e l'energia ad esempio. Semplici operazioni di buonsenso come l'abolizione di certi privilegi feudali sono l'antitesi del liberismo. Abolire i privilegi della casta dei notai e di quella dei farmacisti che per decenni si sono arricchiti a nostre spese, è solo un fatto di di giustizia elementare, se a questo ci si vuole appiccicare la privatizzazione dei servizi pubblici, della gestione dell'acqua  e delle municipalizzate, quella è pura mistificazione e puro imbroglio. Personalmente ho auspicato per anni una qualche forma di "liberalizzazione" che sblocasse un sistema italiano paralizzato da privilegi odiosi, ho sperato in una qualche forma di liberalizzazione delle Università e persino della sanità, tale da consentire una selezione degli incarichi secondo criteri di merito e non di appartenenza politica, sindacale o di casta. Tutto ciò è liberismo? No, è semplice repulsione per delle ingiustizie che fanno parte di un sistema di stampo medievale, dove dominano le gilde e i loro interessi particolari. Che queste corporazioni intendano rimanere aggrappate ai loro privilegi lo trovo comprensibile, chi come i notai vorrebbe rinunciare ad un tassa sul macinato che si ottiene semplicemente mettendo delle firme su dei documenti? Che questo venga loro permesso è un altro paio di maniche. Già col governo Berlusconi alcuni provvedimenti come quelli riguardanti le farmacie furono bloccati, e si stava pianificando al contempo un progressivo  allentamento delle norme che consentivano la vendita di prodotti da banco nelle parafarmacie. C'è da augurarsi che questa si la volta buona e che si possa sfuggire al ricatto dei farmacisti, che con la scusa che rendono un servizio sociale alle vecchiette che si affidano ai loro amorevoli consigli, pretendono di essere i soli sulla piazza, liberi di fatturare milioni di euro l'anno.  Per non parlare degli avvocati che minacciarono addirittura di far cadere il governo di Berlusconi in grazia del loro folto numero in parlamento. Non parlo dei tassisti, anche se molte volte ho rimpianto la Barcellona degli anni giovanili, dove i ragazzi potevano prendere un taxi in piena notte senza svenarsi, mentre in Italia dovevi sempre tenere l'occhio sul tassametro (e sul percorso), sapendo che comunque alla fine il conto sarebbe stato salato. 
L'alibi per le liberalizzazioni e per le privatizzazioni è sempre quello dell'inefficienza dei servizi pubblici e della maggiore efficienza del privato, con conseguente riduzione dei costi per il cittadino. Innanzitutto l'inefficienza non è obbligatoria nel pubblico, è sufficiente rifarsi ad esperienze che funzionano, razionalizzando l'organizzazione del lavoro, diminuendo sprechi ed inefficienze e mettendo a punto un valido sistema di incentivazione (guardare gli ospedali francesi o del nord Europa ad esempio), per avere un pubblico più che efficiente. Il succo sta tutto qui, inoltre  se efficienza del privato significa precarizzazione del lavoro e paghe da fame, preferisco pagare un po' di più, ma sapere che chi fa il suo lavoro lo fa ricevendo un salario equo. 
Insomma liberalizzazioni si, ma occhio al trucco, liberismo mai.

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