sabato 15 giugno 2013

Giovani imprenditori alle armi

Tonino D'Orazio

Vuoi vedere che l’egoismo dei padri ha fregato anche loro. Ma da li a minacciare la rivoluzione tremano i polsi. Si dovrà fare a gara, se la devono fare i poveri o i ricchi. O tutti e due contro se stessi.

Sembra che la Confindustria soprattutto, ma anche la Confapi che emula i grandi, non abbiano nulla a che fare con la situazione attuale. Ricordo il 1994, quando fu eletto presidente del consiglio Berlusconi per la prima volta. Gli si scagliarono contro tutti gli organismi padronali nazionali, europei e mondiali. Aveva rotto un tabù. Gli imprenditori governavano e gestivano i soldi del paese tramite i politici, senza responsabilità diretta. Questa se la prendessero i politici. Berlusconi andò a prendersi i soldi dello Stato direttamente, senza mediazione. Scandalo, ma successivamente esempio, mondiale.

I grandi appaltatori, perché imprenditore è una parola troppo seria, ricevettero da allora grandi regali attraverso le privatizzazioni, in fin dei conti gratis, con giro cassa bancario. Eccetto il concorrente Fiat, ancora troppo ricco, che iniziò a vogare altrove dopo il diniego ad ottenere il gioiello Finmeccanica, Alenia compreso. Ricordiamo che si era già mangiato tutta la motoristica italiana, tanto da far dire a Tremonti che gli italiani avevano ricomperato la Fiat per ben tre volte. Benetton, sì quello delle magliette, ricevette le autostrade italiane costruite per decenni con le tasse degli italiani; un flusso continuo di denaro fresco in entrata giornaliera, e che grazie a Di Pietro non riuscì a vendere agli spagnoli. Tronchetti Provera, gruppo Pirelli, uomo di punta della ricca lobby ebraica italiana, ricevette tutta la telecomunicazione italiana e un paio di reti televisive per rifarsi della disastrosa scalata alla tedesca Continental, il tutto oggi allo sbando. Tralascio tutto il resto, il petrol-chimico, l’energia, l’agroalimentare, la grande distribuzione, l’aviazione, le casse di risparmio ecc., la lista sarebbe troppo lunga. Oggi, in Italia, sono più di 15.000 le imprese a controllo estero. Primi gli americani, secondi i francesi e terzi i tedeschi (report Istat 2011). Tralascio anche tutto quello di cui Berlusconi si è impossessato, da un imbroglio a un altro, dalle reti alle pubblicità televisive (90% a Mediaset), alle operazioni finanziarie e bancarie delle Poste Italiane (8.000 sportelli) tramite la sua banca Mediolanum, ecc…

Valutiamo anche tutti i benefici, enormi, indotti dalle varie “riforme” del mercato del lavoro e delle pensioni dei vari governi con un unico obiettivo, quello di impoverire le buste paga dei lavoratori e dei pensionati, dal pubblico al privato, e trasferire i benefici alle imprese e alle banche. Tutti i cosiddetti cunei fiscali, anche di 5 punti del Pil “tesoretto” di prodiana memoria, furono regalati direttamente a loro. I padri appaltatori hanno pensato ad ottenere benefici subito con il concetto di tirare la corda il più possibile su diritti e costo del lavoro, rivendere a stranieri tutto ciò che di buono esisteva nel nostro paese e tirare a campare. Molti soldi, maledetti e subito, per nasconderli altrove. Non hanno scelto la qualità del lavoro, dei prodotti, della professionalità. Hanno scelto la precarizzazione del lavoro, della vita delle persone e i rischiosi giochetti finanziari. Oggi cercano di tirare dentro le responsabilità anche le organizzazioni sindacali, addirittura “cedendo” sulla loro possibilità di rappresentarsi, diritto tolto illegalmente prima. Anzi Letta consiglia: “o remiamo tutti insieme nella stessa direzione e i problemi enormi che abbiamo non li risolveremo mai”. Funziona ancora la storia di chi rema e chi prende aria.

Anzi arrivano anche le lacrime di coccodrillo. Sono le organizzazioni sindacali a doversi "trovare di fronte a una sfida di grande complessità'", perché devono "tenere insieme la prioritaria difesa dei diritti e della dignità del lavoro ( che non c’è più) con l'individuazione degli interventi e degli strumenti innovativi necessari (ancora?) per superare la drammatica caduta dell'occupazione specie giovanile". Chi poteva raccontarla se non Napolitano dopo aver aiutato il parlamento e la destra europea a distruggere il tessuto del mercato del lavoro e del sociale. Insieme al segretario generale della Cisl.

Ora i figli e i nipoti degli appaltatori, perché di loro si tratta, essendo l’ascensore sociale bloccato ai piani alti, sono pronti a “prendere le armi”. Nei media non ha suscitato nessun scalpore, perché loro possono dirlo, gli altri nemmeno paventarlo. Ma poi contro chi le prenderebbero? Hanno già vinto, o quasi, la guerra contro i poveri. I “giovani” vorrebbero una eredità ormai sprecata, che lo Stato ripianasse nuovamente i loro debiti e sborsasse anche a loro un po’ di prebende, che si raschiasse il fondo di quel che rimane da regalare, da privatizzare, pardon, da “dismettere”. Fanno “moina”, amano il brivido, minacciano la “rivoluzione”, parolona che non fa più nemmeno sorridere in confronto a quello che succede nelle piazze mediterranee, ma sanno che l’amico Berlusconi è sempre lì, che i poteri forti, europei e mondiali, sono loro e che sono sempre alla plancia di comando per spogliare Stato e cittadini.

Evidentemente i “giovani” appaltatori dimenticano le responsabilità costituzionali (ma ormai chi non dimentica la Costituzione, cominciando dal suo garante Napolitano) sulla cosiddetta “responsabilità sociale” delle loro “imprese” e quindi anche i Principi Guida delle Nazioni Unite, che magari insistono troppo sul concetto di "accuratezza dovuta" (due diligence); concetto ed uguale definizione di responsabilità sociale messa a punto dalla Commissione Ue. Per Bruxelles, infatti, essa è definita come “la responsabilità delle imprese per le loro conseguenze sulla società. Il rispetto per la legislazione applicabile e per i contratti collettivi siglati fra le parti sociali sono un prerequisito per assolvere tale responsabilità”. Per questo motivo “le imprese devono applicare la due diligence quando analizzano le conseguenze delle proprie azioni e decisioni sull'ambiente e sui lavoratori”.

Risultato? Chiacchiere e distruzione. Forse ha ragione Draghi quando sancisce che lo stato sociale in Europa è definitivamente morto, con il massimo consenso padronale, popolare e istituzionale, insomma democraticamente.

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