lunedì 8 luglio 2013

Elogio squinternato del comunismo

È che oggi ci sono ancora motivi seri per essere comunisti. Quando senti di persone che hanno “fortune” superiori al PIL di un paese africano, ai miliardi drenati con le speculazioni in borsa o semplicemente a personaggi da favola come il tal William e consorte Kate, la cui ricchezza è commisurata alla loro insipienza, che assolvono ancora al ruolo di libro di favole per il popolo bue, allora non puoi che essere comunista.
I peggiori individui al mondo sono i cosiddetti liberali: gente come Locke, Bentham, Mill e compagnia cantando, la cui premura principale, al limite dell’isteria, era la difesa della proprietà privata, ovviamente proprietà come diritto dei soli uomini veri, non certo di quella sotto-categoria antropologica di non uomini, magari negroidi, che potevano a buon diritto essere rivendicati come proprietà privata dagli uomini veri e puri, tanto che la schiavitù era ritenuta un fatto normale, che madre natura stessa suggeriva esplicitamente, infondendo ignoranza e infantilismo nelle masse, oltreché dotando certuni di sembianze poco umane, o magari di organi genitali diversi da quelli maschili. Una volta poi che il comunismo è caduto in disgrazia è stato facile trasformare in bene assoluto tutte le declamazioni liberali e di converso in male assoluto qualsiasi “precetto” o istanza comunista, ivi compresi i diritti del lavoro, di cui si vuole certificato il decesso con il sigillo delle “riforme” che tanti invocano. In sintesi, la proprietà privata, il diritto di arricchirsi, il valore dell’individuo, schiavitù del lavoro: bene; eguaglianza, diritti del lavoro, libertà dei popoli oppressi: male; tutto ciò non è democratico e la storia ci dice in maniera inequivocabile che il progresso e la luce avanzano dietro il vessillo del liberalismo.
A voler essere comunisti però è difficile sfuggire a fastidiose aporie che ti buttano dentro un loop angoscioso. Consideriamo la parola “essere” ad esempio, l'essere appartiene al mondo delle categorie metafisiche e la metafisica con i suoi aspetti soggettivi e nominalistici è quanto di meno marxiano ci possa essere: teoria e prassi, questo ci vuole per rimettere il mondo con i piedi per terra. Insomma per essere comunisti non puoi limitarti appunto ad essere, ma devi agire da, ossia devi agire da comunista. Bene, ma come evitare che la componente inevitabilmente soggettiva (qualcuno dovrà per forza elaborare una teoria) si trasformi in ideologia? E come evitare che lo storicismo e l'attesa messianica per il sol dell'avvenire si trasformino in una nuova cosmogonia? Falso problema? Beh, a pensarci bene si. In fondo se permettiamo a ciascuno di tenersi stretto il suo comunismo e lo accettiamo come compagno di strada, allora quello che conta davvero è il percorso che facciamo per arrivare alla meta, non quello che uno dice di essere. C'è però un altro piccolo problema: uno può fare e dire quello che vuole, ma saremo mai abbastanza per realizzare quello che vogliamo? In sintesi, il comunismo o i comunismi hanno una qualche speranza di vittoria? Questo è il mio dubbio più grande: il comunismo è e deve essere universale, ma può contenere dentro di sé l'universo mondo?
Mentre cammino e ci penso, continuo a professarmi comunista anche se non sono convinto di comportarmi di conseguenza, non è solo una questione di convinzione, la miseria e le tragedie che vedo intorno a me sono troppo grandi per non desiderare qualcosa di altro e di radicalmente diverso, e in fondo qualcosa di meglio del comunismo non l'hanno ancora inventato.


Nessun commento:

Posta un commento

Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...