I patti europei che condannano l'Italia all'austerità. E che il nuovo premier promette di rispettare. Cancellando così ogni possibilità di intervenire seriamente nell'economia del paese. Mentre la crescita...
IL FONDO SALVA STATI – Il Meccanismo europeo di stabilità (organizzazione intergovernativa erede del precedente Fondo europeo di stabilità finanziaria sottoscritto per proteggere dal default Grecia, Irlanda e Portogallo) è entrato in vigore nel luglio 2012 con una capacità di quasi 700 miliardi di euro (250-300 provenienti dai vecchi fondi) e coinvolge 17 Paesi dell’area Euro. L’Italia partecipa come terzo finanziatore (17,9% del contributo, calcolato sulla base del contrubuto alla Bce). Dal 2010 ad oggi dalle nostre casse in favore del fondo salva-Stati sono già usciti oltre 40 miliardi di euro, una somma che per un Paese dal debito che si incammina al 130% del pil, in fase di recessione e con evidenti difficoltà a rilanciare il reddito e pareggiare il bilancio, può valere quasi come un cappio al collo. Un esborso così rilevante a favore del fondo di stabilità, mentre infatti da un lato ci aiuta ad affrontare con più serenità il risanamento della finanza pubblica (perché ci difende dall’eventualità di insuccesso delle aste dei titoli di Stato e di crollo della fiducia degli investitori) dall’altro strappa una montagna di denaro che sarebbe potuto servire per una più rapida (e facile) riduzione della pressione fiscale o per incentivi alle imprese. Insomma, l’Italia, terza economia europea, è – a ragione – anche terzo socio del meccanismo salva-Stati. Ma è nettamente più indebitata dei primi due Paesi. Il debito della Germania (che contribuisce per il 27,1%) viene stimato oggi dall’Eurostat all’81,9% del pil. Quello francese al 90,2%. Il nostro al 127%. Sui titoli di Stato decennali paghiamo ancora (rispetto ai Bund tedeschi) un differenziale di quasi 300 punti di tasso di interesse in più. Basterebbe eliminare solo quale punto percentuale di interesse aggiuntivo sul debito da restituire annualmente agli investitori (gli interessi sul debito complessivamente si aggirano intorno ai 90 miliardi di euro) per finanziare l’eliminazione o – comunque – la sensibile riduzione della tassa sulla prima casa e altre imposte. La sottoscrizione di capitale dell’italia nel fondo salva-Stati ammonta a 125,4 miliardi di euro (da elargire in 5 anni). Quella tedesca a 190. Quella francese a 142,7. Il Meccanismo di stabilità può intervenire in caso di difficoltà degli Stati con acquisto dei titoli sul mercato primario. E può garantire anche la ricapitalizzazione di banche in crisi. L’assistenza finanziaria viene garantita se sostenuta dall’85% dei Paesi che aderiscono al patto.
IL FISCAL COMPACT – Discorso a parte va fatto per il Fiscal compact. Il Patto di stabilità europeo,
in vigore dal primo gennaio 2013, impegna tutti i paesi dell’Unione (ad
eccezione di Regno Unito e Repubblica Ceca) a perseguire il pareggio di
bilancio, a non superare la soglia di deficit strutturale dello 0,5%
(1% per i paesi con rapporto debito/pil inferiore al 60%), e a ridurre
poi il debito pubblico fino al 60% entro un ventennio. Ciò significa che
l’italia, per ridurre il suo rapporto debito/pil dal 127% al 60% entro
il 2033, dovrà produrre annualmente e senza interruzioni fino al
raggiungimento dell’obiettivo rilevanti avanzi primari (le uscite dello
Stato dovranno essere ampiamente più basse rispetto alle entrate,
interessi sul debito pubblico compresi). Tutto ciò implica che, in fasi
di crisi come quella degli ultimi anni, essendo ancorati ad un rigido
vincolo di bilancio, avremo meno strumenti degli altri Paesi (si ricordi
il debito tedesco al 90% del pil e quello francese all’81%) per
rilanciare la crescita economica (con interventi di spesa). Il problema
ha posto all’ordine del giorno lo scetticismo sull’accordo continentale.
Alcuni economisti sostengono, infatti, che il Fiscal compact sia
sinonimo di un regime perenne di austerità che esporrà più facilmente
l’economia al rischio di recessione e ne propongono addirittura la
rinegoziazione. Altri lo ritengono più semplicemente un’opportunità per
conquistare la fiducia dei mercati
IL CASO ITALIA – In Italia il Fiscal Compact è stato recepito con apposita legge il 2 marzo 2012, durante il governo Monti, e il dibattito sull’accordo sovranazionale si è parecchio infuocato negli ultimi mesi, complice anche la campagna elettorale per le Politiche. Gli scettici – di destra e di sinistra – accusano i passati governi Berlusconi di non aver negoziato in maniera adeguata, chiedono vincoli diversi, oppure accusano la Germania (ed Angela Merkel) di voler imporre agli Stati più in difficoltà una politica economica a propria misura (quella dell’austerity). In mezzo ci sono gli europeisti convinti, come Letta e il suo predecessore, che pure si sono presentati al paese con un programma assai vasto, che in realtà – dati la morsa del rigore – non sono peinamente realizzabili. Alla Camera e al Senato negli ultimi due giorni bbiamo avuto conferma. Il nuovo premier ha promesso stop all’Imu, maggior carico fiscale sul lavoro, stimoli per gli investimenti. Senza però esporsi sull’eventuale (e necessario) reperimento di risorse, che è sinonimo di taglio a beni e servizi. Qualcosa non torna.
(Fonte foto: LaPresse)
Sulla austerità non vi dicono la verità.
RispondiEliminaLa grande truffa della austerità non è come la immaginano, la descrivono o la impongono con frode i politici sleali, disonesti e scorretti, ma è l'arma con la quale i poteri forti mettono un anello al naso del popolo dei cittadini lavoratori, delle famiglie e delle aziende alterando la realtà e convincendoli che quell'anello al naso non è segno di sottomissione, ma di condivisione.
Una truffa degna della ambigua realtà di Matrix.
http://www.ilcittadinox.com/blog/austerita-sparpaket-austerity-%CE%BB%CE%B9%CF%84%CF%8C%CF%84%CE%B7%CF%84%CE%B1-austerite-austeridad.html
Gustavo Gesualdo alias Il Cittadino X