mercoledì 17 luglio 2013

Sovranità di destra e sovranità di sinistra.

di Tonino D'Orazio

Quando si fa il tifo si perde la nozione della sostanza del contendere e sicuramente una certa razionalità.

La sinistra dovrebbe rinunciare a criticare la deregolamentazione internazionale del neocapitalismo perché in alcuni paesi è diventato programma prioritario delle destre se non insieme? Rinunciare significa partecipare, viene utilizzata una tremenda parola più dolce, accompagnare.

Non si può più dire o fare nulla per intralciare il cosiddetto libero scambio. Che tanto libero, e lo sappiamo tutti, proprio non è. Da un po’ di tempo la merce la si prende con le armi. Qualunque concetto di de-mondializzazione diventa velleitaria e autarchica. Qualunque riferimento alla volontà popolare per una trasformazione sociale positiva passa per nazionalismo. Sono gli stessi propositi della sinistra europea attuale e delle destra. Sono alla fine gli elementi base per le “grandi coalizioni” per mantenere in piedi un sistema che crolla dappertutto.

Su queste idee opportunistiche delle destre, in questa fase, purtroppo le sinistre convergono anche se in ordine sparso. Per non dare adito ad accuse di neonazionalismo la sinistra non intralcia più il neoliberismo e lo stesso concetto di de-mondializzazione è visto ormai come intralcio al principio dell’internazionalismo. Principio però sempre più astratto. Perché solo i popoli, le nazioni, le democrazie partecipate possono uscire dall’ordine mondiale istaurato dal neoliberalismo. È l’esempio dei paesi sud americani. E’ il granello che può inceppare la macchina stritolatrice.

Ecco quindi di nuovo riapparire il termine nazione. Termine maledetto dagli internazionalisti, anche se quest’ultimo concetto è politicamente vuoto e non riesce a concretizzarsi in nessun posto perché occupato di fatto dal pensiero unico neoliberale in estensione e espansione mondiale. Quindi una unica nazione mondiale con regole conformi al pensiero dominante, cioè con meno regole democratiche possibili.

Una profonda differenza tra sovranità di destra e sovranità di sinistra sta nei concetti differenti. La prima si basa sulla sovranità della nazione, anche se il mondo è diventato nazione, la seconda sulla sovranità del popolo.

La destra cerca sempre l’uomo della provvidenza per dirigere la nazione, il “gruppo dei saggi”, dei competenti, dei tecnici che devono guidare la nazione, che “non hanno tempo da perdere”. In questo senso si può dire tranquillamente che Napolitano è un uomo di destra che mette in atto strumenti di destra; che per attuare il presidenzialismo di quella cultura, spinge i “saggi” embeded all’annullamento dell’art. 138 della Costituzione, vera barriera contro il risorgente fascismo e il governo autoritario di eventuali oligarchie. Quindi solo la ricerca del governo dei popoli in mano a pochi. Una tristezza dal profumo totalitario o solo e sempre più autoritario. Se si prende ad esempio la Cina, passata da uno stato totalitario ad un sistema autoritario, con aperture democratiche diluite nel tempo, in modo inversamente proporzionale si può quasi immaginare che il modello di regime verso cui tendono i paesi occidentali e la Cina possa nei prossimi anni miracolosamente convergere. Lo stallo economico ha messo in evidenza il predominio dei mercati finanziari sulla vita democratica dei paesi. La vera sinistra intende invece, come sovranità, la partecipazione più larga possibile di tutti gli interessati a prendere le decisioni. Cioè la democrazia vera e faticosa che può chiamarsi anche sovranità popolare.

L’abuso propagato dalla destra è proprio relativo alle questioni economiche. Hanno sempre approvato e sostenuto l’avanzata del neoliberismo come se fosse solo libero capitalismo e libero mercato. La parola libertà si è ristretta a pochi, a quelli che possono e possiedono tutto e tutti. Hanno osannato Regan e la Thacher. Ideologicamente le destre sono sempre state pronte allo scontro con la sovranità popolare rappresentata dalla democrazia e dai suoi strumenti o istituzioni. La doppiezza attuale delle destre sta nel fomentare loro stessi le critiche al neoliberismo e al capitalismo visti i risultati socialmente, e pericolosamente, disastrosi. Come se non avessero governato l’Europa e l’Italia da decenni. Prendono prima, davanti a una sinistra pavida e senza più orientamenti anti-capitalistici necessari al sostegno della democrazia e della sovranità popolare. Anzi, in qualche modo prona se non addirittura contro, sgretolando le costituzioni e lasciando praterie politiche alle destre che vi scorazzano e vi sguazzano.

Possibile che l’abbattimento del muro di Berlino nel 1989 abbia abbattuto definitivamente qualsiasi altra visione per un mondo diverso? Anche di un socialismo minimo ma chiaro?

Eppure un mondo diverso esiste. Ne è l’esempio la Boldrini, Presidente della Camera, con un no secco a Marchionne che governa la Fiat a nome dei suoi padroni e pensa di fare quello che vuole in Italia, Costituzione o meno, poiché i politici, proni, glielo hanno sempre permesso e gli hanno sempre regalato i soldi visto che ogni volta che chiacchiera di investimenti bussa a cassa. Ovviamente la Boldrini viene tacciata di lesa maestà anti-capitalista, e quindi di estremismo contro il pensiero unico, dalle destre italiane. Ma il centrosinistra non coglie nemmeno l’occasione di sostenerla e ribadire un sembiante di socialismo democratico, all’interno del sistema capitalistico. In nome del napolitanesco “il governo non può cadere”, anche se programmaticamente di destra e “costi quel che costi”, il centrosinistra ingoia tutto, compreso l’acquisto inutile, dannoso e guerrafondaio di farseschi bombardieri che nemmeno gli americani vogliono (vedi blocco del Congresso alla sua costruzione). Eppure, nella lettera della Boldrini, tutti gli ingredienti di una visione diversa ci sono: “Il livello e l’impatto della crisi sono tali da imporre un progetto del tutto nuovo, una politica industriale che consenta una crescita reale, basata su modelli di sviluppo sostenibile tanto a livello economico, quanto sociale e ambientale. Lei concorderà che le vecchie ricette hanno fallito e che ne servono di nuove. Affinché il nostro Paese possa tornare competitivo è necessario percorrere la via della ricerca, della cultura e dell’innovazione, tanto dei prodotti quanto dei processi. Una via che non è affatto in contraddizione con il dialogo sociale e con costruttive relazioni industriali: non sarà certo nella gara al ribasso sui diritti e sul costo del lavoro che potremo avviare la ripresa.” Un vero ceffone. Ci sono tutti gli elementi del fallimento del neoliberismo, la sua arretratezza e la sua deriva schiavistica del mondo del lavoro. La maggior parte dei partiti del centrosinistra è stata zitta e ciò non può che sembrare un silenzio assenso alle tesi delle destre. In questo forse non rappresentano più la sovranità popolare ma una rappresentanza usurpata da leggi incostituzionali e truffaldine che la magistratura pavida, o a volte tristemente connivente (basta vedere lo scontro tra Stato e mafia), tarda a dichiarare tali con i massimi organi costituzionali.

Ah, già ! La Costituzione! Quella reale o quella in trasformazione di fatto? 

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