di Tonino Bucci da umbrialeft
Nei primi tre mesi dell'anno - la notizia è di ieri, diffusa da
Eurostat - il debito pubblico italiano ha sfondato la quota del 130 per
cento. Solo la Grecia ha un debito più elevato, intorno al 160 per cento
del suo prodotto interno lordo. Il dato, preso isolatamente, significa
poco. Più interessante sarebbe capire come mai dopo un triennio di
interventi, tagli alla spesa pubblica e strette fiscali, il nostro
debito pubblico continui a salire in rapporto al Pil. Al momento
dell'insediamento del governo Monti la proporzione tra il debito e il
prodotto interno lordo era intorno al 120 per cento. Un anno dopo,
questo rapporto era salito al 127 per cento. Oggi, senza mai
interrompere la corsa verso l'alto, il debito è oltre quota 130. Ne
discutiamo con l'economista Vladimiro Giacché.
Se questi sono i dati, le politiche di austerità applicate
già a partire dal governo Berlusconi non hanno avuto nessuna efficacia.
Nonostante gli interventi per rientrare dal debito, la percentuale
continua a salire. Come mai?
Le misure adottate sono state molto efficaci nell'aumentare il debito
pubblico. Le manovre di austerity, così come si sono configurate nel
nostro paese, non potevano non avere l'effetto di deprimere il nostro
prodotto interno lordo in misura significativa. Siccome nel rapporto tra
debito e Pil non si guarda alle cifre assolute del debito, ma alla sua
proporzione rispetto al prodotto interno lordo, è evidente che anche se
si riducesse per ipotesi il debito, ma al prezzo di deprimere l'economia
e far diminuire il Pil in misura significativa, automaticamente il
rapporto aumenta. Questo è quel che è accaduto in tutti i paesi
coinvolti dalla crei del debito pubblico. E' la logica conseguenza delle
misure intraprese. Vorrei rivendicare, non solo per quanto riguarda me,
ma per una serie di economisti critici, di aver detto queste cose con
molto anticipo. Purtroppo siamo rimasti inascoltati benché le nostre
argomentazioni fossero lineari. Molte cose che sono state scoperte negli
ultimi mesi, erano state ampiamente previste. Quando il Fondo monetario
ci dice che ha dovuto ricalcolare il cosiddetto “moltiplicatore
fiscale", cioè gli effetti negativi di una stretta fiscale sul prodotto -
e che questi effetti non corrispondono allo 0,5, come lo stesso Fmi
prima riteneva, ma in qualche caso dell'1,5, si trattava di cose già
previste. Per una stretta fiscale dell'entità di 50 miliardi di euro, ad
esempio, il calo del Pil sarà superiore a 50 miliardi e non soltanto di
25 miliardi. Uno dei motivi di questo impatto maggiore di quanto il Fmi
ritenesse, è che la zona euro è integrata. Se tutti fanno una stretta
fiscale nello stesso tempo, ognuno ha non solo un problema di calo di
domanda interna, ma anche nelle esportazioni. Tutto questo era stato
scritto da me e da altri già a partire dal 2010. Paghiamo un prezzo
pesante alle ideologie e agli interessi di chi ha convenienza a sferrare
l'attacco finale al welfare. Per esempio, gli interessi dei privati che
subentrano nella gestione dei servizi prima pubblici. Questo processo
porta non solo all'impoverimento della già esigua ricchezza dei
lavoratori, ma alla ricchezza complessiva dell'intera società. Siccome
il prodotto interno lordo nei paesi industriali avanzati è in larga
parte derivante dai consumi interni, è chiaro che quando si ha una
caduta molto forte di questi consumi, si determina un impoverimento
generalizzato. L'esportazione del modello tedesco di una competitività,
basato su il contenimento estremo dei salari e, allo stesso tempo, delle
tasse alle imprese, ai paesi del Sud Europa ha effetti catastrofici per
tutte le economie.
E' il modello di relazioni che nasce con l'Agenda 2010, la
riforma del mercato del lavoro nata per iniziativa dell'ex Cancelliere
socialdemocratico Schröder. Negli ultimi anni è costata molto alla Spd
in termini elettorali.
Sì, proprio quella, E ora viene esportata nei paesi del Sud dell'Europa.
Mi conforta solo che la Linke abbia fatto in Germania un'analisi
precisa di questa situazione ed evidenziati gli effetti fallimentari
dell'Agenda 2010 che ha già impoverito i lavoratori tedeschi. Mi rendo
conto che in Italia questo dato sia controintuitivo perché tutti si
immaginano che i lavoratori tedeschi sguazzino nell'oro. Ma la realtà è
che negli ultimi quindici anni in Germania è stato costruito un mercato
del lavoro dualistico. Una parte di lavoratori è tuttora pagata
relativamente bene, ma un'altra componente dell'economia - soprattutto
quella legata ai servizi - è del tutto precarizzata grazie
all'introduzione dei minijob a 480 euro al mese.
La diffusione di questi contratti, tra l'altro, consente alla Germania di occultare il proprio tasso di disoccupazione. O no?
Non solo. Siccome lo Stato deve aggiungere qualcosa a questi esigui
stipendi, almeno in termini di contributi e accesso agevolato ai
servizi, tutto ciò si traduce in un aiuto di stato alle imprese che, in
quanto tale, andrebbe sanzionato dall'Unione Europea. Quando l'Europa si
sveglierà, magari proverà a fare non solo gli interessi della Germania.
Che le politiche di austerità non raggiungano gli obiettivi
dichiarati è forse noto persino a chi le sostiene. Le stesse istituzioni
che fino a oggi hanno sollecitato l'applicazione delle ricette
liberiste e delle politiche di austerità cominciano a nutrire più d'un
dubbio che la causa effettiva della crisi dell'euro sia il debito
pubblico. Lo stesso vicepresidente della Bce, Vitor Costancio, ha
sostenuto di recente che lo squilibrio nell'area valutaria dell'euro
siano dovuti soprattutto all'indebitamento privato. L'aumento del debito
pubblico comincerebbe in realtà solo dopo il 2007, cioè dopo
l'esplosione della bolla del debito privato, gonfiato dai crediti che le
banche del Nord Europa hanno concesso alle banche del Sud e,
indirettamente, alle famiglie e alle imprese dei paesi periferici
dell'Europa, grazie al surplus commerciale dei paesi settentrionali.
Dov'è allora l'utilità delle misure di austerity di rientro dal debito
se non negli effetti politici che esse provocano?
C'è un interesse politico basato su un'analisi molto fredda della
situazione. Si ritiene che per affrontare la competitività
internazionale l'Europa abbia ancora del grasso da togliere dal welfare -
il che, in ultima analisi, significa colpire i salari indiretti, perché
i servizi sociali erogati dallo Stato e le pensioni sono salari
differiti. Secondo questo schema ideologico, tagliando i costi dello
stato sociale le imprese potranno tornare a fare profitti. Questa,
credo, sia la vera intenzione. C'è, tuttavia, anche una valutazione
sbagliata che, forse, qualcuno ancora condivide, secondo cui l crisi in
Europa fosse originata dal debito pubblico. Non è così. E non è mai
stato così. Il debito pubblico è una conseguenza della crisi. Primo, in
una situazione di crisi molto forte diminuiscono le entrate di uno
Stato. La gente guadagna di meno e versa meno tasse. Secondo, i conti
dello Stato peggiorano perché se crolla il Pil, la proporzione del
debito rispetto a esso aumenta - e si allontana dai parametri
artificiali di Maastricht. Terzo, c'è stato un ingente trasferimento da
debito pubblico a privato avvenuto nella prima fase della crisi tra il
2008 e il 2009. Secondo le cifre pubblicate dalla Bank of England
pubblicate alla metà del 2009 gli Stati europei e gli Stati Uniti,
insieme, avevano speso in garanzia o in prestito alle banche la cifra
complessiva di 1400 miliardi di euro, pari al 50 per cento del prodotto
interno lordo di tutti questi paesi messi assieme. E' ovvio che una
cifra di questa entità non può che far peggiorare il bilancio pubblico.
Quarto, motivo fondamentale ma a lungo trascurato, quando è iniziata la
crisi i paesi del Nord Europa che avevano prestato soldi a quelli del
Sud, non per beneficenza ma perché sfruttavano tassi superiori in una
situazione che si riteneva esente da rischi, hanno cominciato a
riportare a casa i soldi. Un po' per una maggiore preoccupazione nei
confronti di questi paesi, un po' perché avevano problemi a casa da
tamponare. In particolare, credo si continui a sottovalutare il rischio
che tuttora corre il sistema bancario tedesco, molto più verosimile di
quanto si pensi e si dica. Avrebbe bisogno di un'ingente
ricapitalizzazione. Per questo motivo sono stati riportati a casa molti
di quei soldi. Ed è per questo che la Germania sta di fatto impedendo
l'unione bancaria. Da una parte, il numero delle banche che possono
essere controllate dalla Bce è ridotto a pochissime banche che hanno
asset, impieghi e portafogli superiori ai trenta miliardi di euro. Il
sistema bancario tedesco è ancora poco concentrato. Dall'altra, si cerca
di dilazionare il più possibile l'avvio della supervisione da parte
della Bce. Il motivo è molto semplice. Le banche tedesche vogliono
evitare che qualcuno che guardi i loro bilanci in maniera più
disinteressata. Se è vero allora che il debito pubblico non è
all'origine della crisi, tutta la terapia che è stata impostata, è stata
sbagliata. Esattamente come avvenne negli anni Trenta, quando si
affrontò la crisi con restrizioni di bilancio insensate. Allora le cose
non andarono molto bene. La parte peggiore della crisi si manifestò dopo
il '29 a causa di queste manovre in tutti i paesi. In Germania la
ripresa arrivò più tardi con il riarmo e, poi, con la guerra. Ovviamente
non si possono fare parallelismi meccanici, ma non va trascurato il
fatto che siano già in atto guerre valutarie, che ci sia una ripresa del
protezionismo e, soprattutto, una sempre maggiore aggressività del
capitale, sia all'esterno sotto forma di interventi militari, sia
all'interno nei confronti del lavoro. Come dice il miliardario americano
Warren Buffett, “la lotta di classe esiste ancora e l'abbiamo vinta
noi". L'ideologia post-89 secondo cui il mercato risolve tutto, si è
diffusa paradossalmente in questa crisi. Purtroppo è diventata una
cultura di massa. Se guardiamo alle forze presenti in parlamento sono
pochissime quelle che non condividono l'idea che lo Stato debba ridurre
il suo ruolo. Da questa crisi non si esce se non aumenta il potere di
investimento e di coordinazione delle attività economiche da parte del
settore pubblico. Oggi il mercato è in grado solo di peggiorare la
situazione.
venerdì 26 luglio 2013
L'austerity? E' servita solo ad aumentare il debito pubblico
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Il racconto truccato del conflitto previdenziale
di Matteo Bortolon da Il Manifesto Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...
-
di Domenico D'Amico Repetita iuvant , ho pensato di fronte al libro di Michel Floquet ( Triste America , Neri Pozza 2016, pagg. 2...
-
di Franco Cilli Hanno ucciso il mio paese. Quando percorro la riviera adriatica in macchina o col treno posso vedere chiarament...
La grande truffa della austerità non è come la immaginano, la descrivono o la impongono con frode i politici sleali, disonesti e scorretti, ma è l'arma con la quale i poteri forti mettono un anello al naso del popolo dei cittadini lavoratori, delle famiglie e delle aziende alterando la realtà e convincendoli che quell'anello al naso non è segno di sottomissione, ma di condivisione.
RispondiEliminahttp://www.ilcittadinox.com/blog/austerita-sparpaket-austerity-%CE%BB%CE%B9%CF%84%CF%8C%CF%84%CE%B7%CF%84%CE%B1-austerite-austeridad.html
Gustavo Gesualdo alias Il Cittadino X