di Giuseppe Allegri da il Il Manifesto
«Come uscire dalla crisi economica con le ricette del diavolo». È il
sottotitolo volutamente provocatorio del pamphlet Mefistofele
(Utet, p. 220, euro 13,90), scritto da Elido Fazi, editore di
professione, economista postkeynesiano di formazione
e passione. E c’è tanto di dedica a Jens Weidmann, «potente
neoliberista presidente della Bundesbank, che di solito fa il
bello e cattivo tempo in Europa», sostenitore di un’interpretazione
diabolica del Faust di Goethe. Infatti il dispotico banchiere utilizzò il testo del patto Faust-Mefistofele
per scagliarsi contro la storica affermazione di Mario Draghi,
del luglio 2012: «la Bce farà tutto quello che è necessario (whatever it takes)
per salvare l’euro». Anche «dare iniezioni di liquidità
monetaria». Un grave peccato morale, per Weidmann, convinto che
l’atto di creare moneta sia figlio del diavolo Mefistofele, poiché «degenera in inflazione e distrugge il sistema monetario», come, appunto, insegnerebbe il Faust di Goethe.
All’origine di questa interpretazione c’è l’ideologia del debito (dei privati e dei sovrani) inteso come colpa, visto che Schuld in tedesco significa sia debito che colpa, peccato.
E allora, nella sempre più incerta «Europa tedesca», solo
l’imposizione di austere misure di risanamento dei conti pubblici
sembra possa assolvere dalla colpa del debito.
Mentre echeggia il terrore dell’inflazione, intesa come «la»
tragedia che attraversò gli anni Venti tedeschi, verso il consenso
al nazionalsocialismo, che pure Fazi ci ricorda arrivò con le
elezioni del 1932, quando la Repubblica di Weimar era già
precipitata in un periodo di deflazione. Deflazione che avvolge
parte dell’Europa e sicuramente l’Italia, da quindici anni in
stagnazione e perciò ora sospesa sul baratro di una Grande
Depressione. Con il serio rischio di diventare un paese loser:
un «Giappone europeo». Quel Giappone uscito da una deflazione
ventennale solo con la massiccia iniezione di moneta imposta nella
primavera 2013 dal nuovo premier Shinzo Abe, padre di quella che
verrà ribattezzata Abenomics.
Elido Fazi segue questa tendenza e smonta l’ideologia monetarista
che ha reso l’Europa ostaggio dell’incubo inflazionistico,
sacrificando qualsiasi ipotesi di politiche pubbliche capaci di
invertire il ciclo economico depressivo. C’è una storia
millenaria che permette di rifiutare il pensiero unico imposto
dai «tecnocrati della triste scienza», allievi dei Chicago Boys, consiglieri di Pinochet, Reagan e Thatcher.
Così si risale al sesto secolo avanti Cristo, con Solone che
«introduce una radicale e coraggiosa riforma finanziaria, il cui
primo punto è la cancellazione, parziale o totale, dei debiti, con
la restituzione delle terre sequestrate dai creditori», quella
ristretta oligarchia del denaro che aveva messo in ginocchio
i piccoli coltivatori diretti. Nell’antica Grecia, come negli Stati
Uniti degli anni Trenta del Novecento, con Roosevelt. Solone
è quindi il «primo governante a essere cosciente che la moneta è un
bene comune della società e che la sua creazione non può essere
lasciata all’avidità dei finanzieri privati». È questa la chiave di
volta per considerare la moneta e «il credito al servizio di tutti
i cittadini di un paese o un’area come l’eurozona, e non soltanto al
servizio di una élite finanziaria o di alcuni paesi che,
oltretutto, meno ne hanno bisogno». Perché la moneta esiste per
legge, non per natura, per dirla già con Aristotele. È un’istituzione
creata dagli esseri umani che si associano per godere di un maggior
grado di benessere individuale e collettivo. E Fazi ci narra come,
proprio a partire da politiche monetarie espansive, sia
possibile rifiutare l’austero rigore depressivo, per affermare una
moneta comune intesa come ricchezza comune.
Ecco tornare Mefistofele (quello di Fazi, contro Weidmann), che nel Faust consiglia al sovrano dell’Impero indebitato di creare moneta dal nulla, Fiat money,
«come per magia», per risanare le finanze, ma soprattutto per dare
solidarietà, gioia, serenità alla cittadinanza. Nell’allegoria
carnascialesca narrata da Goethe il carro diabolico è trainato
dal dio della ricchezza, Pluto, e da quello delle arti e della
profezia, Apollo, perché solo dall’incontro di ricchezza e poesia
è possibile pensare una vita degna. Le «crisi epocali» esigono
economisti poeti, come il Keynes delle Prospettive economiche per i nostri nipoti,
uscito a ridosso del grande crollo del 1929 e ricordato in chiusura
da Fazi. Nel cuore oscuro di un’Europa oppressa da avari banchieri
e ottusi nazionalisti è difficile rintracciare economisti
adeguatamente visionari, in grado di adottare le ricette del
diavolo. Tanto che Renzi, nella polemica con Weidmann, non è certo
sembrato diabolico. Mentre al vertice della Bce pare Goethe sia
letto con passione.
martedì 15 luglio 2014
La dispotica austerity dei banchieri
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