da goofynomics
(...scritto a 30000 piedi, da dove si vede più lontano...)
Come forse
starete vedendo, sui media di regime è tutta una scoperta dell’acqua calda. Il
Sole 24 Ore, il Corriere, la Stampa, scoprono quello che qui da sempre ci siamo
detti: che il surplus tedesco più che dimostrazione di virtù è causa di problemi; che il debito privato, non quello pubblico, è origine della crisi; che curare il debito pubblico con l’austerity trasforma una situazione fisiologica in
una patologica. Insomma: tutto quello da cui siamo partiti, parola per parola, viene oggi dato come
assodato, come “mainstream”, da persone che spesse volte ci hanno denigrato,
singolarmente o collettivamente, per averlo detto quando c’era ancora qualcosa
da salvare.
Naturalmente
nessuno è disposto a fare per primo l’ultimo passo, vale a dire che siccome
solo la crescita potrebbe risolvere i nostri problemi, e siccome l’euro è
nemico della crescita, perché la svalutazione interna (taglio dei salari)
imposta dalla rigidità del cambio condanna alla deflazione, condizione
necessaria per uscire dall’impasse è superare il sogno di una moneta imperiale
ed evolvere verso un sistema monetario più flessibile.
Faranno questo
ultimo passo quando sarà loro chiesto di farlo.
Noi, intanto,
possiamo guardare avanti.
Per rendervi più agevole
questo compito, e aiutarvi a perdonare chi con le sue menzogne ha
distrutto un paese, vorrei oggi con voi allargare le prospettive,
facendovi leggere qui quello che fra un anno leggerete sul Financial
Times.
Avrete visto le polemiche
fra un certo establishment tedesco e Draghi, accusato di fare politiche
troppo espansive, di praticare tassi di interessi troppo bassi. Certo, al
creditore tedesco i tassi di interesse troppo bassi danno fastidio, anzi, fanno
paura, e questo per due motivi. Il primo è che tassi nulli o negativi compromettono
la redditività del sistema bancario. Se le banche devono pagare la Bce quando
depositano presso di essa liquidità in eccesso, e al contempo devono pagare i
propri clienti affinché questi accettino prestiti (cioè si indebitino), capite
bene che fare il banchiere non conviene più molto. Il secondo è che il sistema
previdenziale tedesco ha un secondo pilastro basato sulla capitalizzazione. Con
tassi di interesse bassi, se non negativi, i
fondi non sono in grado di assicurare le prestazioni promesse ai
risparmiatori/pensionati. Questa cosa, in un paese dalla demografia non
florida, rischia di essere devastante, e, come qui sappiamo da tempo, a livello
di istituzioni europee (cioè tedesche) la consapevolezza di queste dinamiche è
piena.
Draghi ha
risposto una cosa molto giusta: i tassi di interesse sono bassi perché non c'è crescita e la
produttività langue. Tradotto: se non crei valore, non puoi distribuirlo né
come reddito da lavoro, né come reddito da capitale (interessi). Naturalmente
Draghi omette un passaggio, anzi due: il primo è che il valore non si riesce
più a crearlo perché con cambi intraeuropei rigidi a una situazione di crisi
non si può rispondere che creando disoccupazione (se le imprese del Sud non
abbassano i prezzi chiudono, ma per abbassare i prezzi devono tagliare il
“costo del lavoro”, e per convincere i lavoratori ad accettare questo passaggio
normalmente occorre licenziarne un po’: motivo per il quale ovunque si fanno
riforme che precarizzano il lavoro). Il valore si crea lavorando, l’euro impone
la disoccupazione come risposta alle crisi, l’euro distrugge valore, e quindi i
creditori in euro non devono lamentarsi.
Tanto più che (e
questo è il secondo passaggio) le élite tedesche questo sistema lo hanno voluto
nel loro interesse, e proprio per tutelare il valore del loro risparmio. La
rigidità del cambio intraeuropeo aveva diverse dimensioni (da quella simbolica
a quella commerciale a quella politica), ma la più importante era certamente la
dimensione finanziaria: il cambio fisso serviva a rendere “credibili” i paesi
del Sud, cioè a evitare che in caso di crisi la loro valuta fisiologicamente
cedesse, ledendo l’interesse dei creditori. Insomma: il cambio rigido verso il Sud, e sottovalutato per il Nord, è
servito al Nord non solo ad accumulare crediti verso il Sud, ma anche e
soprattutto a difenderne il valore. L’euro non solo ha causato, come ormai
è evidente, gli squilibri intraeuropei, ma è servito anche e soprattutto a
difendere la posizione patrimoniale di chi ne aveva beneficiato, il quale ora,
però, dato che il gioco si è spinto troppo in là, comincia a patirne anche lui
le conseguenze.
Vedete, qui il
discorso merita di essere ampliato un po’. Quando si parla di “leggi”
economiche lo si fa (o lo si dovrebbe fare) con la consapevolezza che
l’economia è una scienza sociale, non una scienza naturale. La legge di gravità
non ammette eccezioni ed agisce in modo piuttosto cogente: se all’aereo che mi
trasporta si stacca un’ala, è certo che voi questo post non lo leggerete.
L’energia potenziale si trasforma in energia cinetica appena le viene
consentito di farlo, portando un corpo verso una nuova situazione di
equilibrio, mentre gli equilibri economici, come ad esempio quello negli scambi
fra paesi, possono essere alterati a lungo da decisioni politiche, che possono
trovare consenso, nonostante siano contro la “natura” economica, per diversi e
complessi motivi sociali, culturali, antropologici. Solo che poi, alla fine, la
razionalità individuale fatalmente deve sottostare alle regolarità empiriche collettive,
che immancabilmente frustrano i tentativi individuali di violentare la natura
economica.
Vi ricordate la
proposta di Keynes a Bretton Woods?
Era una proposta
molto razionale: i paesi creditori (cioè detentori di posizioni nette
sull’estero positive) avrebbero dovuto pagare, anziché percepire, un interesse
sui propri crediti. Una proposta che, come vi ho spiegato in due libri e
innumerevoli post, e come meglio di me hanno chiarito Fantacci e Amato, aveva
una razionalità economica intrinseca. Lo scambio avviene nell’interesse delle
due parti. Il paese esportatore trae beneficio dal fatto che il paese
importatore acquisti, e quindi nel momento in cui finanzia quest’ultimo non fa
un favore solo a lui: fa un favore anche a se stesso. Dato che la finanza internazionale fa comodo a entrambi, è giusto che
entrambi la paghino. Non solo: tesaurizzando i propri crediti
internazionali per percepire su di essi un interesse positivo, il paese
esportatore esporta anche disoccupazione e deflazione (Draghi rimprovera anche
questo ai tedeschi: se il denaro costa poco, dice lui, è perché la
Germania risparmia troppo). Se il creditore internazionale pagasse un
interesse negativo sui suoi crediti, sarebbe invogliato a spenderli per l’acquisto
di merci altrui, favorendo un riequilibrio degli scambi esteri. In tal modo,
promuoverebbe la crescita dei paesi più deboli.
Una finanza più
equilibrata per un mondo più equilibrato richiede una simmetrica penalizzazione
degli squilibri finanziari internazionali.
Questa idea così
semplice, purtroppo, non fa comodo a chi sa di essere destinato al ruolo di
esportatore, cioè di creditore, il quale quindi naturalmente si oppone. Al
tempo di Bretton Woods gli Stati Uniti si opposero alla proposta di Keynes, e
oggi, qui da noi, la Germania si oppone a spendere il suo surplus per rianimare
il circuito economico europeo.
Vedete però il
paradosso? Alla fine l’economia si vendica.
I creditori
esteri si sono rifiutati di costruire un sistema in cui, per prevenire gli
squilibri, fosse loro chiesto di pagare un tasso di interesse negativo, e ora,
a valle della creazione di enormi squilibri, la situazione qual è? Ma semplicemente
quella che i creditori hanno disperatamente cercato di evitare: si ritrovano a
percepire tassi di interesse nulli o negativi sul loro “tessssoro”. La ZIRP
(zero interest rate policy) è l’unica possibilità per tenere insieme un sistema
nel quale si sono accumulati squilibri finanziari enormi. Se la si
abbandonasse, le posizioni debitorie a fronte del “tesssssoro” diventerebbero
insostenibili, e i simpatici Gollum transalpini si troverebbero comunque con un
pugno di mosche in mano. Loro se la prendono con Draghi, ma, oggettivamente,
Draghi non può fare altro (se non andarsene, cosa che legittimamente non vuole
fare).
Spettacolare, no?
Keynes, cacciato dalla porta, è rientrato dalla finestra!
Rientrato, ma,
aggiungo, non in ottima forma. La differenza fra quello che voleva lui e quello
che si sta verificando dovrebbe essere chiara. Lui voleva che i paesi forti,
penalizzati da un tasso di interesse negativo sui loro crediti, venissero
incentivati a spendere nei paesi deboli. I tassi negativi odierni invece si
applicano a tutti: ai forti e ai deboli. Alla fine quindi essi servono per lo
più a incentivare i paesi (e in generale gli agenti economici) deboli ad
assumere nuovi debiti per rilanciare l’economia. Stiamo trasformando l’Eurozona
in un posto in cui la banca ti paga perché tu ti indebiti: è così che è nata la
crisi dei subprimes (come saprete), ed è così che stiamo risolvendo la crisi
europea. Se il pensionato tedesco si preoccupa non ha torto. Peccato che questo
sia il sistema che la Bild gli ha insegnato ad appoggiare politicamente! Tu
l’as voulu, Hans Maier...
Quanto sarebbe
meglio evolvere verso un sistema monetario maggiormente flessibile, come del
resto sta facendo il resto del mondo, e come
chiede il chief economist del Fondo Monetario Internazionale? Certo, nelle
condizioni attuali ci sarebbe qualche mal di pancia da gestire: chi per tanti
anni ha beneficiato del sistema, sarà riluttante a pagare la sua parte del
conto, sotto forma di svalutazione dei propri crediti esteri. Succede sempre
così: l’economia, alla fine, penalizza chi si è indebitamente avvantaggiato.
Ricordate i mutui in ECU? Costavano poco, i tassi erano bassi, la rata era
stabile perché eravamo agganciati allo SME... Ma quell’aggancio, che faceva
bene al debitore, faceva male ad altri: le imprese esportatrici, ad esempio. Il
debitore di questo non era consapevole, e se lo era se ne infischiava. Alla
fine il mercato pareggiò i conti: chi aveva pagato tassi bassi si ritrovo una
rata alta, e chi aveva accettato tassi alti (indebitandosi in lire) non subì
perdite in conto capitale. Il pensionato tedesco che oggi si lamenta è, ahimè,
nella stessa situazione, e i suoi mal di pancia li capisco. Ma tanto lì
dobbiamo andare a parare, allo smantellamento del sistema, perché, come la
storia che vi ho raccontato dimostra, alle leggi dell’economia si può sfuggire
per un certo tempo, ma non per sempre. E più il tempo passa, più il contesto
politico si degrada, e l’acredine si accumula, rendendo più arduo il
componimento pacifico degli squilibri.
(...e naturalmente il
componimento pacifico degli squilibri è impedito anche da un'altra cosa,
ma inutile insistere: come vi ho detto, quello della menzogna è un
problema che si risolverà da sé, come vi avevo preannunciato, e come
state vedendo...)
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