di Tonino D’Orazio
Non c’entra
l’Europa storica dei popoli, della Comunità che la compongono e che vorremmo,
ma si tratta solo di pura economia mercantile, come sempre. Tralasciando il
terrorismo popolar-nazionale, introdotto da un intervento a gamba tesa di Obama
con velate minacce (sicuramente stupide conoscendo l’orgoglio dei britannici
verso la ex-colonia); tralasciando anche il “al lupo, al lupo” su una
vicinissima terza guerra mondiale, (Cameron: “Europa a rischio di guerra”) che non si sa ancora con chi, ma si può
pensare alle ricorrenze secolari con la Germania, essendo l’ultima ancora
impressa nella memoria dei più anziani, oppure al solito “blocco economico”
(sempre sfociato in guerre) questa volta alla Russia, cosa resta veramente?
A meno che si
riferiscono al fatto che due paesi guerrafondai come Israele e gli Emirati
arabi hanno appena aderito (4 maggio) all’organizzazione Nato, che sposta
sempre più ad est il proprio “impegno” democratico in compagnia di veri e
propri stati canaglia.
I britannici, a
suo tempo, si erano già opportunamente sganciati dalla predominanza europea €uro-Germania,
rimane ora un semplice passo per sganciarsi da una Unione che comunque si sta
sfaldando sia nei principi che nella ormai stanziale economia dell’austerità,
con in appendice un rigurgito nazifascista impressionante, che inizia a lambire
anche il Regno tramite gli euroscettici.
Lo scontro, e non
poteva essere da meno, si sviluppa sull’economia e quindi sul futuro del Regno
Unito. Sui soldi.
Due recenti valutazioni di economia di Brexit, dal
Tesoro e da un nuovo Gruppo che si autodefinisce “economisti per Brexit”, si
sono scontrate e arrivano a conclusioni diametralmente opposte, ammettendo in
effetti come l’economia non sia una scienza esatta. Cioè abbastanza aleatoria e
adattabile in autoconservazione di volta in volta. Molte rivendicazioni vengono
pubblicate con previsioni quasi meteorologiche, con sottili differenze che
rendono difficile il confronto diretto, per cui gli elettori, ormai confusi, si
chiedono a chi credere. Se nemmeno i numeri portano certezza, allora che fare?
Infatti gli economisti utilizzano sofisticati modelli
per generare le proiezioni di futuri sviluppi dell'economia. In genere, questi
modelli si basano su una serie di ipotesi fisse su ciò che potrebbe accadere in
assenza di qualsiasi cambiamento. Vi inseriscono poi, di volta in volta, un
elemento per valutare come la modifica potrebbe influenzare l'economia,
incrociando successivamente altri elementi ipotetici.
Salvaguardando le debite proporzioni penso sia la
stessa tecnica utilizzata dalla cartomante dell’angolo, che ricade
successivamente sempre in piedi sulle previsioni anche se sballate.
Lo studio del Tesoro rappresenta il punto di vista del
governo. George Osborne, il Cancelliere dello Scacchiere, dice che a lungo
termine, (2030), se si lascia l’Unione, una famiglia media ci rimetterebbe circa
7.000€/annui. Il dato rappresenta una serie di stime basate su diversi scenari
su come il rapporto commerciale del Regno Unito con l'UE si evolverebbe dopo un
Brexit. La proiezione di fondo è che il PIL sarebbe 6,2 per cento più basso di quello
attuale, da cui la perdita delle famiglie. Insomma una buona iniezione di paura
individuale, tenuto conto del già dimagrimento dei redditi famigliari di questi
ultimi 20 anni, (dalla Thatcher e Blair in poi) oltre ovviamente la guerra.
Il Cancelliere è nettamente contraddetto dal nuovo Gruppo
di economisti che sostengono che Brexit si tradurrà in un risultato economico
migliore che rimanere nell'Unione europea, visti anche i risultati economici positivi dei paesi fuori dall’€uro. Non forniscono lo stesso tipo di dati
come quelli del Cancelliere, ma uno dei
suoi membri, Patrick Minford, calcola il 3,5/3,7 % di perdita del PIL in “costi
correnti” continuando invece l'adesione all'UE. Essi sottolineano altresì, nel rimaneerci, effetti molto negativi a lungo termine sul PIL del
Regno Unito, derivanti da impegni pensionistici a ripartizione in molti Paesi
dell'Unione Europea, una volta che i comunitari saranno rientrati nei loro
paesi, con la sterlina come moneta forte. Un po’ quello che paventa in
prospettiva l’Inps da noi per gli immigrati.
Nell'esercizio del Tesoro, l'obiettivo principale è su
come il commercio aumenterà il PIL e parte dal concetto abbastanza fondato che
il commercio è sempre più intenso tra paesi geograficamente vicini l'uno
all'altro. Cioè che comunque il Regno Unito manterrà il suo accesso ai mercati
dei paesi terzi, anche se diminuisce l'accesso diretto alla UE. Il rischio è
che vi sia una riduzione degli investimenti esteri diretti nel Regno Unito e
una diminuzione della produttività che rallenterebbe la sua crescita e un nuovo
concetto ritrovato di dazi. Rischio inesistente invece per il Gruppo, vista la
forza mondiale, la ricchezza e le capacità storiche della Borsa di Londra.
Gli otto economisti del Gruppo Brexit valutano una
serie di effetti positivi sulle prospettive economiche del Regno Unito, tra cui
la deregolamentazione, il regime commerciale, l'immigrazione, la posizione comunque
sempre mondialmente preminente della City di Londra e le finanze pubbliche. Gli
assunti di base sono che i prezzi scenderanno, a vantaggio dei consumatori, vi sarà
un guadagno enorme svincolandosi dalle regolamentazioni UE (-2% in tasse) e vi
sarà, inoltre, un guadagno immediato per le finanze pubbliche nel non dover più
contribuire al bilancio dell'UE. Ipotesi ritenuta discutibile poiché il
bilancio dell’Unione è un dare e un avere, pari per i britannici, se non
con qualche beneficio, al
contrario degli italiani che ci rimettono miliardi.
Anche sulla eventuale perdita di reddito delle
famiglie i dati non concordano, perché se si intende il “procapite”, invece che
il “nucleo famigliare”, potrebbe essere di appena 2.000€, sempre considerando il
Brexit un peggioramento e non un vantaggio. In quest’ultimo caso il rischio
verrebbe annullato e ci sarebbe invece maggiore redistribuzione.
In sintesi, le due relazioni sono solo ipotesi e gli
elettori si pongono la domanda se questi presupposti sono credibili o sono un
sacco di sciocchezze. E chissà quante ce ne saranno fino al 23 giugno.
Intanto la paura del Brexit si sta estendendo a tutti
gli altri paesi dell’Unione, anche se pochi ne parlano per scaramanzia. IPSOS Mori è la più grande
società di ricerche politiche e sociali in Gran Bretagna, ed una delle prime al
mondo. Dice, per esempio, che sugli effetti
traumatici dell' Unione monetaria per l'Italia, quasi in fallimento
bancario, Roma determinerà il destino dell'euro. Il
sondaggio MORI mostra che il 58% dei francesi vogliono il referendum ed il 41%
dicono che voterebbero per lasciare l'U€. Il sentimento Swexit in Svezia è al
39%. la metà degli intervistati nei paesi che compongono l'80% della
popolazione europea pensa che il Brexit scatenerebbe un effetto domino; il 51%
ha detto che il Brexit avrebbe un impatto negativo sull'economia europea,
rispetto al 36% che pensa che sarebbe un male per l'economia della Gran
Bretagna.
Non si sa ancora cosa pensa il
popolo olandese, dopo che Bruxelles lo prende in giro già per tre referendum.
Ma gli effetti non farebbero che confermare la
diaspora e le diatribe profonde attuali, e forse irreversibili visti i partiti
nazionalisti alla riscossa, tra i vari paesi che compongono la stanca, disastrata e
dissanguata Unione. E
non più solo di soldi si tratta se ormai viene meno la fiducia e la democrazia.
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