di Giorgio Cremaschi
Carlo Calenda rappresenta al meglio la casta renziana. Esperienze
manageriali sin dalla prima elementare e un'abilità, superiore a quella
di Tarzan sulle liane, nel saltare tra le cordate di potere e da un
incarico all'altro. Cosi il nostro è balzato agilmente da Montezemolo a
Monti e poi da quest'ultimo a Renzi. Che lo ha nominato all'inizio
dell'anno nella Commissione Europea, salvo poi ripensarci dopo pochi
mesi e collocarlo al vertice del Ministero dello Sviluppo Economico.
Il nuovo salto di Calenda c'é stato il 10 maggio e già il 13,
intervenendo da neo ministro a Bruxelles, il nostro ha subito schierato
l'Italia tra gli ultras del TTIP. Mentre il governo francese e tedesco
cominciavano ad esprimere dubbi sul micidiale trattato che concederebbe
licenza di far tutto alle multinazionali, il nostro si è lamentato del
fatto che le opinioni pubbliche ed i parlamenti nazionali abbiano
rallentato il negoziato. I popoli a volte contano ancora qualcosa
rispetto al mercato, che scandalosa arretratezza!
Ora il ministro
chiarisce in una intervista sul Corriere della Sera la sua posizione,
che evidentemente è anche quella del governo.
L'Italia, sostiene il
ministro, è il paese che più avrebbe da guadagnare dalla piena
attuazione del TTIP. Non solo non avremmo più il formaggio Asiago
prodotto nel Minnesota, ma le nostre piccole imprese avrebbero la
possibilità di sconfiggere la prepotenza e i privilegi delle
multinazionali e quella di invadere i mercati del mondo, compresi
quelli degli USA. E le preoccupazioni per gli OGM, i diritti sociali e
del lavoro, le legislazioni ambientali non avrebbero alcuna ragione
d'essere, in quanto queste materie non farebbero parte del negoziato.
Neppure l'addetto stampa di una multinazionale del petrolio oggi
sarebbe capace di affermare seriamente un tale concentrato di
sciocchezze. Per altro clamorosamente messe alla berlina dalle
rivelazioni di GreenPeace sulle clausole segrete dei negoziati.
Rivelazioni che, accanto alla crescente mobilitazione della opinione
pubblica, hanno convinto diversi governi europei a mettere un freno ai
negoziati.
Per altro le affermazioni del ministro risultano ancora
più ridicole di fronte a ciò che si è sempre saputo essere il cuore del
TTIP, cioè quella clausola di arbitrato che sottrarrebbe gli
investimenti esteri alle legislazioni nazionali. Per il ministro Calenda
tali clausole sarebbero utilizzabili meglio e con più risultati dalle
Formaggerie Prealpine, piuttosto che dalla Monsanto. Neppure quando
hanno istituito l'Euro, vantandone tutti i magnifici guadagni che ne
avrebbe ricevuto l'Italia, i suoi sostenitori si erano spinti a tanto.
Ma ora c'è il rischio che tutto questo sia messo in discussione, lancia
l'allarme Calenda, anche perché negli Stati Uniti le amministrazioni
pubbliche intendono continuare a privilegiare le aziende del posto in
tutti gli appalti. Ma guarda che strano....
Non comprendiamo se il
Corriere della Sera condivida il pensiero del ministro in tutto, o in
fondo si vergogni un poco della sua sconclusionata rozzezza. Elogi della
globalizzazione come quelli che abbiamo letto nell'intervista, oggi
farebbe fatica a farli, almeno senza ridere, persino un manager della
Banca Morgan.
Ma ciò che dobbiamo purtroppo ricordare è che
l'entusiasta fautore del TTIP, che oggi piange sui rischio che esso non
si possa realizzare, non è un venditore di obbligazioni che deve
convincere un pensionato a dargli i sui risparmi, ma un ministro della
Repubblica che vuole convincere il suo paese a mettere in vendita sé
stesso.
Sempre più spesso si afferma che Renzi voglia essere il
leader di un moderno partito della nazione, e che a questo fine voglia
trasformare il PD e smantellare la Costituzione. Ora Calenda chiarisce
che quel partito, se si realizzasse ed avesse successo e noi speriamo di
no, sarebbe quello della nazione in vendita.
martedì 31 maggio 2016
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