di Giorgio Cremaschi
Sono convinto che in un futuro, speriamo più vicino possibile, ci si
chiederà con compassione ed incredulità come sia stato possibile che le
decisioni fondamentali del nostro paese, e di molti altri, siano state
sottoposte al vaglio ed al giudizio meticoloso di controllori esterni.
Come sia stato possibile che un parlamento eletto, seppure con un
sistema truffaldino, abbia accettato di rinunciare alla sua sovranità
per delegarla ad autorità esterne non elette da nessuno. E soprattutto
ci si chiederà come sia stato possibile che le decisioni sul lavoro,
sulle pensioni, sulla sanità, sulla scuola, sul sistema produttivo,
sulle stesse regole democratiche, siano state prese in funzione del
giudizio su di esse da parte di sconosciuti burocrati installati e
Bruxelles dalla finanza, dalle banche, dal potere economico
multinazionale. Ci si chiederà come sia stato possibile che le
generazioni precedenti abbiano rinunciato a decidere sugli aspetti
fondamentali della propria vita sociale, economica e politica,
accettando il potere quasi assoluto di una entità astratta chiamata
Europa. Entità astratta dietro la quale si sono nascosti gli interessi
concreti delle élites economiche, delle classi più ricche e delle caste
politiche e burocratiche di tutti paesi del continente. Tutte queste
élites non avrebbero mai avuto la forza di imporre paese per paese,
ognuna direttamente contro il proprio popolo, quella drammatica
distruzione delle conquiste sociali e democratiche che oggi stiamo
vivendo. Da sole non ce l'avrebbero fatta a smantellare la più
importante conquista dei popoli del continente, il patrimonio storico
politico che l'Europa avrebbe dovuto accrescere e contribuire ad
estendere in tutto il mondo: lo stato sociale. Un sistema che assegna
diritti sociali, lavoro e reddito, casa, istruzione, salute, pensione,
vita dignitosa e sicura, un sistema che assegna questi diritti alle
persone per il solo fatto di essere cittadini dello stato. Oggi pare che
anche questi diritti sociali fondamentali debbano essere conseguiti
secondo il merito. Questa parola falsa ed ingannatrice, gran parte di
coloro che la proclamano come nuova guida della società non meritano di
stare là dove stanno, questa parola, merito, ha sostituito la parola
diritto nella ideologia di regime. In fondo ci si deve meritare di
vivere.
Lo stato sociale era stato sancito dalle costituzioni
antifasciste del dopoguerra. Quelle costituzioni che, come la nostra, si
erano date l'obiettivo non della semplice eguaglianza giuridica
contenuto nei vecchi statuti liberali, ma quello della eguaglianza
sociale. Eguaglianza da perseguire prima di tutto attraverso il potere
pubblico, e poi con l'azione sociale diretta delle classi subalterne e
dei popoli, che veniva costituzionalmente protetta. Questo sistema
costituzionale non poteva piacere alla finanza internazionale. Nel 2013
la Banca Morgan aveva affermato in un suo documento ufficiale che le
costituzioni antifasciste, con la loro marcata impronta sociale, erano
un ostacolo verso il pieno dispiegarsi della controriforma liberista.
Bisognava abbatterle e a questo è servito il nuovo mantra della politica
senza alternative: lo vuole l'Europa!
La giustificazione lo vuole
l'Europa, dietro la quale sono passate le peggiori sopraffazioni e
ingiustizie sociali, ha quasi sostituito quella precedentemente abusata:
lo vuole il mercato. Evidentemente quest'ultima era considerata non in
grado di reggere. Un puro principio di interesse economico si logora, se
non corrisponde agli interessi reali o confligge con essi . Il richiamo
al mercato non bastava più, occorreva quindi una immagine più forte
che in qualche modo comunicasse dei valori extra economici. Gramsci ha
ben spiegato come il capitalismo abbia sempre bisogno di valori esterni
alla pura logica del mercato , per giustificare la più feroce ricerca
del massimo profitto.
Nel Medio Evo era con Deus vult, Dio lo vuole,
che si giustificavano le sopraffazioni del potere. Laicamente ora si
afferma che lo vuole l'Europa, ma i fini sono gli stessi che in
quell'epoca apparentemente lontana.
Dietro il mito dell'Europa,
dietro il messaggio nazionalista continentale che dovrebbe assorbire i
nazionalismi di ogni singolo paese con l'orgoglio di essere sudditi di
una superpotenza, sta un sistema di potere burocratico imperiale.
Questa è la realtà della Unione Europea, che è prima di tutto un sistema
politico di potere sovranazionale progettato per distruggere le
resistenze sociali e democratiche dei diversi paesi che ne fanno parte.
Non c'è sciocchezza ideologica più fuorviante dell'affermazione secondo
la quale il limite del progetto europeo è che esso sia solo economico e
non politico. È vero sostanzialmente il contrario. Il sistema europeo è
un sistema politico, costruito per agevolare il dominio dei mercati
sulle nostre vite e per affermare il liberismo estremo nelle relazioni
economiche e sociali. La costituzione della Unione Europea, i trattati e
i patti che la istituiscono e governano, da quello di Maastricht al
fiscal compact, disegnano una architettura rigorosa di un sistema di
potere con scopi chiarissimi. L'articolo uno della costituzione della
Unione Europea, se paragonato a quello equivalente di quella italiana,
potrebbe così essere letto:
"L'Unione Europea è una oligarchia
fondata sul mercato, la sovranità appartiene al potere economico e
finanziario che la esercita secondo le regole della competitività e del
massimo profitto."
Questo è il vero primo articolo della
costituzione europea; chi esaminasse attentamente i trattati, le loro
regole i loro poteri lo troverebbe rigorosamente e coerentemente
applicato. Poi, naturalmente, ci sono le coperture di facciata e qui si
spreca il ricorso a quei diritti dell'uomo sul cui uso sfacciatamente
ipocrita Karl Marx aveva speso il suo migliore sarcasmo.
A dire la
verità oggi anche questa copertura è notevolmente a rischio. Il
comportamento della ricchissima Unione Europea nei confronti di
rifugiati e migranti calpesta non solo i fondamentali diritti umani, ma
persino elementari regole di solidarietà. La compravendita di persone
con la Turchia finanziata da miliardi di euro, di più di quelli che si
negano alla Grecia, è stata decisa dai governanti democristiani e
socialisti della Unione Europa e non da LePen o Salvini. La costruzione a
tappeto di Hotspot, solito uso dell'inglese per coprire porcherie, cioè
di campi di concentramento persino in mare per migranti, è stata
sempre opera degli stessi. I muri li costruiscono tutti i governi senza
distinzione di appartenenza politica. La civilissima Danimarca impone il
pizzo di stato sui beni personali dei migranti, come scafisti che si
facessero consegnare gli orologi e gli anelli prima di imbarcare.
L'altrettanto civilissima Svezia ha programmato il rimpatrio forzato di
decine di migliaia di migranti. Rimpatrio dove, a Mosul in mano all'
IS? Nelle pianure afghane? Sulle coste della Libia? Nei campi di
concentramento turchi?
L'Unione Europea ha concordato con il governo
Cameron, per fargli vincere il referendum e respingere la Brexit,
misure restrittive per i migranti. Non solo per quelli extracomunitari,
ma anche per gli stessi cittadini della Unione. Gli italiani che
andranno a lavorare in Gran Bretagna non godranno degli stessi diritti
sociali dei lavoratori britannici, saranno un po' come i nostri
gastarbeiter nella Germania Occidentale degli anni 50 del secolo scorso.
Altro che cittadinanza europea!
Il governo europeo non può che
assumere queste misure feroci contro i migranti, perché esse servono a
giustificare la ferocia quotidiana verso i propri cittadini. Se si
perseguono la disoccupazione di massa e la distruzione dello stato
sociale, si deve necessariamente alimentare la convinzione di massa che
siamo già in troppi per accogliere altri. Se in Europa ci fossero piena
occupazione e eguaglianza sociale, non ci sarebbero grosse difficoltà ad
aggiungere posti a tavola in mezzo a 500 milioni di abitanti. Ma quando
la vita quotidiana viene minacciata dalla precarietà e dalla
disoccupazione e di massa e quando i diritti sociali fondamentali sono
negati a milioni di persone, il migrante viene visto come colui che
viene a contendere il pane e l'elemosina del povero. Claudio Magris ha
scritto che non si possono accogliere tutti, che anche un ospedale deve
chiudere ad un certo punto gli accessi. Ha dimenticato che dire che gli
ospedali pubblici chiudono e riducono i posti ed i servizi per le
politiche di austerità europee, che la Grecia non ha più una sanità
pubblica da spartire eventualmente con i migranti.
Sono le politiche
di austerità normate dalla costituzione europea che producono e
alimentano le guerre tra poveri per diritti sempre più scarsi e
aleatori, e che spargono il seme della xenofobia e del razzismo. I
partiti reazionari e razzisti sono il prodotto, a volte persino utile
come spauracchio, delle politiche di rigore economico da parte dei
governanti democristiani e socialisti.È dovere contrastare ovunque i
rigurgiti neofascisti e razzisti, ma senza dimenticare che la loro fonte
sta nel potere autoritario e liberista di Bruxelles. Se non si taglia
la testa al potere che alimenta i tentacoli del razzismo, questi
continueranno a riprodursi.
Oggi invece l'Europa pare avere
dimenticato le ragioni sociali ed economiche del dilagare del fascismo e
poi del nazismo negli anni 30 del secolo scorso. E soprattutto pare
avere dimenticato che le costituzioni sociali antifasciste sono nate
proprio con lo scopo di estirpare le radici economiche e sociali di quel
dilagare. Oggi l'Unione Europea fa la stessa politica economica della
Germania democratica di Weimar e sta facendo rinascere gli stessi
mostri. Viene il dubbio che di fronte alla ferocia antisociale delle
politiche economiche della Unione il comparire delle forze reazionarie
non sia proprio inaspettato. Come la storia insegna esse sono sempre il
Piano B del capitale.
Cameron ha minacciato i britannici che se
voteranno a favore della Brexit saranno responsabili del ritorno della
guerra in Europa. Sfacciato. In Europa la guerra c'è già stata con le
centinaia di migliaia di vittime della distruzione della Jugoslavia,
grazie alle quali l'Unione Europea ha potuto consolidare la sua
espansione verso Est. La guerra c'è oggi nella Ucraina dove l'Unione
Europea finanzia ed arma il primo governo del continente, che dal 1945
abbia ministri dichiaratamente nazifascisti.
E poi l'Unione Europea,
da 25 anni, praticamente dalla sua organizzazione nella forma attuale,
partecipa a quella guerra mondiale a pezzi di cui parla Papa Francesco.
Una guerra che alimenta il terrorismo mentre proclama combatterlo, una
guerra che rischia di di non finire mai perché si alimenta di sé stessa.
Quanto a Cameron, egli è direttamente responsabile della catastrofe
della Libia, catastrofe che oggi assieme ad Hollande, Obama ed Erdogan
tenta di riprodurre in Siria.
L'Unione Europea è sempre più
coinvolta nella guerra e negli affari della guerra e sempre di più si
identifica con la NATO e la sua politica imperial militare. Se dovesse
essere approvato il TTIP, Unione Europea e Stati Uniti sarebbero assieme
in una Nato economia dopo quella militare. Eppure a sinistra è più
facile dire no al TTIP e anche no alla NATO, piuttosto che affermare il
no alla Unione Europea. Come se fosse possibile davvero separare le tre
colonne portanti della stessa costruzione.
Oggi l'Unione Europea
gestisce e alimenta tre guerre contemporaneamente. Quella militare per
difendere ed estendere i propri confini e gli interessi dei propri
poteri economici. Quella contro i migranti da usare come moderni iloti o
da deportare a seconda delle necessità degli stessi poteri economici.
Quella contro i propri popoli, che distrugge lo stato sociale nel nome
della competitività e del profitto, naturalmente sempre degli stessi.
La domanda è: come si fa a fermare queste tre guerre senza rovesciare il potere tirannico che le gestisce?
Qui la sinistra in gran parte si ferma, si paralizza. Pare a quel punto che dominino le paure.
Quella che se si rompesse con l'Unione Europea tornerebbe il fascismo
nei singoli stati. Ma davvero crediamo che i popoli sarebbero così
deboli di fronte ad un potere tirannico locale, non sostenuto da poteri
esterni? Davvero si crede che i banchieri e la Troika ci difendano
meglio da svolte reazionarie di quanto potremmo fare noi stessi? Se si
pensa che in fondo questa Unione Europea ci protegga dal peggio, allora
siamo destinati ad esserne schiavi. Il governo greco è lì a testimoniare
che la paura di rompere con la dittatura europea porta a subirne tutti i
comandi. Si dice che la Grecia fosse troppo piccola per resistere da
sola. Questo accusa noi e tutti popoli europei di non aver fatto
abbastanza per sostenere quel popolo contro la Troika, ma non assolve la
resa del governo Tsipras. C'è sempre l'alternativa di resistere a
quella di collaborare con il tuo oppressore. In ogni caso non è vero che
il collaborazionismo con la Troika serva a prendere tempo in attesa
della grande riforma democratica dell'Europa. Questa riforma non ci sarà
mai.
L'altra grande paura dopo quella politica è quella economica,
che è persino più forte della prima e ha un suo totem: l'euro. L'euro
non è solo una moneta, ha detto il ministro delle finanze della Germania
Schauble. L'euro è la politica economica di austerità, se non c'è l'una
non c'è l'altro. Il ministro più potente d'Europa ha ragione, è così ma
non è ancora tutto. L'euro è anche uno strumento ideologico di
consenso. Ai popoli del sud si fa credere di essere eguali ai ricchi
popoli del nord perché si possiede la stessa moneta. Anche noi abbiamo
il solido marco, si sarebbe detto una volta. La moneta unica alimenta
l'autorazzismo dei popoli meridionali, in cui si instilla il terrore di
essere ricacciati tra i popoli di pelle scura dell'altra sponda del
Mediterraneo, invece che essere ammessi nel consesso di quelli ricchi e
virtuosi, biondi e con gli occhi azzurri. A loro volta ai lavoratori e
ai popoli del nord, i loro governi impongono di tenere fermi i salari e
di non avere pretese sociali eccessive, visto che il loro sistema è
ambìto ed invidiato dai popoli del sud. La deflazione salariale in
Germania ha permesso al grande capitale di quel paese di far man bassa
di mercati ed imprese in tutta Europa. Se i paesi più forti hanno la
stessa moneta dei paesi più deboli e tengono pure sotto controllo salari
e prestazioni sociali, i paesi più deboli vengono mangiati. È stata
così la dollarizzazione dell'economia contro cui si sono ribellati i
popoli dell'America Latina. È nazionalismo non voler essere una colonia
del grande capitale tedesco? L'euro è un vincolo economico e ideologico
costruito apposta per rendere irreversibili le politiche di austerità. E
serve a ricattare paesi e persone. Abbiamo visto in Grecia il modo
terrorista con cui è stato usato per minacciare un intero popolo. Non
avrete più la moneta vera, dovrete tornare al baratto, hanno ricattato.
La Grecia è rimasta nell'euro, ma i greci non hanno più euro in tasca
per mangiare.
Infine c'è una paura più piccola, ma presentata spesso
in maniera piuttosto arrogante. La paura di non essere sufficientemente
avanzati ed aperti. Ci si dice che l'Europa è l'Erasmus che unisce gli
studenti del continente. Però si dimentica che in nome dell'Europa si
sta distruggendo in ogni paese la scuola pubblica. Si esalta la
possibilità di viaggiare facilmente e a basso costo e la Ryan Air si è
ufficialmente pronunciata contro la Brexit. Eppure se la compagnia
low-cost fosse costretta ad applicare ai suoi dipendenti un vero
contratto nazionale non sarebbe poi una disgrazia.
Bisogna rompere con le paure se si vuole rompere la gabbia del sistema di potere europeo.
Certo, sarebbe meglio se in tutta Europa contemporaneamente scoppiasse
la rivoluzione socialista. Allora il sistema di potere dell'Unione
verrebbe travolto da tutti i lati. Ma francamente non possiamo aspettare
una mitica ora x. Oggi è in piazza il popolo francese contro il Jobsact
di Hollande, mentre incredibilmente quello greco continua a
lottare.Tutto questo segna anche una condanna senza appello per la
pavidità eIl collaborazionismo di CGILCISLUIL qui da noi. Le resistenze
all'oppressione sono sempre nazionali e proprio partendo da questa loro
dimensione parlano a tutti e diventano internazionali. Il primo popolo
che si riappropri della propria sovranità democratica diventerà esempio
da emulare in fretta per tutti gli altri. Ci sarà il contagio.
La
rottura che noi proponiamo parte dunque da una dimensione nazionale, e
si proietta subito in un dimensione di solidarietà internazionalista e
cooperazione tra tutti i popoli che fanno e faranno la stessa scelta.
Ciò che va abbattuto è Il superstato imperiale europeo che schiaccia
democrazia e diritti sociali nel nome del mercato. Questo è l'avversario
non riformabile.
Si deve abbattere il superstato Europeo non nel
nome della efficienza economica, come vaneggia una certa destra, ma nel
nome della democrazia. Si tratta di riconquistare il potere democratico
di decidere sulle politiche economiche e sociali, e di avere gli
strumenti reali per realizzare quelle scelte. Per questo, mentre è
possibile che l'Unione Europea sia governata sempre più a destra, basta
conoscere la legge antisciopero dell'europeista Cameron e come essa
piaccia alla Commissione Europea, mentre questa svolta a destra della
Unione è possibile e in corso, non è credibile un'uscita da destra da
essa.
Uscire da UE ed Euro significa e richiede adottare misure di
stampo socialista, sicuramente di rottura con i vincoli del mercato
globale. Le prime sono il controllo rigido del mercato dei capitali, la
lotta alla evasione fiscale dei ricchi, la nazionalizzazione della banca
centrale e delle principali banche. Questo fa saltare l'euro. Perché
una banca centrale che la smetta di ricorrere ai mercati finanziari e
stampi moneta per le attività pubbliche e l'economia, così era in Italia
fino al 1981, una banca centrale di stato che riprenda a sostenere il
paese, questa banca è incompatibile con il sistema Euro.
Si rompe
con UE ed Euro per fare una politica economica d'assalto contro la
disoccupazione di massa, per far crescere salari e redditi, per colpire
le diseguaglianze sociali, per difendere l'ambiente dalla devastazione
delle grandi opere.
Si rompe con la UE e l'euro, per affermare i
principi della Costituzione del 1948, totalmente incompatibili con i
principi e le regole della costituzione europea. Lo può fare la destra
questo? No.
In America Latina è in atto uno scontro terribile tra la
spinta golpista e restauratrice dell'imperialismo USA, alleato con le
caste corrotte e la borghesia compradora di quei paesi, ed il fronte
sociale e politico che ha guidato, anche con grandi contraddizioni, il
cambiamento progressista di tutto quel continente in questi due decenni.
Lì le cose sono chiarissime, la destra rivuole le dollarizzazione
dell'economia e il ritorno del liberismo selvaggio guidato dalle
multinazionali USA, le sinistra, più o meno radicalmente, una economia
governata dallo stato democratico che abbia come obiettivo l'eguaglianza
sociale. Sono nazionalisti e assieme internazionalisti i popoli e le
forze che seguono questa via.
In Europa la destra ha fintamente
occupato lo spazio della contestazione al potere oligarchico europeo
perché la sinistra neoliberale si è ritirata da esso così come si è
ritirata dal popolo, anzi in molti casi essa è stata semplicemente
cooptata in quella oligarchia. Renzi, Hollande, Gabriel non sono
compagni che sbagliano, sono avversari. Dopo la resa di Tsipras è chiaro
che sinistra europeista diventa un ossimoro politico. Se si vuole
restare europeisti si deve rinunciare ad essere sinistra sociale,
popolare, di classe. Se invece si vuole restare questo tipo di
sinistra, si deve rinunciare ad essere europeisti.
Ogni volta che
una lotta o un movimento sociale o politico acquisiscono la dimensione e
la forza per confrontarsi con il sistema di potere, questi reagisce
minacciando in nome dell'Europa. A questo punto finora abbiamo visto
solo giustificazioni ed arretramenti che alla fine hanno indebolito o
addirittura portato alla sconfitta quel movimento, quella lotta.
È
giunto il momento di cambiare registro. Di fronte a quella minaccia si
deve avere la forza di rispondere: che l'Europa vada al diavolo.
Un'altra Europa è possibile solo rovesciando l'attuale sistema di potere
europeo, solo rivendicando la rottura con la UE, l'euro e naturalmente
con la NATO. Questa è la inevitabile la conclusione politica dei
percorsi dei movimenti sociali e politici radicali che non vogliano
fermarsi.
Per questo oggi ci dobbiamo schierare senza paura a
sostegno della Brexit, se il popolo britannico votasse SI ad essa
aprirebbe uno squarcio di speranza per tutti noi. Se invece dovesse
vincere il No il potere imperial finanziario europeo, che sta spendendo
tutte le sue minacce contro la scelta di rottura, ne uscirebbe
rinfrancato ed incattivito contro tutti i popoli. Brexit oggi per
Italexit domani, non dobbiamo avere paura di questa parola. Molti
sondaggi dicono che la parola Italexit stia diventando popolare, un
sentimento, di massa. Oggi questo sentimento non ha dalla sua un vero
progetto politico. Ora questo progetto va costruito. Dobbiamo fare il
passo decisivo di scegliere la rottura e non discutere più sul se, ma
solo sul come realizzarla. La rottura è prima di tutto una scelta
politica per la democrazia e l'eguaglianza sociale, per riprendere la
marcia interrotta verso il socialismo; parola scomparsa dal lessico
della sinistra europea, mentre paradossalmente viene assunta da un
candidato alle primarie presidenziali USA.
Il Mezzogiorno d'Italia
con la crisi e le politiche di austerità europee è stato già ridotto in
molte sue aree a condizioni eguali o peggiori di quelle della Grecia. E
in questa devastazione prosperano le mafie. Siamo qui perché pensiamo
che i tanti segnali di lotta e ribellione che vengono da queste terre e
da queste città, possano crescere fino a diventare l'elemento portante
di un blocco sociale e politico alternativo a quello dominante. Siamo
qui a Napoli perché qui c'e una realtà sociale politica che pur tra
enormi difficoltà è giunta al punto di rottura con il sistema di potere
del PD. Ad essa, come a tutte e tutti coloro che oggi lottano per il
lavoro e il reddito, per l'ambiente, per i diritti sociali, per la
democrazia, è rivolta la proposta di scegliere esplicitamente la rottura
con la UE e l'Euro.
Con questa posizione partecipiamo come Eurostop
alla campagna per il No nel referendum sulla controriforma della
Costituzione voluta da Renzi. Siamo parte di un fronte molto vasto e
anche ovviamente contraddittorio, come necessariamente deve essere per
un referendum costituzionale. Proprio per questo però dobbiamo affermare
che quella controriforma è la realizzazione del progetto, europeo e
della finanza internazionale, di distruggere nel nostro paese la
resistenza costituzionale al liberismo. La controriforma della
Costituzione, assieme al Jobsact, alla legge Fornero, alle
privatizzazioni, alla distruzione della scuola e dei servizi pubblici,
sono state offerte da Renzi e Padoan al tavolo europeo come pegni
sacrificali, in cambio di qualche miliardo di flessibilità sui bilanci
per finanziare le mance da distribuire nelle campagne elettorali del
presidente del consiglio. I burocrati europei hanno apprezzato e forse
concesso.
Così quando Renzi affermerà che la sua controriforma la
vuole e la sostiene l'Europa, dirà forse per la prima volta una cosa
vera. Il fronte del No dovrà essere pronto a rispondere senza
impelagarsi nella confusione, noi comunque lo faremo.
Il referendum
sulla Costituzione e il più importante appuntamento che abbiamo di
fronte, anzi quello decisivo. Ad esso dobbiamo dedicare tutte le nostre
forze nei prossimi i mesi. Con la vittoria del No nel nostro paese si
aprirà una fase nuova e per la prima volta da anni con possibilità
positive. Subito dopo dovremo aggredire la modifica non sottoposta a
voto, ma altrettanto grave, dell'articolo 81 della Costituzione che ha
imposto il pareggio di bilancio e così costituzionalizzato l'austerità.
C'è tutta una lunga china da risalire. Allora Eurostop dovrà lanciare
con tutta la forza possibile la proposta dell'Italexit come passo
successivo conseguente e necessario.
Ma ora dobbiamo costruire le
condizioni di quella vittoria e a tale fine è necessaria la più vasta e
diffusa mobilitazione di massa, che faccia uscire la campagna dagli
spazi televisivi e che superi la grande disaffezione politica popolare,
sulla quale invece conta Renzi per vincere.
Per questo lanciamo la
proposta di concludere la mobilitazione di massa con una grande
manifestazione a Roma una settimana prima del voto referendario. Una
giornata per la Costituzione del 1948 che sia anche un No Renzi Day.
Ogni forza democratica a antifascista venga a quella manifestazione con
la sua piattaforma, noi andremo con la nostra, ci unirà il rifiuto del
regime renziano, espressione ilare della Troika.
Compagne e compagni è ora finirla di piangere e di ripartire.
sabato 21 maggio 2016
La mia relazione all'Assemblea Eurostop di Napoli per l'Italexit
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